Gli scienziati e l’Europa
Così scriveva da Modena Giovanni Battista Amici a Cosimo Ridolfi il 23 maggio 1826:
Il signor Herschel mi ha spedito da Londra una memoria pubblicata assieme al Signor Babbage sopra il magnetismo per rotazione e mi ha incaricato di farla a Lei pervenire in Firenze (Lettere inedite a Cosimo Ridolfi, 1° vol., 1817-1835, a cura di R.P. Coppini, A. Volpi, 1994, pp. 115-16).
Quando si vanno a esaminare le vicende degli scienziati italiani ed europei nella prima metà dell’Ottocento si resta impressionati dalla quantità dei contatti intercorsi, dei viaggi e delle visite. Una serie di relazioni che testimonia un’incredibile circolazione delle idee grazie ai canali mantenuti aperti della comunicazione scientifica. Ottaviano Fabrizio Mossotti, Giovanni Plana, Francesco Carlini, Cosimo Ridolfi, Vincenzo Antinori, Amedeo Avogadro, Giovan Pietro Vieusseux, Carlo Matteucci, Macedonio Melloni, Giovanni Battista Amici, Leopoldo Nobili, John Herschel, Charles Babbage, Michael Faraday, Auguste De La Rive, Marc-Auguste Pictet, Franz Xaver von Zach, Alexander von Humboldt, per es., erano in costante e reciproco contatto fra loro, in maniera tale da configurare l’esistenza di una vera e propria ‘Accademia europea delle scienze’, quale doveva essere quella destinata a realizzarsi nel progetto di Babbage presentato al granduca di Toscana Leopoldo II nel 1828. Ma non si trattava solo di rapporti istituzionali e politici. Gli scienziati italiani erano conosciuti e stimati in Europa soprattutto per la qualità e il livello della loro produzione. Una qualità che consentì ad alcune scuole di ricerca, per es. quella di chimica, di assumere dopo l’Unità un ruolo dominante almeno fino alla Prima guerra mondiale.
Nell’agosto del 1798 a Parigi, per volontà del Direttorio, iniziò a costituirsi una commissione incaricata di procedere alla riforma del sistema dei pesi e delle misure, sulla base del sistema metrico decimale, composta da scienziati francesi e studiosi stranieri, fra cui Giovanni Fabbroni, Lorenzo Mascheroni e Anton Maria Vassalli-Eandi. Anche durante un periodo complesso e convulso come quello che va dalla Rivoluzione francese alla caduta di Napoleone, la scienza si rivelò uno strumento capace di andare oltre gli steccati della politica, permettendo il contatto e il dialogo fra individui apparentemente separati da confini invalicabili.
Humphry Davy, per es., fu autorizzato ad andare a Parigi a ritirare il premio per il Galvanismo del 1807, nonostante il conflitto fra Inghilterra e Francia. Sempre Davy, accompagnato dal giovane Faraday, visitò la Francia, l’Italia e la Svizzera dall’ottobre 1813 all’aprile 1815, proprio mentre stava maturando la crisi dell’impero napoleonico, con la sconfitta di Bonaparte a Lipsia, il suo esilio all’isola d’Elba e l’avvio del Congresso di Vienna. Nel corso del viaggio, Davy e Faraday incontrarono numerosi colleghi, anche italiani, e ciò servì a rafforzare le relazioni scientifiche tra Londra, Parigi, Ginevra, città di importanza strategica nelle comunicazioni scientifiche europee (grazie alla presenza di personaggi quali Pictet e De La Rive), e i numerosi centri di ricerca sparsi nel nostro Paese, in particolare, Torino, Milano e Firenze. Relazioni che si sarebbero sviluppate e rafforzate negli anni a venire.
La circolazione degli scienziati in Europa continuò senza troppi problemi anche dopo la Restaurazione e l’Italia non fu certo ai margini di questo movimento. Numerosi furono i ricercatori italiani che si recarono all’estero, come, per es., il chimico toscano Gioacchino Taddei, che tra il 1821 e il 1822 visitò la Svizzera, la Francia, l’Inghilterra e il Belgio, incontrando i più importanti scienziati europei, fra cui Davy e Joseph-Louis Gay-Lussac. Allo stesso modo, moltissimi stranieri giunsero in Italia, sia per incontrare i loro colleghi sia per studiare, così come era già stato nel Settecento, quello straordinario laboratorio naturale costituito dai grandi vulcani delle Due Sicilie. Celebre, a questo proposito, il viaggio di Charles Lyell del 1828, per le conseguenze che ebbe nell’ambito della storia della geologia e, successivamente, sulla formulazione della teoria della selezione naturale da parte di Charles Darwin. Prima di Lyell, comunque, l’Italia era stata visitata da due scienziati inglesi, John Herschel, figlio del celebre astronomo di origine tedesca William (lo scopritore del pianeta Urano), e Babbage, i quali avrebbero non solo svolto un ruolo fondamentale nella promozione della circolazione delle idee scientifiche in Europa, ma anche stretto legami particolarmente intensi e duraturi con molti studiosi italiani.
Herschel e Babbage visitarono per la prima volta l’Italia nel 1821. Quindi ci tornarono separatamente, il primo nel 1824, il secondo tra il 1827 e il 1828. Entrambi furono ospiti di Amici, il cui laboratorio, prima a Modena e poi a Firenze (dal 1831), costituì una delle attrazioni della prima metà dell’Ottocento, non soltanto per gli scienziati, ma anche per le grandi personalità, i più importanti regnanti e uomini politici, gli uomini di cultura in genere, com’è testimoniato dalle presenze registrate dallo stesso Amici sul diario dei visitatori.
Herschel era già da tempo in contatto con l’ambiente dell’Osservatorio di Brera, uno dei più importanti istituti di ricerca italiani assieme al Museo di fisica e storia naturale di Firenze, entrambi sede di numerose visite e scambi scientifici. Nell’agosto del 1820, il celebre Barnaba Oriani scriveva a Herschel per ringraziarlo dell’elezione a membro della Astronomical society, fornendogli anche informazioni sulla teoria dei moti lunari elaborata da Plana (l’astronomo torinese in relazione con i circoli scientifici milanesi), e Carlini, uno dei più brillanti studiosi usciti dalla scuola di Brera. Proprio in quell’anno, Plana e Carlini avrebbero vinto il premio messo in palio dall’Académie des sciences di Parigi, dietro suggerimento di Pierre-Simon Laplace, per un lavoro che determinasse tavole lunari su basi puramente teoriche. Nel corso del tempo, fra Plana e Herschel, e quindi fra Plana e Babbage, si sarebbe sviluppata una lunga e duratura amicizia.
Un tramite molto importante per le relazioni tra Italia e Inghilterra fu rappresentato da O.F. Mossotti, forse il più famoso degli ‘scienziati esuli’ italiani. Questi, originario di Novara, dopo essersi laureato a Pavia nel giugno del 1811 (fra i suoi maestri ci fu anche Alessandro Volta) si aggregò al gruppo dell’Osservatorio di Brera, dove non solo ebbe modo di stringere amicizia con Oriani e Carlini, ma di entrare in contatto con altri importanti esponenti della scienza italiana, fra cui Amici e Plana che proprio in quegli anni si stava prodigando per favorire la carriera scientifica dell’amico Avogadro. Mossotti nutriva una simpatia per le idee liberali e non tardò a entrare in contatto con gli intellettuali della capitale lombarda, collaborando attivamente anche a «Il Conciliatore», per il quale preparò quattro articoli.
Divenuto sospetto alla polizia austriaca, dopo gli avvenimenti politici che portarono all’arresto di numerosi intellettuali milanesi, nel 1823 Mossotti scelse la strada dell’esilio. Prima si stabilì in Svizzera, poi si trasferì a Londra, giungendo nella capitale inglese con una lettera di presentazione di Pictet. I suoi spostamenti in questo periodo sono ricostruibili grazie alla corrispondenza fra Amici e il barone von Zach, nativo di Budapest, notevole e conosciutissimo astronomo del tempo, in quel momento residente a Ginevra, un altro dei grandi promotori della circolazione delle idee scientifiche in Europa. Particolarmente significativa è la lettera scritta da von Zach ad Amici il 5 novembre 1823 in cui sono riportate le parole di Francis Baily, vicepresidente della Astronomical society di Londra, assai favorevole al trasferimento a Londra di Mossotti:
In questo momento risiedono a Londra, provenienti da tutte le parti d’Europa, molti uomini, che stanno soffrendo a causa del loro amore per la giustizia. Del resto, il talento, come sapete, è una potente macchina a vapore, e noi lavoriamo per favorirlo, mentre altri lo indeboliscono (A. Meschiari, Corrispondenza di Giovanni Battista Amici con Franz Xaver von Zach, «Nuncius», 2002, 1, p. 212).
Una volta giunto a Londra, Mossotti entrò subito in contatto con Babbage e l’ambiente dell’Astronomical society, della quale divenne presto membro (in seguito, così come Plana e Matteucci, avrebbe vinto uno dei prestigiosi premi assegnati dalla Royal society). Mossotti non incontrò invece subito Herschel, che proprio in quel periodo stava effettuando un viaggio che lo avrebbe condotto prima in Francia e poi in Italia. Il 22 aprile 1824 Herschel scriveva a Babbage da Alessandria, informandolo di aver trascorso cinque giorni a Torino in compagnia di Plana e richiedendogli dei libri da inviare all’astronomo torinese. I rapporti tra gli scienziati inglesi e quelli italiani erano assolutamente trasversali: «Sono tre giorni che mi trovo in Lione, e ne sono rimasto cinque in Torino ove si è parlato spesso di voi specialmente col nostro comune amico Plana», scriveva Amici a Herschel nel maggio del 1827 (A. Meschiari, Corrispondenza di Giovanni Battista Amici con scienziati europei, «Giornale critico della filosofia italiana», 1997, 3, p. 345).
Da Londra Mossotti mantenne i contatti con gli amici italiani (che si preoccuparono di favorirlo nella ricerca di un impiego stabile) e consentì l’arrivo di molte pubblicazioni inglesi in Italia, facendole pervenire in prima battuta a Torino. Qualche tempo dopo per l’esule italiano si aprì la possibilità di trovare un’occupazione stabile in Argentina, come professore di fisica sperimentale all’Università di Buenos Aires. Di ciò Mossotti informò Amici con una lettera scritta il 12 ottobre 1826 da Parigi, dove si era recato per un certo periodo. Del resto non si deve dimenticare che Parigi fu, ancor più di Londra, la città dove gli scienziati italiani desideravano soggiornare in quanto centro tra i più dinamici della ricerca in Europa.
Nella stessa lettera Mossotti scriveva di avere incontrato anche André-Étienne d’Audebard de Férussac (1786-1836), tenente colonnello dello Stato Maggiore francese, nonché professore di geografia e statistica, il quale aveva appena fondato il «Bulletin universel des sciences mathématiques, astronomiques, physiques et chimiques», ed era interessato a pubblicare estratti in francese delle memorie della Società italiana delle scienze. L’anno precedente Férussac aveva avviato una collaborazione con Avogadro, il quale avrebbe pubblicato sul «Bulletin» numerosi contributi dedicati alle sue ricerche sulle relazioni fra calori specifici e rapporti d’affinità elettrochimica. Mossotti informava Amici che sarebbe rientrato a Londra nel giro di due giorni e lo pregava di utilizzare come domicilio per la corrispondenza quello di Ambrogio Obicini, al numero 19 di Coleman Street. La sua partenza sarebbe avvenuta «nella seconda metà di novembre». Lo stesso 12 ottobre Mossotti scriveva anche a Plana, ribadendo di avere accettato l’offerta di insegnamento da parte dell’Università di Buenos Aires. In realtà Mossotti sarebbe rimasto a Londra ancora più di un anno. Per questo Amici fu in grado di rivedere l’amico di persona, nel corso di un viaggio a Parigi e Londra effettuato con la famiglia tra il maggio e il luglio del 1827.
Una volta giunto in Argentina Mossotti poté continuare il lavoro avviato a Londra, realizzando numerose osservazioni astronomiche e meteorologiche che inviò regolarmente in Europa, e che furono segnalate sia nelle pubblicazioni della Royal astronomical society di Londra, sia nei «Comptes rendus» dell’Académie des sciences di Parigi, dove vennero analizzate da François Arago (1786-1853) e Alexander von Humboldt. Quest’ultimo ben conosceva, e da tempo, la maggior parte degli scienziati italiani citati in queste pagine. Nel 1805, in viaggio per l’Italia assieme a Gay-Lussac, Humboldt (che era appena rientrato dalla celebre spedizione nell’America Centrale e Meridionale), scriveva a Vassalli, raccomandandosi di «salutare il brillante giovane Plana» (Bologna, Archiginnasio, Autografi Pallotti, XXXVI, nr. 990).
Gli stretti legami tra gli scienziati italiani e quelli europei non servirono soltanto a diffondere la cultura scientifica e la circolazione delle idee, in un periodo così complesso come quello della Restaurazione e del Risorgimento, ma furono molto importanti anche per le carriere accademiche dei nostri scienziati.
Mossotti rimase in Argentina per otto anni, contribuendo enormemente allo sviluppo della scienza in quel Paese. Tuttavia, sul finire del 1834, si presentarono le condizioni per un suo rientro in patria, in qualità di direttore dell’Osservatorio astronomico di Bologna, in sostituzione di Pietro Caturegli. Appena rientrato in Italia, Mossotti fece visita ad Amici il quale, nel novembre 1831, si era trasferito da Modena a Firenze, su invito di Vincenzo Antinori, per coprire il posto di direttore della Specola fiorentina presso l’Imperiale e regio museo di fisica e storia naturale. Quindi Mossotti si recò a Roma per definire la questione della nomina. Ma nella capitale pontificia trovò una situazione ben diversa da quella prevista, come scriveva ad Amici il 22 dicembre 1835. Plana, che era stato uno dei promotori del rientro in patria di Mossotti, si tenne costantemente in contatto con Amici sulla vicenda che vedeva coinvolto l’amico comune. Purtroppo per Mossotti, la risoluzione del caso avrebbe avuto ancora bisogno di qualche mese e la sua conclusione non sarebbe stata positiva. Nel frattempo, però, si era aperta un’altra possibilità, come Mossotti scriveva ad Amici:
Nella Gazzetta di Firenze n° 44 è comparsa una minuta del Senato delle Isole Ionie nelle quali si autorizza il Lord Alto Commissario a procurare dei Professori per l’Università, fra i quali uno per una cattedra di matematiche sublimi ed applicate, ed uno per quella di Filosofia naturale (A. Meschiari, Corrispondenza di Giovanni Battista Amici con Ottaviano Fabrizio Mossotti, «Atti della Fondazione Giorgio Ronchi», 1999, 5, p. 706).
Plana, già informato della cosa, di sua iniziativa aveva preso contatto con le autorità inglesi per favorire il trasferimento a Corfù di Mossotti. Anche Amici, comunque, fece la sua parte, mobilitando a favore di Mossotti scienziati e uomini politici toscani.
Nel frattempo, in attesa della nomina, Mossotti decise di accettare l’ospitalità di Plana a Torino, dove ebbe modo di dare alle stampe il lavoro destinato a dargli un’incredibile notorietà a livello internazionale, Sur les forces qui régissent la constitution intérieure des corps, che suscitò notevoli entusiasmi, particolarmente in Faraday. La memoria, pubblicata per i tipi della Stamperia Reale, conteneva una dedica a Plana in data 20 agosto 1836. A Torino Mossotti ebbe la possibilità di incontrare Avogadro, con il quale sviluppò un proficuo e costruttivo dialogo, che si sarebbe protratto negli anni seguenti e che avrebbe notevolmente influenzato i rispettivi lavori.
Il 19 agosto 1836 Amici scrisse a Mossotti, comunicandogli che gli era stata assegnata la cattedra di matematiche sublimi ed applicate presso l’Università Jonia di Corfù, anche se ancora mancava la comunicazione ufficiale in proposito. Fra gli altri, Mossotti avrebbe avuto come collega Francesco Orioli (1785-1856), il quale sarebbe andato a coprire l’insegnamento di filosofia naturale. Originario di Vallerano, in provincia di Viterbo, Orioli fu uno dei personaggi più interessanti dell’età del Risorgimento. Cultore di fisica, chimica, archeologia e medicina, durante i primi anni della Restaurazione ricoprì l’incarico di professore di fisica generale e particolare presso l’Università di Bologna e fu uno dei più stretti interlocutori di Giacomo Leopardi nel periodo del soggiorno bolognese (1825-26) del poeta di Recanati, molto interessato, com’è noto, agli sviluppi del sapere scientifico. Orioli fu quindi protagonista della rivoluzione bolognese del 1831, a causa della quale dovette andare in esilio. Nonostante ciò, continuò a essere attivo dal punto di vista sia scientifico sia politico, partecipando a molti congressi degli scienziati italiani, nonostante l’esplicito divieto del governo pontificio (fu uno dei personaggi più seguiti dalle polizie segrete degli Stati italiani).
Fra gli scienziati italiani interessati al trasferimento all’Università di Corfù figurava anche Matteucci, come risulta da una lettera scritta da Firenze il 30 maggio 1836 a Faraday, al quale chiedeva una raccomandazione in proposito (M. Faraday, Correspondence, 2° vol., 1832-1840, ed. F.A.J.L. James, 1993, p. 361). Matteucci (1811-1868), originario di Forlì, era una delle menti più brillanti del suo tempo. A soli quattordici anni venne ammesso al secondo anno della facoltà di Filosofia e matematica dell’Università di Bologna, dove ebbe come maestro, fra gli altri, proprio Orioli. Interessato alla meccanica e alla fisica meteorologica, Matteucci si dedicò anche allo studio delle relazioni fra elettricità e magnetismo, avviando una corrispondenza con Leopoldo Nobili. Nato a Trassilico, in Garfagnana, dopo aver intrapreso lo studio delle materie scientifiche presso la Scuola militare di Modena (dove uscì con il grado di tenente, entrando a far parte del corpo di artiglieria), Nobili era stato chiamato a dirigere la Reale manifattura d’armi a Brescia. Rientrato a Modena, alcuni mesi dopo si aggregò al corpo che doveva riunirsi con l’armata napoleonica diretta in Russia. L’esperienza fu terribile e avrebbe influito in maniera decisiva sulle sue condizioni di salute negli anni a venire. Con la Restaurazione Nobili abbandonò l’esercito e si dedicò interamente agli studi sull’elettromagnetismo, realizzando, nel 1825, il celebre galvanometro astatico.
Nell’ottobre del 1829 Matteucci si recò a Parigi per approfondire e perfezionare i suoi studi. Nella capitale francese entrò in rapporti e strinse amicizia con numerosi scienziati, fra cui spicca sempre il nome di Arago. Realizzò inoltre molti lavori, che trovarono spazio nelle pagine delle «Annales de chimie et de physique». Nel giugno del 1830 Matteucci rientrò a Forlì dove, forte dell’esperienza acquisita durante il soggiorno parigino, dette l’avvio sistematico, nonostante la scarsezza di mezzi e risorse, alle sue ricerche di elettrofisiologia, destinate a renderlo celebre nel giro di qualche anno. Sono questi gli anni in cui Matteucci avviò una corrispondenza con Faraday e De La Rive, che lo terranno sempre in grande considerazione.
Nel giugno del 1834 Matteucci si trasferì a Firenze, dove ormai risiedeva Nobili (che insegnava fisica sperimentale all’Imperiale e regio museo), giunto nella città toscana nel gennaio del 1832, a causa dei moti rivoluzionari dell’anno precedente. A Firenze Nobili, il quale era già in relazione con l’ambiente scientifico della città e aveva partecipato anche ai lavori dell’«Antologia», avrebbe incontrato una vecchia conoscenza, Amici, con il quale aveva visitato la Toscana nel 1824. Durante il soggiorno nella capitale del Granducato, anche Matteucci ebbe modo di essere a stretto contatto con gli scienziati fiorentini, collaborando alle iniziative culturali e sociali del momento. Nonostante il clima positivo, egli era tuttavia alla ricerca di un’occupazione stabile e non esitò quindi a contattare De La Rive a tal proposito, con una lettera scritta da Firenze il 25 novembre 1834.
L’improvvisa morte di Nobili, avvenuta il 5 agosto 1835, sembrò aprire le porte alla permanenza di Matteucci a Firenze. Sia De La Rive sia Faraday lo appoggiarono, mentre alla questione si interessarono anche da Torino. Il giovane scienziato di Forlì, del resto, era socio corrispondente dell’Accademia dal 1° giugno 1834. Plana scrisse ad Amici il 12 ottobre 1835 per promuovere la sua causa. Alla fine, però, l’operazione non andò a buon fine. Nell’estate del 1836 Matteucci rientrò a Forlì, dove continuò le ricerche elettrofisiologiche, mantenendo una strettissima corrispondenza con De La Rive, al quale comunicava i risultati di tutte le sue indagini.
Vista l’impossibilità di ottenere un’occupazione in Svizzera, Matteucci cercò di trovare qualcosa in sede locale, riuscendo a farsi assegnare, nel luglio del 1837, l’incarico di direttore del laboratorio e della spezieria dell’Ospedale di Santa Maria delle Croci di Ravenna. Prima di prendere servizio, si recò a Parigi per presentare all’Académie des sciences i suoi lavori di elettrofisiologia. Com’è noto, le ricerche di Matteucci riscossero un notevole consenso a Parigi, consenso di cui venne subito informato Faraday. In questi mesi egli ebbe modo di sviluppare un rapporto sempre più stretto, oltre che con Arago, anche con Alexander von Humboldt, che si rivelerà decisivo, di lì a poco, per le sorti della sua carriera. Così scriveva Humboldt a Matteucci da Potsdam il 9 gennaio 1838:
Il vostro nome è salito in così alta reputazione in Germania, e massime presso l’Accademia di Berlino, che il signor Poggendorff si farà sollecito di tradurre i vostri importanti lavori (N. Bianchi, Carlo Matteucci e l’Italia del suo tempo, 1874, p. 66).
Durante il nuovo soggiorno parigino Matteucci incontrò anche molti scienziati italiani che si trovavano in Francia in quel momento, fra cui Raffaele Piria e Macedonio Melloni.
Matteucci rientrò a Ravenna nel luglio del 1838. Poi arrivò finalmente l’occasione tanto attesa. Non molto dopo la Prima riunione degli scienziati italiani, Ranieri Gerbi (1763-1839), che del congresso era stato il presidente, morì, lasciando vacante l’insegnamento di fisica teorica. A questo punto Humboldt intervenne direttamente, segnalando Matteucci al granduca Leopoldo II, al quale era legato da un rapporto di stima e amicizia. Matteucci entrò così in ruolo all’Università di Pisa nella nuova facoltà di Scienze naturali. Il 26 gennaio 1841 Humboldt scriveva al giovane collega italiano, esprimendogli tutta la sua soddisfazione per la riuscita dell’operazione:
Il posto, che a preferenza vi è stato dato, lo dovete al vostro ingegno, all’importanza e alla sagacità delle vostre scoperte, anziché alla mia debole influenza. L’eccellente Sovrano del vostro paese è assai capace di conoscere il vero merito. Sono stato sorpreso, vedendolo l’ultima volta a Pillnitz, della varietà e solidità delle sue cognizioni (N. Bianchi, Carlo Matteucci e l’Italia del suo tempo, 1874, p. 73).
La morte di Gerbi e il contemporaneo progetto di riforma dell’Università di Pisa aprirono la strada anche al tanto agognato rientro in Italia di Mossotti, il quale andò a ricoprire la cattedra di fisica matematica e meccanica celeste presso la facoltà di Scienze matematiche. Prima di prendere servizio a Pisa, Mossotti fu presente alla Seconda riunione degli scienziati italiani che si svolse a Torino nella seconda metà di settembre del 1840, partecipandovi ancora in qualità di rappresentante dell’Università di Corfù. L’incontro di Torino fu l’occasione per rivedere alcuni vecchi amici, fra cui Plana, Avogadro e, soprattutto, Babbage.
Membro dell’Accademia delle scienze di Torino dal 1819 e della Società italiana delle scienze dal 1821, Avogadro, oltre che per la celebre ipotesi formulata nel 1811 («volumi uguali di gas, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di particelle»), aveva ottenuto numerosi riconoscimenti per le sue ricerche in ambito elettrochimico e, in particolare, per l’invenzione del «voltimetro moltiplicatore», che occupa un posto di rilievo nella storia dei galvanometri. L’importanza dello strumento venne immediatamente riconosciuta dallo scopritore dell’elettromagnetismo, Hans Christian Oersted, in un lavoro del 1823 apparso sulle «Annales de chimie et de physique», e da Louis-Jacques Thénard, nella quarta edizione del suo Traité de chimie (1824).
L’ampiezza dei contatti internazionali fra gli scienziati italiani e quelli stranieri permetteva anche a numerosi ricercatori, non di primo livello, di essere introdotti negli ambienti scientifici europei più importanti. Nel 1834, per es., Avogadro approfittò di un viaggio in Inghilterra effettuato dal sacerdote Giuseppe Francesco Baruffi (1801-1875), professore di filosofia positiva (ovvero aritmetica e geometria) all’Università di Torino, per inviare una lettera a Faraday. Quando Baruffi incontrò Faraday, «il successore di Davy, quel gran chimico dell’Inghilterra così benemerito della scienza e della umanità», ricevette un’accoglienza assai calorosa: «con quanta bontà non mi ricevette perché latore d’una dotta Memoria d’un altro valente fisico piemontese, il Cavaliere Avogadro» (G.F. Baruffi, Cenni d’una peregrinazione da Torino a Londra, 1835, p. 47). Nella lettera Avogadro ringraziava Faraday per l’omaggio di alcuni suoi ultimi lavori, contraccambiando con l’invio della Memoria sui calori specifici dei corpi solidi e liquidi, scritta nel 1832, un estratto della quale era apparso l’anno seguente sulle «Annales de chimie et de physique» (M. Faraday, Correspondence, 2° vol., cit., p. 201).
Nella capitale inglese Baruffi riuscì a conoscere molte altre personalità di spicco, tra cui Babbage, «l’amicissimo di Herschel e di Plana». Baruffi, che aveva con sé anche una lettera di Plana, ebbe numerosi incontri con Babbage, il quale si rivelò cordialissimo, nonostante la recente perdita di una delle figlie, manifestando «il suo desiderio di portarsi a Torino a consultare di persona il nostro sommo geometra [Plana] sugli usi ed applicazioni possibili di sua macchina al progresso delle scienze matematiche». A questo scopo, Babbage consegnò a Baruffi anche «alcune carte e disegni concernenti detta macchina» (G.F. Baruffi, Cenni d’una peregrinazione da Torino a Londra, cit., p. 48). Dopo il viaggio effettuato in Italia tra il 1827 e il 1828, Babbage si era infatti impegnato nella realizzazione di un nuovo tipo di calcolatrice, la Analytical engine (1834), che sarebbe diventata il prototipo di tutti i moderni calcolatori. La macchina doveva essere in grado, nell’idea di Babbage, di effettuare calcoli parziali successivamente confrontabili con ulteriori operazioni, fornendo anche la stampa di tutte le operazioni eseguite. Nel 1840 Babbage arrivò a Torino in compagnia di Fortunato Prandi (1799-1868), a suo tempo rivoluzionario e amico di Mazzini, fatto che continuava a destare i sospetti delle varie polizie europee, inclusa quella sabauda. Carlo Alberto lasciò comunque libertà di azione a Prandi, il quale soggiornò nell’appartamento assegnato a Babbage. Qualche anno dopo, Prandi, assieme all’ingegnere inglese Philip Taylor, avrebbe fondato le Officine Taylor e Prandi a Genova Sampierdarena, poi divenute le celebri Officine Ansaldo.
A Torino Babbage ebbe la possibilità di presentare direttamente a Plana e a molti altri studiosi la sua nuova invenzione, nel corso della Seconda riunione degli scienziati italiani, che ebbe inizio il 15 settembre 1840:
Il grand’oggetto della mia venuta a Torino fu di sottoporre a Plana e a parecchi dei matematici d’Italia i principi giusti cui io aveva inventato una macchina atta a formare, come egli così spiritosamente disse, la parte esecutiva dell’analisi. La scoperta è molto avanzata qui, ma io temo l’età, ed è quindi importante pel suo successo che il fatto non rimanga solo attestato dalla mia sola e non recivibile autorità. Io sceglievo quindi il congresso di Torino come l’epoca di farla pubblica, particolarmente pella celebrità della sua Accademia e particolarmente pella mia special stima a Plana (Torino, Accademia delle scienze, Archivio storico, lettera nr. 22346).
Così si legge nella lettera del 24 marzo 1841 indirizzata ad Angelo Sismonda (1807-1878) da Babbage il quale, dopo il convegno, durante l’adunanza dell’Accademia delle scienze del 10 gennaio 1841, era stato nominato socio corrispondente dell’istituzione su proposta di Plana, Luigi Federico Menabrea (1809-1896) e dello stesso Sismonda. Com’è noto, Babbage espresse in più di un’occasione i propri sentimenti di riconoscenza nei confronti del Regno di Sardegna, sino a dedicare la sua autobiografia, scritta nel 1864, a Vittorio Emanuele II, «King of Italy».
I partecipanti al congresso torinese si divisero in sei sezioni: Medicina; Geologia, Mineralogia e Geografia; Fisica, Chimica e Scienze Matematiche; Agronomia e Tecnologia; Botanica e Fisiologia Vegetale; Zoologia e Anatomia comparata. La sessione che comprendeva matematici, fisici e chimici, nell’ambito della quale venne presentata l’invenzione di Babbage, fu presieduta da Plana, mentre Mossotti svolse le funzioni di segretario. Così si può leggere negli atti del convegno:
Il sig. Babbage di Londra, venuto ad illustrare la nostra Adunanza, raccolse più volte nella sua abitazione parecchi membri della nostra Sezione, mostrando diverse produzioni del suo fecondo ingegno, e fra le altre cose descrivendo il progetto di una ingegnosissima macchina per eseguire i calcoli sia numerici che algebrici, macchina che ove potesse essere effettivamente costrutta, sarebbe al certo di un grandissimo vantaggio alla Società (Atti della Seconda riunione degli scienziati italiani, 1841, p. 47).
Lo scienziato inglese rievocò l’esperienza torinese nella sua autobiografia: «non appena il primo trambusto del convegno fu un poco diminuito», vi fu l’incontro con alcuni «tra i più eminenti geometri e ingegneri d’Italia», fra cui «i signori Plana, Menabrea, Mossotti» (Ch. Babbage, Passages from the life of a philosopher, 1864, trad. it. a cura di A. Villa, 2007, p. 113). Dopo il congresso, Babbage inviò all’Accademia delle scienze anche un «modello in legno della macchina calcolatrice», assieme a «varie carte e disegni ad essa relativi» che, precisava Plana, erano da intendersi come «dono» (Torino, Accademia delle scienze, Archivio storico, Verbali originali manoscritti delle riunioni a Classi unite, 1815-1866, p. 227).
Plana avrebbe dovuto redigere anche una relazione sulla macchina di Babbage, ma ciò non gli fu possibile. Lo scienziato inglese teneva molto a una positiva recensione del suo progetto da parte dell’Accademia, e quindi pregò Sismonda, nella lettera citata in precedenza, di affidare l’incarico a un altro membro dell’Accademia presente ai lavori del congresso torinese. Il compito di stilare la relazione toccò quindi a Menabrea, che aveva seguito attentamente Babbage durante il congresso torinese e discusso con lui a lungo sui principi della macchina analitica. Il resoconto di Menabrea venne pubblicato nel 1842 sulla «Bibliothèque universelle» di De La Rive, uno degli ospiti illustri del convegno torinese. Quindi fu tradotto in inglese l’anno successivo da Augusta Ada King, contessa di Lovelace, figlia di Lord Byron, amica di Babbage ed esperta matematica.
I lavori del gruppo di fisica e matematica furono molto intensi. Avogadro fu certamente una delle figure di spicco della sessione. Il 21 settembre lesse una memoria sui calori specifici, un tema di ricerca che proprio in quegli anni aveva raggiunto una portata internazionale. Nell’aprile del 1840, Henri-Victor Regnault aveva letto all’Académie des sciences una memoria Sur la chaleur spécifique des corps simples et composés, successivamente pubblicata sulle «Annales de chimie et de physique», nella quale aveva preso in esame le ricerche di Avogadro, riconoscendo al fisico torinese notevoli meriti che vennero ribaditi in una seconda memoria del gennaio del 1841.
Il 22 settembre Avogadro presentò una nota a completamento della memoria del giorno precedente, letta in francese e dedicata ai corpi solidi e liquidi e, in particolare, alle anomalie del carbonio. La comunicazione riscosse il pubblico elogio da parte di De La Rive. Avogadro e De La Rive si conoscevano da tempo, e proprio qualche mese prima del congresso, il 10 maggio, il professore di fisica sublime aveva proposto all’Accademia la nomina dello scienziato ginevrino a membro straniero dell’istituzione. Il 28 settembre, infine, Avogadro lesse una nota Sui diversi gradi della facoltà elettro-negativa ed elettro-positiva dei corpi semplici, che poi sarebbe stata pubblicata nel primo volume degli «Annali» di Gianalessandro Majocchi.
Il tema centrale che legava la memoria e le due note di Avogadro era l’ipotesi del 1811, che adesso il fisico torinese presentava di fronte all’assemblea dei più importanti scienziati italiani e a una buona rappresentanza di quelli stranieri, assicurando a essa un ulteriore canale di diffusione, quello degli atti del congresso. Nel corso dei suoi interventi Avogadro ribadì di essere stato il primo a sostenere l’ipotesi «volumi uguali di gas, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di particelle»; lamentò inoltre la mancanza di un metodo condiviso da parte dei chimici nella definizione dei pesi atomici delle sostanze; infine, invitò i colleghi a lavorare al perfezionamento della teoria. Questi tre punti, che avrebbero caratterizzato il dibattito della comunità scientifica internazionale nei successivi vent’anni, saranno proprio quelli alla base delle analisi svolte, qualche anno dopo, da Stanislao Cannizzaro (1826-1910), i cui studi avranno la loro massima risonanza durante il congresso internazionale che si svolse a Karlsruhe, in Germania, dal 3 al 5 settembre del 1860.
Il giovane Cannizzaro aveva avuto il suo primo contatto con la comunità scientifica nazionale e internazionale proprio durante una delle Riunioni degli scienziati italiani, la settima, che si tenne a Napoli nel 1845. Iscritto in qualità di socio corrispondente dell’Accademia delle scienze e belle lettere di Palermo, Cannizzaro prese parte ai lavori della sezione di Anatomia, fisiologia comparata e zoologia, presieduta da Carlo Luciano Bonaparte, sezione che poteva vantare la presenza dal celebre fisiologo, anatomista e psicologo tedesco Ernst Heinrich Weber. Cannizzaro non mancò di sfruttare l’occasione per farsi conoscere, presentando, nella seduta del 24 settembre, alcune Osservazioni intorno alla teoria di Weber su la contrazione muscolare, dopo la relazione tenuta il giorno precedente dallo scienziato tedesco. Il 26 settembre, quindi, Cannizzaro lesse la sua comunicazione vera e propria, Quesiti intorno al sistema nervoso periferico e centrale degli animali vertebrati e invertebrati.
Così come era accaduto a Torino e a Napoli, anche le altre riunioni degli scienziati italiani ospitarono numerosi e celebri scienziati provenienti da tutta Europa, non solo favorendo i contatti e la reciproca conoscenza, ma diventando un’occasione per la presentazione o la verifica di importanti scoperte scientifiche, come era stato per Babbage. L’incontro di Milano del 1844, per es., fu caratterizzato dalla presenza di Christian Friedrich Schönbein (1799-1868), il quale nel 1840 aveva individuato l’ozono: «l’adunanza di quest’oggi è stata tenuta nel laboratorio di Chimica della Cassa d’Incoraggiamento per ivi assistere alle esperienze fatte dal prof. Schönbein». Schönbein espose «le diverse maniere onde produrre quel principio odoroso che egli chiama ozono, ed a notarne le caratteristiche proprietà».
Una volta terminata la dimostrazione seguì un’ampia discussione con numerosi scienziati italiani, tra cui Piria, Orioli e Taddei, ai quali Schönbein rispose «con opportuni schiarimenti». Venne quindi nominata una commissione, di cui fece parte anche Ridolfi, deputata a esaminare le esperienze proposte, allo scopo di «determinarne il valore» (Diario della sesta riunione degli scienziati italiani, 1844, p. 198). Nell’adunanza del 26 settembre fu così presentato il Rapporto della Commissione scelta fra i membri della sezione di chimica e di fisica relativamente alle nuove sperienze sull’ozono del Prof. Schönbein, con Piria nelle vesti di relatore. Il Rapporto venne quindi pubblicato sugli «Annali di fisica, chimica e matematiche» di Majocchi.
I chimici italiani erano e resteranno sempre in stretto contatto non solo con Schönbein, ma con molti altri colleghi tedeschi, a partire da Justus von Liebig (1803-1873), il cui celebre laboratorio a Giessen, centro europeo dello sviluppo della ricerca chimica industriale, costituiva una meta obbligata per tutti gli studiosi di chimica, e non solo.
Una volta diventata una nazione unita, l’Italia, grazie al numero e alla qualità dei contatti che i suoi scienziati avevano saputo intrattenere con i loro colleghi stranieri, riuscì a godere di una credibilità e di un prestigio capaci di renderla a lungo protagonista, nonostante la mancanza – che continuò a mantenersi inalterata anche dopo l’Unità – di adeguati fondi e strutture per la ricerca e l’insegnamento delle discipline scientifiche. Basti pensare a Cannizzaro (ormai una celebrità internazionale dopo Karlsruhe e la costruzione del sistema periodico da parte di Dmitrij Ivanovič Mendeleev, che si era ispirato al lavoro dello scienziato italiano), al quale tutti si rivolgevano per avere consigli, informazioni o raccomandazioni. Per es., quando nel 1887 William Ramsay (1852-1916), destinato a diventare uno degli scienziati più importanti del suo tempo (e premio Nobel nel 1904), allora docente di chimica a Bristol, ebbe l’occasione di concorrere alla cattedra dello University college di Londra, lasciata libera da Alexander Williamson, scrisse a Cannizzaro chiedendogli una lettera di referenze per il concorso (A. Mieli, Corrispondenti stranieri di Stanislao Cannizzaro, 1926, pp. 353-59). Fu l’inizio di un rapporto di stima e di amicizia, destinato a svilupparsi nel tempo. Per Ramsay, Cannizzaro (fra i due c’erano 26 anni di differenza) rappresenterà sempre un punto di riferimento («mio caro maestro», lo chiamerà nelle lettere), l’autorità indiscussa della chimica a livello mondiale.
Lettere inedite a Cosimo Ridolfi, 1° vol., 1817-1835, a cura di R.P. Coppini, A. Volpi, Firenze 1994.
A. Meschiari, Corrispondenza di Giovanni Battista Amici con scienziati europei, «Giornale critico della filosofia italiana», 1997, 3, pp. 325-64.
A. Meschiari, Corrispondenza di Giovanni Battista Amici con Ottaviano Fabrizio Mossotti, «Atti della Fondazione Giorgio Ronchi», 1999, 5, pp. 691-749.
A. Meschiari, Corrispondenza di Giovanni Battista Amici con Giovanni Plana, «Nuncius», 2000, 1, pp. 259-323.
A. Meschiari, Corrispondenza di Giovanni Battista Amici con Franz Xaver von Zach, «Nuncius», 2002, 1, pp. 165-245.
Il “Libro de’ conti del laboratorio” di Giovanni Battista Amici e altri documenti inediti, a cura di A. Meschiari, Firenze 2003.
G. Pancaldi, Cosmopolitismo e formazione della comunità scientifica italiana (1828-1839), «Intersezioni», 1982, 2, pp. 331-43.
Curiosity perfectly satisfyed. Faraday’s travels in Europe, 1813-1815, ed. B. Bowers, L. Symons, London 1991.
P. Corsi, Fossils and reputations. A scientific correspondence: Pisa, Paris, London, 1853-1857, Pisa 2008.
L. Ciancio, Le colonne del Tempo. Il Tempio di Serapide a Pozzuoli nella storia della geologia, dell’archeologia e dell’arte (1750-1900), Firenze 2009.
M. Ciardi, Reazioni tricolori. Aspetti della chimica italiana nell’età del Risorgimento, Milano 2010.