Gli armamenti marittimi
Nel 1291 la notizia della caduta di San Giovanni d'Acri, ultima piazzaforte tenuta dai crociati in quelli che erano stati i principati latini del Levante, giunge in Occidente. All'incredulità succede uno stupore che ferisce la coscienza delle genti cristiane, in lotta da due secoli per la salvaguardia dei Luoghi Santi. Ma segna anche, questa data, l'alba di un nuovo mondo: che cosa riserva il futuro alle Repubbliche marinare che avevano costruito le loro fortune sugli scambi tra le due sponde del Mediterraneo? E riuscirà Venezia, una delle più potenti, a superare un tale rimescolamento di carte?
La disfatta militare in Siria contro i Mamelucchi non provoca tuttavia la ritirata totale e definitiva dei Latini verso Ponente. La base scelta per il ripiegamento, l'isola di Cipro, assicura infatti una presenza a ridosso del litorale vicino-orientale e consente ai cristiani di mantenere rapporti economici intensi e fruttuosi con il sultanato; inoltre le forze navali veneziane continuano a intrattenere stretti contatti con il Regno di Armenia (Cilicia) attraverso il porto di Lajazzo (Yumurtalik) donde ripartono per Costantinopoli, tornata a essere la capitale dell'Impero bizantino dopo la restaurazione del 1261, potendo contare sui possedimenti coloniali acquisiti nel mare Egeo durante il secolo precedente. Venezia ha risorse navali sufficienti a sostenere questo ridispiegamento conquistatore, e anzi il ruolo degli affari marittimi resta affatto considerevole all'inizio del Trecento: la società veneziana seguita a guardare all'espansione sui mari nel solco di una tradizione che aveva permesso ai prestigiosi lignaggi del patriziato mercantile di dilatare i limiti del mondo sulle tracce dei fratelli Polo. Prefigurata appena l'avventura della conquista della terraferma, l'interesse si appunta sul dominio dei mari e sulla penetrazione di nuovi mercati: la guerra veneto-genovese degli anni 1294-1299 non è forse la più realistica illustrazione dell'ostilità fra stranieri rivali sul suolo greco-imperiale?
La pace conclusa fra i belligeranti nel 1299 segna una tappa (1), pure se Venezia mostra qualche esitazione circa la scelta della politica più adatta a una situazione contrassegnata dalla duplice esigenza di mantenere una flotta da guerra pronta al combattimento senza troppo penalizzare l'attività commerciale in un momento storico in cui è marcato il divario fra l'offerta di capacità di trasporto e il tonnellaggio effettivamente movimentato, inferiore all'offerta a causa dell'impiego di naviglio mercantile nella guerra navale. I servizi resi dall'armamento libero sono dunque a loro volta in diminuzione, anche se quest'ultimo rappresenta pur sempre - quanto meno in potenza - i due terzi della marina mercantile veneziana (2). La presenza sovrabbondante dei mercanti veneziani in tutto il Mediterraneo è segno evidente di dinamismo e di prosperità; ancorché talune zone fungano da punti d'appoggio complementari mentre altre si trovano nel cuore stesso del reticolo degli scambi, il traffico marittimo sta comunque alla base della potenza veneziana e sempre, dopo ogni episodio bellico, è indispensabile rinvigorire le linee di navigazione.
Creta ha parte fondamentale in questo meccanismo. L'isola esporta una grande quantità di prodotti agricoli di qualità, cereali, olio e vino; derrate che vengono immagazzinate a Candia, a Retimo, alla Canea per essere redistribuite non soltanto verso Venezia e il suo impero coloniale, ma anche in direzione del Levante. Quando, dopo il 1374, si registrerà un regresso nel commercio diretto con Cipro, sarà Creta a subentrare in posizione privilegiata. Il traffico con gli emirati turchi di Teologo (Efeso) e di Palatia (Mileto), assai redditizio durante la crisi delle relazioni veneto-bizantine degli anni 1319-1320, non cessa tuttavia di svilupparsi, protagonisti i patrizi veneziani infeudati nei possedimenti serenissimi dell'Arcipelago: i Giustinian a Serifo, i Sanudo a Nasso, i Querini e i Grimani a Stampalìa, ecc. La protesta redatta nel 1320 a Costantinopoli dalle autorità bizantine dà una immagine abbastanza verosimile di questo dinamico commercio regionale: se i Veneziani di Negroponte, Corone, Modone, Monemvasìa (Malvasia) hanno talvolta rapporti difficili con i Greci rimasti nell'Egeo, gli scambi marittimi non cessano mai (3). L'irraggiamento del traffico veneziano deriva dalla dispersione stessa delle forze, che - anzi - incoraggia la permanenza dell'attività.
È la flotta mercantile a mettere in comunicazione Negroponte (Calcide di Eubea), Gallipoli e Tessalonica; imbarcate sulle "navi rotonde" le merci vanno e vengono nello spazio compreso fra Cipro, Creta e la Romània. Proprio alla presenza del grande porto di Negroponte l'isola di Eubea deve il proprio sviluppo economico: da questo scalo, infatti, i Veneziani possono sorvegliare agevolmente la rotta degli Stretti per Costantinopoli e il mar Nero nonché garantire i flussi commerciali con le Cicladi e la Grecia continentale. È fertile, l'Eubea, ed esporta prodotti agricoli in quantità, cosicché la Signoria non ha alcuna esitazione a riscattare dagli eredi dei dalle Carceri quel territorio romaniota sul quale alla metà del Trecento si allungano le mire dei Catalani, signori del ducato di Atene. E più a nord, la città di Tessalonica, che conta negli anni Trenta del secolo venticinquemila abitanti, è un punto di transito primario per le merci dirette ai mercati balcanici, dalla Macedonia alla Serbia (4).
Un'abbondante letteratura descrive la tipologia e l'entità degli affari trattati da una schiera di mercanti veneziani tanto accorti quanto audaci. Fra i patrizi, numerosi sono coloro che contribuiscono in prima persona all'affermazione sempre più massiccia della navigazione di altura, e alcuni nomi, secondo quanto attestano i documenti d'archivio, ricorrono spesso. Marino Cappello quondam Pancrazio di Santa Croce, molto attivo nel commercio di Fiandra e di Inghilterra, è a capo di una "fraterna" della quale fanno parte Nicolò, Albano e Marco; dopo aver armato a più riprese dei bastimenti, negli anni Trenta propone al senato di prendere in carico delle galere da mercato per esportare nelle regioni del Nord spezie, seta e vino di Creta. Nello stesso periodo Nicolò Cocco lavora di preferenza con controparti installate nei porti del Mediterraneo occidentale - in Sicilia, in Sardegna, nelle Baleari; nel 1333 acquista un bastimento a Maiorca e vende grossi quantitativi di generi di prima necessità, quali il sale, il legname e il frumento che il suo fattore Ruggero Morosini da Candia riesporta verso la metropoli. Altri, come Michele Dolfin quondam Pietro di Santa Giustina e Gabriele Dandolo di San Luca, sono presenti ovunque nel grande traffico con i ridotti dell'impero coloniale, seguendo l'esempio di un Andrea Dandolo quondam Fantin di San Luca o di un Mario Soranzo dei Santi Apostoli. Il quale ultimo lascerà alla sua morte un deposito colmo di 17 tonnellate di metalli vari, sia filati che in barre - rame, piombo, stagno, ferro -, ma anche pepe, pellami e oro (5). E mercanti come Tomaso Sanudo, morto nel 1374, consacrano il proprio talento commerciale agli affari con l'Europa orientale, scambiando volentieri le spezie del Levante con i metalli preziosi immessi sul mercato a Praga, Brno o Buda. Lo stesso Carlo Zeno, il combattente, inizia la carriera a bordo delle navi da trasporto, mentre suo fratello Nicolò diventa capitano del convoglio di Beirut nel 1383 e di quello di Fiandra nel 1385.
Ma l'esempio più calzante di una piena riuscita in questo campo è quello della famiglia Corner. Federico quondam Nicolò di San Luca e i fratelli Marco e Fantin creano, a partire dalla loro base di Cipro, un vero e proprio impero commerciale (6). Nel 1358 il loro patrimonio imponibile viene valutato in 60.000 lire, una somma davvero considerevole. Questa famiglia "ben installata nell'isola", capace di allacciare buone relazioni con i Lusignano, signori del luogo, riesce gradatamente ad accaparrarsi il monopolio dell'esportazione delle principali produzioni cipriote: zucchero, cotone e sale. In cambio di crediti rilevanti accordati alla corte dei Lusignano, Fantin Corner, che vive a Famagosta, ottiene molteplici vantaggi e, d'altronde, gli è facile associarsi ad altri patrizi veneziani: sui ventisei mercanti elencati dal 1360 al 1362 negli atti di un notaio locale, ben ventidue sono illustri rappresentanti del ceto dirigente marciano (7).
Negli anni Sessanta del Trecento Federico Corner, che ha avuto in eredità il casale di Piscopi, modernizza la piantagione di canna da zucchero e si propone sui mercati con prodotti più raffinati e lucrosi, tanto che nell'autunno del 1365 il controvalore di una spedizione di merci alla volta di Venezia e di Genova è valutato in 68.000 ducati (pari a 238 chilogrammi d'oro). Gli interessi in gioco sono di tale portata che durante i gravi torbidi del 1373-1374 il senato autorizza la fraterna Corner a delegare sul posto un intendente per sorvegliare la piantagione e scongiurare eventuali spoliazioni da parte degli Ospitalieri, padroni dell'attiguo villaggio di Colossi. Nel 1392 i Corner ricevono dal re Giacomo I Lusignano il diritto di acquistare in esclusiva tutto il sale estratto dalle saline dell'isola contro un esborso annuo di 4.000 ducati destinati a estinguere un pesante debito contratto nel corso della guerra con i Genovesi (8).
Forti del proprio ruolo di potentato egemonico a Cipro, la fraterna e le compagnie ad essa collegate sono in condizione di consolidare la propria influenza sul terreno dello sfruttamento commerciale delle galere mercantili. Alcuni membri della ca' Corner prendono a nolo delle galere negli anni 1358, 1364 e 1365, e ancora nel 1367, sovente in società con Nicoletto Contarini, ciò che consente loro di occupare tutti gli snodi del sistema di controllo del convoglio. Nel 1358 Federico Corner si aggiudica agli incanti tre galere grazie alle quali monopolizzerà il traffico marittimo con le zone di produzione dello zucchero, del sale e del cotone e la distribuzione verso i mercati di consumo. Dà il polso di tale situazione, nel 1358, un'indagine promossa vigorosamente in senato sul monopolio Corner, suscettibile a termine di arrecare danno al principio stesso della concorrenza e prefigurante il rischio di un interlocutore unico, che fissi prezzi e quantità a proprio piacimento (9). Certo, il senato intende incoraggiare gli imprenditori audaci, ma non già avallare l'eccesso rappresentato da pochi uomini d'affari, solidamente impiantati e in possesso delle conoscenze e dell'esperienza necessarie alla pratica mercantile, cui una congiuntura favorevole abbia permesso di collocarsi in posizione dominante in certi settori di attività (10).
La diversificazione degli scambi si conferma lungo tutto il Trecento. Venezia rafforza i fruttuosi contatti con l'emirato hafside di Tunisi per mezzo del trattato di pace e di commercio siglato nel 1317 che dovrà servire come piattaforma di discussione per il futuro. Ma sarà solo qualche tempo dopo che i Veneziani, tenutisi prudentemente fuori dai conflitti innescati da Genovesi e Catalani, trarranno profitto da questa politica. Nelle città portuali di Ifriqiya, che produce sale, corallo, cuoi e lane da velluto, le colonie mercantili veneziane attivano i loro fondachi e instaurano relazioni con gli artefici del commercio sahariano che transita per Tripoli di Barbaria, Djerba, Bejaïa, Orano e Tunisi stessa.
I traffici marittimi sono prosperi, ma restano comunque fragili: confronti bellici di grande respiro, brevi sussulti di estrema violenza oppure la cupa e ricorrente minaccia dei pirati, che agiscono in completa impunità, mettono a repentaglio il sistema degli scambi (11). A Venezia, negli isolotti della laguna, negli innumerevoli magazzini, nei banchi, negli empori, nelle botteghe artigiane, a bordo delle navi, gli uomini rincorrono la fortuna ma lavorano senza un piano d'insieme, senza autentica coesione. Si fa strada l'esigenza di una trasformazione delle strutture, e i patrizi concepiscono allora un progetto ambizioso. In effetti, stanti le difficoltà, gli armatori prendono in considerazione perfino il disarmo puro e semplice del naviglio, un espediente grave in sé e per le conseguenze che comporta: licenziare gli equipaggi e provvedere alla sicurezza e alla manutenzione dei vascelli in banchina significa immobilizzare un capitale e renderlo improduttivo; e, ancora, significa contribuire alla contrazione delle risorse dello Stato che d'un tratto non percepisce più i diritti connessi all'esercizio delle navi (12). In caso di crisi la soluzione si impone da sola: a titolo temporaneo, è anzitutto necessario istituire un armamento comunale per compensare gli svantaggi ai quali l'armamento libero è sottomesso di fatto dalle circostanze. Ma subito dopo è prudente organizzare una forma di navigazione di linea in grado di assicurare la sicurezza dei convogli mercantili e il ritmo dei passaggi, potendo contare su scali scelti in precedenza.
Quando si abbia a che fare con un'epoca di intensa attività, è sempre delicato tentare un computo delle navi impiegate, ma gli studi di Federigo Melis e di Frederic C. Lane hanno indicato la via da seguire per effettuare tale stima. Sui duemilanovecentoventi legni identificati nelle lettere conservate presso l'Archivio Datini per il periodo 1383-1411, centocinquantaquattro sono veneziani, con un tonnellaggio medio oscillante fra le 500 e le 700 botti (13). A Venezia il tetto delle 600 botti delimita il modello corrente delle "navi tonde": sui cinquantasei vascelli la cui stazza è precisata, trentacinque rientrano in questa categoria, mentre sono rari quelli da 800 e più botti.
Un altro elemento di valutazione circa il tenore del traffico marittimo viene dai dati del transito per il porto di Beirut; ebbene, circa duecentododici bastimenti veneziani vi fanno scalo dal 1394 al 1404, oltre alle trentacinque galere e alle quattro cocche adibite alla navigazione di linea, cifre che confermano puntualmente ciò che Eliyahu Ashtor ha chiamato "il ritorno trionfale dei Veneziani in questa regione del Vicino Oriente" (14). E ulteriori informazioni precisano le caratteristiche di questa flotta mercantile. Fra il 1384 e il 1421 i proprietari di cocche desiderosi di aggregarsi ai convogli in partenza per l'Oriente a complemento delle galere o per prender parte alla guerra di corsa contro i pirati devono ottenere una licenza, rilasciata solo dopo la verifica tecnica delle loro imbarcazioni. Risultano dunque registrati novantatré vascelli, la maggior parte dei quali di tonnellaggio compreso tra le 500 e le 600 botti, mentre cinque cocche appena risultano stazzare 800 o più botti (15), ciò che dimostra insomma la preminenza del piccolo tonnellaggio. All'inizio del secolo XV il cronachista Antonio Morosini menziona il numero di unità in servizio nei convogli di linea, vale a dire trentacinque cocche e ventisei grandi galere da mercato, con una capacità di carico complessiva pari rispettivamente a 15.000 e 4.500 tonnellate.
La città lagunare mostra di possedere risorse inesauribili. Di passaggio a Venezia nel 1346, il pellegrino francescano Niccolò da Poggibonsi rimarca che qui "tutta gente sono mercatanti", e probabilmente, grazie ai suoi centoventimila abitanti, la città dispone delle forze necessarie al superamento di qualsiasi cataclisma, come la grave carestia di quello stesso anno 1346 o il terribile terremoto, seguito da una spaventosa epidemia di peste, l'anno successivo.
È la ricchezza a medicare tutte le piaghe. Quando, agli inizi degli anni Sessanta, Petrarca fa ritorno a Venezia, la trova molto più "costruita" di quanto non fosse all'epoca della sua prima visita, nel 1321. Spetta al governo mettere in campo ogni mezzo a disposizione, con competenza e lucidità, per sanare le carenze provocate da simili catastrofi (16). Vi è carenza di braccia? Le autorità marciane incoraggiano e favoriscono la venuta dei sudditi d'Oltremare, Dalmati, Albanesi e Greci, per manovrare le sempre più numerose navi della Repubblica (17). E se, a quanto si dice, nel 1363 la popolazione cittadina è scesa a sessantatremila anime, ecco che il comune va a cercare masse di schiavi in paesi lontani, tanto che nel 1379 costoro si affollano talmente nelle vie della metropoli da autorizzare l'introduzione di una tassa a carico dei proprietari assai redditizia per le pubbliche casse.
Così come Venezia ha saputo placare la propria fame di manodopera, sarà anche capace di predisporre il proprio futuro. Controbattere i rovesci di una cattiva sorte che pare accanirsi sulla città significa per il patriziato consolidare ancor più le opportunità offerte dal commercio sul mare. Tenere testa alla crescita della domanda nel settore marittimo e rafforzare le conquiste della "rivoluzione dei trasporti" sono i temi del dibattito di fondo che impegna i patrizi. Nei primi vent'anni del Trecento si assiste a una fase di maturazione tesa a conferire la priorità alla navigazione di linea e a concepire il miglior sistema di gestione di quei convogli. D'altra parte, già nel 1339 il maggior consiglio dichiara che la prosperità della città dipende dal benessere e dalle fortune dei cittadini, e il commercio è lì per concretizzare tale prospettiva. Gli effetti nefasti dei terribili anni 1348-1350, lungi dall'indebolire durevolmente le forze vive della Repubblica, valgono piuttosto da monito a un governo ormai alla ricerca degli strumenti strutturali atti a contrastare eventi e congiunture negative. Il nuovo assetto gestionale della marineria mercantile fu appunto il risultato di questo modo di procedere, pure se la messa a punto di una concezione che coinvolgeva le strutture economiche e sociali si poté realizzare solo progressivamente, fino a pervenire alla piena operatività di un modello affatto specifico.
La libertà di azione dei mercanti-armatori era stata fino ad allora regolata, da un periodo all'altro, da leggi intese alla tutela dell'interesse generale, ma era ormai venuto il momento di prendere in esame l'ipotesi di una nuova forma di gestione del potenziale navale. E il patriziato veneziano, mostrando la propria maturità, si applica alla definizione degli obiettivi e dei modi migliori per conseguirli alla luce della convergenza fra interesse privato e bene collettivo che emerge con naturalezza, consentendo a poco a poco l'avvento di un sistema di governo del traffico marittimo innovativo ed esemplare, quell'esercizio commerciale dei convogli di galere da mercato detto "muda". Anziché mettere a confronto il sistema di gestione privato e quello assoggettato al controllo del comune, il senato, organo preposto alla disciplina del commercio per mare, trae il miglior partito dall'uno e dall'altro, armonizzandoli e fondendoli insieme. Di tappa in tappa, dopo tentativi molteplici e discussioni e polemiche, i pregadi pervengono infine a delineare un metodo efficace che modifica i regolamenti commerciali e fiscali in uso fin lì, rivelatisi con il tempo inadeguati. I primi tentativi, i cui esiti iniziano a manifestarsi intorno alla metà del Trecento, preludono all'affermazione del nuovo sistema, destinato a imporsi definitivamente nell'arco di circa un secolo e mezzo (18).
Le istituzioni veneziane operano con sufficiente tempestività per colmare lo scarto eventuale fra la legge e la realtà del mercato, ché, anzi, tutto viene fatto nell'ottica di un adattamento degli obiettivi di governo a condizioni sempre più complesse. Sovente si coglie la modernità di uno Stato là dove prevalgono le funzioni economiche, ed è questo propriamente il caso della Venezia trecentesca. Il patriziato mercantile, naturale gestore della ricchezza nazionale, non si rivolge alle istituzioni per trovarvi un supporto qualsiasi in conseguenza di debolezze proprie; al contrario, è per migliorare incessantemente i propri risultati economici che acconsente a un passaggio di poteri concepito in modo da garantire la sua libertà, ma al tempo stesso rispettoso di una nuova forma di autorità che pure introduce elementi più restrittivi. Sono le stesse reazioni spontanee dei patrizi, alla ricerca di una formula ideale, che consentono di agire con rapidità per rimuovere le ultime difficoltà di ordine politico. Sono, queste reazioni, l'indice di un preciso stato d'animo che fa meglio intendere lo sforzo intrapreso per organizzare l'economia veneziana.
Dalle deliberazioni del senato in materia di esercizio dei convogli mercantili sembrano scaturire due concetti apparentemente opposti. Il primo fa riferimento all'armamento delle galere per speciales personas, nozione contenuta nell'espressione per divisum, che sottintende la partecipazione di più imprenditori privati operanti a mezzo di consorzi. È questa la formula più antica, con la quale si designa un raggruppamento di armatori privati, proprietari delle loro imbarcazioni, nell'ambito di una spedizione commerciale diretta in regioni lontane, con ripartizione dei rischi e dei profitti interamente sotto la responsabilità dei partecipanti all'impresa. D'altronde il nuovo sistema in gestazione nei primi due decenni del Trecento mantiene connessioni assai strette con le pratiche commerciali e giuridiche in essere da lunga data, proprio in quanto evoluzione che promette di superare le contraddizioni di un metodo che a stento concilia le opposte esigenze di riempire le casse dello Stato, garantendo la sicurezza e le fortune indispensabili alla perennità della Repubblica, e di arricchire i mercanti, ansiosi di apportare onore e gloria ai rispettivi lignaggi. Là dove in altre città, Genova in primo luogo, i patrimoni individuali si costruiscono a discapito degli interessi della comunità, a Venezia il ruolo essenziale lo tiene la complementarità delle parti in reciproco rapporto, fondamento di un modello unico e invidiato. Ecco allora comparire il secondo concetto portante, vale a dire la partecipazione diretta del comune alla gestione dei convogli di galere mercantili.
Il comune integra dunque le iniziative dei mercanti-armatori, e talora le orienta adattando la prassi comune ai vincoli imposti dalle congiunture. Nel 1301 il senato desidera armare una ventina di galere "contro l'imperatore di Bisanzio, a difesa degli interessi veneziani minacciati a Costantinopoli" - spedizione di natura dichiaratamente militare eppure chiamata parallelamente a perseguire delle finalità commerciali -, ma disgraziatamente troppo pochi sono gli imprenditori privati decisi a prendere parte all'avventura. Subentra allora il comune, che provvede all'allestimento e al finanziamento della flotta. Prima della partenza i comandanti delle galere ("patroni") e gli ufficiali, nel caso designati dal consiglio dei quaranta, prestano giuramento scritto (commissio) di rispettare gli ordini loro impartiti, misura questa cui più tardi verranno astretti tutti i "patroni" delle galere, indipendentemente dalle modalità di gestione, privata o pubblica. Si tratta, insomma del cosiddetto armamento per comunem, cosicché si potrà parlare per il futuro di vero e proprio armamento comunale, con i proventi dei noli devoluti per intero al tesoro di Stato.
Durante questo periodo di transizione si ravvisa la compresenza in un medesimo convoglio di galere rette da diversi modi di esercizio. Quando, nel 1306, una spedizione commerciale salpa dalla laguna, due galere, l'una con destinazione Cipro e quindi l'Armenia, l'altra diretta in Egitto e Siria, sono gestite dal comune (armentur per comunem), mentre la terza, in partenza alla volta di Costantinopoli, pertiene all'ambito dell'armamento privato (per speciales personas). Ulteriore fattispecie, allorché il comune mette galere proprie a disposizione di imprenditori privati che per contropartita si fanno carico del finanziamento della spedizione, metodo che non prevede ancora la messa all'incanto configurandosi piuttosto come naulum per speciales personas. L'ultima modalità di esercizio - quella che diverrà usuale in seguito, dopo essere stata adottata per la prima volta nel 1318 in ordine al viaggio delle galere di Fiandra - contempla il nolo di bastimenti di pertinenza comunale ai migliori offerenti al termine di una pubblica sessione di incanto. Quel primo e isolato tentativo del 1318 ("due galee comunis dentur ad naulum per Incantum") (19) diverrà rapidamente norma - il sistema detto, appunto, degli "incanti" -, anche se le quattro forme di esercizio seguiteranno a convivere, offrendo ai patrizi la possibilità di giostrare fra l'una e l'altra a seconda delle circostanze. Della tipologia organizzativa e gestionale dell'industria marittima veneziana terremo qui presenti soprattutto le tre modalità veramente caratteristiche, lasciando da parte le altre due descritte da Frederic C. Lane, trattandosi in effetti di modelli transitori e, per così dire, preparatori in vista dell'impianto definitivo, destinato ad affermarsi in breve volgere di tempo dopo quelle prove. Certo, le meticolose osservazioni di Lane sono fondate, ma rischiano di attribuire una eccessiva complessità a una fase caratterizzata da esitazioni e tentennamenti (20).
Il trasporto marittimo, in questo inizio di secolo, è in piena espansione. L'iniziativa dei privati e del comune si proietta in tutte le direzioni e si moltiplicano le esperienze volte all'apertura di nuove linee di navigazione, al miglioramento della redditività della rotazione dei navigli, all'aumento della capacità di carico. Grandi sono tuttavia le difficoltà che si frappongono alla messa in opera di una gestione efficace, come dimostra, ad esempio, un incidente occorso nel porto di Negroponte l'anno 1303 a causa dell'obbligo per le galere di riunirsi nel viaggio di ritorno dalle rispettive destinazioni in un'unica "carovana", per motivi di sicurezza. Marco Barbo e Andrea da Mosto, che hanno preso in carico una galera del viaggio di Romània, sono costretti ad aspettare in Eubea, ultimo scalo sulla loro rotta, la galera di Marco Contarini e Marco Morosini partita per rifornire Tessalonica. Il caso alimenta in senato un acceso dibattito, giacché Barbo e da Mosto, in qualità di "patroni" di una galera trattenuta all'ancora dal bailo di Negroponte in attesa di quella gestita da Contarini e Morosini, si dichiarano parte lesa e reclamano una indennità a copertura del danno patito per un ritardo a loro non imputabile. Poco più tardi i patrizi ammetteranno la necessità di stabilizzare modi e forme di esercizio dei convogli mercantili, insediando un'apposita commissione senatoriale composta da cinque membri, i savi agli ordini, e preposta allo studio delle migliorie da apportare all'ordinum galearum armatarum. Nel marzo del 1321 un decreto del maggior consiglio indica la via del miglior compromesso possibile: la gestione mista, cioè a dire la compartecipazione fra lo Stato e gli imprenditori privati: [...] per i continui cambiamenti e variazioni che si apportano alle norme sull'armamento delle galere, i mercanti e gli uomini di Venezia non possano [mai] sapere con certezza che cosa debbano fare, in quanto un giorno viene presa una decisione e il giorno dopo la si modifica [...], [e] non osano più fare i loro affari timorosi per tali cambiamenti" (21).
L'ultima tappa di questa evoluzione induce un cambiamento di mentalità decisivo. Gli imprenditori cedono volentieri il diritto di proprietà delle galere da mercato al comune, scegliendo di affrancarsi dall'onere di immobilizzi finanziari troppo pesanti e protratti. Il nuovo assetto permette di concentrare il capitale unicamente nell'impresa commerciale, prospettando inoltre un rendimento a breve termine dal momento del ritorno della spedizione. Per contro, la flotta può essere messa a disposizione della Repubblica quando il senato ne decida la requisizione.
Onde finanziare le operazioni descritte nei capitolari degli incanti, gli operatori veneziani si riuniscono in società in essere per la durata di un solo viaggio. Nel Trecento i soci vengono reclutati all'interno delle cerchie familiari, cosicché si parla comunemente delle galere di ca' Cappello, di ca' Mocenigo sulla rotta di Fiandra, di ca' Dandolo sulla rotta di Cipro, di ca' Zorzi sulla rotta di Romània, e poi delle galere di ca' Malipiero o di ca' Contarini (22). L'ammontare complessivo dell'investimento, ripartito in ventiquattro quote dette carati, ricalca il metodo in uso un tempo riguardo alle quote di proprietà di un bastimento; quanto agli associati ("caratarii" o "parcenevoli"), non necessariamente devono appartenere al patriziato, ma soltanto i patrizi che partecipano alla tornata d'incanto godono del diritto di prendere a nolo una galera "di comun", sebbene il danaro investito da partners finanziari modesti di origine plebea sia pur sempre il benvenuto. Quantunque ciascun socio possa acquistare uno o più carati, nella pratica è il titolare del contratto di nolo a detenere la porzione maggioritaria; i capitali vengono affrancati al ritorno della galera, previo accertamento dei conti, con spese e profitti commisurati a tenore delle quote di partecipazione.
Si comprende bene come, in tale contesto, le società di tipo familiare, e in primo luogo le fraterne, siano quelle maggiormente interessate all'impresa, e d'altronde, poiché il capitale richiesto è ingente, non desta meraviglia la molteplicità dei partecipanti. Quando si confronti l'ammontare delle entrate minime prese in considerazione nell'estimo del 1379 per la determinazione dell'imponibile fiscale - 300 lire di grossi, nella valutazione fatta da Gino Luzzatto, pari a 780 ducati circa - con le somme pagate per ottenere il nolo di una galera da mercato nello stesso torno cronologico, appare subito evidente l'imperativo dell'esercizio collettivo, peraltro connaturato nell'indole degli investitori veneziani, abituati a lavorare in questo modo fin da prima dell'irruzione sulla scena della navigazione di linea, cogestita con le autorità del comune. Già nel 1301 e nel 1307 le spedizioni di galere da mercato in regime di armamento privato si attuano secondo la formula seguente: "galee vadant in caravana et sunt in societate"(23), concezione ripresa del tutto naturalmente in futuro. E comunque è impossibile ravvisare altra possibilità, poiché nel seno stesso del patriziato la maggioranza è formata da soggetti di media ricchezza. Sembra perciò ragionevole ritenere che la posizione politica espressa dal senato tendesse a favorire una larga partecipazione dei patrizi meno privilegiati, affinché anch'essi potessero essere messi in grado di accedere alle opportunità di arricchimento offerte dal commercio marittimo. È facile infatti constatare come il prezzo del nolo di una galera da mercato negli anni Ottanta del Trecento spesso equivalesse a dieci volte il capitale minimo richiesto dagli ufficiali dell'estimo del 1379. Sono pochissimi i patrizi in condizione di impegnarsi in finanziamenti di tale entità contando esclusivamente sulle proprie individuali fortune, e lo stesso vale per il capitale proprio di società di galere circoscritte a una sola fraterna, in genere troppo limitata per fare fronte a esigenze tanto gravose. L'associazione a base allargata è dunque indispensabile, tanto più che contribuisce a limitare le perdite eventuali, e dall'unione di queste risorse collettive i Veneziani attingono anche tutta la forza necessaria in caso di crisi. Non solo, la periodizzazione del calendario dei viaggi annuali reca con sé una buona regolazione del credito, armonizzata con le fluttuazioni di una domanda rilevante ma prevedibile, secondo il ritmo delle partenze e degli arrivi dei convogli (24).
Per incitare gli imprenditori a impegnare i loro capitali nell'industria della navigazione di linea, il comune accetta l'idea di imporre misure protezionistiche a carico di coloro che permangono nell'orizzonte dell'armamento privato. Nel 1306, ad esempio, interviene a sostegno delle galere del convoglio di Cipro e Armenia vietando alle galere private (ad speciales personas) di imbarcare merci destinate a scali posti al di là di Negroponte: una restrizione che nuoce soprattutto alla compagnia di Federico Corner, che deve pazientare alcuni mesi prima di poter riarmare una delle sue galere. Sono provvedimenti coercitivi che annunciano la concessione del monopolio sul trasporto di taluni prodotti, quali la lana e le spezie, che di lì a qualche tempo gruppi di pressione particolarmente aggressivi riusciranno a farsi dispensare.
Da quanto detto fin qui, viene in chiaro come sia la galera, o più esattamente la grande galera da mercato, il tipo di imbarcazione prescelto dai Veneziani per lo svolgimento della navigazione di linea. Quanto alla cocca, ha un destino piuttosto limitato a Venezia, per ragioni probabilmente molto varie. Nonostante la capacità di carico della galera, quantificata da Frederic C. Lane, resti al di qua della potenzialità della cocca, la prima è una imbarcazione che presenta diversi vantaggi. Il primo modello utilizzato nel 1303 e detto galea grossa mensuris Romanie caricava all'incirca 80 tonnellate di merce; da quando, nel 1354, entrano in servizio galere più voluminose, mensuris Flandriae, entro pochi anni la loro capacità raggiunge le 170 tonnellate (25). L'Arsenale, più esteso a partire dal 1310 e ulteriormente sviluppato con numerosi ampliamenti fra il 1323 e il 1324 (26), è ormai in grado di fornire tutte le imbarcazioni pretese dal senato cosicché, nel 1333, il comune decide di non acquistare più galere da cantieri privati o da singoli cittadini. Come regola generale i "patroni" che si sono aggiudicati gli incanti tirano a sorte per stabilire quale galera avranno in carico.
La cura posta dalle autorità nel sorvegliare la qualità della produzione cantieristica ha per fine l'incessante perfezionamento delle condizioni di sicurezza di persone e beni. La galera è infatti un vascello fragile, soggetto a precoce invecchiamento, tanto che nel 1314 il senato interdice l'armamento di galere varate da più di cinque anni. Sennonché quanto auspicato e prescritto viene disatteso poiché, in un momento di intensa progressione della marina mercantile, il costo di rinnovamento della flotta sarebbe elevatissimo. Non è inconsueto, come accade nel 1347, che galere già impiegate in sette viaggi di lungo corso riprendano il mare in direzione del Levante. La vetustà dei bastimenti è una preoccupazione costante, e anche dopo l'entrata in vigore degli Statuti marittimi di Jacopo Tiepolo, nel 1233, le autorità restano assillate dal problema. Il testo dichiara effettivamente che un bastimento di oltre sei anni debba imbarcare un carico ridotto per motivi di sicurezza, norma poi precisata nell'ambito della revisione delle regole nautiche avviata da Renier Zeno nel 1255, laddove si prescrive un carico normale nei primi quattro anni di vita dell'imbarcazione, quindi una prima riduzione per il periodo compreso fra il quinto e il settimo anno dal varo, e infine una diminuzione conseguente fino alla radiazione. La galera è un bastimento dall'alto costo costruttivo e dalla elevata vulnerabilità, soprattutto dovendo affrontare la navigazione oceanica. Generalizzatosi il sistema degli incanti, nel 1332 il senato fissa un minimo al prezzo di locazione delle galere del comune per coprire le spese di manutenzione al ritorno della spedizione o eventualmente il costo della sostituzione dell'imbarcazione irreparabilmente danneggiata. Tale importo varia a seconda delle linee di navigazione e della congiuntura annuale, aggirandosi mediamente intorno alle 50 lire di grossi per galera, con estremi che toccano in basso le 20 lire e in alto le 100. Dopo il 1389 questa regola cade in disuso, rimpiazzata nel secolo XV dal prestito obbligatorio all'Arsenale. Ma spesso, quando il senato aspira a rilanciare l'attività delle linee di navigazione malgrado la freddezza degli imprenditori, il comune è indotto a corrispondere loro una sovvenzione, detta "dono", che verso la fine del Trecento viene sostituita sempre più di frequente da un prestito a basso interesse (2 o 3%) rimborsabile al rientro della spedizione.
Lo studio della fase di avvio della navigazione di linea è problematico per quanto riguarda il periodo antecedente il 1332. Infatti, fino a quella data - punto di partenza della generalizzazione del sistema degli incanti, abbondantemente documentato nei registri ufficiali -, le incertezze permangono numerose, anche se la traccia più antica di questo tipo di condotta sembra risalire alla tratta per Cipro e l'Armenia, menzionata nel 1294. Poco dopo, nel 13o1, sono descritti dei convogli per la Romània e l'Egitto, mentre la linea di Fiandra esordisce nel 1314 e soltanto alla fine del secolo viene alla ribalta quella per Beirut. In ogni modo, i viaggi annuali delle grandi galere da mercato si ispirano alle "carovane" di navi tonde, che navigano di conserva, armate da secoli dagli imprenditori privati. E talvolta difficoltoso, in queste condizioni, evitare disfunzioni fra i flussi commerciali rimasti appannaggio dell'armamento libero e quelli da poco inseriti nel nuovo settore dell'esercizio di comun, sebbene la favorevole temperie economica dei primi del secolo aiuti ad attenuare gli effetti di tali disguidi e manchevolezze.
Nel Trecento le relazioni con Cipro e l'Armenia rappresentano il più compiuto meccanismo del commercio via mare con i poli estremi del Mediterraneo orientale. L'isola, che funge da base di appoggio e di ripiegamento per le forze crociate, rimane per lungo tempo la testa di ponte del traffico con il Levante, che nel porto di Lajazzo, sul litorale del Regno della Piccola Armenia, ha un terminale assai prossimo alla costa cipriota. È un sito privilegiato, quello della cittadina mercantile armena, posta all'arrivo delle vie carovaniere che collegano le sponde mediterranee con Sebastopoli, Tabriz e Samarcanda, lungo quell'asse del quale si servirono molti viaggiatori per recarsi a visitare la corte del gran khan (27).
L'evoluzione della tratta, designata nei documenti veneziani come linea di Cipro e Armenia, è scandita dagli eventi sanguinosi in cui si concretizza la rivalità veneto-genovese. Un primo periodo, iniziato con il levar del secolo, si chiude nel 1344, data della revoca del Devetum pontificio. Un grande successo arride alla linea fin dal primo convoglio nel 1301, comprendente di sicuro diciotto galere che l'anno seguente saranno dodici (28). Sono, questi primi viaggi, spedizioni di iniziativa privata: solo nel 1307 un convoglio verrà armato e gestito direttamente dal comune, dopo che con un colpo di mano Amalrico di Lusignano aveva tentato di prendere il potere a Cipro; un tipo di esercizio che tornerà all'ordine del giorno nel 1313, nel 1316 e nel 1326, fino al 1338, anno per il quale i testi ufficiali parlano ancora di linea di Cipro e Armenia. Da allora in poi, ma ben prima della presa di Lajazzo da parte dei Mamelucchi nel 1347, le deliberazioni del senato attestano solamente il "viaggio di Cipro". Nella prima metà del Trecento, dal 1301 al 1344, data dell'apertura di nuove tratte, compiono il percorso centosessantaquattro galere da mercato armate dagli imprenditori privati e appena ventisette di esercizio di comun.
Il secondo periodo si apre dunque nel 1344, con l'annuncio della grazia pontificia che autorizza la ripresa degli scambi commerciali con il mondo musulmano. Il fatto che contemporaneamente le posizioni veneziane nel mar Nero siano fortemente minacciate dopo il sacco della Tana nel 1343 fa sì che il numero delle galere in partenza per Cipro sia elevatissimo: nel 1344 il convoglio è formato da quattordici legni. Ma già l'anno seguente il senato inaugura la linea di Alessandria, che a datare dal 1347 si avvantaggia della nuova tendenza del traffico orientale con conseguente ridimensionamento dell'importanza della muda di Cipro.
Durante la guerra contro Genova la navigazione di linea è impedita e sono le cocche ad assicurare il collegamento con l'isola, benché la cattura di navi veneziane sia tutt'altro che rara (29). Ripristinata la tratta cipriota nel 1356 e fino alla sua interruzione nel 1372, i convogli gestiti con il sistema degli incanti partono con apprezzabile regolarità: cinquantotto galere con l'appoggio di otto cocche in esercizio di comun. Tuttavia il flusso di merci transitanti su questa rotta fa registrare un costante decremento, mentre crescono senza sosta quelle condotte sulla tratta alessandrina. L'assalto genovese a Famagosta (1373-1374) e successivamente la guerra di Chioggia (1377-1381) segnano il definitivo tramonto della muda di Cipro, vantaggiosamente sostituita dal 1374 dalla linea di Beirut.
Nel 1261, qualche decennio prima della partenza dei crociati che saranno poi sconfitti in terra di Siria, i Veneziani ricompaiono a Costantinopoli, tornata in mano greca. Scalzati gli invasori latini, i Greci mirano a stabilire un equilibrio fra le loro controparti commerciali. La portata degli accordi così stipulati sarà capitale, dopo il ripiegamento dei Cristiani di fronte ai Musulmani, facendo emergere tutta l'importanza della fitta rete di possedimenti appartenenti all'impero coloniale veneziano fin dal 1204, nonché delle basi avanzate di recente acquisizione. E d'altronde la Repubblica ha sempre messo il massimo dell'impegno per preservare le relazioni economiche con l'Impero bizantino (30), obiettivo cui l'apertura di linee di navigazione complementari all'attività marittima tradizionale corrisponde perfettamente. Nel Trecento la storia di questi rapporti può essere suddivisa in tre fasi, ritmate dai due conflitti fra Veneziani e Genovesi.
L'avvio della tratta per la Romània e il mar Nero è motivato dall'imperativo di proteggere il naviglio mercantile, esigenza che fin dal 1301-1302 il comune avverte procedendo dunque all'inquadramento giuridico dell'amministrazione della marina da trasporto. Fino al 1306 vengono messe a disposizione dei mercanti delle galere di comun ben armate ed equipaggiate, secondo il modello delle flottiglie di navi disarmate con scorta costituita da unità specificamente delegate ai compiti della sicurezza. Interviene quindi una interruzione della tratta che si protrae per cinque anni, fino al 1312, data dopo la quale i convogli annuali per Costantinopoli spesso vengono presi in gestione dal comune. In seguito all'accordo concluso nel 1309 dall'ambasciatore Pantaleon Michiel con il basileus Alessio II, i Veneziani hanno accesso al porto di Trebisonda, sulla via della Persia, terminale di flussi che completano a meraviglia quelli incentrati sulla Tana, sita su un braccio del delta del Don, al suo sbocco nel mare di Azov (31). Dal 1322 in avanti i convogli veneziani fanno regolarmente tappa in questi due scali, e il volume degli scambi si accresce in misura sostanziale, come prova l'entusiasmo dei patrizi per gli incanti della muda di Romània e mar Nero, il cui andamento fra il 1332 e il 1343 sopravanza sovente quello della muda di Cipro e Armenia.
Fino al 1350, sulla totalità delle galere salpate in direzione della Romània, centonovantotto sono date in carico a imprenditori privati contro le dieci gestite in proprio dal comune. Saranno la pace di Milano e la conseguente duratura sospensione delle ostilità con i Genovesi a marcare una rottura nella conduzione della linea fino alla guerra di Chioggia. L'attacco portato alla Tana dal khan Ganibeg determina la rovina degli interessi veneziani nella regione, e il comune deve intervenire con maggiore frequenza nell'esercizio dei convogli per contrastare l'incertezza causata dai rischi incombenti. Nell'arco temporale compreso fra le due grandi guerre veneto-genovesi, ottantuno galere vengono messe a disposizione dei privati mentre diciannove afferiscono alla gestione pubblica. All'epoca il convoglio si separa a Costantinopoli: tre galere fanno rotta per Caffa, in Crimea, per entrare poi nel mare di Azov e raggiungere la Tana, e due si dirigono verso Trebisonda, restando queste ultime sotto il controllo integrale del comune (32).
La terza fase, alla fine del Trecento, fa registrare il ritorno alla navigazione di linea dopo la firma del trattato di pace a Torino, nel 1381. È il comune stesso ad armare il primo convoglio, nel tentativo di invogliare i patrizi a riprendere il mare; e il consiglio dei 12 mercanti imbarcati, secondo le informazioni raccolte a Costantinopoli, decide di proseguire il tragitto alla volta degli scali del mar Nero. In seguito tutte le spedizioni saranno sottomesse alla regola degli incanti, per un totale di quarantanove galere dal 1382 al 1400. Ma l'avanzata delle truppe di Tamerlano induce, dopo il 1386, all'abbandono di Trebisonda; ormai la navigazione di linea è dirottata sui porti del Levante siro-egiziano, chiamati a svolgere un ruolo di primissimo piano in conseguenza del cambiamento intervenuto nel grande traffico asiatico, a sua volta sospinto verso i corridoi di accesso del mar Rosso e del golfo Persico. Una nuova mappa dell'economia e un nuovo intreccio di intense relazioni marittime si costituiscono così nel bacino mediterraneo orientale, a tutto vantaggio dei Veneziani. L'Impero bizantino si sta sfaldando e quando i Turchi passano i Dardanelli nel 1356 la capitale si ripiega su se stessa. Dato questo stato di cose, Venezia si ingegna quindi per scongiurare o almeno attenuare gli effetti dei conflitti in corso.
I rivolgimenti politici occorsi nel vicino Oriente un secolo prima avevano già modificato in profondità il complesso delle relazioni internazionali. Da quando Hulagu, un nipote di Genghiz khan, si è impadronito di Baghdad mettendo fine al califfato abbaside, per lungo tratto le spezie non passano più per la valle dell'Eufrate, dirette a Damasco, Aleppo e Beirut, transitando invece più a nord, a ridosso del mar Caspio, verso il mar Nero. Gli Italiani trovano allora altri punti di contatto in quelle regioni, aprendo relazioni che si consolideranno fino a quando - seguendo i consigli contenuti nel libro di un veneziano avveduto, Marin Sanudo Torsello il vecchio, intitolato Secreta Fidelium Crucis - il papato decreterà il blocco dei porti dell'Egitto e della Siria per indebolire la potenza musulmana.
Per cogliere l'ampiezza di queste trasformazioni occorre tenere conto dell'asincronismo delle ripercussioni di quegli eventi sull'andamento delle linee di navigazione. È necessario procedere per passaggi successivi, che descrivano le caratteristiche proprie di ciascuna tratta e identifichino le cesure cronologiche: l'interdetto pontificio dal 1308 al 1344, la guerra veneto-genovese del 1350-1355, la guerra di Chioggia. Papa Clemente V proclama dunque nel 1308 l'interdizione generale, confermata nel 1311 dal concilio di Vienne. Gli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, ormai stanziati a Rodi, sono incaricati di far rispettare il provvedimento, e in più di una occasione i Veneziani incontreranno sulla loro strada questi zelanti servitori della Chiesa. Una prima scaramuccia si verifica nell'aprile di quello stesso 1308, originata dalla cattura di una nave di Marco Soranzo con un carico di zucchero e di cotone. Venezia, poco incline allo scoraggiamento, opera allora una conversione della propria attività commerciale che si orienta a Ponente, per forzare la penetrazione dei mercati di Fiandra e di Inghilterra sfruttando le vie marittime. Sulle orme di Genovesi e Catalani, i Veneziani sviluppano gli scambi su questa rotta periferica proprio in coincidenza con una devastante carestia che opprime le città del Nord e rende scarsamente sicure le vie terrestri attraverso la Lombardia e la Germania; insomma, mettono in contatto il "bacino della lana" con il "bacino delle spezie" imponendo contemporaneamente i vantaggi del trasporto marittimo - capacità di imbarcare grandi volumi di merci con buone garanzie di sicurezza, aumento dei profitti in virtù della forte domanda e rilancio dell'impegno mercantile in seno al gruppo dirigente della città lagunare (33).
Nel 1314 un convoglio di galere da mercato prende il largo con destinazione le Fiandre, organizzato sulla falsariga della muda di Cipro. Ma la modesta attenzione suscitata presso i mercanti di Venezia spinge il senato a intervenire direttamente negli anni 1315-1317 sotto forma di una sovvenzione, di un premio di incoraggiamento. E nel 1318 alcune galere di comun sono assegnate all'incanto a degli imprenditori patrizi, sottraendo per la prima volta la gestione delle operazioni marittime alla libera iniziativa dei privati. I registri del senato descrivono i tentativi di regolamentazione di questo viaggio difficile da mettere a punto: fissata la data di partenza con anticipo di mesi, la squadra navigherà di conserva, con uno scalo all'Ecluse (Sluis), il porto di Bruges, previsto in una cinquantina di giorni; inoltre, vista la durata di questo viaggio interminabile, che varia fra i cinque e gli otto mesi, le galere lasceranno Venezia all'inizio della primavera in modo da poter rientrare in laguna prima dell'inverno. A quel che sembra, già nel 1319 la breve fase di perfezionamento della muda è conclusa, stando almeno a una deliberazione dei pregadi nella quale, predisponendo la prossima partenza, si rimanda a regolamenti "come d'abitudine".
Un nuovo periodo nella storia della linea inizia durante la jacquerie che sconvolge le città produttrici di pannilana della Fiandra e del Brabante fra il 1323 e il 1328. Impauriti dalla violenza dei torbidi, i Veneziani disertano Bruges in favore di Anversa, che per qualche anno diventa scalo fisso della muda. Il primo grave incidente si produce nel 1323, allorché una galera serenissima viene catturata nella Manica da pirati inglesi ma, malgrado forti tensioni, non vi è rottura delle relazioni ufficiali con il re d'Inghilterra (34). Per diversi anni, dal 1327 al 1333, l'instabilità politica nella regione è causa di spese elevate, dovute al pagamento degli indispensabili salvacondotti a ciascuna delle parti in conflitto. Tutto ciò provoca vivaci discussioni in senato (35). Il comune, rifiutandosi di esporre inutilmente le proprie galere, decide di annullare la partenza del 1334 qualora gli imprenditori privati non accettino di salpare a loro rischio.
Poiché il trattato di Parigi non risolve alcun problema, nel 1329 il re d'Inghilterra presta omaggio al re di Francia Filippo VI, ma la guerra si accende fra l'Inghilterra e la Fiandra, ciò che convince Edoardo III a impiantare una manifattura di pannilana a Bristol. Dopo il 1340 e la terribile battaglia dell'Ecluse comincia la guerra dei Cento anni, e a Venezia il comune risolve di restituire all'armamento privato le spedizioni verso il Ponente. Le galere che ogni anno lasciano Venezia per il Nord sono numerose, in media otto, ma l'accesso ai porti di Inghilterra e di Guienna è chiuso cosicché sono costrette a compiere la tratta Lisbona-Bruges senza scalo: così si spiega il naufragio della galera di Nicolò Gradenigo e la cattura di altre due galere disperse nel 1336. Per forzarne le decisioni e superare le incertezze degli imprenditori, il comune offre legname da costruzione a quegli armatori che intendano fabbricare galere nuove da impiegarsi nel viaggio (36). I più temerari, Marino Cappello, Francesco Polani, Nicoleto Sanudo e Marco Bembo uniscono le loro forze e in pratica prendono il monopolio degli scambi di Venezia con la Fiandra. Sfortunatamente le guerre scoppiate fra l'Inghilterra e le Fiandre, poi fra Venezia e Genova hanno per conseguenza l'interruzione della linea dal 1347 al 1356, che non implica tuttavia la sospensione dei rapporti economici fra il Dogado e le rive del mare del Nord (37); infatti, anche nei periodi di piena operatività della muda, espletante un traffico comunque periferico sulla rotta atlantica, gli assi commerciali che innervano il Tirolo, la Germania meridionale e il Brabante restano frequentati e appetiti. Non per nulla i Veneziani, puntando su diversi tavoli e pagando un pesante pedaggio in termini finanziari e di vite umane, nel 1338 hanno preso il controllo di Treviso, dopo il tentativo condotto contro i signori di Verona qualche tempo avanti, l'una e l'altra città postazioni avanzate sulle vie dei valichi alpini. È venuto il momento, per Venezia, di trarre profitto dalla decisiva avanzata in terraferma; e che il tenore degli scambi sia positivo lo dimostra - segno inequivocabile di vitalità - l'andamento degli incanti della muda di Cipro che, già nettamente in crescita in questo torno di tempo (tredici galere nel 1344), toccano l'apice. Tutto lascia ritenere che il traffico con i paesi rivieraschi del mare del Nord non sia stato danneggiato più di tanto dalla pausa nei contatti navali fra la laguna e gli scali inglesi o fiamminghi.
Nondimeno, nel 1357 la ripresa si annuncia più difficile di quanto non si fosse previsto: solo cinque galere vengono messe all'incanto, contro la media di otto precedente al 1347, e il prezzo di locazione per ciascuna di esse non supera le 30 lire di grossi (38). Il comune delibera perciò di prendere esso stesso in carico la gestione del convoglio, stante la posizione degli investitori che, tolto l'anno 1359, si sottraggono a questa incombenza. Altri seri ostacoli sorgono nel 1360, con la dichiarazione di guerra del re di Aragona alla Repubblica veneziana in seguito alla quale il senato, demoralizzato, annulla la partenza della muda fino all'anno 1373. Tuttavia, per evitare l'assenza totale del vessillo marciano nei porti di Fiandra, nel 1366 e nel 1367 le autorità propongono di allestire un convoglio formato da navi disarmate (39). Come già era accaduto nel passato in situazioni analoghe, il traffico terrestre si rivitalizza: posto che la linea di Alessandria offre un rendimento superiore al solito, il fondaco dei Tedeschi viene ampliato per far fronte all'afflusso di mercanti di lingua germanica che vengono a Venezia per rifornirsi direttamente. Di quando in quando un convoglio di comun salpa, ma gli affari vanno male e il ripristino della navigazione di linea deciso nel 1374 Si presenta sotto pessimi auspici.
Non soltanto l'intera flotta delle galere da mercato viene requisita per condurre a buon fine la guerra navale contro i nemici della Repubblica, ma anche le grandi cocche sono chiamate a partecipare alla difesa della laguna sotto assedio. Alle prese con il crescente malcontento degli imprenditori, il senato dispone nel 1377 un rimborso dell'importo di incanto nel caso che una requisizione perdurante impedisca lo svolgimento della spedizione commerciale; e ancora, all'inizio del secolo XV, stante la tendenza all'aumento dei periodi di requisizione, i patrizi ottengono delle indennità di compensazione per mancato guadagno (40).
Il comune, che auspica con tutte le forze la ripresa del traffico marittimo, sollecita l'iniziativa degli armatori proponendo una nuova sovvenzione di 2.500 ducati per ciascuna delle quattro galere all'incanto, ma la guerra di Chioggia rimette tutto in discussione e solo nel 1384 un incanto di quattro galere verrà offerto a mercanti molto prudenti. Per parte loro gli imprenditori veneziani vogliono fare scalo anche in Inghilterra, ad Antona (Southampton), porto assai prossimo ai centri di produzione laniera di Costwold, e richiedono condizioni tali che condurrebbero a un regime di monopolio del trasporto; partita vinta di fatto, la loro, dal giorno in cui a Venezia sarà imposto un aumento del 25% delle tasse sulla lana importata per via di terra. Già vistosamente avvantaggiati da questo provvedimento, pagano inoltre somme modeste per le imbarcazioni loro locate e ricevono cospicue sovvenzioni annuali. Nondimeno, fino al 1394 il numero delle galere impiegate nella linea di Fiandra è in calo - mediamente tre all'anno -, ciò che lascia pensare che i Veneziani non abbiano saputo approfittare del boicottaggio dei paesi fiamminghi messo in opera dai mercanti della Hansa fra il 1388 e il 1392 (41). Di lì a poco la promulgazione del monopolio del trasporto della lana aprirà per il secolo a venire nuove e fruttuose prospettive.
Il dinamismo è altrove, sulle rotte per il Levante ove il grande commercio marittimo riprende il posto che era stato suo. Gli scali di Tripoli di Siria, Beirut e Alessandria, i bazar di Damasco, Aleppo e Il Cairo rifioriscono grazie alla presenza veneziana, a lungo sospesa dai rigori dell'interdetto papale. Una Chiesa in preda allo smarrimento, combattuta fra Roma e Avignone, minacciata nella propria integrità territoriale nelle Marche, ha bisogno di entrate per condurre una guerra lunga e dispendiosa in Italia e finanziare l'acquisto di Avignone stessa da Giovanna I regina di Napoli. Il papa Clemente VI (1342-1352) vende dunque delle licenze che autorizzano gli scambi con i potentati musulmani; lungi dall'intenzione di rafforzare la potenza dei nemici della fede, vuole bensì vivificare lo spirito crociato e cerca con ciò di risollevare le finanze pontificie.
I Veneziani colgono l'occasione: il ritiro dell'interdetto papale segna l'avvento di un'epoca nuova. Già all'inizio del Trecento, ad esempio nel 1309 e nel 1312, Si era assistito a qualche tentativo di dare una organizzazione al traffico dei bastimenti mercantili con il Levante; ma adesso la buona disposizione del papato e la particolare situazione politica in Oriente esortano il senato ad agire con maggior vigore. Dopo la morte dell'imperatore bizantino Andronico III Paleologo nel 1341 la regione sprofonda nell'incertezza, e la levata dell'embargo arriva nel momento più opportuno. Nel 1344 l'ambasciatore veneziano Nicolò Zeno si reca al Cairo per sollecitare il rinnovo del trattato di pace del 1302. Missione coronata dal successo, ché lo Zeno ottiene il dimezzamento dell'imposta sulle transazioni commerciali (dal 20 al 10%), un'apprezzabile riduzione dei diritti dovuti sulla vendita dei metalli preziosi e la completa franchigia per le perle, il corallo e le pellicce.
Grande successo arride alla muda di Alessandria a partire dal 1345; il futuro è promettente e la rinnovata egemonia veneziana nel Levante si dispiega efficacemente. Merita attenzione il dettaglio delle operazioni. Dopo la lunga paralisi, durata circa trent'anni, lo Stato ha intenzione di rilanciare la linea e fra il 1344 e il 1345 interviene direttamente, come sempre, per dare impulso all'impresa. Al solito, la politica della Repubblica è volta a privilegiare l'instaurazione di relazioni economiche certe e durevoli, e la navigazione in convoglio delle galere sembra rispondere tanto alle aspirazioni dei mercanti veneziani quanto ai desideri del sultano. Quest'ultimo ricava indubbi benefici dai colloqui intavolati al massimo livello diplomatico sulla base dei trattati fra le due potenze, e lo Stato marciano, che si impegna in prima persona nell'armamento dei convogli, ne diventa il principale interlocutore. Ben presto il sistema degli incanti prende il sopravvento anche per la muda alessandrina, pure se la positiva risposta degli investitori porta un gettito ancora sensibilmente inferiore a quello della linea di Cipro. In effetti qualche incertezza continua ad albergare presso i mercanti poiché, come precisato nei capitolari degli incanti del 1359 e del 1385 recanti la formula "per gratiam pape", il mantenimento della tratta di Alessandria resta comunque subordinato alla concessione della licenza di commercio pontificia (42). Ma un fattore di importanza primaria spazzerà via ogni residuo di reticenza, vale a dire i lusinghieri risultati economici realizzati con il rivitalizzarsi delle importazioni di oro africano e i massicci invii di argento estratto nelle miniere dell'Europa orientale che in capo a poco tempo convinceranno tutti a partecipare alle sedute di incanto(43). Di più, conseguenza della distruzione delle agenzie commerciali italiane del mar Nero, i prezzi delle spezie sui mercati occidentali si impennano.
Una prima ombra cala sulla linea di Alessandria a causa della guerra degli Stretti, ma qualche anno di interruzione non reca danni irreparabili. Invece il cambiamento più inatteso è opera senza dubbio del sultano mamelucco che, presa coscienza delle carte in sua mano, vuole dividere in parti uguali i proventi del traffico delle spezie, né accetta ormai di essere l'intermediario passivo di un commercio tanto lucroso che passa per le sue terre. Già sul finire del secolo XIII il sultano Baibars aveva sacrificato invano molte energie in questo ambizioso progetto, accarezzato in seguito dai suoi successori della dinastia bahrita al potere fino al 1382. D'altronde il complesso dell'economia egiziana, soprattutto dopo la grande pestilenza del 1348, aveva fatto segnare una secca battuta d'arresto e la collaborazione con i mercanti cristiani era diventata vitale: situazione che limitava le pretese dei sultani del Cairo lasciando campo libero all'azione energica dei sudditi della Repubblica (44).
La ripresa economica egiziana si avvia dunque nel 1355 con la prova di forza del sultano, che - prefigurazione di un istituendo monopolio sulle transazioni - intende pervenire a un pesante aumento del prezzo delle spezie recidendo ogni legame con le leggi del mercato. Per segnalare chiaramente lo scontento di Venezia, il senato annulla la muda del 1360, ma l'anno seguente il comune, tenuto conto dei rischi della congiuntura, accetta di prendere in carico la gestione del convoglio. E ripetutamente lo Stato interviene per far fronte alle difficoltà generate dalla crociata intrapresa contro l'Egitto dal re di Cipro, Pietro I Lusignano, nel 1365. Gli ambasciatori veneziani Francesco Bembo e Pietro Soranzo trattano con il sultano Schaban Aschraf nel 1366 e, malgrado qualche incidente, l'importanza della muda alessandrina non cessa di crescere. Né l'episodio doloroso della guerra di Chioggia ha apprezzabili conseguenze sulle relazioni con l'Egitto, tanto più che nel 1382, anno in cui ricominciano le spedizioni, un colpo di Stato porta sul trono del Cairo la dinastia dei Circassi, desiderosi a loro volta di conseguire ogni vantaggio possibile dai trattati di pace e di commercio siglati con la Repubblica.
L'interscambio con l'Egitto a tutto beneficio dei Veneziani dipende dai rapporti di forza fra Musulmani e Cristiani, al tempo favorevoli ai secondi. L'incremento del gettito degli incanti della muda di Alessandria è costante e tocca vertici ineguagliati fra il 1393 e il 1403, periodo durante il quale tre galere compiono il viaggio tutti gli anni, accompagnate da una cocca.
Appare perfettamente giustificata l'osservazione di Marin Sanudo Torsello allorché, ai primi del Trecento, scriveva: "[...] quando le merci non possono seguire un determinato cammino, i mercanti, attenti alle loro possibilità di profitto riflettono, ricercano con grande cura e infine trovano una strada diversa seguendo la quale essi possono trasportare le loro merci alla stessa destinazione" (45).
Ancora una volta i Veneziani, che si erano felicemente adattati alle trasformazioni sopravvenute all'inizio del secolo, quando si trattava di rafforzare il commercio con i porti del mar Nero a scapito degli scali del litorale siro-egiziano, mettono in mostra la loro capacità di reagire rapidamente ai soprassalti congiunturali, com'è la forzata interruzione della muda di Cipro a causa del colpo di mano genovese del 1374 ai danni del re dell'isola, Pietro II. Nel 1375 e nel 1376 un convoglio adeguatamente rinforzato assicura il collegamento diretto fra Candia e Beirut. Con la guerra di Chioggia, poi, la navigazione di linea è impedita e la mano passa all'armamento privato fino al 1382, data del ritorno in grande stile del movimento commerciale marittimo nonché dell'esordio della muda siriana, debitamente regolamentata quanto a ritmo e intensità del traffico. Più d'ogni altra, la nuova rotta, che tocca Giaffa, Acri, Beirut, Tripoli e perfino Laodicea, riscuote consensi immediati, data la redditività di quei porti che resterà pressoché invariata fino al volgere del secolo successivo.
Negli ultimi anni del Trecento le galere attraccano nuovamente a Famagosta, ed è questo il periodo in cui è più elevato il numero delle unità in servizio nella muda di Beirut: cinque o sei galere grandi e due cocche effettuano il viaggio annuale, che fin dalla sua istituzione è inquadrato nel sistema degli incanti. E mette conto rilevare la complementarità delle mude di Siria e di Egitto, cui a seconda delle circostanze e della cronologia è affidata l'essenziale continuità della presenza veneziana nel commercio orientale. Lungo tutto il secolo i documenti ufficiali testimoniano la volontà politica della Repubblica di reperire gli strumenti più confacenti per rimuovere o abbattere qualsiasi ostacolo si frapponga sulla rotta di quei convogli che sono la fonte della prosperità e del benessere sociale degli abitanti di Venezia. Prima di entrare in guerra contro i Genovesi e prima di emanare l'ordine di requisizione delle galere da mercato, l'11 agosto del 1377 il senato tiene a sottolineare l'eccezionalità della misura: "Quod vita et salvus nostra est quod galee nostre navigent et quod non impediantur ullo modo et quod non perdamus tempus nostrum" (46). E l'improrogabilità della restaurazione di condizioni normali di navigazione e di commercio sarà ribadita nel 1382 da una deliberazione del maggior consiglio.
Avvenimenti pregni di conseguenze quali il ritiro dell'interdizione pontificia e la presa di Lajazzo da parte dei Mamelucchi nel 1347, che segue di poco il sacco della Tana, spingono il comune a modificare la propria strategia. Ormai la galera si è imposta come il mezzo navale più affidabile e sicuro, e l'assegnazione di galere nuove è di per sé, nell'ambito dell'incessante aumento della flotta mercantile durante il Trecento, un segnale significativo. Nel decennio 1340-1350 tutte le galere impiegate nella navigazione di linea escono dall'Arsenale: "le migliori fra queste" vengono riservate alla muda di Romània, mentre "le migliori [...] dopo quelle di Romània" sono destinate alla muda di Cipro. Nella Tab. 1 l'inversione di tendenza per l'ultimo tratto cronologico considerato va collegata alle turbolenze provocate dalla guerra di Chioggia, ma il fatto stesso che si procedesse all'assegnazione di galere nuove è indice evidente del rispetto delle priorità date (47).
Che cosa si deduce da questa evoluzione dell'insieme dei traffici veneziani nel Trecento? La temperie internazionale ebbe parte determinante nello sviluppo delle relazioni economiche con il Levante siro-egiziano e nel concomitante declino degli scambi con il mar Nero. La ripartizione del totale delle somme pagate durante le sessioni degli incanti per la locazione delle galere da mercato è al proposito un indicatore attendibile. Tenendo debito conto delle forti variazioni sopravvenute da un anno all'altro o nel corso di un periodo pluriannuale, che consentono di rettificare delle curve troppo irregolari, è possibile dare un quadro completo degli incanti che arricchisce le informazioni parziali fornite a suo tempo da Freddy Thiriet (48).
La Tab. 2 chiarisce i nuovi orientamenti degli investimenti effettuati dai patrizi nel campo dell'esercizio dei convogli di galere da mercato. Segnato dalle due guerre veneto-genovesi, il complesso del traffico tende a coagularsi intorno a tre poli distinti, Fiandra, Egitto e Siria. Durante i primi tre decenni del secolo XV questa tendenza è confermata da una distribuzione ancora più equilibrata: il 28% per la linea di Alessandria, il 26 per quella di Beirut e il 22 per quella di Fiandra. Quanto alla muda di Romània, supera appena la soglia del 10%, mentre la muda di Aigues-Mortes, di recente istituzione, tocca il 13%. Sono dati che dimostrano con chiarezza gli stupefacenti risultati del commercio marittimo veneziano al principio del Quattrocento. Una crescita formidabile che la Repubblica accompagnò e sostenne con la messa a punto di un meccanismo perfettamente adattato. E la popolazione di Venezia, inglobata nell'inestricabile mosaico di società mercantili che costituivano il cuore commerciale di una gigantesca azienda urbana, accettò di condividere le fatiche ma anche i frutti di quel prodigioso balzo in avanti, come constatava Antonio Morosini, alla morte del doge Antonio Venier il 24 novembre del 1400, dichiarando: "[...] e verdizava de stado de tutte ricchezze grande in tutti i cittadini". Venezia aveva vinto la sua scommessa sul futuro, che le si schiudeva dinanzi radioso.
Traduzione di Ernesto Garino
1. Giovanna Petti Balbi, Una città e il suo mare: Genova nel medioevo, Bologna 1991, p. 173; Enrico Basso, Genova: un impero sul mare, Genova 1994, p. 15.
2. Ugo Tucci, La navigazione veneziana nel Duecento e nel primo Trecento e la sua evoluzione tecnica, in Venezia e il Levante fino al secolo XV Atti del I Convegno internazionale di storia della civiltà veneziana (Venezia 1°-5 giugno 1968), a cura di Agostino Pertusi, I-II, Firenze 1973-1974: I/2, p. 838 (pp. 821-841).
3. Diplomatarium Veneto-Levantinum, sive Acta et Diplomata, Res Venetas, Graecas atque Levantiis illustrantia, I, 1300-1350, a cura di Georg M. Thomas, Venezia 1880 (Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di Storia Patria, ser. I, Documenti, V, pt. I), p. 125. Si v. pure Julian Chrysostomides, Venetian Commercia. Privileges under the Palaeologi, "Studi Veneziani", 12, 1970, p. 278 (pp. 267-356).
4. Freddy Thiriet, Les itinéraires des vaisseaux vénitiens et le rôle des agents consulaires en Romanie gréco-vénitienne aux XIVe-XVe siècles, in AA.VV., Venezia e le grandi linee dell'espansione commerciale, Venezia 1956, p. 191 (pp. 188-215); Nicolas Oikonomides, Hommes d'affaires grecs et latins à Constantinople (XIIIe-XVe siècles), Paris 1979.
5. Roberto S. Lopez, Venezia e le grandi linee dell'espansione commerciale nel secolo XIII, in AA.VV., La civiltà veneziana del secolo di Marco Polo, Firenze 1955, p. 63 (pp. 37-82).
6. Cf. la voce di Giorgio Ravegnani, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXIX, Roma 1983, pp. 179-181.
7. Cit. in Benjamin Z. Kedar, Mercanti in crisi a Genova e Venezia nel '300, Roma 1981, p. 80; l'elenco dei mercanti si desume da Nicola de Boateriis, notaio in Famagosta e Venezia (1355-1365), a cura di Antonino Lombardo, Venezia 1973.
8. Gino Luzzatto, Les activités économiques du Patriciat vénitien du Xe au XIVe siècle, "Annales d'Histoire Economique et Sociale", 9, 1937, p. 38 (pp. 25-57); Jean Richard, Chypre du protectorat à la domination vénitienne, in Venezia e il Levante fino al secolo XV Atti del I Convegno internazionale di storia della civiltà veneziana (Venezia 1º-5 giugno 1968), a cura di Agostino Pertusi, I-II, Firenze 1973-1974: I/2, p. 672 (pp. 657-677).
9. A.S.V., Senato, Misti, reg. 28, c. 44v.
10. Gino Luzzatto, Studi di storia economica veneziana, Padova 1954, p. 6; Id., Sindacati e cartelli nel commercio veneziano nei secoli XIII e XIV, "Rivista di Storia Economica", 1, 1936, pp. 62-66.
11. Alberto Tenenti, Venezia e la pirateria nel Levante: 1300 c.-1460 c., in Venezia e il Levante fino al secolo XV. Atti del I Convegno internazionale di storia della civiltà veneziana (Venezia 1°-5 giugno 1968), a cura di Agostino Pertusi, I-II, Firenze 1973-1974: I/2, p. 735 (pp. 705-771).
12. Lettere di mercanti a Pignol Zucchello (1336-1350), a cura di Raimondo Morozzo della Rocca, Venezia 1957, doc. 46, p. 89; Domenico prete di San Maurizio, notaio in Venezia (1309-1316); a cura di Maria Francesca Tiepolo, Venezia 1970 (Fonti per la storia di Venezia, sez. III, Archivi notarili).
13. Federigo Melis, I trasporti e le comunicazioni nel medioevo, a cura di Claudio Frangioni, Prato 1984, pp. 3-69; Frederic C. Lane, Venetian Ships and Shipbuilders of the Renaissance, Baltimore 1934, p. 92. La botte veneziana equivaleva a 0,64 tonnellate metriche: ad esempio, un bastimento da 600 botti stazzava all'incirca 380 tonnellate. A.S.V., Senato, Misti, reg. 27, c. 105.
14. Eliyahu Ashtor, Levant Trade in the Later Middle Ages, Princeton (N. J.) 1983, p. 381.
15. Frederic C. Lane, I tonnellaggi nel medioevo e in epoca moderna, in Id., Le navi di Venezia fra i secoli XIII e XVI, Torino 1983, pp. 124-149; Id., La marina mercantile della Repubblica di Venezia, ibid., pp. 24-44; Jeanclaude Hocquet, Le sel et la fortune de Venise, II, Voiliers et commerce en Méditerranée 1200-1650, Lille 1979 (trad. it Il sale e la fortuna di Venezia, Roma 1990), p. 106.
16. Andreae Danduli Chronica brevis a. 46-1342, a cura di Ester Pastorello, in R.I.S.2, XII, 1, 1938-1958, pp. 329-373.
17. Alain Ducellier-Bernard Doumerc, Les chemins de l'exil: bouleversements de l'Est européen et migrations vers l'Ouest à la fin du Moyen-Âge, Paris 1992, p. 210.
18. Si v. in proposito il volume tematico Il Mare di quest'opera nonché Alberto Tenenti-Corrado Vivanti, Le film d'un grand système de navigation: les galères marchandes vénitiennes XIVe-XVIe siècles, "Annales E.S.C.", 16, 1961, nr. 1, p. 83 (pp. 83-86 e cartina).
19. Le deliberazioni del Consiglio dei Rogati (Senato). Serie "Mixtorum", II, Libri XV-XVI, a cura di Roberto Cessi-Mario Brunetti, Venezia 1961 (Monumenti storici pubblicati dalla Deputazione di Storia Patria per le Venezie, n. ser., 16), nrr. 87, 116, 248; A.S.V., Senato, Misti, reg. 5, novembre 1318.
20. Frederic C. Lane, Le galere di mercato, 1300-34: esercizio privato e di Comun, in Id., Le navi di Venezia fra i secoli XIIIe XVI, Torino 1983, pp. 50. ss. (pp. 49-81). Sul giuramento prestato dai "patroni" delle galere si v. Luigi Fincati, Splendore e decadenza della marina mercantile di Venezia, "Rivista Marittima", 11, 1878, pp. 165-171.
21. A.S.V., Maggior Consiglio, Deliberazioni, Liber Fronesis, c. 58v; F.C. Lane, Le galere di mercato, pp. 61 62.
22. A.S.V., Senato, Misti, reg. 24, c. 22.
23. Frederic C. Lane, Società familiari e imprese a partecipazione congiunta, in Id., I mercanti di Venezia, Torino 1982, p. 242 (pp. 237-255).
24. Reinhold C. Mueller, "Chome l'ucciello di passagio": la demande saisonnière des espèces et le marché des changes à Venise au Moyen-Âge, in Études d'histoire monétaire, XIIe-XIXe siècles, a cura di John Day, Lille 1984, p. 200 (pp. 195-219); Id., The Procurators of San Marco in the Thirteenth and Fourteenth Centuries: A Study of the Office as a Financial and Trust Institution, "Studi Veneziani", 13, 1971, p. 128 (pp. 105-220).
25. Frederic C. Lane, Navires et constructeurs à Venise pendant la Renaissance, Paris 1965, p. 222 e Tab. C.
26. Ennio Concina, L'Arsenale della Repubblica di Venezia,
Venezia 1984, p. 26.
27. Jean Richard, La Papauté et les missions d'Orient au Moyen-Âge XIIIe-XVe, Rome 1977.
28. Michel Balard, Les Vénitiens à Chypre dans les années 1300, "Byzantinische Forschungen", 12, 1987, p. 595 (pp. 587-603).
29. Pierre Racine, Note sur le trafic véneto-chypriote à la fin du Moyen-Âge, ibid., 5, 1977, p. 306 (pp. 304-326).
30. Sergej P. Karpov, L'impero di Trebisonda, Venezia, Genova e Roma (1204-1461). Rapporti politici, diplomatici e commerciali, Roma 1986, p. 194.
31. Mihnea Berindei-Gilles Veinstein, La Tana-Azaq de la présence italienne à l'emprise ottomane (fin XIIIe-milieu XVIe siècle), "Turcica", 8, 1976, nr. 2, p. 128 (pp. 110-201).
32. Sergej P. Karpov, La navigazione di linea della Repubblica di Venezia nel mar Nero (sett. XIII-XV) (in lingua russa), Moskva 1994, p. 181.
33. Federigo Melis, I mercanti italiani nell'Europa medievale e rinascimentale, a cura di Luciana Frangioni, Firenze 1990, pp. IX ss.
34. Edouard Freyde, Italian Maritime Trade with Medieval England (c. 1250-c. 1530), I-II, Brussels 1974 (Les Grandes Escales. Recueil de la Société Jean Bodin, XX).
35. A.S.V., Senato, Misti, reg. 45, c. 11v.
36. Ibid., reg. 16, c. 41v.
37. Jacques Heers, Il commercio nel Mediterraneo alla fine del sec. XIV e nei primi anni del XV, "Archivio Storico Italiano", 113, 1955, nr. 2, pp. 157-209.
38. A.S.V., Senato, Misti, reg. 27, c. 104.
39. Ibid., reg. 32, c. 12: "Quod viazo non ibit in desolatione".
40. Ibid., reg. 36, c. 15v.
41. Ibid., reg. 41, cc. 142, 144.
42. Ibid., reg. 29, c. 2, e reg. 39, c. 96v; si v. inoltre il volume di Giorgio Cracco, Un "altro mondo". Venezia nel medioevo dal secolo XI al secolo XIV, Torino 1986, p. 123.
43. Frederic C. Lane, Exportations vénitiennes d'or et d'argent de 1200 à 1450, in Études d'histoire monétaire, XIIe-XIXe siècles, a cura di John Day, Lille 1984, pp. 29-48; Desanka Kovacevic, Dans la Serbie et la Bosnie médiévales: les mines d'or et d'argent, "Annales E.S.C.", 15, 1960, pp. 248-258.
44. Eliyahu Ashtor, Histoire des prix et des salaires dans l'Orient médiéval, Paris 1969, p. 269.
45 Cit. in B. Z. Kedar, Mercanti in crisi, p. 173.
46. A.S.V., Senato, Misti, reg. 36, c. 30.
47. Doris Stöckly, Le système de l'incanto des galées du marché à Venise (fin XIIIe-milieu XVe siècle), Leiden-New York-Köln 1995 (The Medieval Mediterranean, 5), p. 158.
48. Freddy Thiriet, Quelques observations sur le trafic des galées vénitiennes d'après les chiffres des incanti (XIVe-XVe siècles), in AA.VV., Studi in onore di A. Fanfani, III, Milano 1962, p. 495 (pp. 493-522).