GLADIATORI (lat. gladiatores)
Combattenti, generalmente schiavi, che agivano in pubblici luoghi allo scopo di divertire le folle romane; essi prendono nome dal gladius, la corta spada a forma di coltello, adatta a colpire di taglio e di punta (v. spada), di cui i gladiatori erano armati nel tempo più antico.
Circa l'origine dei giuochi gladiatorî, si discute se essi siano etruschi, campani o anche celti. Fra tutte, più probabile sembra la teoria che li dice etruschi, non solo perché appoggiata da una esplicita dichiarazione di Nicolò di Damasco, ma anche perché rilievi di urne etrusche della seconda metà del sec. III a. C. ci offrono rappresentazioni di combattimenti di gladiatori come già praticati contemporaneamente e prima dell'introduzione di tali spettacoli in Roma. Introduzione che avvenne nel 254 a. C., nell'occasione degli onori funebri resi dai figli a Decimo Giunio Bruto Pera sul Foro Boario e quindi in funzione di ludi mortuarî e probabilmente invece dei più antichi sacrifici umani ai Mani del defunto. Tale pare sia rimasto il carattere fondamentale dei giuochi gladiatorî sino all'ultimo secolo della repubblica, quando essi vennero interessando direttamente lo stato e assumendo anche altri scopi all'infuori di quello funeratizio. Nel 105 a. C. lo stato interviene a procurare spettacoli di duelli al popolo per non disabituarlo alla guerra durante i periodi di pace, e in seguito i giuochi gladiatorî parvero acquistare sempre più chiaramente significato e importanza militare e politica. Nel periodo dell'impero essi sono ormai specialmente in Roma monopolizzati dallo stato o sotto la sua diretta influenza o sorveglianza, e come tali sono incoraggiati e diffusi nel mondo romano. Il cristianesimo non riuscì a far cessare subito il barbaro costume, che solo fra il 402 e il 423 fu di diritto e di fatto abolito.
Ci sono note varie specie di gladiatori e ciascuna porta un nome particolare in riferimento al modo di combattere. Ne nominiamo solo alcune: gallus, detto anche murmillo, che combatte con elmo, scudo gallico e lancia, senza gambiere, contro il retiarius e il thrax, il primo con una rete con cui cerca di avviluppare l'avversario, il thrax con elmo, gambali, spada e lancia curva; il samnes, detto poi oplomachus, armato alla sannita con grande scudo e spada diritta; il secutor detto anche contrarete o contraretiarius come contrapposto al sannita o al reziario.
I gladiatori sono in origine reclutati fra i prigionieri di guerra, e tale uso continua anche in età imperiale. Altre volte si tratta di condannati per reati comuni appartenenti alle classi inferiori della popolazione, ai quali viene applicata tale punizione, analoga, per i pericoli che presenta, all'invio al lavoro nelle miniere; tra i gladiatori sono schiavi e liberti e, dietro certe condizioni e restrizioni, anche liberi; codesti liberi divenuti gladiatori si chiamano auctorati e debbono prestare un giuramento particolare che autorizza i loro capi a trattarli, senza essere puniti dalla legge, come schiavi. Per meriti particolari il gladiatore schiavo può anche guadagnare la libertà. I gladiatori vengono raccolti in particolari familiae sotto la disciplina di lanistae e addestrati in scuole speciali, ludi gladiatorii; a Roma era assai noto il ludus magnus sull'Esquilino, a Pompei la caserma in prossimità del teatro grande; celebri ludi erano a Capua, a Preneste, a Ravenna; in tali scuole vigeva una ferrea disciplina dettata in parte anche dalla preoccupazione che tali torme di combattenti potessero divenire un pericolo per lo stato romano; d'altra parte il padrone del ludus desiderava che i gladiatori fossero esteticamente assai bene presentabili in pubblico e perciò procedeva con nutrimento particolare a curarne lo sviluppo e l'aspetto; provvedeva anche per mezzo di medici particolari a guarirne le ferite quando fosse possibile. La scuola di scherma gladiatoria era assai complessa e affidata a doctores specialisti; e il discepolo poteva passare via via per varî gradi da recluta (tiro) a spectatus, cioè a gladiatore già presentato in pubblico, fino a secundus e primus palus cioè a gladiatore scelto. Marte, Diana e più tardi soprattutto Ercole e qualche volta Silvano erano le divinità invocate dai gladiatori come protettrici.
Gli spettacoli gladiatorî si tennero in origine nel Foro così in Roma eome nelle altre città e, pare dal 53 a. C., negli anfiteatri (III, p. 281).
Lo spettacolo (munus) è preceduto da una processione (pompa), con cui l'editor muneris, che offre cioè lo spettacolo a sue spese, presenta i gladiatori; segue la probatio armorum, la prova se le armi sono bene affilate, e quindi le lotte s'iniziano in finte battaglie con armi finte. La tromba poi annuncia il combattimento cruento che spesso è accompagnato dalla musica; tali combattimenti in generale sono duelli, talora però sono contrapposte più coppie e in età imperiale apparvero talora anche schiere numerose contrapposte ad altre schiere. Il gladiatore debole o timido poteva essere spinto innanzi con la frusta o col fuoco, il caduto era ammesso a impetrare grazia dal popolo e poteva così essere risparmiato (missus) oppure finito. Un servo che recava la maschera di Mercurio toccava con un ferro infuocato il caduto, per constatare se fosse morto veramente; in caso positivo, questo era trascinato fuori dell'arena dalla porta destinata a ciò e portato nello spoliarium. Al vincitore era data una palma e talvolta una corona e un compenso in danaro o altro.
Il favore che i gladiatori soprattutto in età imperiale godettero individualmente presso il pubblico anche femminile è in ragione diretta del gusto che per tali spettacoli si diffuse, quantunque una piccola minoranza, di cui si fecero eco Cicerone e Seneca, li disapprovasse come indizio di costumi pervertiti.
È anche da ricordare come dai gladiatori di Capua nel 73 a. C. si sia iniziata la rivolta degli schiavi che si trasformò in una vera e propria guerra assai pericolosa per lo stato romano; il nome di Spartaco, un gladiatore di Tracia, è appunto quello di uno dei più audaci condottieri della rivolta.
Bibl.: J. Marquardt, Röm. Staatsverwaltung, III, 2ª ed., p. 554 seg.; Weege, in Arch. Jahrb., XXIV, p. 134 segg.; Lafaye in Daremberg e Saglio, Dict. d. Ant. gr. et rom., II, p. 1563 segg.; A. De Marchi, Le antiche epigrafi di Milano, Milano 1917, p. 63 segg.; Schneider, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., suppl. III (1918), coll. 760-784; L. Friedländer, Darstellung ans der Sittengeschichte Roms, 9-10 ed., II, p. 54 segg.; IV, p. 258 segg.