Gli incentivi all’occupazione. La “Garanzia per i giovani” e le politiche attive
L’Unione europea è impegnata da tempo nella elaborazione di linee volte a fronteggiare la disoccupazione giovanile e ad incanalare l’azione degli Stati membri verso efficaci azioni di contrasto. Il presente contributo ricostruisce, innanzi tutto, il percorso svolto dall’Unione europea nella predisposizione della “Youth guarantee” e sfociato nella Raccomandazione del Consiglio del 22 aprile 2013. Viene poi illustrata la normativa italiana riguardante la “Garanzia per i giovani” e più precisamente l’art. 5 del d.l. 28.6.2013, n. 76 convertito in l. 9.8.2013, n. 99. L’attenzione viene posta, per un verso, sulla “struttura di missione” preposta all’elaborazione delle linee guida per l’attuazione dell’intervento e, per altro verso, sulla banca dati politiche attive e passive, considerata strumento fondamentale per l’efficace esito della “Garanzia”. Nel segnalare gli aspetti problematici dell’iniziativa, viene sottolineata la gracilità dei servizi per l’impiego italiani.
La cd. “Garanzia per i giovani”, prevista dall’art. 5 del d.l. 28.6.2013, n. 76 convertito in l. 9.8.2013, n. 99, è la formula con cui il legislatore italiano ha inteso dare attuazione a quell’insieme di interventi di politica attiva del lavoro proposto dalla Commissione europea nel dicembre 2012, nell’ambito del pacchetto per l’occupazione dei giovani (Youth Employment Package), e successivamente ripreso dalla Raccomandazione del Consiglio n. 2013/C 120/01 del 22.4.2013 sulla “Youth Guarantee”.
Invero, questi ultimi provvedimenti non rappresentano che il punto di arrivo di un percorso che da tempo le istituzioni comunitarie stanno svolgendo, consapevoli degli effetti negativi sull’occupazione giovanile della grave crisi finanziaria ed economica manifestatasi a partire dal 20081. In particolare l’Unione europea, esercitando i poteri ad essa riconosciuti nel campo della politica occupazionale e della formazione professionale2, si è impegnata nella predisposizione di programmi e strumenti, aggiuntivi a quelli ordinari, per favorire l’occupazione dei giovani (in specie quelli di età non superiore a 25 anni) e contrastare il fenomeno di coloro che, nella stessa fascia di età, non lavorano, né seguono percorsi di istruzione o formazione (cd. neet).
In proposito è opportuno ricordare le iniziative in tal senso “New Skills for New Jobs”3 e “Youth on move”4, promosse nell’ambito della Strategia Europa 2020. Non può, inoltre, essere dimenticata la Comunicazione del 2011 “Youth Opportunities Initiatives”5 in cui è stata espressa la preoccupazione per «il rischio di una generazione perduta» (data la presenza, nel periodo considerato, di oltre 5 milioni di giovani disoccupati in Europa ed il crescente fenomeno dei neet, pari a 7,5 milioni di giovani tra i 15 ed i 24 anni). È proprio in questo documento che vediamo riapparire6, nell’ambito di un articolato programma di proposte rivolte agli Stati membri, l’idea di una “Garanzia per i giovani” finanziata direttamente dalla Commissione europea, intesa come impegno ad offrire a tutti i giovani, entro i quattro mesi dalla conclusione del percorso di studi o di formazione oppure dalla entrata in disoccupazione, sostegni all’inserimento lavorativo. A questa iniziativa, fa seguito, nella primavera del 2012, il “Pacchetto UE per l’occupazione” che costituisce un’agenda di medio termine per la realizzazione di azioni utili per incrementare l’occupazione, anche giovanile.
In vero, l’azione di stimolo e sostegno svolta dalla Unione europea non ha prodotto fino ad ora risultati rilevanti. Ne è una prova l’insoddisfazione espressa dal Parlamento europeo nella recente Risoluzione dell’11.9.2013: in tale documento si afferma che, «sebbene agli Stati membri fossero state richieste misure specifiche nel primo ciclo della strategia dell'UE per la gioventù, i progressi raggiunti sono molto modesti»; il Parlamento addirittura rileva che, in parecchi casi, «la situazione è peggiorata e che in molti Stati membri non esiste una strategia specifica per la gioventù»7.
Anche in ragione di questo stato di insoddisfazione, il percorso comunitario, per quanto attiene al tema oggetto della presente analisi, ha subito nell’ultimo periodo una accelerazione. Basti ricordare la proposta di Raccomandazione del Consiglio europeo sull’istituzione di una “Garanzia per i giovani” del 5.12.2012, la Risoluzione del Parlamento europeo del 16.1.2013, l’accordo politico raggiunto in sede di Consiglio per l’occupazione ed Affari sociali del 28.2.2013 nonché, a conclusione dell’iter, la citata Raccomandazione del Consiglio n. 2013/C 120/01 del 22.4.2013.
Alla luce delle indicazioni comunitarie è possibile ricostruire il perimetro normativo entro cui potrà collocarsi l’intervento di tutti gli Stati membri (e quindi anche del nostro Paese) in attuazione della “Garanzia per i giovani”.
La Commissione europea si è impegnata a concedere finanziamenti agli Stati membri per promuovere iniziative volte ad agevolare l’occupazione di giovani di età inferiore ai 25 anni8 che risiedono in regioni che presentano un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 25%9. Tali interventi sono caratterizzati da tempestività: essi devono essere offerti, infatti, entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dal termine dei percorsi di istruzione o di formazione.
La gamma degli interventi presi in considerazione dalla Raccomandazione sopra citata è assai ampia. Tra le azioni indicate, assumono particolare rilievo le seguenti:
a) accoglienza e profiling;
b) orientamento personalizzato;
c) percorsi di studio o di formazione professionale specifica, con particolare attenzione a coloro che hanno abbandonato prematuramente gli studi o sono in possesso di qualifiche deboli;
d) tirocini formativi e di orientamento eventualmente accompagnati da una borsa di tirocinio10;
e) offerta di posti di lavoro qualitativamente validi (anche all’estero, tramite la rete Eures), mediante assunzione con contratto di apprendistato o con altre forme contrattuali, eventualmente dotati di incentivi contributivi o fiscali (nei limiti previsti dalla normativa comunitaria sugli aiuti di Stato)11;
f) servizi a sostegno dello start-up di nuove imprese e sensibilizzazione alle opportunità offerte dal lavoro autonomo;
g) specifiche misure di aiuto a coloro che avviano o rilevano imprese nei tre settori privilegiati dalla Strategia europea (green economy, servizi alla persona, ICT).
Nella progettazione del sistema della “Garanzia per i giovani”, l’Unione raccomanda agli Stati membri di tenere conto del fatto che i giovani non costituiscono un gruppo omogeneo (e quindi necessitano di misure articolate). Vengono inoltre date indicazioni sul piano organizzativo:
i) in primo luogo si chiede di identificare l’autorità pubblica pertinente incaricata di istituire e gestire il sistema di “garanzia per i giovani”. Se non è possibile per uno Stato membro, per ragioni di natura costituzionale, identificare un’unica autorità pubblica, devono essere individuate le autorità pertinenti, ... indicando tra loro un unico punto di contatto incaricato di comunicare alla Commissione l’esecuzione della garanzia per i giovani;
ii) in secondo luogo la Raccomandazione precisa che «il punto di partenza per il rilascio della garanzia ai giovani dovrebbe essere la registrazione presso un servizio occupazionale»;
iii) si raccomanda, inoltre, alle istituzioni pubbliche di elaborare strategie basate sulla partnership con i datori di lavoro, con le parti sociali e con le organizzazioni giovanili;
iv) vi è, infine, la sollecitazione a che le azioni vengano attuate sviluppando la partnership tra i diversi soggetti che operano nel campo della formazione, dell’istruzione e del lavoro ed in specie tra i servizi per l’impiego pubblici e privati.
La novità dell’intervento induce il Consiglio europeo ad insistere sulla necessità di costanti attività di monitoraggio e valutazione dei sistemi nazionali di “garanzia per i giovani”, anche nell’intento di trarre insegnamenti per adeguamenti e revisioni.
Quanto al finanziamento, va precisato che la “Garanzia per i giovani” gode di una dotazione speciale pari a 8 miliardi di euro per il periodo settennale dal 2014 al 2020 per tutti i 27 Paesi dell’Unione. Va segnalato, peraltro, che in sede internazionale è diffusa l’opinione che queste risorse siano insufficienti (basti segnalare in proposito che l'OIL ritiene necessario uno stanziamento di almeno 21 miliardi di euro, pari allo 0,5% della spesa complessiva della zona euro, per attuare pienamente una garanzia nell'UE (punto K dei considerando)12.
È pressante pertanto l’invito ad utilizzare la dotazione speciale di cui si è detto congiuntamente alle risorse che saranno rese disponibili dal FSE per il sostegno ai giovani13. È questo un punto centrale per assicurare efficacia alla Garanzia per i giovani; le risorse derivanti dallo stanziamento speciale appaiono insufficienti per darle effettività. Appare quindi necessario affiancarle con quelle derivanti dalla programmazione 2014-2020 del FSE, opportunamente orientata verso l’ampio sostegno alla occupazione giovanile.
Anche il nostro Paese, nello stesso periodo di tempo, ha tentato di reagire al costante peggioramento dei dati sull’occupazione giovanile14. L’attenzione delle istituzioni pubbliche e della parti sociali si è a lungo concentrata sulla riforma dell’apprendistato, nell’intento di favorirne l’affermazione quale «modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro»15. Il principale esito di questo percorso è rinvenibile nel d.lgs. 14.9.2011, n. 167, Testo unico dell’apprendistato16.
Lo scarso successo della riforma dell’apprendistato ha indotto il legislatore a ritornare sul tema. Il d.l. n. 76/2013 convertito in l. n. 99/2013, dedica, infatti, l’intero Titolo I al contrasto della disoccupazione con particolare attenzione a quella giovanile. L’art. 1 prevede la concessione di incentivi a sostegno dell’assunzione a tempo indeterminato di giovani lavoratori (fino a 29 anni di età). Anche l’art. 2 contiene un insieme di misure straordinarie per favorire l’occupazione giovanile: si va dalla revisione della disciplina dell’apprendistato professionalizzante alle disposizioni finalizzate alla promozione dei tirocini formativi e di orientamento (ed in specie dei tirocini curriculari svolti in ambito universitario). In aggiunta alle misure sopra indicate, l’art. 3 prevede ulteriori sostegni destinati a favorire l’occupazione giovanile nei territori del Mezzogiorno.
L’art. 5 completa l’intervento disciplinando l’attuazione nel nostro Paese della “Garanzia per i giovani” (abbinata, invero, alla promozione della ricollocazione dei lavoratori beneficiari di interventi di integrazione salariale in particolare, al sistema degli ammortizzatori sociali cosiddetti “in deroga” alla legislazione vigente).
Il principale elemento di innovazione è dato dalla istituzione a questi fini, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di un’apposita “struttura di missione”. In relazione al carattere sperimentale dell’art. 5, è previsto che la struttura di missione cessi comunque la sua attività al 31.12.2015.
La norma in esame configura la struttura come sede partecipata da Stato, regioni e province ed affida ad essa lo svolgimento di compiti «propositivi ed istruttori, … in attesa della definizione del processo di riordino sul territorio nazionale dei servizi per l’impiego». L’attività propositiva ed istruttoria di cui si è detto è destinata a trasformarsi in intese definitive ed impegnative in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni, di cui all’art. 12 della l. 23.8.1988, n. 400, o in sede di Conferenza unificata.
La Struttura di missione si configura, pertanto, come un organo collegiale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che racchiude nel suo seno rappresentanti dei diversi livelli di governo preposti alla realizzazione delle politiche occupazionali; tutto ciò nell’intento di far scaturire proposte condivise che possano assicurare la tempestività e l’efficacia necessarie a misure che dovrebbero avere attuazione a partire dal 1.1.2014.
La Struttura di missione è chiamata (tra l’altro) a:
a) interagire, nel rispetto dei principi di leale collaborazione, con i diversi livelli di governo preposti alla realizzazione delle politiche occupazionali;
b) definire le linee-guida nazionali, da adottarsi anche a livello locale, per la programmazione degli interventi di politica attiva;
c) promuovere, indirizzare e coordinare gli interventi di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di Italia Lavoro s.p.a. e dell’Isfol;
d) individuare le migliori prassi, promuovendone la diffusione e l’adozione fra i diversi soggetti;
e) promuovere la stipula di convenzioni ed accordi con istituzioni pubbliche, enti ed associazioni private per implementare e rafforzare, in una logica sinergica ed integrata, le diverse azioni;
f) valutare gli interventi e le attività espletate in termini di efficacia e di efficienza e di impatto e definire meccanismi di premialità in funzione dei risultati conseguiti dai vari soggetti;
g) proporre ogni opportuna iniziativa per integrare i diversi sistemi informativi, definendo a tal fine linee-guida per la banca-dati politiche attive e passive (di cui all’art. 8 della stessa legge);
h) predisporre periodicamente, in esito al monitoraggio degli interventi, rapporti contenenti anche proposte di miglioramento dell’attività amministrativa.
È opportuno sottolineare sin d’ora che ciascuno dei punti sopra citati testimonia della volontà di favorire atteggiamenti cooperativi tra i diversi livelli di governo interessati al tema.
È il tentativo di accantonare, nell’applicazione della riforma del Titolo V della Costituzione, il metodo conflittuale che ha caratterizzato il rapporto Stato-regioni per quasi tutto lo scorso decennio. A lungo, infatti, le incertezze generate dalla riforma costituzionale hanno trasformato l’area dei servizi per l’impiego, delle politiche del lavoro e della formazione professionale in un terreno di conflitto permanente.
Negli anni più recenti, la “saggezza” dei rappresentanti delle istituzioni ha cercato di superare questi limiti dell’assetto istituzionale mediante intese tra Stato e regioni. Ricordo, per tutti, l’Accordo del 12.2.2009 sugli “Ammortizzatori in deroga” e l’Accordo dell’autunno 2011 sul “Nuovo apprendistato”.
La “Garanzia per i giovani” si offre, dunque, come un’ulteriore “banco di prova” per praticare questo spirito di collaborazione nella costruzione di modelli d’azione nazionali (cioè condivisi da Stato e regioni), nell’attesa, come ha chiarito il Ministro, che vada in porto l’azione di riforma strutturale del sistema.
Anzi, per molti versi, la definizione consensuale di modelli condivisi per l’attuazione della “Garanzia per i giovani” può essere un modo concreto per avvicinarci alla “Grande Riforma” strutturale.
Mi immagino, quindi, l’attuazione della Garanzia Giovani come il frutto di intese simili, nello spirito, a quelle citate in precedenza (ed in particolare a quella del 2009). Avendo però alle spalle due nuovi interventi legislativi (la l. n. 92/2012 e la l. n. 99/2013) potremmo immaginare di giungere ad intese capaci di osare di più di quanto non sia stato fatto in passato.
L’obiettivo, dunque, può essere quello di sperimentare un modello condiviso che abbia l’ambizione di essere “nazionale” (non solo statale), cioè di assicurare a tutti i giovani rientranti nel target previsto in ogni parte del territorio nazionale (da Bolzano a Palermo) i servizi, gli interventi, gli incentivi della Garanzia.
Questo può essere perseguito se ci si muove in una logica che in prima battuta pone minor attenzione ai confini di competenza e maggior attenzione alla costruzione di un disegno che abbia una sua organicità (con l’accordo del 2009 così si è fatto!); il che non vuol dire negare la divisione di competenze ma provare prudentemente a condividerle in una prospettiva di cambiamento.
Si è già detto che il modello normativo previsto per la “Garanzia per i giovani”, basato sul principio di leale collaborazione alla luce del quale i diversi livelli di governo preposti alla realizzazione delle politiche occupazionali concertano proposte per l’individuazione di obiettivi e linee-guida che devono presiedere all’intervento, è applicato, dall’art. 5 del provvedimento in esame, anche un’altra emergenza occupazionale che affligge il Paese: la ricollocazione dei lavoratori destinatari dei cosiddetti “ammortizzatori sociali in deroga”.
Si ha la fondata impressione che il legislatore stia tentando di costruire e sperimentare, su settori circoscritti del mercato del lavoro (Garanzia per i giovani e ricollocazione lavoratori beneficiari di trattamenti “in deroga”), schemi destinati, a seguito di attenta valutazione, alla generalizzazione nei confronti di tutti i disoccupati.
In questa prospettiva assume rilievo la costituzione di una banca dati in materia di lavoro, denominata “banca dati politiche attive e passive” (v. art. 8 del medesimo d.l. n. 76/2013 convertito in l. n. 99/2013), quale struttura operante nell’ambito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al fine di raccogliere “le informazioni concernenti i soggetti da collocare nel mercato del lavoro, i servizi erogati per una loro migliore collocazione nel mercato stesso e le opportunità di impiego”. Non si tratta di una banca dati separata dagli strumenti già previsti ed operanti: la norma precisa, infatti, che essa costituisce una componente del S.I.L. (sistema informativo lavoro) di cui all’art. 11 del d.lgs. 23.12.1997, n. 469 e della borsa continua nazionale del lavoro (resa disponibile mediante Cliclavoro) di cui all’art. 15 del d. lgs. 10.9.2003, n. 276.
Alla sua costituzione concorrono molti soggetti in possesso di dati necessari alla compiuta conoscenza del mercato del lavoro: oltre al Ministero del lavoro e delle politiche sociali anche le regioni, le province, l’Inps, l’Isfol, Italia-lavoro s.p.a., Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministero dell’interno, il Ministero dello sviluppo economico, le Università pubbliche e private e le Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura. Ciascuno dei soggetti sopra indicati è tenuto a far confluire presso la “banca dati politiche attive e passive” le informazioni in suo possesso utili al conoscenza del mercato del lavoro, del suo funzionamento, degli interventi di politica attiva e passiva del lavoro posti in essere, nonché dei comportamenti degli attori (in primo luogo dei datori di lavoro e dei lavoratori). A titolo esemplificativo può essere ricordato che confluiranno in un unico contenitore le informazione della Banca dati percettori (di sostegni al reddito), istituita dall’art. 19, co. 4, d.l. 29.11.2008, n. 185 convertito dalla l. 28.1.2009, n. 2, l’Anagrafe nazionale degli studenti e dei laureati delle università di cui all’art. 1 bis del d.l. 9.5.2003, n. 105 convertito dalla l. 11.7.2003, n. 170, nonché la dorsale informativa di cui all’art. 4, co. 51, l. n. 92/2012.
La Banca dati in esame può essere inoltre ulteriormente arricchita dall’acquisizione di ulteriori dati mediante la stipulazione, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di convenzioni con altri soggetti pubblici e con soggetti privati.
Per non peccare di astrattezza, è opportuno richiamare alcuni dei temi delicati che possono essere posti al centro del confronto nell’ambito della “struttura di missione” e la cui risoluzione potrebbe divenire pilastro del sistema nazionale sopra menzionato. La Struttura di missione potrebbe dunque essere chiamata ad avanzare proposte condivise in merito a:
i) misure da garantire a tutti i giovani su tutto il territorio nazionale (differenziate in relazione ai diversi target di giovani);
ii) standard di servizio, cioè i requisiti di qualità dei servizi da erogare;
iii) individuazione dei diversi target giovanili e dei percorsi standard per ciascuno di essi;
iv) individuazione dei soggetti attuatori dei diversi servizi ed in special modo dei compiti dei Centri per l’impiego e dei soggetti accreditati;
v) definizione di impegni che assicurino l’effettiva implementazione delle banche dati ed in primo luogo della banca dati politiche attive e passive;
vi) formazione/aggiornamento degli operatori destinati a svolgere i servizi di accoglienza e di profiling (per omogeneizzarne l’approccio);
vii) monitoraggio e valutazione delle attività;
viii) forme di premialità delle Istituzioni e dei singoli operatori che attuano gli interventi più efficaci;
ix) ipotesi e forme di esercizio di eventuali interventi sostitutivi.
Tutti questi nodi possono essere affrontati con un approccio di tipo difensivo, in cui ciascuno è attento al confine delle proprie competenze, oppure con la volontà di aprirsi all’idea di costruire un sistema nazionale condiviso, capace di valorizzare l’apporto dei diversi soggetti istituzionali coinvolti. In quest’ultima prospettiva, la “Garanzia per i giovani” può essere un interessante terreno su cui sperimentare, con prudenza e determinazione, i tratti salienti del futuro riordino strutturale del sistema.
L’effettività della “Garanzia per i giovani” è strettamente connessa, oltre che al volume delle risorse disponibili, alla disponibilità sul territorio di servizi pubblici per l’impiego efficienti, in modo da poterne indirizzare meglio gli approcci e le attività verso i giovani. Il loro rafforzamento appare come componente fondamentale di qualsiasi strategia volta all’attuazione della “Garanzia per i giovani”.
Purtroppo, come è noto, il sistema italiano di servizi per l’impiego è complessivamente assai gracile e si presenta molto diversificato da territorio a territorio17. Le due riforme avviate parallelamente nel 201218, in larga parte non hanno avuto seguito: basti ricordare in proposito che non si è dato corso alla delega al Governo per la riforma dei servizi per l’impiego, politiche attive del lavoro ed incentivi all’occupazione, né si è dato avvio ad un nuovo assetto istituzionale ed organizzativo (principalmente a causa del rinvio delle decisioni in merito al riordino o alla soppressione delle Province).
Nell’intento di promuovere immediatamente azioni sperimentali, il più volte citato d.l. n. 76/2013 convertito in l. n. 99/2013, come abbiamo visto, identifica due aree di particolare sofferenza sociale (i giovani ed i lavoratori percettori dei cosiddetti “ammortizzatori sociali in deroga”) e concentra su di esse l’attenzione in vista di misure sperimentali di sostegno all’occupazione. Se appare chiara la sede deputata ad avanzare proposte di stampo cooperativo tra Stato, regioni e province per l’attuazione di tali sperimentazioni (la “struttura di missione”), rimane ancora senza risposta la definizione di un nuovo assetto organizzativo idoneo a supportare tale disegno. L’idea, che aveva suscitato molte attese, di procedere all’istituzione di un’Agenzia nazionale (cd. federale) per l’impiego, non ha trovato accoglienza nel decreto sopracitato. Lo stallo è da ricondurre alle incertezze riguardanti il destino delle province e, di conseguenza, dei centri per l’impiego, le strutture di base del sistema pubblico. L’architettura dell’Agenzia nazionale (federale) non può infatti prescindere da un chiarimento sul punto. La netta posizione assunta dal Governo Letta in favore della soppressione delle Province19, potrebbe innescare, nei prossimi mesi ed a partire dalla prossima legge di stabilità, un rapido processo di identificazione dei soggetti e dei livelli del sistema di politica attiva del lavoro. In questo nuovo contesto, l’Agenzia potrebbe assumere la funzione di “braccio operativo” dei diversi livelli istituzionali competenti, avvalendosi, nel biennio 2014-2015, del supporto (non solo propositivo ed istruttorio ma anche di monitoraggio e valutazione) della “struttura di missione”.
1 I tassi di disoccupazione giovanile (tra i 15 ed i 24 anni) sono generalmente più alti dei tassi di disoccupazione delle altre classi di età. I dati forniti dall’Eurostat indicano che nella UE fino alla fine del 2008 il tasso di disoccupazione giovanile è stato circa il doppio del tasso di disoccupazione generale, con il minimo (18,1%) nel primo trimestre del 2008. La crisi economica, a partire dal 2009, ha incrementato il divario tra i giovani e gli altri gruppi, tanto che alla fine del 2012 il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto 2.6 volte il tasso di disoccupazione generale (23.2%), con punte che superano il 55% in Grecia e Spagna, mettendo in luce tutte le difficoltà dei giovani nel trovare lavoro.
2 Sui poteri della Unione europea in materia di politica occupazionale e di formazione professionale v.: Giubboni, S.–Orlandini, G., La libera circolazione da lavoratori nell’Unione europea. Principi e tendenze, Bologna, 2007; Roccella, M.-Treu, T., Diritto del lavoro della Unione europea, Padova, 2012, in specie 181 e ss.; Occhino, A., Lavoro nell’Unione europea, in Dig. priv., agg., Torino, 2008, in specie 457 e ss.
3 Cfr. New Skills for New Jobs – COM (2008) 868. In questo documento, del dicembre 2008, l’Unione pone al centro della propria attenzione il divario tra il fabbisogno di qualifiche richieste dal mercato del lavoro e le competenze richieste dalle aziende, divario che si presenta come una delle concause della disoccupazione giovanile. Si sottolinea, dunque, la necessità di politiche più efficaci nel campo dell'istruzione e della formazione.
4 Cfr. Youth on the move – COM (2010) 477. Questo documento, del 2010, volto a contribuire al conseguimento degli obiettivi della Strategia EU2020 (crescita intelligente, inclusiva e sostenibile), intende migliorare il livello d'istruzione e le prospettive professionali dei giovani e ridurre la diffusa disoccupazione giovanile. A tal fine offre agli Stati membri indicazioni per: migliorare l'istruzione e la formazione onde sviluppare competenze chiave in linea con le esigenze del mercato del lavoro; incoraggiare i giovani a utilizzare le borse di studio o formazione all'estero; incoraggiare i Paesi dell'UE ad adottare provvedimenti per rendere più fluido il passaggio dalla formazione/scuola/università a quello del lavoro; introdurre una “garanzia per i giovani” che assicuri a tutti i giovani entro 4 mesi dall’uscita dalla scuola un lavoro, una formazione ulteriore o misure di attivazione adeguate.
5 Youth Opportunities Initiatives – COM (2011) 933.
6 Il primo cenno alla “garanzia per i giovani”, come anticipato alla nota 4, è rinvenibile nel documento “Youth on the move” del 2010.
7 Cfr. Risoluzione del Parlamento europeo dell'11.9.2013 sull'attuazione della strategia dell'UE per la gioventù 2010-2012 (2013/2073(INI).
8 Si noti però che il Parlamento europeo ha chiesto l'estensione del gruppo bersaglio ai giovani di età inferiore ai 30 anni, compresi i laureati e coloro che abbandonano i sistemi di formazione senza aver ottenuto una qualifica (punto 25 della Risoluzione del Parlamento europeo dell'11.9.2013 sulla lotta alla disoccupazione giovanile: possibili vie d'uscita (2013/2045(INI)).
9 Cfr. Comunicato stampa del Consiglio europeo del 28.2.2013.
10 In proposito va segnalato che l’art. 1, co. 34-36 della l. 28.6.2012, n. 92 prevede, nell’ambito di linee guida a cui dovranno attenersi Stato e regioni nel raggiungere un accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni, «Il riconoscimento di una congrua indennità, anche in forma forfetaria, in relazione alla prestazione svolta”. La tendenza a collegare i tirocini a rimborsi o borse appare decisamente condivisa in sede comunitaria. La recente risoluzione del Parlamento europeo invita gli Stati membri ad offrire ai giovani la possibilità di fare tirocini retribuiti in modo congruo (oltre che attività di volontariato di pubblica utilità (v. Risoluzione del Parlamento europeo dell'11.9.2013 sulla lotta alla disoccupazione giovanile: possibili vie d'uscita, cit.).
11 V. in proposito il Regolamento (CE) N. 800/2008 della Commissione europea del 6.8.2008 sugli aiuti di Stato compatibili con il mercato comune.
12 Cfr. il Rapporto “Global Employment trends for youth 2013”, ILO, Ginevra 2013.
13 Il Parlamento europeo ha recentemente invitato gli Stati membri interessati a fare pieno uso delle risorse disponibili a titolo del FSE e della dotazione speciale (v. Risoluzione del Parlamento europeo dell'11.9.2013 sulla lotta alla disoccupazione giovanile: possibili vie d'uscita, punto 45, cit.);
14 V. I dati sulla disoccupazione giovanile (15-24 anni) in Italia hanno subito un netto peggioramento nel corso degli anni recenti, in corrispondenza con la tendenza segnalata in precedenza a livello dell’Unione europea. Basti pensare che si è passati dal 27.8% del 2010 al 36.9 nel 2012 (Fonte Eurostat).
15 Così l’art. 1, co. 1, lett. b), l. 28.6.2012, n. 92.
16 Il d.lgs. n. 167/2011 è stato successivamente modificato dall’art. 1, co. 16 della l. n. 92/2012; dall’art. 46 bis del d.l. 22.6.2012, n. 83 convertito in l. 7.8.2012, n. 134. Da ultimo sono state apportate modifiche ad opera dell’art. 2 d.l. n. 76/2013 convertito in l. n. 99/2013.
17 Il giudizio è largamente condiviso. In proposito v. Pirrone, S.-Sestito, P., Disoccupati in Italia, Bologna, 2006, v. in specie il cap. 4; Porcari, S., Le politiche del lavoro, in Dell’Aringa, C.-Lucifora, C., a cura di, Il mercato del lavoro in Italia, Roma, 2009, in specie 256 e ss.; Ichino, P.-Sartori, A., L’organizzazione dei servizi per l’impiego, in Brollo M., a cura di, Il mercato del lavoro, Padova, 2012, 122 e ss.; Varesi, P.A., Riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego, in Magnani, M.–Pandolfo, A.,-Varesi, P.A., Previdenza, Mercato del lavoro, Competitività, Torino, 2008, in specie 239-244.
18 Sia consentito il rinvio a Varesi, P.A., Politiche attive e servizi per l’impiego, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 396 e ss.
19 V. le dichiarazioni in Parlamento in sede di presentazione del programma di governo ed il d.d.l. costituzionale sulla abolizione delle province approvato dal Consiglio dei Ministri il 2.8.2013 ed il d.d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri il 26.7.2013 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e fusioni di Comuni”.