Gli ambienti dello sport nella storia
L'antichità è, come tutti sanno, ricchissima di fabbriche dedicate allo sport: ginnasi, palestre, stadi, circhi, anfiteatri, terme, ippodromi sono diffusi in tutto il mondo greco e romano, da Priene a Mileto, da Bisanzio a Roma, spesso raggiungendo straordinaria qualità architettonica. Infinite sono, d'altra parte, le testimonianze d'interesse per lo sport: scene a carattere sportivo sono già presenti in arcaiche figurazioni di area mesopotamica, soprattutto assire. Omero, nel XXIII canto dell'Iliade, descrive le gare disputate in onore di Patroclo. I primi Giochi Olimpici sono tradizionalmente attribuiti al 776 a.C., anno cui viene fatto risalire lo stadio di Olimpia: lungo circa 200 m e largo 30, il celebre impianto era in grado di contenere fino a 40.000 spettatori. Il suo nome, in particolare, derivava dalle gare di corsa che vi si svolgevano su una distanza fissa (lo stádion, appunto, corrispondente a 600 piedi).
Si tratta di una tipologia che presenta sin dalle origini interessanti variazioni: tribune sui due lati lunghi (Olimpia e Mileto), spesso leggermente incurvate per migliorare la visibilità (ancora Olimpia, ma anche Atene e Delfi), poi raccordate in curva nel periodo ellenistico, da una parte o da due (soluzione frequente in Asia Minore, che avvicina lo stadio all'anfiteatro). Le tribune possono sfruttare rialzi naturali da un lato (Delfi) o da due (Atene, Messene) oppure sono appoggiate su strutture a volta, sfruttando i procedimenti costruttivi messi a punto dai romani (Perge, Ezani). A Delfi, nel 4° sec. a.C., viene anche costruita una palestra con annessa una vasca per il nuoto.
In età romana si diffondono strutture molto più grandi e spesso caratterizzate da una tecnica costruttiva mista, in pietra e legno: evoluzione tipologica che ben rispecchia quella che si verifica dal puro ideale agonistico greco, aristocraticamente sacrale, verso una dimensione più propriamente spettacolare. Un esempio emblematico di quest'ultima è costituito dal Circo Massimo che, nel 366 a.C., viene destinato alle corse dei carri e, successivamente, ai combattimenti dei gladiatori e alla caccia agli animali feroci. Più tardi, nel 64 d.C., Nerone ne porterà la capienza fino a 180.000 spettatori. A Olimpia, nella prima parte del 3° sec. a.C., Tolomeo Filadelfo ordina la costruzione di una palestra, fra le più grandi dell'età classica. Nel 221 a.C. il console Caio Flaminio fa costruire a Roma il Circo Flaminio. Nel 100 a.C. viene ricostruito e ampliato l'antico stadio di Olimpia, la cui capienza arriva a 50.000 spettatori. Ancora a Roma si segnala la realizzazione di un ampio anfiteatro ligneo voluto da Caio Curio Scribonio nel 53 a.C. per ricordare, con combattimenti fra gladiatori, la scomparsa del padre. Giulio Cesare, nel 46 a.C., ordina lo scavo di un grande bacino in Campo Marzio dedicato alle naumachie. Nel 69 d.C. l'imperatore Vespasiano inizia la costruzione dell'Anfiteatro Flavio, il Colosseo, il più grande del mondo, capace di 85.000 spettatori. Plinio il Vecchio testimonia inoltre di numerosi sferisteri, locali destinati al gioco della palla, nelle ville romane delle classi agiate. Ad Atene, infine, nell'anno 143, viene costruito un ultimo grande stadio per 50.000 spettatori.
Con il tramonto del mondo classico, tali tipologie, pur così raffinate e consolidate, sembrano attraversare un lunghissimo periodo di oblio. La causa principale è in larga misura collegabile all'avvento del cristianesimo: lo spostamento dell'attenzione dal corpo all'anima mette sostanzialmente in secondo piano l'attività fisica, generando un clima culturale che non invita committenti, architetti e costruttori a produrre fabbriche significative e permanenti di questo tipo. Questo stato delle cose dura per molti secoli, attraversando per intero il periodo romanico e quello gotico, ma proseguendo anche oltre.
In età medievale e poi, soprattutto, rinascimentale, giochi e tornei cavallereschi sono spesso ospitati in strutture provvisorie che ricalcano quelle dell'antichità. Sale da scherma trovano posto all'interno di castelli e fortezze, ma anche di ville e palazzi. Nel 12° secolo viene fondata la Scuola napoletana di equitazione, dando inizio a una lunga serie di impianti, più o meno dedicati, che nei paesi settentrionali sono spesso racchiusi dentro un edificio detto 'cavallerizza'; uno degli esempi più celebri sarà la Spanisches Hofreitschule, realizzata a Vienna presso la reggia di Leopoldo I d'Asburgo nella seconda metà del Seicento.
Nel Rinascimento il pur conclamato interesse per l'architettura classica non investe tuttavia apertamente nessuno dei tipi edilizi stabilmente dedicati all'attività fisica. Sarà necessario attendere il 18° e il 19° secolo, con la diffusione ‒ forse non a caso ‒ del neoclassicismo, per trovare i primi, interessanti progetti dell'età moderna, legati peraltro alla stessa formulazione del moderno concetto di sport: dal circo di Etienne-Louis Boullée (1760 ca.) ai progetti di concorso dei vari Prix de Rome banditi dall'Académie royale d'architecture, dall'anfiteatro di Jean-Jacques Lequeu (1791) a quelli proposti da Jean Nicolas-Louis Durand nel suo Recueil et parallèle des édifices de tous genres (1800). Poche, tuttavia, le realizzazioni di rilievo. Una curiosa eccezione è costituita dallo sferisterio di Macerata, progettato da Ireneo Aleandri (1820-29). Al 1839 risale la piscina di Graz, al 1840 il Diana Bad di Vienna, al 1843 i Paddington Baths di Londra.
Gli edifici per lo sport insomma, pur avendo significativi precedenti classici, le cui rovine peraltro sono spesso presenti all'interno delle maggiori città storiche del Mediterraneo, appartengono a una classe tipologica che si definisce e diffonde sostanzialmente soltanto nel 20° secolo. Ad Atene, in occasione delle prime Olimpiadi moderne del 1896, viene realizzato un grande stadio per l'atletica, il Panathinaikon: con il suo impianto a U, interamente rivestito in marmo, costituisce una ricostruzione pressoché letterale dell'antico stadio romano eretto nel 180 a.C. da Erode Attico, quasi a saldare una cesura durata oltre quindici secoli.
Il 20° secolo si apre con caratteri così sostanzialmente distintivi rispetto a quanto lo precede da far pensare a una vera e propria soluzione di continuità con il passato. Il primo di essi è che le tipologie sportive modernamente intese ‒ stadi, palazzi dello sport, palestre ecc. ‒ nascono proprio nel Novecento. Il secondo è rappresentato dalla straordinaria vastità della produzione architettonica in generale, ma anche nell'ambito specifico della nostra trattazione: senza dubbio nel corso del secolo sono stati costruiti più edifici sportivi che nel resto della storia dell'umanità. Il terzo, che per certi aspetti è collegato al secondo, è di ordine geografico: i paesi che aspirano legittimamente a far parte della storia dell'architettura sportiva diventano a mano a mano più numerosi; il ruolo guida dell'Europa, a ben guardare, è limitato ai primi decenni del secolo, mentre subito dopo si verifica una sorta di 'democratizzazione' della scena, con un sempre maggior numero di attori alla ribalta. Il quarto è di ordine tecnologico e ha origine nella rivoluzione industriale, che solo all'inizio del Novecento comincia a incidere sensibilmente sia in Europa sia negli Stati Uniti: pur senza enfatizzare l'importanza di quelle fabbriche che fanno degli aspetti tecnico-strutturali la loro principale ragione poetica, va riconosciuto che, soprattutto all'interno delle tipologie che riguardano l'argomento qui trattato, una larga parte della produzione è più o meno sostanzialmente innovativa dal punto di vista della tecnologia; la diffusione di quest'ultima, e la conseguente riduzione di tempi e costi di esecuzione, è peraltro una delle principali cause che rendono possibile la suddetta dimensione quantitativa.
Un quinto carattere da mettere in evidenza è di ordine stilistico: tutta l'architettura del 20° secolo sembra percorsa da una costante tensione ‒ forse mai verificatasi così chiaramente in passato ‒ fra l'innovazione da una parte e la tradizione dall'altra. L'anima innovativa è quella che ispira le avanguardie storiche, il Movimento moderno e le neoavanguardie della seconda metà del secolo, in più o meno aperta rottura con tutto quanto li precede. L'anima tradizionale è quella che alla rottura preferisce la continuità, ispirandosi al passato, più o meno accademicamente connotato: è fondata sulla resistenza di valori quali l'ammirazione per la storia, l'attaccamento alla decorazione, i valori simbolici dell'edificare ecc. Non è chi non veda come ciò valga, in buona parte, anche per gli edifici sportivi. La maggioranza delle fabbriche prodotte prima della Seconda guerra mondiale sembra misurarsi agevolmente con la tradizione. Tuttavia la connotazione strutturale e tecnica propria degli edifici sportivi e il fatto stesso che, come si è visto, non siano facilmente riconducibili a tipologie presenti nei secoli precedenti (per es. rinascimentali o barocche) fa sì che essi siano spesso i primi a liberarsi da tali accademici legami, oltre che dalle diverse forme di regionalismi (certamente prima di quanto accade, per es., con le tipologie religiose, amministrative o residenziali). Va anche detto che è simmetricamente difficile trovare edifici per lo sport che siano veramente collegabili alle avanguardie o alle più avanzate forme di sperimentalismo: le dimensioni spesso molto consistenti, l'utilizzo di massa, i valori civici e simbolici, la necessità di conformarsi alle regole dei diversi sport e rispondere alle normative di sicurezza rendono invariabilmente tali tipi immuni da avventurismi stilistici.
Le fabbriche per lo sport sono dunque, a ben guardare, piuttosto caratterizzate da una costante tensione fra il loro carattere propriamente utilitaristico ‒ legato cioè alle regole di questa o quella attività agonistica ‒ e il loro partecipare a valori simbolici alla scala urbana, ma anche a quella nazionale o internazionale, quando si tratti di edifici pensati, per es., in vista di competizioni olimpiche. E, se è vero che non ci sono differenze così sostanziali fra il Colosseo e uno qualsiasi dei giganteschi nuovi stadi del mondo contemporaneo, è tuttavia interessante osservare come gli ultimi anni del 20° secolo abbiano visto l'ulteriore trasformazione di tali tipi edilizi in vere e proprie sedi di eventi mediatici di massa, segnatamente e prima di tutto televisivi.
Va infine segnalato che la necessità pratica di superare ampie luci e reggere carichi consistenti ha spesso trasformato gli edifici in interessanti banchi di prova strutturali e tecnologici. Dal punto di vista del dialogo con il tessuto urbano che li ospita, va detto poi che le notevoli dimensioni associate a tali fabbriche e il grande concorso di pubblico che spesso le caratterizza rendono oggi frequente la loro collocazione al di fuori o ai margini dei centri cittadini, spesso in prossimità di grandi infrastrutture di trasporto (ferroviarie, autostradali ecc.) e di spazi destinati a parcheggi. Frequenti anche i casi in cui tali complessi fanno parte di veri e propri parchi dedicati, oltre che allo sport, al tempo libero in generale, con sempre maggiore attenzione per la sostenibilità ambientale.
I primi decenni. - Negli anni che precedono la Prima guerra mondiale, accanto a non pochi residui di eclettismo storicistico, si verificano e prevalgono in generale realizzazioni notevolmente innovative. Il Novecento si apre in piena belle époque: un periodo di ottimismo, crescita culturale e benessere economico indubbiamente favorevole allo sviluppo delle attrezzature per lo sport. La leadership, già nelle mani dell'Inghilterra vittoriana, sembra poi, per alcuni aspetti, passare alla Germania, dove il contesto politico-industriale finisce con l'avere implicazioni tecniche e culturali di grande interesse: è la stagione del capitalismo come vocazione religiosa, d'impronta protestante, teorizzato da Max Weber e destinato a diventare una sensibile discriminante fra il Nord e il Sud dell'Europa. Con l'inizio della Prima guerra mondiale tale clima di ottimismo viene tuttavia a mancare. La guerra smentisce le speranze dei circoli intellettuali e progressisti, per lo più intrisi di pacifismo. La Germania, in particolare, ne esce sconfitta, mentre il radicalismo 'sovversivo' dell'avanguardia trova nella disfatta, nell'inflazione e nei conflitti di classe una conferma alle proprie tesi.
Molti e molto interessanti i primi esempi. Fra le piste dedicate all'atletica, che seguono in genere il classico schema a U, vi sono quelle realizzate a Parigi (1900), a Saint Louis (1904) e a Stoccolma (1912). Fra le prime opere italiane si ricordano la piscina per gare di nuoto, lunga 100 m, realizzata a Milano ai bagni Diana nel 1900; il campo da golf inaugurato a Roma nel 1903; il trampolino per salti con sci costruito dallo Sci Club Torino a Sauze d'Oulx nel 1905.
Fra i molti, precoci esempi tedeschi, notevole è, in particolare, la struttura metallica dell'ariosa copertura della tribuna dell'ippodromo di Mariendorf a Berlino (1910), opera di August Endell. Significativi sono anche l'Istituto di ginnastica ritmica Jacques-Dalcroze di Heinrich Tessenow a Hellerau, presso Dresda, in un asciutto stile dorico, e la sede dei canottieri Elektra a Berlino di Peter Behrens, entrambi del 1910-12. Interessanti, seppur non strettamente legati a tipologie agonistiche, sono poi lo stabilimento termale di Warnemünde a Rostock di G.W. Berringer (1914-28); la piscina con l'annesso padiglione a Mathildenhöhe (1914), presso Darmstadt, di A. Müller, all'interno della celebre colonia degli artisti progettata da Joseph Maria Olbrich per il granduca d'Assia Ernst Ludwig; lo stabilimento balneare di Martin Wagner e Richard Ermisch sul Wannsee a Berlino (1930). Importanti sono anche gli stadi di Gleisshammer, a Norimberga, di Otto Ernst Schweizer (1926-28) e 'Mommsen', ancora a Berlino, di Fred Forbat (1930).
A St. Moritz, nel 1904, viene inaugurata la prima pista regolare per gare di guidoslitta. A Zurigo, città tradizionalmente influenzata dalla cultura costruttiva tedesca, si segnalano il centro sportivo Sihlholzli, opera di Herman Herter e del celebre strutturista e costruttore di ponti Robert Maillart (1927-32), e lo stabilimento balneare Küsnacht, di Adolf Steger e Karl Egender (1928). Ancora all'interno della stessa area culturale, alla fine degli anni Venti si collocano due importanti opere di Schweizer: le tribune dello stadio di Vienna (1928-31) e quelle per il parco sportivo di Nuremberg (1929). A Budapest, nel 1913, vengono realizzati i celebri bagni Ungaria. Nell'ambito dello stessa tipologia, figlia, come s'è visto, del nascente interesse per la cultura fisica nei paesi dell'Europa centrale, si ricordano i bagni Amalien a Vienna, opera di Otto Nadel e Karl Schmalho (1923-26), e la piscina del moderno quartiere Barrandov a Praga, innovativo impianto realizzato da Vkáclav Kolátor (1929-30). Ancora a Praga si registra uno dei pochi interventi di restauro riferiti a tipologie legate allo sport: il maneggio del castello portato a termine da Pavel Janák (1936). Fra i non molti protagonisti dell'Est europeo si ricorda anche Joze PleŠčnik, fra i principali autori del rinnovamento architettonico della capitale slovena, al quale si deve il progetto per lo stadio 'Aquila' a Lubiana (1923-35). R. Konwiarz costruisce invece lo stadio di Breslavia (1925-36). Ancora in Polonia, viene realizzato l'Istituto di educazione fisica di Bielany, presso Varsavia, opera di E. Norwerth (1928-29).
A Brooklands, in Inghilterra, nel 1907 viene completata la prima pista automobilistica europea, una necessità dopo il divieto di svolgere corse su strada. La patria del football vede poi a Londra, in occasione della World's Fair ‒ la British Empire Exhibition del 1924 ‒ la realizzazione del famoso Wembley Stadium (1922-23), opera di J. Sympson e M. Ayrton, che sarà oggetto di una serie di successive ristrutturazioni fino alla fine degli anni Quaranta, per poi giungere a quella di Foster & Partners/HOK + Lobb (The World Stadium Team), che ne ha portato la capacità a 90.000 spettatori: il completamento dell'ambizioso progetto è previsto per il 2005.
In Francia spicca uno dei primi edifici del 20° secolo dedicati allo sport: l'ippodromo di Parigi, inaugurato nel 1901 e progettato da Camion, Durey & Galeron. Soltanto un anno dopo Tony Garnier disegna il celebre stadio all'interno dell'utopico progetto della Cité Industrielle. Lo stesso Garnier realizza (1913-28) lo stadio 'Gerland' a Lione, parte di un'ampia serie di interventi alla scala urbana; lo storico impianto subirà una radicale ristrutturazione nel 1998, su progetto di Albert Costantin. Significativa, soprattutto dal punto di vista strutturale, è la famosa piscina della 'Butte aux Cailles' a Parigi, un'opera del 1924 firmata da Louis Bonnier e dal celebre strutturista e costruttore di ponti François Hennebique, nella quale a un esterno di gusto Art Nouveau corrispondono interni già esplicitamente moderni.
A Stoccolma, nel 1912, Torben Grut porta a termine i lavori per lo stadio della quinta Olimpiade, il cui classico impianto a U è racchiuso da una coppia di torri laterizie di gusto medievale che contengono gli uffici e le sale stampa, mentre Sigurd Lewerentz realizza il circolo di canottaggio. Le Olimpiadi del 1928 ad Amsterdam portano alla costruzione (1926-28) di un interessante stadio per 34.000 spettatori progettato da Jan Wils, Cor Van Eesteren e G. Jonkheid, racchiuso da una essenziale facciata in laterizio; lo stesso Wils ne progetta l'ampliamento del 1937, raddoppiando quasi il numero dei posti; una ristrutturazione recente (1998-99) è stata infine curata da André van Stigt.
A Milano Giovanni Muzio realizza il Tennis Club (1923-29). Nel 1926 viene costruito lo stadio di San Siro (poi dedicato a Giuseppe Meazza), capace di 35.000 spettatori; un primo rifacimento nel 1954, opera di Armando Ronca e Ferruccio Calzolai, ne porta la capienza fino a 100.000 spettatori, poi ridotti a 83.000 in seguito alla radicale ristrutturazione del 1990. A Roma nel 1927 Marcello Piacentini costruisce l'ippodromo di Villa Glori. In Spagna, nel 1928, Pedro Domènech realizza lo Stadio comunale di Barcellona, decorato in uno stile ancora memore del cosiddetto Modernismo catalano, ben lontano dall'essenziale modernismo di Mies van der Rohe di cui proprio in quell'anno veniva realizzato, nella stessa Barcellona, il celebre padiglione tedesco. Non molti, infine, gli esempi russi: ci limitiamo a ricordare i fratelli Aleksandr e Victor Vesnin, cui si devono le scuderie Montašev a Mosca (1914).
Fuori dall'Europa gli unici esempi interessanti sembrano essere quelli statunitensi. La progressiva spettacolarizzazione degli eventi sportivi conduce alla precoce realizzazione del Madison Square Garden di New York, primo vero palazzo dello sport, la cui sede originaria fu voluta dall'impresario Phineas Taylor Barnum nel 1874; l'edificio fu poi ricostruito su un progetto di Stanford White (assassinato sul posto nel 1906) nel 1889 e quindi ricostruito nel 1925 nel luogo dove sorge ancora oggi. La fabbrica attuale, del 1968, è opera di Charles Luckman. Fra il 1918 e il 1930, su di un progetto dall'incerta attribuzione, viene realizzato a Chicago lo storico Soldiers' Field, gigantesco stadio ancora dal classico impianto a U, coronato da un lunghissimo porticato dorico e in grado di ospitare l'incredibile numero di 150.000 spettatori. Fra il 1921 e il 1923, a Los Angeles, è la volta di uno stadio ‒ poi chiamato Coliseum ‒ a curvatura continua, parzialmente interrato al di sotto di una collinetta perimetrale artificiale che ne rende l'impatto visivo particolarmente delicato; su di uno dei due lati corti una struttura architettonica porticata con una torre centrale ne segna l'ingresso principale; l'impianto ‒ il cui progetto originario è opera di John e Donald B. Parkinson ‒ è stato oggetto di una lunga serie di ristrutturazioni e ampliamenti e ha ospitato due Olimpiadi, nel 1932 e nel 1984. Al 1929 risale l'Indoor Stadium, stadio coperto di Saint Louis. Un ibrido esempio di revival viene infine costruito a Filadelfia intorno al 1930, fondendo la tipologia del teatro classico con quella dello stadio a U.
L'Europa delle dittature. - Mutevole e inquieto è lo scenario politico europeo alla fine degli anni Venti: rivoluzione in Russia, avvento del fascismo in Italia e del nazismo in Germania. Il potere chiede all'architettura, e in particolare a quella dello sport, tre cose: dimostrare la sua gloria, organizzare la spettacolarizzazione della vita pubblica, svolgere un ruolo educativo e propagandistico. Rispetto a questi forti cambiamenti, l'avanguardia fiancheggia in Russia la vicenda sovietica, nell'ingenua credenza di un parallelismo con la sinistra politica, ma, con il consolidarsi dello stalinismo e del 'realismo socialista', viene praticamente soppressa a vantaggio di un'accademica e algida conservazione.
In Germania, questo favorevole approccio iniziale non si verifica: il mondo intellettuale è costretto all'emigrazione. Il nazionalsocialismo considera il modernismo una vera e propria forma di bolscevismo culturale ed è a esso apertamente ostile. Dal 1933, con il conferimento a Hitler di poteri dittatoriali e la chiusura di tutti i partiti, ogni forma di modernismo viene soppressa. Nonostante ciò, straordinaria sarà l'attenzione conferita allo sport e alle sue attrezzature, testimoniata, fra l'altro, dagli ambigui film di Leni Riefenstahl. Berlino nel 1936 ospita i Giochi Olimpici. In quella occasione la città viene dotata di un grande Reichssportfeld, la cui progettazione, affidata a Werner March, era già iniziata nel 1926. L'impianto, comprendente tutta una serie di attrezzature e campi da gioco diversi, appare austeramente memore del tardo classicismo ellenico ma è al tempo stesso praticamente ben collegato al centro urbano da una linea ferroviaria metropolitana; all'interno dell'imponente complesso un ruolo nodale è svolto dall'Olympia-Stadion, opera dello stesso March (1933-36), la cui grande ellisse ospita fino a 76.000 spettatori. L'esperienza berlinese propone il primo vero villaggio olimpico della storia, essendo quello di Los Angeles del 1932 fatto di piccoli edifici provvisori, demoliti subito dopo la fine dei Giochi. Fra le maggiori realizzazioni di Albert Speer, architetto, consigliere e amico personale di Hitler, è lo stadio Zeppelinfeld, nella già citata zona di Gleisshammer presso Norimberga. Più che di un vero e proprio stadio, si tratta piuttosto di un'enorme area attrezzata per i raduni del Reich: gigantesca la sua tribuna, segnata da severo ed essenziale classicismo (1934-45). Di Speer rimane anche un imponente progetto di stadio all'interno del piano urbanistico della stessa Norimberga (1937-42): con l'utopica capienza di 405.000 spettatori, sarebbe stato il più grande della storia.
In Italia la convivenza fra l'architettura innovativa e le direttive di regime si attua fra compromessi ed equivoci. In ogni caso la linea della tradizione, fatta propria dalla cultura ufficiale, non impedisce positive affermazioni dell'architettura più sperimentale. Il fascismo è relativamente a suo agio con il moderno: ampie aree dell'avanguardia infatti sono a esso inizialmente favorevoli. A nessuno sfugge tuttavia il sostanziale provincialismo della vicenda italiana: a riprova della sua subalternità sono la scarsa incidenza sul resto d'Europa e la sua stessa tardiva riscoperta critica. Lo scarto fra la vivacità intellettuale della Repubblica di Weimar o del periodo sovietico prima del 1930 e l'ottuso declino del Terzo Reich o del regime stalinista non hanno d'altra parte riscontro nel nostro paese: per il minor rilievo dei protagonisti ma anche perché, diversamente dalla Germania nazista, dalla Russia stalinista e dalla Spagna di Franco, l'Italia fascista non espelle i suoi talenti creativi né li riduce al silenzio.
Non a caso dunque gli anni Trenta si aprono con alcuni interessanti progetti. Tali sono, per esempio, le 'tribune sportive futuriste' presentate da Virgilio Marchi, architetto e scenografo, all'interno del volume Italia Nuova Architettura Nuova, pubblicato nel 1931. Due anni più tardi Giuseppe de Finetti propone a Milano un accademico stadio da costruire sulla vecchia arena di Luigi Canonica, mentre un Campo polisportivo Mussolini viene delineato da Aldo Andreani a Mantova nel 1933, proprio accanto a Palazzo Te.
Anche i risultati concreti sono spesso eccellenti dal punto di vista architettonico: è il caso, per es., del grande complesso del Foro Mussolini a Roma, progettato da Enrico Del Debbio, con lo scultoreo Stadio dei Marmi (1928-32) e l'Accademia fascista di educazione fisica (1926-32). Non lontano, ai margini meridionali del complesso, sorge la Casa delle Armi di Luigi Moretti (1933-36). Fra gli esempi più significativi dell'architettura italiana fra le due guerre, la fabbrica ha un impianto a L articolato in due parti distinte rese comunicanti da un ponte. La prima ospita una biblioteca a doppia altezza, i cui due livelli sono collegati da una plastica scala circolare; l'angolo verso la collina di Monte Mario è concluso da un corpo ellittico (leggibile dall'esterno) destinato ai ricevimenti. Il fronte verso sud è completamente chiuso, a eccezione di una serie di piccole bucature che danno luce al seminterrato; quello opposto, verso nord, è invece tutto vetrato, permettendo la vista sul Foro. Il lato corto verso il Tevere è bipartito: cieco per metà, è invece segnato da un'astratta griglia finestrata gigante ad andamento orizzontale per l'altra metà. La seconda parte ospita la vera e propria sala della scherma. Si tratta di un grande spazio lungo 45 m e largo 25, su cui si affaccia un dinamico soppalco. Le dimensioni della palestra consentono la presenza simultanea sulle pedane di 160 atleti. L'illuminazione è ottenuta indirettamente attraverso il taglio longitudinale che si determina nello sfalsamento fra i due gusci parabolici in cemento armato della copertura. Grazie a ciò lo spazio interno raggiunge effetti di straordinaria qualità conformativa, mentre, all'esterno, l'audacia del sistema rimane perfettamente dissimulata dal rigoroso involucro parallelepipedo. Alle spalle della sala sono ricavati i servizi, disposti su tre livelli e al piano seminterrato; due scale chiudono simmetricamente gli angoli. Le facciate sono uniformemente rivestite in marmo venato bianco di Carrara. La recente trasformazione dell'edificio in aula giudiziaria ha provocato gravi manomissioni all'interno, mentre le recinzioni che chiudono il lotto ne hanno vieppiù compromesso l'immagine esterna. Nello stesso Foro è anche la celebre palestra Mussolini, progettata ancora da Luigi Moretti (1936-37): bellissimi i pavimenti a mosaico di Gino Severini. Fra gli edifici parzialmente dedicati allo sport di quegli anni è poi anche giusto ricordare la Casa della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) a Trastevere, opera dello stesso Moretti (1933-37).
L'attività edilizia è molto intensa anche fuori da Roma. Fra il 1929 e il 1933 viene costruita a Torino una piscina coperta, forse il pezzo più interessante fra gli impianti sportivi comunali, opera di Contardo Bonicelli: a esterni di gusto curiosamente déco si contrappongono interni già razionalisti, seppur non privi di accenti espressionisti. A Firenze, fra il 1929 e il 1932, Pier Luigi Nervi, promettente strutturista, realizza lo stadio comunale 'G. Berta' (ora 'A. Franchi'), segnato dalle celebri, ardite scale esterne elicoidali in cemento armato e dall'alta torre della Maratona, ma anche da un retorico corpo di fabbrica verso l'ingresso; la fabbrica sarà poi ristrutturata in occasione dei Campionati Mondiali di calcio del 1990 da Italo Gamberini, Loris Macci, Enrico Novelli e Giovanna Slocovich.
Al 1937 risalgono infine due importanti progetti alla scala urbana che, pur non essendo esplicitamente legati al nostro tema, includono al loro interno una serie di interessanti attrezzature sportive: ci riferiamo alla Mostra d'Oltremare a Napoli, un complesso ideato da Marcello Canino, Carlo Cocchia, Luigi Piccinato, Giulio De Luca e Venturino Ventura (1937-40) e, soprattutto, al quartiere E42 a Roma (1937-42), il cui progetto di massima è di Marcello Piacentini, Giuseppe Pagano Pogatschnig, Luigi Piccinato, Ettore Rossi e Luigi Vietti, mentre quello definito è firmato dal solo Piacentini. Non lontano dal nucleo originario degli edifici dell'E42 verrà realizzato, parecchi anni dopo la fine della guerra, fra il 1955 e il 1959, l'elegante Velodromo Olimpico, su progetto di Cesare Ligini, Dagoberto Ortensi e Silvano Ricci.
All'interno del panorama spagnolo, infine, di grande interesse soprattutto dal punto di vista strutturale è l'ippodromo della Zarzuela a Madrid, opera segnata da ardite tribune in cemento armato realizzate fra il 1935 e il 1936 da Eduardo Torroja Miret, il maggiore ingegnere del tempo nella penisola iberica, con Carlos Arniches Moltó e Martín Domínguez Esteban.
Paradossalmente meno viene fatto nell'Europa democratica di quegli stessi anni. Notevoli sono alcune realizzazioni svedesi, quali, per esempio, la Tennis Hall di Ture Wennerholm a Stoccolma, dalla avanzatissima volta in acciaio (1930) e la piscina di Paul Hedqvist a Eskilstuna, un impianto modello dal punto di vista dell'igiene edilizia (1933); o finlandesi, come l'Istituto dello sport di Eric Bryggman a Vierumäki (1933-36) e lo Stadio Olimpico di Yrjö Lindegren e Toivo Jäntti a Helsinki (1933-38, poi integrato e modificato fino al 1952, l'anno in cui si terranno effettivamente i Giochi), all'interno del villaggio progettato da Hilding Ekelund e Martti Välikangas (1939-40). In Olanda interessanti sono la piscina coperta di J.B. Van Loghem in Frederikspark ad Haarlem (1932-35) e lo stadio Feyenoord a Rotterdam di Johannes Andreas Brinkman e Leen Cornelius Van der Vlugt (1934-36). Pregevoli esempi di moderno sono proposti da alcuni architetti inglesi: Joseph Emberton con il Royal Corinthian Yacht Club a Burnham on Crouch (1931-36); Owen Williams con la piscina di Wembley, presso Londra (1933-34); Erich Mendelsohn (appena emigrato dalla Germania) e Serge Čermaev con il padiglione De La Warr a Bexhill-on-Sea, sulla costa del Sussex (1933-35); il gruppo Tecton, con il Finsbury Health Centre a Londra (1938).
Va ancora ricordato l'ampio progetto per un centro sportivo nazionale al Bois de Vincennes, appena fuori Parigi, redatto nel 1936 da Le Corbusier: una vera e propria città dello sport. Lo stadio principale, dalla tribuna ellittica e asimmetrica, presenta una profetica copertura flessibile e trasparente, sostenuta da cavi ancorati a un puntone inclinato. In Svizzera infine si segnalano gli stabilimenti balneari di Frey & Schindler a Olten (1937-39) e di Max Haefeli e Werner Moser a Zurigo-Allenmoos (1938-39); ancora a Zurigo viene realizzato il Palazzo dello Sport di Karl Egender e Robert Naef (1938-39) e la piscina nella Sihlstrasse dei già citati Hermann Herter e Robert Maillart (1939-41). Ma si tratta, per quegli anni, anche all'interno dei pochi paesi neutrali, di rare eccezioni. La realtà è che fra il 1939 e il 1946 l'attività edilizia ‒ soprattutto in un settore non di prima necessità quale quello sportivo ‒ è totalmente ferma in tutta Europa e lo è, parzialmente, in quasi tutto il mondo.
L'America Latina. - Un capitolo a parte ‒ che ci costringe a fare un piccolo passo indietro dal punto di vista cronologico ‒ è costituito dalla vicenda di alcuni paesi sudamericani: qui il calcio si carica di una serie di significati sociali che vanno ben al di là della semplice connotazione sportiva. I successi riportati dalla squadra del Rio de La Plata già negli anni Venti e dalla nazionale dell'Uruguay alle Olimpiadi di Parigi del 1924 e di Amsterdam del 1928 (dove si aggiunse il secondo posto della nazionale argentina), contribuiscono a dare una forte spinta, anche politica, alla realizzazione di alcuni grandi impianti. Si veda, per es., lo Stadio del Centenario in quella che era allora la città-giardino di Montevideo, nell'Uruguay socialdemocratico di Batlle y Ordóñez, costruito in occasione dei primi Campionati Mondiali di calcio del 1930: una struttura moderna e funzionale in cemento armato, esente da ogni preoccupazione di carattere stilistico, posta all'interno di un grande parco urbano, fortemente voluta e ideata da Juan Scasso, director de Paseos Públicos della capitale dal 1929. In quella occasione Scasso, che diede un grande impulso alla realizzazione di impianti sportivi di ogni genere, dovette tuttavia rinunciare a connotare il suo stadio con l'altissima torre portabandiera, di gusto fra il futurista e il neoplastico, presente nel modello.
Ma si pensi anche agli stadi di Buenos Aires: a quello della squadra del River Plate di Aslan ed Ezcurra, il cosiddetto 'Monumental' (1938), nelle allora desolate periferie settentrionali della capitale argentina, dalle forme un po' ingenuamente ispirate al Colosseo, o a quello della squadra del Boca Juniors denominato la 'Bombonera' (1940), nell'affollato quartiere di origine genovese della Boca. In questo caso la mancanza di spazio spinse i progettisti, gli ingegneri Delpini, Sulcic e Bes, a optare per un impianto a ferro di cavallo eccezionalmente compatto e acusticamente molto sonoro, con tre vertiginosi livelli di gradinate, racchiuso, sul lato lungo mancante, da una debole serie di palchetti. Lo stadio del River Plate sarà oggetto di una radicale ristrutturazione in occasione dei Mondiali di calcio del 1978.
Il secondo dopoguerra. - Dal 1946 in poi il panorama architettonico si globalizza e si volgarizza: l'interscambio fra il vecchio continente (almeno per la sua parte occidentale) e gli Stati Uniti diviene elemento imprescindibile della dinamica economica e culturale. Alla divisione del mondo in due blocchi fanno seguito la liquidazione degli imperi coloniali, l'emergere problematico del Terzo Mondo, le crisi energetiche, il formarsi di una nuova coscienza dei limiti dello sviluppo: per l'Europa è il momento dell'abbandono di quel ruolo da protagonista occupato per oltre duemila anni, ma anche della fondazione del Mercato Comune (1958) e dell'inizio del cammino verso l'unione.
Il secondo dopoguerra s'inaugura a Madrid con lo stadio 'Santiago Bernabéu' (1944-47), opera di L. Alemany Soler e M. Muñoz Monasterio: la struttura, ingrandita nel 1954 e nuovamente rinnovata nel 1980, è oggi in grado di ospitare fino a 90.000 spettatori. Ancor più grande è il Camp Nou di Barcellona (115.000 spettatori), stadio realizzato fra il 1954 e il 1957 da Josep Soteras Mauiri, Lorenzo García Barbón e Francesc Mitjans Miró, che ha subito una serie di progressive ristrutturazioni negli anni Ottanta e Novanta. Ancora a Barcellona, gli stessi Soteras Mauiri e García Barbón con Fernández de Henestrosa e F. Folch realizzano infine il Palazzo dello Sport (1953-55).
Un'opera senza precedenti è l'Estadio municipal do Maracaná a Rio de Janeiro (1947-50): il più grande del mondo, in grado di contenere la cifra record di 200.000 spettatori, 170.000 seduti e 30.000 in piedi (poi ridotti a 140.00 per ragioni di sicurezza oltre che per il progressivo degrado dell'edificio). Realizzato nel cuore della città in adiacenza a un Palazzo dello Sport, misura 300 m di diametro massimo e circa 24 m in altezza, ed è caratterizzato da un doppio anello di tribune, ciascuno strutturalmente indipendente dall'altro; il secondo regge una copertura a sbalzo, aggiunta in un secondo momento. Negli stessi anni (1948-50), ancora a Rio, Affonso Eduardo Reidy realizza un piccolo, scultoreo capolavoro memore della lezione di Le Corbusier, sentitissima in Brasile: la palestra scolastica ai piedi dell'onda sinuosa del complesso residenziale Pedregulho, la cui copertura a guscio è ancorata a cinque portali parabolici, l'ultimo dei quali incornicia un fantasioso murale maiolicato astratto.
In Argentina, nel 1947, viene costruito lo stadio di Huracán, più piccolo degli altri della capitale per l'assenza di tribune sovrapposte, ma caratterizzato da una torre di dimensioni eccezionali, che incorpora una cabina per le radiocronache. L'impresa Geope, già responsabile della costruzione della 'Bombonera', progetta e realizza inoltre, nel 1950, lo stadio 'Presidente Perón' del Racing Club ad Avellaneda, adottando una forma cilindrica di 180 m di diametro: per far posto al rettangolo del campo da gioco, le tribune sono così necessariamente, e con disinvoltura, interrotte in corrispondenza dei quattro angoli.
Ancora si segnalano due grandi stadi olimpici realizzati all'interno di città universitarie: ci riferiamo a quello di Città di Messico (1951-52), di Augusto Pérez Palacios con Raúl Salinas Moro e Jorge Bravo Jiménez, caratterizzato da una struttura parzialmente interrata e decorata da motivi precolombiani e grandi dipinti murali di Diego Rivera, e a quello di Caracas, di Carlos Raúl Villanueva, le cui rampe d'accesso e la copertura della tribuna costituiscono un virtuosistico tour de force, a riprova della capacità di controllo delle strutture in cemento armato raggiunta dai progettisti sudamericani.
Nell'Europa dell'Est ricordiamo il Centralny Stadion Lenina a Mosca (1956), progettato da Polikarpov e segnato da severo classicismo nel prospetto anulare esterno. Degno di essere citato è anche lo Stadio del nuoto di Praga, opera di Richard F. Podzemný e Gustav Kuchar (1958-65).
Più dinamico è il panorama offerto, nell'immediato dopoguerra, dai paesi dell'Europa occidentale. In Francia si segnalano le opere di R. Egger e Fernand Pouillon che, ad Aix-en-Provence, realizzano fra il 1947 e il 1952 la Scuola di educazione fisica e lo Stadio Municipale. Poco dopo sarà Le Corbusier a costruire, all'interno del complesso costituito dalla Casa dei giovani e della cultura, lo stadio di Firminy (1956-65).
In Italia la vicenda post-bellica si apre con un poco noto progetto di stadio redatto da Giuseppe Terragni nel 1946. A Luigi Piccinato e Carlo Cestelli Guidi si deve l'ellittico Stadio Adriatico di Pescara, tutto in cemento armato (1951-55), a Romano Boico le tribune dell'ippodromo di Trieste (1956-65).
Fra i rari edifici sportivi che sono stati progettati da maestri del Novecento spicca la palestra olimpica di Otaniemi (1949-54), realizzata da Alvar Aalto all'interno del vasto complesso universitario alla periferia di Helsinki. Al 1958 risale il nuovo stadio di Ullevi nella città svedese di Göteborg opera di Fritz Jaenecke e Sten Samuelsson, le cui tribune sono caratterizzate da uno scultoreo andamento variabile a onda. In Olanda interessante, soprattutto perché progettato da Jacobus Johannes Pieter Oud, uno dei maestri del movimento moderno, è il centro fisioterapico Bio-Herstellingsoord di Arnhem (1952-60).
Ancor più dinamica è la scena statunitense, paese non direttamente toccato dalle distruzioni belliche. Ci limitiamo a ricordare le interessanti strutture realizzate nell'ambito di due campus universitari. Un capolavoro è il David S. Ingalls Hockey Rink di Yale a New Haven (1956-59), stadio del ghiaccio progettato da Eero Saarinen in collaborazione con l'ingegnere norvegese Fred N. Severud: una struttura zoomorfa lunga oltre 100 m, la cui copertura è sostenuta da un arco centrale parabolico in cemento armato alto più di 22 m e sporgente per 12 m alle due estremità. Le mura perimetrali, anch'esse in cemento armato, sono inclinate verso l'esterno, resistendo così alle spinte laterali del tetto; paraboliche in pianta, sono sostenute al centro da tre puntoni e un tirante. Il tetto, in legno, è a sua volta sostenuto da una catenaria in cavi d'acciaio. L'immagine che ne deriva è di forza ed espressionistica plasticità, ma anche di grande leggerezza ed eleganza. La struttura sembra anche, nel suo insieme, invitare dinamicamente all'agonismo: lo stesso Saarinen racconta: "mi è piaciuta la storia di quel ragazzo di Yale che ha dichiarato: ho avuto la sensazione che qualcuno mi incitasse urlando 'vai, vai, vai!'" (Aline B. Saarinen, Eero Saarinen on his work, New Haven 1962, p. 54). Poco dopo (1959-63), viene realizzata la polifunzionale Assembly Hall della University of Illinois a Champaign, opera di Harrison & Abramowitz con Amman & Whitney per le strutture: colossale sala a doppio guscio di 122 m di diametro per un numero di spettatori variabile da 3500 a 15.823, più altri 1400 su sedili di emergenza, la cui metà inferiore è parzialmente interrata per facilitare l'accesso al pubblico.
In Australia, a Melbourne, nel 1956 viene costruita da John e Phyllis Murphy con Borland e McIntyre una grande piscina coperta olimpionica, dall'impianto rettangolare con tribune sui lati lunghi e ampie superfici vetrate su quelli corti, in grado di ospitare 6000 spettatori. L'edificio è stato rimaneggiato negli anni Ottanta.
In vista dei Giochi Olimpici del 1960 Roma si dota di una serie di importanti attrezzature. Fra il 1956 e il 1958 viene realizzato ancora un capolavoro: il Palazzetto dello Sport di Pier Luigi Nervi e Annibale Vitellozzi. L'edificio nasce su un impianto circolare, pensato per ospitare discipline diverse (dal pugilato alla pallacanestro, dalla ginnastica alla pallavolo), con una capienza variabile dai 4000 ai 5000 spettatori. La sala ha un diametro di 50 m ed è coperta da una calotta sferica (alta 21 m sul campo da gioco) calcolata come membrana, realizzata con elementi prefabbricati in cemento armato di forma romboidale e retta da una serie di elementi a Y, fortemente inclinati secondo la tangente alla superficie sferica nel punto d'imposta. I quattro bracci dei cavalletti sono plasticamente rastremati in modo da raggiungere massima sottigliezza alla sommità e massimo spessore nel punto d'incontro mediano. Superiormente ogni cavalletto è collegato alla volta tramite un 'ventaglio strutturale', che assorbe una parte delle spinte. Il tutto poggia su di un anello di fondazione in cemento armato precompresso. L'inclinazione delle gradinate lascia spazio a un anello di servizi su due livelli sovrapposti. La luce entra da una superficie vetrata cilindrica continua oltre che da un lucernario circolare posto in chiave, leggermente rialzato. Lo spazio interno appare straordinariamente unitario, segnato dalla mutevole geometria dell'intradosso che ricorda quella della celebre pavimentazione di piazza del Campidoglio; l'andamento variabile delle gradinate in sezione e in pianta (dove la forma circolare si approssima a quella rettangolare in prossimità del campo da gioco) conferisce alla fabbrica inaspettata dinamicità; l'anello luminoso rende pressoché invisibili gli elementi di sostegno della copertura, accentuandone la smaterializzazione; il ribassamento del campo rispetto al calpestio esterno consente infine un inserimento visivo particolarmente lieve nel contesto urbano.
Allo stesso Nervi con l'anziano Marcello Piacentini si deve inoltre il più grande Palazzo dello Sport all'Eur (1956-60), notevole per le soluzioni strutturali e per il ruolo di scenografico fondale svolto nei confronti dell'asse della via Imperiale, l'attuale Cristoforo Colombo. Ancora a Nervi, in collaborazione con il figlio Antonio, si deve infine lo Stadio Flaminio (1957-60), adiacente al vasto insieme costituito dal villaggio olimpico, innovativo insediamento residenziale pensato per ospitare gli atleti delle diverse nazioni, progettato da Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Luigi Moretti, Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti (1958-60). Il villaggio è fra i primi (dopo quello di 841 casette realizzato a Melbourne nel 1956) a essere esplicitamente pensato in vista di una successiva trasformazione in un normale quartiere cittadino.
Gli anni Sessanta. - In Italia ad Annibale Vitellozzi, forte dell'esperienza svolta con Nervi a Roma, si deve il Palazzo dello Sport di Torino (1960-61). Ancora in Piemonte, fra gli esempi più raffinati è la nuova sede della Società ippica torinese a Nichelino (1959-60), di Roberto Gabetti e Aimaro Isola (le strutture sono di Giuseppe Ranieri), caratterizzata da un ardito tetto a padiglione. Gianni Pirrone progetta la piscina olimpionica al parco della Favorita a Palermo (1963-73).
In Germania, lo studio Günther Behnisch & Partner, da sempre attivo nel settore, realizza i palazzi dello sport di Sindelfingen (1967-77) e della scuola Oskar-von-Miller a Rothenburg (1967-70). Uno dei suoi migliori progetti resta l'Olympia-Stadion di Monaco di Baviera (1965-72), opera disegnata assieme a Frei Otto; 70.000 spettatori trovano ospitalità sotto l'aerea tensostruttura che richiama le altre diffuse all'interno del villaggio olimpico inaugurato in occasione dei Giochi del 1972. Si tratta di ampi padiglioni in lastre di plexiglas trasparente, sostenuti da piloni metallici precompressi. Purtroppo la precarietà dei materiali ha costretto di frequente alla loro sostituzione. Il villaggio, molto esteso, assume le dimensioni di una vera e propria città-parco dedicata allo sport, con residenze, strade e un'alta torre televisiva. Di notevole interesse le sistemazioni paesaggistiche, fra le quali spicca la creazione di un vero e proprio monte artificiale realizzato con i materiali di scavo e di risulta delle demolizioni.
In Francia, a Paul Ducamp e Henri-Pierre Maillard si devono le interessanti piscine di Boulogne-sur-Seine (1960) e di Orsay a Parigi (1968-69); al 1966 risale quella di Roger Taillibert a Deauville; al 1967 quella di Jacques Kalisz e Jean Perrottet a Aubervilliers; al 1969 quella dedicata a Y. Gagarin progettata da Paul Chemetov e J. Deroche a Villejuif, presso Parigi.
In Svizzera, a Losanna, si segnalano il centro ippico 'Le Chalet-à-Gobet' di Frédéric Brugger (1962) e il parco attrezzato 'Vallée des Jeunes' all'Esposizione Internazionale (1964). Interessanti anche i bagni comunali di Bellinzona, realizzati da Aurelio Galfetti, Flora Ruchat e Ivo Trümpy (1967-70).
In ambito nord-europeo si segnala la realizzazione del nuovo complesso urbano di Tapiola, in Finlandia nei pressi di Espoo, in cui Arne Ervi costruisce una grande piscina coperta (1965-68). A Gentofte, in Danimarca, viene invece costruito il complesso sportivo 'Kildeskovhallen' (1966-72), opera di K. e E. Clemmensen con Ch. Ostenfeld e W. Hønsson per le strutture.
Interessante è anche il panorama offerto da alcuni paesi asiatici. I Giochi Olimpici di Tokyo del 1964, per es., contribuiscono notevolmente a dotare la città di una serie di imponenti impianti sportivi. Il Nippon Budôkan (letteralmente "sala giapponese per le arti marziali") è un edificio in cemento armato coperto da un tetto a struttura metallica, in grado di ospitare 15.000 spettatori: dedicato al judo, è utilizzato anche per concerti rock e altri eventi: i Beatles vi suonarono nel 1966. Il linguaggio scelto dall'architetto Mamoru Yamada è relativamente tradizionale, come era esplicitamente richiesto nel bando di concorso, data la relativa vicinanza al palazzo imperiale. Più innovativo e interessante è il complesso progettato da Kenzo Tange con URTEC (1961-64): sapiente l'impianto urbanistico generale, costituito da uno stadio circolare del basket e un grande stadio ellittico del nuoto per 15.000 spettatori all'interno di un parco. Le plastiche strutture in cemento armato, ideate in collaborazione con Yoshikatsu Tsuboi, sono racchiuse da ardite coperture in acciaio a catenaria, sospese alle estremità di colossali travi anulari in cemento armato. Si tratta di una bellissima soluzione, non dissimile da quella proposta da Le Corbusier per il celebre padiglione Philips alla Fiera mondiale di Bruxelles del 1958 e da Saarinen per l'Hockey Rink a Yale: ma qui la scala dell'intervento è molto più ampia e i due edifici principali contribuiscono significativamente a sdoganare la cultura architettonica giapponese, sancendo il momento della sua definitiva fuoriuscita dai vincoli della tradizione.
Fra i molti impianti realizzati in Cina ricordiamo lo Stadio (1959) e il Ginnasio dei lavoratori (1961), quest'ultimo segnato da una copertura radiale in cemento armato di 94 m di diametro impostata su un sordo volume cilindrico, e il Capital Gymnasium (1968), dalla grande copertura in acciaio, tutti a Beijing e tutti progettati dal Beijing Institute of Architectural Design.
Alla fine degli anni Sessanta risalgono anche una serie di imponenti stadi americani coperti, resi possibili da una normativa che accetta il campo da gioco in erba sintetica, fra i quali si ricorda il grande impianto di Dallas, nel Texas. Kevin Roche e John Dinkeloo progettano poi l'interessante Veterans Memorial Coliseum di New Haven (1965-72), che fa ampio e colto uso di acciaio cor-ten.
Gli anni Settanta. - In Italia nei primi anni Settanta (1970-73) si segnala il palazzetto dello sport progettato da Massimiliano Fuksas con Annamaria Sacconi a Sassocorvaro, cui farà seguito (1979-86) quello di Anagni, ancor più trasgressivo e spettacolare. Si tratta delle prime sperimentazioni di un progettista destinato a diventare molto famoso. Nervi disegna invece lo stadio di Novara (1971-74).
Un raffinato complesso sportivo (piscine e diversi campi da gioco) viene realizzato a Sollentuna presso Stoccolma da Rosenberg & Ståhl (1971-72) in un'area di grande pregio paesistico, affacciata sulla baia di Edsviken: nel 1975 l'opera riceverà il Kasper Salin Prize. Notevoli anche gli impianti sportivi disegnati da uno dei protagonisti delle scena architettonica svedese, il britannico Ralph Erskine, per la città universitaria di Frescati, presso Stoccolma (1974-82). Alvar Aalto è l'autore della piscina di Jyväskylä in Finlandia (1973-75). In Inghilterra, nella New Town di Milton Keynes, Faulkner Browns, Hendy e Watkinson realizzano la piscina del centro ricreativo di Bletchley.
Ricca di esempi interessanti è l'attività edilizia in Svizzera. Una notevole sala a pianta ottagonale per 6000 spettatori è la Sporthalle St. Jacob a Basilea (1971-77), progettata da Giovanni Panozzo e da Ernst e Albert Schmidt all'ingresso di un'estesa zona riservata a diverse attrezzature sportive coperte e scoperte. Negli stessi anni vengono realizzati la trasparente palestra vetrata di Max Schlup a Magglingen (1974-76), la piscina coperta di Ernst Gisel a Meilen (1974-78) e il complesso sportivo scolastico dello stesso Schlup a Biel (1978-79). Eccezionale è infine l'esperienza portata a termine da Luigi Snozzi a Monte Carrasso (1979-90), dove l'unitaria ristrutturazione di quasi tutti gli edifici della piccola città include anche la palestra comunale.
Fra le rare realizzazioni greche, può essere ricordato al Pireo lo Stadio e centro sportivo della pace e della fratellanza di Th. Papayannis (1977-85). Poche anche le segnalazione provenienti dall'Est europeo; di un certo interesse è però lo stadio di Poljud a Spalato, opera di B. Magas (1979).
Nel 1972, a Parigi, viene realizzato lo stadio del Parc des Princes alla Porte de Saint-Cloud. La struttura, opera di Roger Taillibert e di P. Richard, è pressoché interamente in cemento armato prefabbricato ed è ben visibile a sbalzo sul boulevard périphérique che gira intorno alla città. Lo stesso Taillibert progetta poi un inconsueto stadio coperto a Montreal, destinato a esser completato soltanto undici anni dopo le Olimpiadi che si tengono nella metropoli canadese nel 1976. L'arena, ellittica, è qui racchiusa da un'ardita copertura, ancorata mediante cavi sospesi a una plastica torre triangolare, e spicca all'interno dell'imponente cittadella sportiva affacciata sul fiume San Lorenzo. Fra le ancora molte realizzazioni francesi, per lo più all'interno degli ambiziosi programmi delle villes nouvelles, si segnala infine la notevole palestra 'Les Régalles' di Savigny-le-Temple a Melun-Sénart (1978-82).
Come si può immaginare dall'anticipazione data per Montreal, il panorama edilizio è molto interessante anche fuori dall'Europa. Negli Stati Uniti, per es., viene realizzato il più grande stadio coperto del mondo: si tratta del Louisiana Superdome di New Orleans, opera dello studio newyorkese Curtis & Davis (1971-75), colossale complesso polifunzionale (eventi sportivi, ma anche concerti rock, spettacoli, fiere e conventions politiche) in acciaio e cemento armato. Hugh Stubbins progetta il Veterans Stadium di Filadelfia del 1971. Lo studio Williams & Tazewell Partnership, con Pier Luigi Nervi per le strutture, realizza la grande Scope Arena and Exhibit Hall di Norfolk, Virginia (1971-72): fabbrica circolare atta a ospitare eventi sportivi diversi, dall'hockey su ghiaccio al pugilato, la cui volta ricorda quanto sperimentato da Nervi a Roma con il Palazzetto dello Sport. Di poco successiva è infine la Kemper Arena, realizzata da C.F. Murphy Associates, uno dei maggiori studi di Chicago del tempo, a Kansas City nel Missouri (1974-75): l'intera fabbrica è rivestita in metallo e letteralmente circondata da grandi travi tubolari reticolari estradossate in acciaio che sostengono la copertura. Anche in questo caso l'utilizzo va dal basket ai rodei, dall'hockey ai concerti rock, con 17.600 posti e la possibilità di far scomparire le file inferiori in modo da accrescere la superficie del calpestio principale.
In Argentina nel 1978, in occasione dei mondiali di calcio, vengono ristrutturati o realizzati ex novo molti stadi: si ricordano quelli di Mar del Plata di Antonini, Schon, Zemborain, segnato da una interessante tribuna coperta; Cordoba di Elias-Peralta Ramos; Mendoza di Solsona-Sánchez, Gómez-Manteola-Santos-Viñoly; Rosario dello stesso Rafael Viñoly. In Australia, a Bruce, si segnala lo Stadio nazionale di atletica realizzato su progetto di Philip Cox and Partners, caratterizzato dalla vistosa copertura strallata della tribuna principale (1974). In Cina sono da menzionare due ginnasi del 1975: il poligonale Wutaishan a Nanjing, opera del Nanjing Institute of Technology e il Wei Dunshan a Shanghai.
A Mosca, infine, le Olimpiadi del 1980 sono state l'occasione per la ristrutturazione e la nuova costruzione di importanti attrezzature. La città, che già conta nel 1975 oltre 5000 complessi sportivi, si arricchisce fra l'altro, di un velodromo lungo la Moscova, segnato da un'audace copertura a paraboloide iperbolico, opera di N. Voronina e A. Ospennikov (1976-79); del centro olimpico di canottaggio, opera di V. Kuz'min, V. Kolesnik, I. Rožin e A. Jastrebov (1973); di tre palazzi dello sport, tutti realizzati tra il 1976 e il 1980; del gigantesco complesso sportivo Olimpijskij (1977-80), il maggiore della città, opera di M. Posochin, B. Tchor, L. Aranauskas, A. Kotova, R. Semerdžiev, L. Pavlov e G. Sirota.
Gli anni Ottanta. - Gli anni Ottanta costituiscono un decennio segnato, in generale, da un'attività edilizia particolarmente intensa. Numerosi sono quindi gli esempi di rilievo anche tra le fabbriche dedicate allo sport, molte delle quali prevedibilmente si pongono all'interno della linea High Tech, tendenza inglese che poi si è diffusa a scala mondiale. Fra le prime attrezzature sportive che esibiscono una tecnologia costruttiva avanzata vi sono due opere di Nicholas Grimshaw & Partners: l'IBM Sports Hall a Hursley Park nello Hampshire, grande sala polisportiva completata nel 1982, e lo stadio del ghiaccio di Oxford (1984-85). Interessante è anche l'Abbey Hill Golf Club a Milton Keynes nel Buckinghamshire, realizzato nel 1982 da Michael Hopkins con Ove Arup Associates. Lo stesso Hopkins ha poi firmato le celebri coperture del 'Mound Stand', la tribuna verso la collina, al Lord's Cricket Ground nel quartiere londinese di St. John's Wood (1988): aeree e bianche tensostrutture dall'aspetto tradizionale, frutto invece di un'avanzata tecnologia che si avvale di colonne d'acciaio e cavi di strallaggio. Dedicati al canottaggio sono infine i contestualisti Regatta Headquarters a Henley di Terry Farrell Partnership (1985).
In Olanda, all'Aia, si segnala il Palazzo dello Sport di J. Brouwer del 1983. A Stoccolma spicca la Globe Arena Anders Berg (1986-88), al cui interno trovano posto 16.000 spettatori: colossale volume sferico bianco che domina visivamente la zona di Johanneshov, non lontano dalla vecchia arena per l'hockey su ghiaccio progettata da Paul Hedqvist (1961-63). Discutibile, ma comunque molto noto, è il Palais Omnisports nel quartiere parigino di Bercy, un'opera di Pierre Parat, Michel Andrault e Aydin Guvan, la cui struttura metallica è calcolata da Jean Prouvé (1980-84): una sala gigantesca (55.000 m2) a geometria variabile dalla mole ben occultata all'esterno, in grado di ospitare da 3500 a 17.000 spettatori per manifestazioni sportive (dalla boxe al ciclismo) o culturali. La tendenza a trasformare i palazzi dello sport in sedi di eventi spettacolari diversi è peraltro una costante dovuta alla necessità di ammortizzare gli alti costi di costruzione e di esercizio. Un singolare intervento, caratterizzato da grande successo di pubblico, è infine l'Aquaboulevard di Parigi (1989): gigantesco impianto commerciale commissionato ad Alexandre Ghiulamila da parte della Societé Nauticlub de Paris, contenente un insieme di piscine oltre a diversi campi da squash e da tennis.
In Germania vengono realizzati il Palazzo del ghiaccio di Monaco, di Kurt I. Ackermann (1983), e la piscina e il centro per il tempo libero di Berlino, di Cristoph Langhof (1984-87). Dello stesso architetto si segnala anche il centro sportivo Horst Korber, ancora a Berlino, non lontano dal vecchio complesso olimpico di Werner March (1987-90).
In Svizzera si ricordano la palestra della Fondazione Soldati di Mario Campi e Franco Pessina a Neggio (1980), le tre grandi e trasparenti palestre sovrapposte su due livelli di Roland Hegnauer ad Aarau (1987-89), la piscina e l'annessa palestra di Jean-Luc Grobéty a Porrentruy (1989-93), il tennis comunale a Bellinzona di Aurelio Galfetti, Walter Buchler e Piero Ceresa (1983-86). In Austria si segnala infine l'ampliamento dei bagni Amalien di E. Millbacher ed E. Schlöss a Vienna.
Molto attiva nel panorama europeo è anche la Spagna: basti pensare a opere quali il velodromo 'Horta' di Vall d'Hebrón a Barcellona (1983-84) o lo stadio per il basket a Badalona (completato nel 1991), entrambi opera di Esteve Bonell Costa e Francesc Rius i Camps; il complesso sportivo a Sabadell di Josep Maria Martorell, Oriol Bohigas e David Mackay (1983); i centri sportivi 'Virrei Amat' di M. Brullet Tenas (1984-87), 'Perill' di Jaume Bach e Gabriel Mora (1987-91) e al parco di Can Dragó di Miquel Espinet Mestre e Antoni Ubach Nuet (1987-90), tutti a Barcellona. In occasione dei Giochi Olimpici della capitale catalana, in particolare, oltre a una serie di progetti redatti da architetti quali Rafael Moneo e Ricardo Bofill, viene realizzato un esteso villaggio dagli stessi Martorell, Bohigas e Mackay con Albert Puigdomènech (1985-92) al cui interno sono il grande Palazzo dello Sport Sant Jordi, opera del giapponese Arata Isozaki (1985-90), mentre lo studio Vittorio Gregotti Associati International, con Carles Buxadé, Federico Correa, Joan Margarit e Alfonso Milà, ristruttura lo stadio di Montjuic (1983-90), non lontano dall'omonima torre eretta da Santiago Calatrava (1989-92). Il Palau Sant Jordi di Isozaki (1983-90) in particolare, frutto di un concorso, è caratterizzato da una imponente copertura che, mediando fra elementi e geometrie diverse utilizzando tecnologie avanzate, giunge a un'immagine abbastanza tradizionale, non esente da equivoci influssi storicisti. Pesantemente storicista è anche il Centro per l'educazione fisica realizzato, nella stessa Barcellona, da Ricardo Bofill (1989-91). Meno ricco di esempi è infine il Portogallo, per il quale ci limitiamo a segnalare il piccolo padiglione polisportivo di João Almeida e Victor Carvalho, dall'impianto sobriamente neorazionalista caratterizzato da un generoso uso del laterizio, all'interno del vasto campus universitario di Aveiro, il cui ridisegno generale, risalente alla fine degli anni Ottanta, è stato portato avanti per parti nel corso degli anni Novanta.
L'impegno organizzativo ed economico profuso in vista dei Campionati Mondiali di calcio di Italia '90 è certamente ammirevole; non altrettanto può dirsi del risultato dal punto di vista architettonico, che, salvo rare eccezioni, rimane modesto. Ciò che è più interessante è il processo di definizione tipologica attraversato dagli stadi che, oltre alla storica suddivisione fra impianti esclusivamente dedicati al calcio, con massimo avvicinamento degli spettatori al campo, e impianti che contemplano le piste per l'atletica, il salto ecc. prevede la tendenza verso la copertura delle tribune e il raggiungimento di un comfort sempre più elevato. La realizzazione più significativa è senza dubbio il nuovo stadio 'San Nicola' a Bari, progettato da Renzo Piano Building Workshop (1987-90). Notevole quanto discussa è invece la radicale ristrutturazione del 'Luigi Ferraris' a Genova (1986-89) dello studio Gregotti Associati (che, negli stessi anni, è anche responsabile del progetto del nuovo stadio di Nîmes). Oltre a questi, sono da segnalare le dubbie ristrutturazioni dello Stadio Olimpico a Roma (seguita da una lunga serie di architetti e ingegneri fra i quali Giorgio Caloisi, Maurizio Clerici, Massimo Majowiecki, Antonio Michetti, Paolo Teresi, Annibale Vitellozzi e lo Studio Zucker) e degli stadi di Napoli ('San Paolo' a Fuorigrotta, realizzato da Carlo Cocchia nel 1959, ristrutturato e coperto dal figlio Fabrizio e da Paolo Teresi); di Milano ('Giuseppe Meazza' a San Siro, ristrutturato da Giancarlo Ragazzi ed Enrico Hoffer, Edilnord Progetti); di Torino ('delle Alpi', ristrutturato da Sergio Hutter, Toni Cordero, Francesco Ossola e Massimo Majowiecki); di Bologna (il vecchio 'Littoriale' di Umberto Costanzini e Giulio Ulisse Arata inaugurato da Mussolini nel 1926, poi chiamato 'Renato Dall'Ara', ristrutturato e parzialmente coperto da Piero Pozzati, Enzo Zacchiroli e Franco Zarri); ma anche di Cagliari, Palermo, Udine, Verona, oltre al già ricordato impianto di Firenze.
Lo stadio di Bari, in particolare, sorge nell'area già indicata nelle tavole del piano regolatore stilato da Ludovico Quaroni negli anni Settanta, totalmente isolato nella campagna sulla statale in direzione di Altamura. Il rapporto con il paesaggio è uno degli aspetti più interessanti del progetto: l'impianto si appoggia con leggerezza al terreno, la discontinuità della linea di gronda generata dalla geometria della struttura (calcolata da Ove Arup & Partners) ne smorza l'effetto monumentale, mentre la copertura in teflon che collega gli spicchi delle gradinate genera un effetto volumetrico a 'conchiglia'. A una scala più ridotta, l'aspetto significativo è costituito dal rapporto tra spazio interno e spazio esterno: la sezione tipo mostra, infatti, come una parte dello stadio sia interrata sotto una collinetta che raccorda la quota zero e il percorso di distribuzione principale a quota 6,50. Questo percorso, da cui si scende alle gradinate inferiori o si sale a quelle superiori, costituisce l'anello fondamentale di collegamento con l'esterno e, generando gli spazi vuoti in corrispondenza degli elementi di risalita, accentua l'effetto di trasparenza e leggerezza della costruzione. La sezione è, tutto sommato, piuttosto convenzionale; la capacità di Piano ‒ e ciò che rende pregevole quest'opera ‒ è aver trasformato con semplicità elementi strutturali in espressivi fatti di architettura.
Ma non tutta la produzione italiana degli ultimi anni Ottanta è monopolizzata dai preparativi per i Mondiali di calcio. Fra i molti altri interessanti esempi ci limitiamo a segnalarne due: la palestra di Gorle, in provincia di Bergamo ‒ di Adolfo e Fabrizio Natalini (1986-90), primo segmento di un esteso complesso sportivo racchiuso da muri in laterizio a vista e coperto da un tetto a falde che quasi ne dissimula la funzione ‒ e il centro sportivo universitario di Chieti di Giuseppe Barbieri, Adalberto del Bo, Carlo Manzo e Raffaele Mennella (1987-89).
Fra le realizzazioni nell'Est europeo, in generale non particolarmente interessanti o innovative dal punto di vista architettonico, ricordiamo la palestra Družba a Mosca di J. Bol'šakov e V. Tarasevič e il centro nautico di Tallinn, in Estonia, di C. Loover, entrambi del 1980. Più significativo è lo stadio del tennis a Praga di J. Káles e J. Novotná (1982-86). Fra i molti impianti dedicati agli sport nautici e, in particolare, alla vela disseminati lungo la costa croata, si segnala infine il porto turistico di Zara, opera di A. Uglesić (1982-85).
Particolarmente interessante è la produzione in Asia. Con largo anticipo rispetto alla data fissata per le Olimpiadi del 1988, Seul si dota, già nel 1984, di un vasto complesso sportivo il cui elemento principale è uno stadio per 100.000 spettatori progettato da SPACE, un gruppo diretto da Swoo Geun Kim, uno dei più noti architetti coreani. Fra le migliori realizzazioni giapponesi degli anni Ottanta si segnalano due opere di Fumihiko Maki: la palestra municipale di Fujisawashi (1984), nella prefettura di Kanagawa, all'interno dell'area metropolitana di Tokyo, dalle complesse e sfuggenti geometrie, e l'ancor più sorprendente Palazzo dello Sport di Shibuya, ancora a Tokyo (1988-90), compreso in un ampio complesso con piscine, palestre, campi da tennis ecc. L'aspetto più rilevante e originale è qui, senza dubbio, l'argentea e ardita copertura sostenuta da una coppia di arconi metallici ancorati all'interno di prolungamenti in cemento armato. Sempre a Tokyo, all'interno di un celebre parco del periodo Edo, Nikken Sekkei ‒ oggi lo studio di progettazione più grande del mondo ‒ con la Takenaka Corporation realizza il Tokyo Dome, uno stadio per il baseball coperto da una membrana ad aria rivestita in fiberglass, la cui pressione è tenuta costantemente sotto controllo (1988). Al 1989 risale infine il Tokyo Budôkan, un esteso complesso per le arti marziali, discutibile opera di Kijo Rokkaku con Hanawa Structural Engineers. Ancora a un architetto giapponese, Kisho Kurokawa, si deve lo Sporting Club presso l'Illinois Center di Chicago (1987-90).
A Shanghai, in Cina, si ricorda la grande piscina di Wei Dunshan (1983). Un ultimo significativo esempio asiatico ci viene dalla Malesia, con l'ardita tribuna a sbalzo che proietta la sua ombra sulle vetrate del completamente climatizzato Selangor Turf Club a Sungei Besi di T.R. Hamzah & Yeang (1989-92).
In Australia si segnala l'importante complesso sportivo realizzato da Daryl Jackson (1982), il cui pezzo più interessante è forse l'impianto dedicato al nuoto, e l'Indoor Sports Centre (1981) del già citato Philip Cox, entrambi parte del National Sports Centre di Bruce. Allo stesso Cox, principale progettista del gruppo Philip Cox Richardson & Taylor, si deve inoltre il grande stadio per il football di Sydney realizzato al Moore Park nel 1985, caratterizzato da una lunga copertura continua a sella.
A Toronto viene infine eretto il colossale Skydome (1989), ormai entrato stabilmente a far parte dello skyline della metropoli canadese: caratterizzato da un grande tetto retrattile formato da diverse sezioni scorrevoli e ruotanti, è opera dello studio RAN International Architects and Engineers, formato dell'architetto Rod Robbie e dell'ingegnere Michael Allen.
Gli anni Novanta. - In Norvegia si segnalano due progetti di Niels Torp del 1992: ad Hamar la Olympic Hall, uno stadio del ghiaccio la cui grande copertura a carena rovesciata in legno riprende lo schema costruttivo delle antiche imbarcazioni norvegesi del 10°-11° secolo; a Lillehammer la palestra olimpionica. In Finlandia si ricorda il complesso di piscine, palestre e bagni pubblici di Itäkeskus, opera di Eero Hyvämäki, Jukka Karhunen e Risto Parkkinen (1993): una struttura completamente sotterranea realizzata alla periferia di Helsinki con l'obiettivo ‒ in anni in cui la disgregazione politica sovietica era fonte di grande preoccupazione per i finlandesi ‒ di funzionare anche come rifugio antiatomico, rendendone così economicamente possibile la fattibilità. In Danimarca infine un intervento significativo è costituito dal complesso di piscine di Nøhr & Sigsgaard con N. Sigsgaard a Kolding (1994-98).
In Spagna, dove prosegue l'intensa attività costruttiva rilevata nel decennio precedente, gran parte delle opere eseguite rientrano nel programma dei Giochi Olimpici di Barcellona del 1992. Iñaki Abalos e Juan Herreros realizzano la bella palestra municipale a Simancas (1990-91), Sol Madridejos e Juan Carlos Sancho Osinaga il centro polisportivo Valvanera a San Sebastián de los Reyes presso Madrid (1991-96), segnato da essenziali superfici in cemento a vista, mentre Eric Miralles è l'autore del Centro nazionale di ginnastica ritmica ad Alicante (1991). Lo stesso Miralles, assieme a Carme Pinós, progetta gli impianti olimpici per il tiro con l'arco a Barcellona, nella Vall d'Hebrón ai piedi del Collserola, chiaramente suddivisi in due aree, una dedicata agli allenamenti e l'altra alle competizioni: il complesso ha l'aspetto di una faglia, quasi 'sismicamente' decostruita. Ancora Miralles, con l'italiana Benedetta Tagliabue, progetta poi il Palazzo dello Sport di Huesca (1992-94) che, non diversamente dall'edificio di Alicante ma forse con maggiore maturità dal punta di vista compositivo, presenta una struttura in cemento armato e una sovrastruttura metallica con alcune parti vetrate: l'immagine complessiva che ne deriva è segnata da volumi e superfici fortemente conflittuali, di gusto decostruzionista. Del 1994 è lo spettacolare Stadio de Atletismo di Antonio Cruz e Antonio Ortiz con Jesús Ulargui a Madrid, caratterizzato da un anello inferiore seminterrato e da una straordinaria tribuna ad ala in cemento armato: una vera e propria scultura alla scala gigante nell'arido altipiano che circonda la capitale spagnola. Fra i più noti golf club è quello a Zuastri di Francisco Mandano Beloqui (1993-95). Un notevole impianto per il nuoto è infine la grande piscina municipale realizzata a San Fernando de Henares, presso Madrid (1997-98) da Emilio Tuñón e Luis Moreno Mansilla, uniformemente racchiusa ‒ con l'eccezione di una testata vetrata ‒ da elementi prefabbricati in cemento armato attraverso i quali filtra piacevolmentela luce.
A Parigi le opere più importanti e ambiziose sono quelle completate in vista dei Mondiali di calcio del 1998. Fra queste spiccano lo stadio Sébastien-Charléty (1988-94) di Henri e Bruno Gaudin, non lontano dalla Cité universitaire, e lo Stade de France (1995-97) a St. Denis di Michel Macary, Aymeric Zubléna, Michel Regembal e Claude Costantini: entrambi alle porte della capitale, sono caratterizzati da un esteso uso di tecnologie avanzate e da tribune interamente coperte. Lo Stade de France, in particolare, è pensato in vista di molte possibili configurazioni, ciascuna con capienze diverse: ciò lo rende adatto a ospitare competizioni di rugby, football e atletica, ma anche spettacoli teatrali e musicali. 35.000 m2 al coperto sono riscaldati; l'anello di copertura, in buona parte vetrato, raggiunge la superficie di 6 ettari. Interessante è il complesso sportivo e polifunzionale realizzato da Massimiliano Fuksas in rue Candie (1992-93), caratterizzato da un'ondulata, espressionistica copertura. Notevole anche l'Institut national du judo, realizzato dal gruppo Architecture Studio (1997-2001): si tratta di un esteso complesso da 2500 posti (che include anche un albergo, un parcheggio e ampi spazi commerciali), coperto da una calotta sferica ribassata e sezionata nei punti in cui la fabbrica quasi sembra toccare il boulevard périphérique. Fuori Parigi, fra gli interventi più innovativi si colloca lo 'Stadium' di Vitrolles, opera di Rudy Ricciotti (1995): concepito in realtà più pensando ai concerti rock che agli eventi sportivi, l'edificio si presenta come un grande monolite a pianta pressoché quadrata, ermeticamente chiuso verso l'esterno, con una sola tribuna su uno dei lati. Segnato da coperture trasparenti è lo Stade de la Licorne ad Amiens, di Philippe Chaix e Jean-Paul Morel (1999). Al confine fra Francia e Svizzera, fra le città di St. Louis e Basilea (l'edificio sorge su suolo francese ma l'unico accesso al pubblico è dal lato svizzero) è il centro sportivo Pfaffenholz, opera degli architetti Jacques Herzog e Pierre de Meuron (1989-93), un capolavoro di rigore ed essenzialità caratterizzato da minimaliste volumetrie racchiuse da raffinate pareti in vetro serigrafato. Altrettanto minimalista nell'organizzazione degli spazi e nei trattamenti materici è infine il celebrato complesso termale di Vals, realizzato in Svizzera da Peter Zumthor (1991-96).
Frutto di un concorso internazionale è il progetto di Dominique Perrault per la piscina e il velodromo olimpico di Berlino (1992-98). I due spazi, collegati da corpi interrati di servizio, sono a loro volta in buona parte interrati e racchiusi da bassi ed essenziali volumi, a pianta rettangolare il primo, circolare il secondo. Le coperture in acciaio, dall'interno, sembrano librarsi su lunghe finestrature perimetrali pressoché continue. Nel 1999, ancora in Germania, spiccano due tecnologiche e innovative realizzazioni dello studio Behnisch & Partner: la ristrutturazione e le nuove colorate addizioni al complesso termale di Bad Elster, uno dei più noti della Sassonia, il cui nucleo originale risale al 1850, e il complesso di piscine a Lipsia.
Molte le realizzazioni nel Regno Unito. Fra le opere di Hodder Associates si segnalano la piscina di Colve (1990) e il centro sportivo di Clissold a Londra, fra quelle dello studio Faulkner Browns il centro ciclistico di Manchester (1994). Ancora a Londra, per il Marylebone Cricket Club, lo studio Nicholas Grimshaw & Partners realizza la Lord's Grand Stand, nuova tribuna del 1995-98. Sperimentale per le ardite contrapposizioni strutturali e per le conflittualità volumetriche è il McAlpine Stadium ad Huddersfield nello Yorkshire dello studio Lobb Partnership (1993-95). Al gruppo Building Design Partnership si deve la Number One Court, all'interno dell'All England Lawn Tennis Club a Wimbledon (1992-97). Ad Arup Associates, studio più volte incontrato che unisce alcuni fra i più celebri strutturisti del mondo, si devono gli innovativi progetti per gli stadi di Manchester (1993-98) e di Johannesburg (1993-95), le cui tribune sono, integralmente in Inghilterra, solo parzialmente in Sudafrica, coperte da grandi superfici strallate. Ancora in Sudafrica, a Città del Capo, lo stadio di hockey di Hartleyvale è chiaramente ispirato alle vistose e solo apparentemente tradizionali coperture a tenda proposte da Hopkins negli anni Ottanta, opera di GAPP Architects & Urban Designers con ACG Architects (1994-96): interessante è soprattutto il rapporto che si stabilisce con l'intenso paesaggio naturale.
In Italia, negli anni Novanta, dopo i forti investimenti stanziati per i Mondiali di calcio, si assiste a una relativa stasi edilizia: si ricordano tuttavia il piccolo circolo di canottaggio a Baschi, in Umbria, raffinata opera di Francesco Cellini (1993-95) e l'ambizioso Palazzo dello Sport di Manfredi Nicoletti a Palermo, interamente rivestito in alluminio a eccezione dei terminali vetrati e caratterizzato da un'ardita configurazione geometrica ottenuta con un insieme variabile di tubi di acciaio inossidabile satinato (1995-98).
Nel panorama sudamericano, economicamente depresso soprattutto in Argentina, spicca il nuovo stadio finanziato in comune da due squadre rivali ‒ l'Estudiantes e il Gimnasia y Esgrima ‒ a La Plata (1997-2001), opera di Roberto Ferreira (architetto, figlio di uno dei calciatori protagonisti dei Mondiali del 1930 in Uruguay, poi esiliato politico durante quelli del 1978 in Argentina). L'impianto a 8, derivato cioè dalla sovrapposizione di due cerchi, quasi un'allusione al carattere duplice della struttura, è visivamente alleggerito dall'interramento delle tribune sotto le suggestive ondulazioni di una collinetta artificiale perimetrale.
Fra i non molti esempi legati al golf, dall'Irlanda del Nord si segnala il Blackwood Golf Center di O'Donnell & Tuomey, nei pressi di Bangor (1992-94): un complesso di piccoli edifici i cui decostruiti volumi, rivestiti in legno naturale o intonacati in rosso, spiccano sul verde dei prati e dei boschi vicini. Elegante e minimalista è il Tobu Golf Club di Masayuki Kurokawa a Yubari-gun, in Giappone (1993), abilmente mimetizzato nell'ambiente naturale e segnato da un grande specchio d'acqua che ne occupa per intero il cortile, inondando di luce riflessa gli spazi circostanti. Di grande sapienza compositiva è poi il campo disegnato per il Fuji Chuo Golf Club, alle falde del vulcano Fuji, da Desmond Muirhead (1995): il meraviglioso paesaggio artificiale che ne deriva è direttamente ispirato, per ciascuna delle diciotto buche, da altrettante antiche xilografie di Hokusai. Interessante è anche la sede del Fujinomiya Golf Club a Shizuoka, un'opera di Kisho Kurokawa segnata da sinuose forme in cemento armato che sembrano fare eco al paesaggio naturale, racchiudendo ampi cristalli montati senza infissi (1994-97).
Ancora in Giappone, paese in quegli anni al culmine del suo comunque straordinario potere economico, una grossa curiosità è costituita dallo Ski Dome di Kajima Design a Funabashi-Shi, lungo il percorso costiero che collega Tokyo all'aeroporto di Narita: un'altissima struttura antisismica in acciaio sostiene una lastra inclinata di calcestruzzo che ospita una pista da sci della lunghezza di circa mezzo chilometro, regolarmente servita da una seggiovia, con pendenze variabili comprese fra il 7 e il 20%. Annesse alla pista sono una piscina, una sauna, ristoranti e spazi commerciali diversi. La temperatura interna è tenuta fra i 2 e i 6 °C. Altra eccezionale struttura dedicata agli sport invernali è la Olympic Memorial Arena di Nagano (1998), anch'essa opera di Kajima Design con Kume Sekkei e HOK. Spettacolare è infine la cosiddetta O-Shaped Dome, un impianto coperto per il baseball, a struttura lignea, costruito da Toyo Ito, fra i migliori progettisti nipponici, con Takenaka Corporation e Hirohito Hangai a Odate (1997).
In Malesia spicca la realizzazione del circuito automobilistico di Sepang, a circa 60 km dalla capitale Kuala Lumpur (1998). L'impianto, specificamente pensato per la Formula 1, è stato progettato dallo studio tedesco di Herman Tilke ‒ Tilke Engineering ‒ con particolare attenzione all'impatto ambientale (basti per es. ricordare che sono state piantate oltre 9000 palme).
In Australia si segnala la radicale ristrutturazione dello stadio di cricket a Melbourne, progettato da Tompkins, Shaw & Evans con Daryl, Jackson Pty Ltd (1992). Ma le opere più interessanti sono quelle realizzate a Sydney in vista delle Olimpiadi dell'anno 2000. Il luogo prescelto è la Homebush Bay, a circa 12 km dal centro cittadino. Nel 1992 viene indetto un concorso per la progettazione del villaggio olimpico: particolare importanza è data al tema della sostenibilità. Fra i molti complessi sportivi realizzati si ricorda: il Sydney Aquatic Center (1994), del già citato Philip Cox, destinato a ospitare i principali sport acquatici e racchiuso da una copertura segnata da un grande arco estradossato, ben visibile nonostante la precisa volontà di minimizzarne l'impatto ambientale interrando parzialmente la struttura; l'International Athletic Centre di Philip Cox, Richardson, Taylor, Peddle, Thorp (1993-2000); lo stadio 'Australia', progettato da HOK con lo studio anglo-australiano Bligh Lobb Sports (1996-99); il Superdome, ancora di Cox Richardson. Molto sperimentale, soprattutto dal punto di vista tecnologico, è infine il Cook and Phillip Park Aquatic Centre dello studio Bligh Voller Nield. L''Australia', in particolare, è lo stadio più grande della storia dei Giochi: i suoi 110.00 posti, poi ridotti a 80.000 alla fine delle Olimpiadi, sono accessibili attraverso un efficiente sistema di rampe a spirale, scale mobili e ascensori; i percorsi riservati agli atleti, al personale di servizio e al pubblico sono rigorosamente separati; la copertura, un gigantesco paraboloide iperbolico sostenuto da due travi lunghe 295 m, consente il recupero dell'acqua piovana; una griglia metallica regge poi una superficie in policarbonato translucido che evita la diffusione delle ombre in campo e migliora la luminosità delle riprese televisive.
Il gruppo HOK + Lobb è lo studio specializzato in edifici per lo sport più grande del mondo. La società è nata nel 1999 negli USA dalla fusione fra HOK, Hellmuth Obata Kassabaum e Lobb, e ha sedi a Brisbane, Kansas City e Londra: in pochissimi anni ha realizzato oltre 300 impianti, fra i quali, come s'è visto, quelli per i giochi olimpici di Sidney del 2000, ma anche il grande stadio di Hong Kong (1991-95) e il Millennium Stadium di Cardiff. Quest'ultimo, in particolare, è stato completato nel 1999 in collaborazione con lo studio WS Atkins in occasione dei Campionati Mondiali di rugby: si tratta di uno stadio polifunzionale per 75.000 posti, dal tetto sospeso retrattile in soli 9 minuti, dotato di avanzati sistemi di sicurezza, impianti audiovisivi a fibre ottiche e ausili diversi per i disabili, accuratamente inserito nel paesaggio lungo il fiume Taff. Ma moltissime erano già le realizzazioni portate a termine da HOK negli anni Ottanta: si pensi, per citarne una soltanto, al Joe Robbie Stadium a Miami (1985-87).
Numerose anche le realizzazioni firmate da un altro grosso studio americano, Ellerbe Becket, la cui sede principale è a Kansas City, in Missouri. Nato nel 1988 dalla fusione fra lo studio fondato da Franklin Ellerbe nel 1909 a St. Paul, in Minnesota, e lo studio Becket, fondato nel 1933 a Los Angeles, il gruppo è oggi uno dei più noti e specializzati per le grandi arene sportive. Fra le maggiori è il Washington State Football/Soccer Stadium a Seattle (2002). Altri loro stadi portano il nome della società che ne ha sponsorizzato la costruzione: è il caso del National Car Rental Center a Fort Lauderdale, in Florida (1998) e del Bank One Ballpark a Phoenix, in Arizona. Parte di un unico grande complesso, il 'Cleveland Gateway' (1990-94), sono poi lo stadio da baseball, progettato da HOK, e quello coperto da football di Ellerbe Becket a Cleveland, in Ohio.
Un esempio interessante, seppur di dimensioni relativamente modeste, è il nuovo Palmer Stadium per la Princeton University nel New Jersey (1997-98): Rafael Viñoly, architetto di origine argentina operante negli Stati Uniti e già incontrato a proposito di alcuni stadi sudamericani, è stato qui incaricato di sostituire alla vecchia struttura ‒ risalente agli inizi del secolo, pensata per 45.000 spettatori e arricchita da una pista per l'atletica che allontanava le tribune dal campo di gioco ‒ una nuova più piccola, senza che ciò implicasse la perdita dei significati simbolici e storici preesistenti. Di qui la scelta di realizzare due strutture adiacenti: uno stadio per il football da 28.000 posti, parzialmente interrato in modo da facilitarne l'accesso e contenere l'altezza complessiva, e una pista d'atletica con 2500 posti. Lo stadio è stato circondato da un muro porticato in cemento color mattone, che ne racchiude le tribune precariamente coperte da teloni su supporti metallici: il tutto, pur rigoroso ed essenziale, è sobriamente integrato all'immagine tradizionale del campus.
In Europa il nuovo secolo si apre con alcune piccole, raffinate fabbriche: si pensi, per es., alla palestra della scuola St. Margarethen a Wolfsberg, in Austria, realizzata a seguito di un concorso da Peter Leeb e Dieter Grundmann nel 2001. Si tratta di una semplice struttura in acciaio, ancorata a nervature in cemento armato, d'impianto rettangolare, la cui copertura, in acciaio e legno, subisce una lieve rotazione, disponendosi obliquamente rispetto al volume principale. Fra le realizzazioni più interessanti e recenti è il trampolino per il salto con gli sci progettato da Zaha Hadid a Innsbruck (1999-2002) a seguito di un concorso nel quadro della risistemazione delle attrezzature olimpiche preesistenti. Un pilone in cemento armato alto 50 m, ancorato alle pendici del monte Bergisel, contiene scale e ascensori. Alla sommità è collocata un'aerodinamica struttura vertiginosamente affacciata sulle Alpi, avvolgente, sottilmente rastremata e interamente rivestita in vetro e metallo, che ospita un caffè-belvedere e i servizi per l'assistenza agli atleti: il tutto si conclude, senza soluzioni di continuità, con la vera e propria pista per il salto.
Di notevole qualità sono infine le professionali realizzazioni di Norman Foster & Partners, il maggiore studio inglese: oltre alla già citata ambiziosa ristrutturazione dello stadio di Wembley, si ricordano le tribune degli ippodromi di Newbury (1999-2000) e di Barkingside, a Londra (2000-04).
Ma non è tanto l'Europa a offrire il panorama più interessante quanto piuttosto l'America, l'Australia e, soprattutto, l'Asia. Negli Stati Uniti meritano di essere ricordati alcuni sperimentali progetti di Peter Eisenman, architetto fra i più creativi e influenti. Già nel 1998-99 Eisenman aveva progettato un grande stadio da 80.000 posti per gli Arizona Cardinals, una delle più famose squadre di football americano, a Rio Salado Crossing di Mesa, in Arizona, utilizzando una duplice struttura asimmetrica retrattile. Pressoché coevo è il progetto per lo stadio di Tempe, ancora in Arizona (1998-2004), redatto per gli stessi Cardinals in collaborazione con HOK Sports. Si tratta di una struttura coperta da una sottile membrana reticolare mobile conclusa da un anello ribassato di irrigidimento (in grado di ospitare fino a 73.000 spettatori oltre ad altri 6800 in suite speciali) completamente rivestita, all'esterno, da un involucro colorato, dalla geometria mutevole a seconda del variare dei punti di vista. Il prato, nei momenti in cui non sono previsti eventi sportivi, può scivolare all'esterno lasciando il campo libero per gli usi più diversi.
Interessanti anche alcune realizzazioni canadesi: si pensi, per es. al John Labatt Centre, stadio coperto per hockey, sede della squadra dei London Knights a London, in Ontario, ultimato nel 2002 dallo studio Brisbin Brook Beynon. La struttura, utilizzabile anche per produzioni teatrali e concerti, è dotata di sofisticati sistemi audiovisivi e di ausili per i non udenti.
In Australia vanno ricordati invece i lavori di ulteriore ristrutturazione del già citato MCG, il Melbourne Cricket Ground: luogo storico in cui si sono disputate gare di cricket sin dal 1854; l'impianto, in vista dei giochi del Commonwealth del 2006, è stato affidato a un consorzio di progettisti che si è denominato MCG5: ne fanno parte Daryl Jackson and Associates, Cox Sandersen Ness, Tompkins Shaw and Evans e HOK Sport/ Hessell.
Il Giappone continua infine a imporsi sulla scena internazionale con progetti molto sperimentali e innovativi, sia dal punto di vista tipologico sia tecnologico. Ci riferiamo alla nuova generazione di stadi inaugurati nel 2001 in vista dei Campionati Mondiali di calcio del 2002, gestiti in collaborazione con la Corea del Sud: in totale le gare sono state ospitate in 20 impianti diversi nei due paesi. A Hiroshi Hara (Atelier Phi Architectural Research Office e Atelier Bnk Co., Ltd.) si deve lo straordinario stadio di Sapporo: la doppia arena, una coperta e una scoperta, è dotata di un meccanismo che consente il rapido scorrimento del campo dall'interno all'esterno e viceversa, e la rapida trasformazione dell'assetto da calcio a baseball. La copertura, da cui il nome di Sapporo Dome, è la più grande mai realizzata in Giappone. A Kisho Kurokawa si devono, invece, lo stadio di Oita, detto 'Big Eye' dalla forma a occhio della copertura retrattile in teflon parzialmente trasparente, progettato in collaborazione con Takenaka Corporation, e quello di Toyota City. Lo stadio di Oita, dove peraltro è stato sperimentato per la prima volta un impianto di riprese televisive scorrevole su una delle travi di sostegno della copertura, è destinato a diventare uno dei più estesi complessi sportivi del mondo, con una serie di campi dedicati alle diverse discipline sportive dislocati in un'area di 255 ettari. Nikken Sekkei ha progettato lo stadio di Kashima (la cui struttura è del 1993, ma è stata rinnovata nel 2002) e quello di Niigata, detto 'Big Swan'. Notevoli sono anche gli stadi di Kobe, il cosiddetto 'Wing', climatizzato e dal tetto apribile, opera di Obayashi Corporation e Shinko JV; di Shizuoka, detto 'Ecopa' (da ecology e park), caratterizzato da tribune scorrevoli che consentono di coprire le piste di atletica e avvicinare gli spettatori al campo in occasione delle gare di calcio, opera di Axa Satow Inc. e Masao Saito Architects; di Saitama, da 63.700 posti, opera di Azusa Sekkei Co., Ltd.; e infine di Yokohama, il maggiore con i suoi 72.370 posti, opera di Matsuda-Hirata e Tohata JV, del 1998 poi rinnovato nel 2001.
Di grande impatto sono pure alcuni esempi coreani, anch'essi tutti inaugurati nel 2001: a Daejeon, seconda città del paese, si ricorda il grande stadio caratterizzato da una copertura parzialmente retrattile che nelle intenzioni dei progettisti, lo studio HB Choi/Ubo Engineering Co., dovrebbe ricordare i tradizionali tetti delle case. Ciò che è più interessante è che uno strato interno di tale copertura garantisce una buona qualità acustica e che il complesso, distribuito su sei livelli, include, fra l'altro, campi da squash, palestre, piscine, un campo da golf al coperto, un centro commerciale e un ostello della gioventù. Al già incontrato studio britannico WS Atkins si deve poi lo stadio di Daegu, parzialmente coperto.
Per concludere, ricordiamo un recente e innovativo impianto automobilistico: il Sakhir Motor Racing Circuit in Bahrein. Il circuito si avvale dell'ampia esperienza del citato studio Tilke di Aachen in Germania: un favoloso complesso completato nel 2003 e destinato a ospitare il primo Gran Premio di Formula 1 in area medio-orientale, programmato per il 2004.
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