Panfilov, Gleb Anatolevič
Regista e sceneggiatore russo, nato a Magnitogorsk (oblast′ di Čeljabinsk) il 21 dicembre 1934. Autore appartato di un cinema umanistico di introspezione psicologica e grande semplicità formale, si è segnalato ed è stato apprezzato nei festival internazionali, vincendo il Pardo d'oro al Festival di Locarno nel 1969 per il suo lungometraggio d'esordio V ogne broda net (1968, Non c'è passaggio nel fuoco), l'Orso d'oro al Festival di Berlino nel 1987 per Tema (Thema; girato nel 1979 ma uscito solo nel 1986) e il premio per il miglior contributo artistico a Cannes nel 1990 per Mat′ (La madre). È stato uno dei principali registi degli anni Settanta e Ottanta, prima che la perestrojka e la caduta del comunismo ridisegnassero il panorama della cinematografia russa.
Dopo la laurea in ingegneria chimica all'Istituto politecnico degli Urali (1957), trovò lavoro in fabbrica, mentre il suo interesse per la cinematografia diventava sempre più pressante. Nel 1959 realizzò il documentario Vstavaj v naš stroj! (Raggiungi le nostre truppe!), curandone regia e fotografia, e, incoraggiato dalle positive reazioni ottenute, seguì un corso per corrispondenza al VGIK di Mosca; quindi firmò tre cortometraggi per gli studi televisivi Sverdlovsk (Nina Menovščikova; Ubit ne na vojne, Ucciso non in guerra; e Delo Kurta Klausevica, Il caso di Kurt Clausewitz). Abbandonata la chimica, nel 1963 partì per Mosca, dove divenne allievo di Julij Ja. Rajzman al corso di regia del VGIK. Il suo primo lungometraggio, V ogne broda net (ispirato a un romanzo di M. Gor′kij), tragica storia di un'infermiera che lavora su un treno-ospedale durante la guerra civile russa, girato per lo più in interni, con camera fissa attenta alle minime emozioni degli attori, rivela già un autore originale e inconfondibile. Oltre al Pardo d'oro, al Festival di Locarno venne assegnato il premio per la migliore interprete all'attrice Inna M. Čurikova, moglie di P. e protagonista dei suoi film. Con Načalo (1970, Il debutto), in cui una giovane operaia chiamata a interpretare il ruolo di Giovanna d'Arco sogna di cambiare la sua vita, e Prošu slova (1976, Chiedo la parola), storia di una donna sindaco lacerata fra la necessità di fronteggiare le responsabilità politiche e di carriera e i dubbi sul regime opprimente e sulla propria vita, costituisce un triplice ritratto di donne al di fuori delle convenzioni del realismo socialista. Tema, girato nel 1979, fu censurato dagli organi di Stato e distribuito solo nel 1986, con l'avvento di M.S. Gorbačëv. È la storia di un commediografo in crisi creativa ed esistenziale, vittima della sua debolezza e di un sistema che annienta la creatività e l'indipendenza a vantaggio della mediocrità e del compromesso. Lucido nell'analisi, nella pacata ma implicita polemica e nella caratterizzazione dei personaggi quanto rigoroso nella forma e nel lento ritmo narrativo, pervaso di una pietas profonda per i suoi personaggi falliti, che non diventa mai indulgenza, ricorda, per i toni autunnali e ironici del racconto, i grandi modelli della letteratura russa, A.P. Čechov e I.A. Gončarov.Esplicito è apparso il ricorso alla letteratura russa nei film successivi, Valentina (1981, da una commedia di A.V. Vampilov), Vassa Železnova (1983, tratto dall'opera Vassa di Gor′kij) e Mat′, nuova versione del romanzo di Gor′kij, già trasposto nel cinema da Vsevolod I. Pudovkin nel 1926 e da Mark S. Donskoj nel 1956. In quest'ultimo P. ha affrontato il tema del risveglio della coscienza politica di una donna e della lotta per l'affermazione della propria libertà contro le istituzioni. Polemiche anche aspre in patria ha suscitato il suo film Romanovy: vencenosnaja sem′ja (2000, I Romanov: una famiglia incoronata), da cui è stata tratta una versione televisiva in cinque episodi. P. vi racconta la storia degli ultimi mesi di vita della famiglia reale russa, uccisa dopo la Rivoluzione dai bolscevichi, con meticoloso realismo e la consueta attenzione alla banalità dell'esistenza, realizzando, malgrado il suo aspetto di affresco storico, un film intimista e offrendo il ritratto di un sorprendente zar Nicola II Romanov, spogliato di ogni aureola sanguinaria ma anche di ogni mito.