Gli imperatori e l'iconoclasmo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Agli inizi dell’VIII secolo, l’autorità imperiale condanna sempre più apertamente il diffuso culto delle icone. Si svilupperà una vivissima opposizione interna, facente capo soprattutto a quello che potrebbe essere definito il “partito dei monaci”, e sarà solo alla metà del secolo successivo che il movimento iconoclasta (che nel frattempo ha assunto una dimensione più intellettuale) sarà definitivamente sconfitto.
L’imperatore Leone III Isaurico sale al trono nel 717, dopo l’ennesimo colpo di stato in pochi anni, quando Costantinopoli sta per essere nuovamente assediata da forze arabe preponderanti. L’invalicabilità delle mura terrestri, l’utilizzo del fuoco greco da parte della flotta, un inverno particolarmente rigido, la defezione di numerosi cristiani che militano nell’esercito del califfo e l’aiuto dei Bulgari fanno sì che l’assedio sia tolto nell’agosto del 718.
Gli Arabi continuano comunque a devastare l’Asia Minore, e quando nel 726 si verifica una terribile esplosione vulcanica nei pressi di Santorini molti credono (secondo quanto riportano le fonti) di trovarsi dinanzi a una serie di segni della collera divina. Leone, si dice, scorge la causa dello sdegno celeste nell’eccessiva venerazione prestata alle sacre immagini, le icone, ed è per questo che fa rimuovere (non senza resistenze da parte della popolazione, stando alle fonti) l’immagine del Cristo collocata sulla Chalke, l’ingresso monumentale del Gran Palazzo. Nel 730 condanna apertamente il culto delle icone, promuovendo invece quello del puro e semplice simbolo della croce. È influenzato – ritengono alcuni storici moderni – dal pensiero ebraico e islamico. La sua iniziativa viene dapprima criticata e poi condannata da Roma.
Il basileus fa in tempo a cogliere un grande successo contro gli Arabi ad Akroinos, nel 740, prima di morire l’anno successivo. Suo figlio Costantino V, in seguito detto Copronimo, riesce a salire stabilmente sul trono solo nel 744, dopo aver domato la rivolta del cognato Artavasde, che si è messo a capo del partito che propugna la venerazione delle icone, i cosiddetti iconoduli. Nel frattempo, in ambito orientale, si compie un epocale cambiamento: il califfato, caduto in mano agli Abbasidi, viene trasferito da Damasco a Baghdad. Questo, insieme allo stato di turbolenza che perdura per alcuni anni nel mondo islamico, porta a un netto calo della pressione sulle frontiere bizantine, permettendo a Costantino di strappare agli Arabi diverse città confinarie e soprattutto di intervenire in forze sulla frontiera occidentale, dove vengono assoggettate diverse tribù slave in Macedonia e si colgono vari successi contro i Bulgari. Il nuovo basileus non ritiene invece opportuno distaccare uomini e mezzi in Italia per contrastare la preoccupante espansione dei Longobardi (Ravenna cade nel 751) e anzi a quanto pare non avversa la richiesta di aiuto rivolta da papa Stefano II a Pipino, sovrano dei Franchi (tradizionalmente in buoni rapporti con i Bizantini). La rinuncia al sogno “romano” di egemonia panmediterranea e la gravitazione orientale dell’impero, già profilata nel VII secolo, si compiono dunque ora in maniera definitiva.
Sulla questione delle immagini Costantino V procede sulle orme del padre: nel 754, nel concilio di Hieria, viene emesso un decreto dogmatico nel quale il culto delle icone risulta inappellabilmente condannato.
Se il partito degli oppositori delle icone, definiti iconoclasti o iconomachi, conta aderenti soprattutto nell’esercito (in particolare nei tagmata, i nuovi reggimenti d’élite non legati al territorio), gli iconoduli si trovano in particolare negli ambienti monastici (che, soprattutto dopo il 765, patiranno numerose persecuzioni) e in quelli delle antiche famiglie aristocratiche di Costantinopoli (in particolare nell’elemento femminile). Il lungo e complesso dibattito storiografico sull’argomento mette l’accento d’altronde sulle motivazioni politiche ed economiche (il centralismo degli imperatori contro le tendenze feudali o centrifughe dei grandi proprietari terrieri) o filosofiche (il partito degli iconomachi sorretto dagli estremi sviluppi del platonismo, quello avverso dal rinascente aristotelismo) della crisi iconoclastica.
Durante il breve regno del figlio di Costantino, Leone IV, proseguono i successi sul fronte orientale e, pur restando l’iconomachia uno dei pilastri della dottrina imperiale, alcune posizioni vengono ammorbidite. Alla morte del padre, ed essendo ancora in minore età il giovane Costantino VI, la reggenza viene assunta dalla madre Irene, la quale, per ritagliarsi un potere personale sempre più ampio nonostante l’opposizione degli apparati di corte, decide di schierarsi dalla parte degli avversari del regime, ossia degli iconoduli, particolarmente numerosi nella capitale. Nonostante la viva opposizione delle truppe dei tagmata, che riesce alla fine ad allontanare da Costantinopoli per un’ennesima spedizione contro gli Arabi, l’imperatrice fa riabilitare il culto delle icone all’interno del concilio di Nicea del 787.
La pressione del partito iconoclasta, tuttavia, la costringe a cedere il potere al figlio nel 790. Costantino VI si dimostra un regnante poco capace, e deve inoltre fronteggiare l’opposizione del clero iconodulo alle sue intemperanze matrimoniali. Né la stessa Irene si è rassegnata alla perdita del potere. Approfittando del malcontento crescente, nel 797 fa accecare il figlio e ritorna sul trono come basileus a tutti gli effetti, inaugurando ufficialmente quella che sarà una specificità della basileia bizantina rispetto all’antico Impero romano: la liceità giuridica di un potere tutto femminile al vertice dello Stato, che avrà nel seguito della sua storia altre e peraltro brillanti attestazioni. Il governo di una donna sulla massima potenza dell’ecumene viene peraltro percepito al tempo come anormale. Prima che Irene sia spodestata nell’802 da un suo alto funzionario, Niceforo, i torbidi che accompagnano il suo pur buon governo stimolano l’aggressività delle potenze ostili su tutti i fronti. Si ricomincia a pagare un tributo al califfato e si deve subire una serie di sconfitte a opera di Krum, il bellicoso khan dei Bulgari. Anche nel buio e lontano Occidente la situazione si fa preoccupante: Carlo Magno è incoronato imperatore dal papa nell’800 e inizialmente si teme che voglia marciare contro Costantinopoli. Dopo una serie di scontri, poco risolutivi, nell’area dell’alto Adriatico, per il controllo di Venezia e dell’Istria, Michele I, genero di Niceforo, invia nell’812 i suoi ambasciatori ad Aquisgrana per riconoscere a Carlo il titolo di basileus dei Franchi, tuttavia, non certo dei Romani.
La situazione interna sempre più instabile e l’avanzata di Krum verso Costantinopoli portano allo spodestamento di Michele e all’incoronazione di un militare di alto rango, lo stratego del tema degli Anatolici, Leone V, che riesce alla fine a respingere i Bulgari e che nell’815, assecondando soprattutto pressioni del partito militare (nella cui base, stando alle fonti, il tracollo dell’impero viene collegato al ritorno all’iconodulia), adotta nuovamente le risoluzioni iconoclaste del concilio di Hieria.
Si inizia così la seconda fase dell’iconoclasmo, nella quale, benché non siano mancati episodi di persecuzione soprattutto a danno dei leader del partito monastico (ad esempio l’esilio di Teodoro di Studio, a capo dell’omonimo monastero costantinopolitano, centro dell’opposizione interna all’iconoclastia), lo scontro ha luogo soprattutto a livello teologico e dottrinale, con ambedue le parti impegnate nella ricerca di testi antichi che supportino le proprie posizioni e nella conseguente produzione di libelli e pamphlets. Il forte e comunque più illuminato potere della seconda lignée imperiale iconoclasta non rende la situazione politica meno complessa. Krum, è vero, muore nell’814 e i Bulgari sono pesantemente respinti, ma Leone V viene assassinato nell’820 e negli anni successivi il suo successore, Michele di Amorio in Frigia, si trova a fronteggiare vari tentativi di rivolta che permettono agli Arabi di iniziare la conquista di Creta e della Sicilia. Il figlio di Michele, il colto Teofilo, iconoclasta convinto, cerca di riprendere l’iniziativa sul fronte anatolico, ma ad alcuni iniziali successi (resi possibili anche dalla defezione di un folto gruppo di Persiani che si ribellano al califfato e il cui capo è battezzato cristiano col nome di Teofobo) seguono varie sconfitte, tra cui la psicologicamente catastrofica perdita della città di Amorio (da cui proviene la famiglia imperiale stessa), con il massacro degli ufficiali bizantini fatti prigionieri (i cosiddetti “martiri di Amorio”). A questo periodo sembra possa essere datato l’invio in Occidente di ambascerie in cerca di aiuto contro gli Arabi.
Alla morte di Teofilo, la reggenza per il piccolo Michele III viene assunta dall’imperatrice Teodora, che, se da un lato condanna rapidamente l’iconoclasmo per riabbracciare le formule del secondo concilio di Nicea, dall’altro si assicura che la memoria del marito sia comunque rispettata, diffondendo la voce di una sua improbabile conversione sul letto di morte. Per quanto nei lunghi anni della reggenza non manchino le lotte di potere a corte, la situazione sul fronte orientale va progressivamente migliorando: il repentino processo di disintegrazione del califfato abbaside trasforma le annuali spedizioni jihadiste contro i Bizantini in una contesa locale di cui sono responsabili due emiri di frontiera, quello di Tarso e quello di Melitene, occasionalmente aiutati da un gruppo di pauliciani (è questo il nome che prendono nell’area microasiatica le rinascenti sectae del ceppo dualista gnostico-manicheo), che hanno scelto l’insurrezione armata contro l’ortodossia imposta da Costantinopoli.
Il regno di Michele III è peraltro dominato dalla figura di un altro grande intellettuale politico, Fozio, divenuto patriarca nell’858 dopo la cacciata del suo predecessore Ignazio, il cui appello, strumentalmente accolto da Roma, dà a Fozio il movente materiale per quel duro scontro con il papato che culmina nella scomunica del pontefice per eresia al concilio dell’867: si tratta del cosiddetto “scisma foziano”, che tuttavia ha vita breve, poiché nello stesso anno Michele III è ucciso e sostituito dal proprio uomo di fiducia, Basilio detto il Macedone, che poco dopo depone lo stesso Fozio. Ma le divergenze tra Roma e Costantinopoli hanno cause e radici ben più profonde: proprio in quegli anni si gioca la partita dell’evangelizzazione dell’Europa orientale, e se l’opera di Cirillo e Metodio in Moravia risulta presto intaccata dall’influenza romana, l’arrivo dei discepoli di questi in Bulgaria è determinante per la conversione del regno bulgaro, ormai slavizzato, al cristianesimo orientale.