GIUSTO da Urbino
Missionario cappuccino, al secolo Iacopo Curtopassi, nato a Matraia (Lucca) il 30 agosto 1814, morto a Kharṭūm il 22 novembre 1856. Prese l'abito di cappuccino nel 1831; poi fu scelto a far parte della missione di mons. Massaia in Etiopia. Giunto a Massaua nel dicembre 1846, dopo un breve soggiorno nell'Agamè si stabilì nel Baghiemeder dove restò sino al maggio 1855 quando il metropolita (monofisita) di Etiopia, l'abuna Salāmā, lo fece espellere per la via del Sennar. Nell'aprile 1856 volle raggiungere di nuovo dal Cairo il Sudan; ma morì poco dopo.
Il p. G. seppe acquistarsi una non comune competenza nelle lingue semitiche di Abissinia (di suoi studî sul galla non si ha notizia che nelle sue lettere): un suo vocabolario amarico manoscritto servì specialmente ad Antoine d'Abbadie per la compilazione del Vocabulaire de la langue amhariñña; inni da lui composti in versi etiopici (in lingua ge‛ez) sono conservati alla Bibliothèque Nationale di Parigi e i suoi studî sul ge‛ez sono stati ancora recentemente utilizzati da orientalisti europei. Ma più noto egli è come autore dei due trattatelli: Ḥatatā Zar'a Yā‛qob e Ḥatatā Walda Ḥeywat. Questi due scritti (in ge‛ez) erano già stati creduti dai dotti europei opere di Abissini; E. Littmann li aveva pubblicati (col titolo Philosophi abessini) nel Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium nel 1904. La singolarità dei due opuscoli consisteva nel loro contenuto profondamente scettico; così opposto al tipo solito e stilizzato degli scritti etiopici, nei quali il pensiero è rigidamente fermato in schemi e in forme tramandatesi da secoli. I due Ḥatatā, invece, affermano ammissibile la sola idea di Dio, ma fuori dei vincoli delle religioni rivelate. Ora C. Conti Rossini ha potuto dimostrare ineccepibilmente, in base a documenti etiopici e italiani, che questi scritti sono soltanto un disperato sfogo degli angosciosi dubbî (che l'isolamento della missione e la vita abissina stessa avevano insinuato nell'animo del p. G. Essi sono quindi un documento umano di grande interesse, ma naturalmente non dal punto di vista della letteratura etiopica.
Bibl.: E. Littmann, Philosohpi abessini, cit., Parigi 1904; id., Zar'a Yā‛qob, ein einsamer Denker in Abessinien, Berlino 1916; Th. Nöldeke, Zwei abessinische Deisten, in Deutsche Rundschau, 1905, fasc. 9 (giugno); C. Bezold (recensione dei Philosophi abessini), in Deutsche Literaturzeitung, 1907; C. Conti Rossini, Lo Ḥatatā Zar‛a Yā‛qob ed il P. Giusto da Urbino, in Rendiconti R. Accademia Lincei, sc. mor., s. 6ª, XXIX (1920); E. Mittwoch, Die amharische Version der Soirées de Carthage, in Mitteil. d. Seminars f. oriental. Sprachen zu Berlin, XXXII (1929), pp. 99-192 (vers. amarica, forse dello stesso p. G., della vers. ge‛ez, da lui fatta, delle Soirées de Carthage dell'abate Bourgade, 1847).