Gli scandali del mondo del calcio
"Il Direttorio federale conferma le precedenti decisioni e squalifica a vita Luigi Allemandi, della cui colpevolezza è stata pienamente raggiunta la prova; richiama il giocatore Munerati a una più esatta comprensione dei suoi doveri in quanto un calciatore tesserato non può accettare doni di qualsiasi entità o natura da iscritti ad altre società; deplora e proibisce il malcostume delle scommesse anche di lieve cifra, specie quelle tenute contro le sorti dei propri colori e ammonisce il calciatore Pastore, lieto di constatare come l'episodio che ha dato luogo alle accennate sanzioni sia circoscritto a un solo giocatore e non possa quindi gettare ombra né onta sulla grande massa dei calciatori italiani". Conservato da un solerte funzionario dell'epoca, questo documento, datato 21 novembre 1927 e pubblicato a Bologna, sede della rudimentale organizzazione allora al governo del Campionato, rappresenta in Italia la prima sentenza disciplinare di qualche rilievo riguardante il calcio. La vicenda dello scudetto del 1927, revocato al Torino e non assegnato, costituisce il primo della lunga serie degli scandali legati al mondo del pallone: un dirigente granata, Nani, per il tramite di uno studente d'ingegneria, Giovanni Gaudioso, promise allo juventino Allemandi un premio di 50.000 lire in cambio di un comportamento che favorisse il successo del Torino. A sconfitta juventina avvenuta, il difensore bianconero reclamò il pagamento della seconda rata nel corso di un concitato colloquio in una pensione torinese di piazza Madonna degli Angeli. Tra i clienti dell'albergo c'era un giornalista romano, Ferminelli, che ascoltò la conversazione e denunciò il fatto su un paio di quotidiani. La conseguenza fu inevitabile: indagine della Federcalcio affidata al segretario dell'epoca, Giuseppe Zanetti, piena confessione degli interessati, Nani e Gaudioso, e condanna. Dei clamorosi provvedimenti previsti, però, restò in vigore solo la revoca al Torino del titolo di campione d'Italia (nonostante i successivi tentativi di ottenerne l'assegnazione 'postuma'), mentre Allemandi venne 'graziato' dopo meno di un anno e nel 1934 vinse addirittura i Mondiali.
Gli scandali, nel mondo del calcio, sono spesso legati all'intervento di 'faccendieri' particolarmente accorti nell'individuare giocatori o dirigenti cui proporre eventuali accordi per 'aggiustare' l'una o l'altra partita. Nel dopoguerra, divenne famoso uno di questi personaggi, Eugenio Gaggiotti, detto 'Gegio', che, intervistato da Indro Montanelli, raccontò i propri commerci in modo del tutto generico, fornendo un unico dato concreto: il numero presunto delle partite da lui 'truccate', ben 64. Nel corso del Campionato 1947-48, suscitò scalpore un episodio scoperto grazie a una lettera anonima, che parlava di un incontro fra Luigi Ganelli, mezzala del Napoli, e Bruno Arcari, interno del Bologna, prossimi a imparentarsi (il secondo stava per sposare la sorella della moglie del primo), incontro avvenuto ai primi di giugno del 1948, nell'imminenza della partita Bologna-Napoli. La sfida era decisiva per la squadra campana, che rischiava la retrocessione, e il fatto che al tavolo dei due giocatori sedessero anche il presidente del Napoli Muscariello, l'ex calciatore Paolo Innocenti e il direttore tecnico del Bologna Hermann Felsner, convinse gli inquirenti che non si trattava di un 'convegno familiare': il Napoli fu retrocesso all'ultimo posto della serie A, Ganelli, Muscariello e Innocenti vennero squalificati a vita, Arcari per tre mesi, Sauro Taiti per due e Gino Cappello per uno.
Proprio per far fronte al fenomeno della corruzione, negli anni Cinquanta la FIGC affidò il compito di allestire una Commissione di controllo, poi ribattezzata Ufficio inchieste, ad Alberto Rognoni, un conte di Cesena. Fondatore della locale società di calcio, grande appassionato e profondo conoscitore del mondo del pallone, Rognoni assolse al suo impegno nell'Ufficio inchieste con determinazione leggendaria, ricorrendo perfino a travestimenti (da frate o da carabiniere, per esempio) per farsi rilasciare confessioni o per pedinare qualche tesserato senza essere riconosciuto. Basterà qui ricordare solo alcuni episodi della sua carriera di inquisitore. Nel 1955 l'Udinese, protagonista del suo miglior Campionato in serie A (era al secondo posto dietro al Milan), scontò duramente un illecito commesso due anni prima: il 31 maggio 1953, a Busto Arsizio, durante l'intervallo della partita Pro Patria-Udinese, sul risultato di 2-0, un emissario dei friulani convinse la squadra di casa a non infierire sugli ospiti in cambio di una somma di circa due milioni. Procuratesi le prove dell'accordo, Rognoni punì l'Udinese con la retrocessione in serie B, mentre Guernieri, Mannucci, Uboldi, Fossati e Martini, calciatori della Pro Patria, conclusero la loro carriera. Sempre nel 1955, un altro scandalo venne portato alla luce e sanzionato dall'Ufficio diretto da Rognoni: un assegno di 200.000 lire firmato da Giulio Sterlini, segretario del Catania, e intestato a Salvatore Berardelli, cognato di Ugo Scaramella, arbitro della sezione romana, fece scattare le meticolose indagini di Rognoni. Fu accertato il pagamento a Scaramella di altre somme, tre assegni da 500.000 lire ciascuno, prima di due partite nelle quali era in gioco la salvezza del Catania. L'arbitro romano fu radiato, il club siciliano venne retrocesso in serie B.
Nonostante la frenetica attività di Rognoni, gli episodi di corruzione divennero sempre più frequenti. Nel 1958, l'indagine su una presunta combine in occasione della partita Padova-Atalanta, pur concludendosi con l'assoluzione da parte della CAF, ebbe vasta eco in quanto coinvolgeva un personaggio noto alle cronache, Eugenio Gaggiotti, e Silveira Marchesini, fidanzata del calciatore del Padova Giovanni Azzin. Nel 1960 il centravanti Gino Cappello, già punito con due mesi di squalifica 12 anni prima, venne radiato. L'Ufficio inchieste dimostrò infatti che, prima della partita Genoa-Atalanta del 17 aprile, finita 2-1 per i bergamaschi, Cappello si era recato a Bergamo per incontrare Cattozzo, suo ex compagno nel Bologna, e offrirgli un milione di lire in cambio del successo sicuro. Il Genoa, retrocesso per responsabilità oggettiva, dovette scontare la punizione anche l'anno successivo, con 10 punti di penalizzazione in serie B. Nel 1961, furono intercettati alcuni colloqui telefonici fra Tagnin, mediano del Bari, e Prini, ala della Lazio. Prini in un primo momento accettò di favorire, in cambio di due milioni, il successo all'Olimpico della squadra pugliese, che in questo modo avrebbe evitato la retrocessione, ma poi disdisse l'impegno. Secondo gli inquirenti, la partita fu regolare, ma il comportamento dei tesserati era censurabile. Tagnin fu squalificato per un anno. La sua carriera peraltro non ne risulterà danneggiata: al termine della squalifica sarà reclutato dall'Inter di Moratti e Allodi e parteciperà alla finale di Coppa dei Campioni a Vienna contro il Real Madrid.
Quando Rognoni lasciò l'Ufficio inchieste per diventare opinionista del Guerin Sportivo, l'incarico di sorvegliare sul regolare svolgimento dei campionati fu affidato a un magistrato fiorentino, Corrado De Biase, amico personale di Artemio Franchi, grande dirigente del calcio italiano. Tra le vicende di corruzione di quel periodo si possono ricordare quella legata alla partita Atalanta-Sampdoria, durante la stagione 1972-73, che vide protagonisti l'ex allenatore bergamasco Paolo Tabanelli e il dirigente Franco Previtali e quella, nella fase finale del torneo di serie A del 1973-74, in cui furono coinvolti Foggia e Verona. I pugliesi scontarono con la retrocessione la leggerezza di un funzionario, che aveva consegnato all'arbitro fiorentino Menicucci un orologio d'oro prima dell'incontro Foggia-Milan (finito 0-0). La squadra veneta fu punita nello stesso modo dopo che Romolo Acampora, inviato de Il Mattino, fornì agli inquirenti la prova di un colloquio telefonico intercorso, subito prima della partita Verona-Napoli, tra il presidente del Verona Garonzi e il suo ex centravanti Clerici, passato al Napoli. Ne trasse vantaggio la Sampdoria che, retrocessa sul campo, fu riqualificata dalla CAF.
Nel marzo 1980 scoppiò lo scandalo del calcio-scommesse, legato all'organizzazione di un giro di scommesse clandestine da parte di un commerciante di frutta romano, Massimo Cruciani, e di Alvaro Trinca, proprietario di un ristorante della capitale, 'La Lampara', frequentato da alcuni calciatori laziali. Cruciani e Trinca offrivano compensi a tesserati in cambio di notizie su risultati sicuri su cui scommettere cifre ragguardevoli, ma l'inganno non sempre riusciva e i due finirono per accumulare debiti per quasi 200 milioni. La pubblicazione in esclusiva sul Corriere dello Sport di un memoriale firmato da Cruciani e Trinca sollevò il velo sull'organizzazione. Le accuse sarebbero poi state confermate dal centrocampista della Lazio Montesi, in un'intervista a la Repubblica. Seguì l'intervento delle forze dell'ordine: il 23 marzo a Pescara, all'Olimpico, a San Siro e in altri stadi di serie B, le forze dell'ordine fecero irruzione negli spogliatoi, arrestarono e accompagnarono nel carcere romano di Regina Coeli i calciatori Giordano, Wilson, Manfredonia e Cacciatori della Lazio, Albertosi e Giorgio Morini del Milan, Della Martira, Zecchini e Casarsa del Perugia, Stefano Pellegrini dell'Avellino, Magherini del Palermo, Merlo del Lecce e Girardi del Genoa. Altri giocatori molto noti furono convocati dagli inquirenti per accertamenti: tra loro Paolo Rossi, Giuseppe Dossena, Giuseppe Savoldi e Oscar Damiani. Anche un dirigente, Felice Colombo, presidente del Milan, risultò coinvolto, mentre Trinca, dopo un'ennesima ritrattazione, fu arrestato con l'accusa di truffa. L'inchiesta della magistratura ordinaria si concluse nel dicembre 1980 con un verdetto di proscioglimento: tutti i giocatori furono assolti per non sussistenza del fatto (per trasformare la scommessa clandestina in reato occorreva una legge apposita) e il solo Cruciani fu condannato a una pena pecuniaria. In parallelo a quella giudiziaria fu condotta l'inchiesta delle autorità sportive, che alla fine sanzionarono la retrocessione in serie B del Milan per responsabilità diretta e della Lazio per responsabilità oggettiva, la radiazione per Felice Colombo, la squalifica per un anno del presidente del Bologna, Tommaso Fabbretti, e diversi periodi di squalifica per 21 calciatori (6 anni per Pellegrini; 5 anni per Cacciatori e Della Martira; 4 anni per Albertosi; 3 anni e mezzo per Petrini, Savoldi, Giordano, Manfredonia e Magherini; 3 anni per Wilson, Zecchini e Massimelli; 2 anni per Rossi; 1 anno e 2 mesi per Cordova; 1 anno per Morini e Merlo; 6 mesi per Chiodi; 5 mesi per Negrisolo; 4 mesi per Montesi; 3 mesi per Colomba e Damiani). La vicenda, comunque, provocò un grande sconvolgimento nel mondo del calcio italiano. Gli stadi si svuotarono, i particolari raccontati da giornali e televisione tolsero credibilità a risultati e vicende agonistiche, una grande società come il Milan subì una profonda crisi di immagine. Sembrava l'inizio di un inevitabile declino dello sport più popolare in Italia, che invece vivrà di lì a poco una memorabile stagione con la conquista del titolo mondiale in Spagna, nel 1982, da parte della nazionale guidata da Enzo Bearzot.
Un nuovo caso di scommesse clandestine su partite di calcio venne scoperto nel 1986 da un magistrato torinese, Marabotto, che avviò le sue indagini in seguito a un'intercettazione telefonica. L'inchiesta coinvolse un faccendiere napoletano, Armando Carbone, e un gruppetto di calciatori dai modesti guadagni e di manager privi di scrupoli. Il Perugia, già retrocesso in C1 per i risultati conseguiti in campo, fu mandato in serie C2. Subirono sanzioni anche Lazio, Udinese, Lanerossi Vicenza, Cagliari, Palermo, Triestina, Foggia e Cavese. Ulivieri, Agroppi, Rozzi, Vinazzani, Cerilli, Vavassori, Chinellato, Cagni e Claudio Pellegrini furono squalificati.
Gli illeciti non sono però esclusivi del calcio italiano. In Francia, suscitò enorme scalpore, nell'autunno del 1990, la scoperta di un traffico che aveva per protagonista Jean-Claude Darmon, accusato di finanziare in nero alcuni club francesi attraverso una serie di società-schermo. Nell'inchiesta, condotta da un magistrato appassionato di calcio, Jean-Pierre Zanoto, risultarono coinvolti Bordeaux, Nantes, Nizza, Paris St.-Germain e, marginalmente, anche l'Olympique Marsiglia di Bernard Tapie. Nel 1993 lo stesso Tapie fu riconosciuto responsabile di un caso di corruzione relativo alla partita Valenciennes-Marsiglia: il calciatore sotto accusa, Robert, dopo l'arresto, confessò e il Marsiglia, vincitore della Coppa dei Campioni sul Milan a Monaco di Baviera, fu punito anche dall'UEFA e non potè disputare Supercoppa Europea e Coppa Intercontinentale.
Un giro di scommesse clandestine emerse anche in Inghilterra, nel 1995: la centrale era a Bangkok e Singapore, ma furono dimostrati legami con i risultati di partite disputate da Manchester United e Liverpool. Il portiere del Liverpool vincitore della Coppa dei Campioni contro la Roma nel 1984, Bruce Grobbelaar, originario dello Zimbabwe, fu arrestato. In precedenza, altri esponenti del mondo del calcio inglese avevano avuto problemi con la giustizia: George Graham nel 1992 per aver intascato una tangente di un miliardo per l'acquisto di due giocatori, Mickey Thomas per spaccio di banconote false, Peter Storey dell'Arsenal per importazione di pornovideo.
L'ultimo scandalo che ha coinvolto il calcio italiano riguarda i passaporti dei giocatori stranieri. Nell'aprile 2000, i quotidiani italiani pubblicano, con molto rilievo, la notizia di un'inchiesta, avviata dalla Procura della Repubblica di Roma, sulla documentazione in base alla quale il calciatore argentino Juan Sebastian Verón ha ottenuto nel settembre 1999 la cittadinanza italiana. La magistratura mette in dubbio che il certificato di nascita di un antenato di Verón (Giuseppe Antonio Porcella, nato nel 1870 nel comune di Fagnano Castello, in provincia di Cosenza, e poi emigrato in Argentina) sia autentico. Dal punto di vista dei regolamenti la notizia ha importanza in quanto la cittadinanza è presupposto indispensabile per poter considerare il centrocampista nel gruppo degli stranieri comunitari, poiché, per gli extracomunitari, è previsto un tetto massimo di cinque in rosa e tre in campo.
Il caso 'passaporti puliti' esplode però in occasione di una trasferta dell'Udinese in Polonia per un incontro di Coppa UEFA: alla frontiera un doganiere solerte scopre che i passaporti di due brasiliani del club friulano, Silva dos Santos Warley e Alberto Do Carmo, sono falsi. Interviene anche la magistratura di Udine e lo scandalo si allarga a macchia d'olio. Il vice-presidente vicario del Milan, Adriano Galliani, allarmato dalla pubblicazione sulla Gazzetta dello Sport della notizia relativa alla firma falsa sui passaporti portoghesi dei due brasiliani dell'Udinese, consegna il documento del portiere Dida al Questore di Milano, dubitando della sua validità. Alvaro Recoba, uruguayano dell'Inter, viene convocato a Udine in Procura e si presenta con un documento dal quale risulta residente a Roma ma che si rivela falso, come la patente: il calciatore è costretto a tornare in patria per munirsi di regolare passaporto. Tra il settembre 2000 e il gennaio 2001 sono resi noti altri episodi, più o meno sconcertanti e pittoreschi. La giustizia sportiva, assediata da ricorsi alla Corte federale e minacce di chiamare in causa la giustizia ordinaria, procede faticosamente ai due gradi di giudizio e, nel luglio, giunge a una soluzione di compromesso: un periodo di squalifica per i calciatori scoperti in flagranza, ammende alle società. Le più coinvolte, Inter, Udinese e Vicenza, riescono comunque a evitare la penalizzazione reclamata da Napoli e Reggina; in sospeso resta l'accertamento sui numerosi extracomunitari della Roma. Nel processo sportivo del caso che ha dato inizio all'inchiesta, Verón e la Lazio vengono assolti.