Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I regimi nazifascisti e comunisti del Novecento perseguitano e reprimono ogni voce critica di dissenso. Gli intellettuali e gli scrittori si trovano così a dover scegliere. Mentre alcuni pagano con il carcere e la morte il loro dissenso, altri collaborano con i vari regimi, altri ancora cercano un compromesso; coloro che migrano all’estero, soprattutto da Germania e Unione Sovietica, danno spesso vita a una fiorente letteratura dell’esilio.
Benedetto Croce
Manifesto degli intellettuali antifascisti
Gl’ intellettuali fascisti, riuniti in congresso a Bologna, hanno indirizzato un manifesto agl’ intellettuali di tutte le nazioni per spiegare e difendere innanzi ad essi la politica del partito fascista. [...] E, veramente, gl’ intellettuali, ossia i cultori della scienza e dell’ arte, se come cittadini, esercitano il loro diritto e adempiono il loro dovere con l’ ascriversi a un partito e fedelmente servirlo, come intellettuali hanno solo il dovere di attendere, con l’ opera dell’ indagine e della critica, e con le creazioni dell’ arte, a innalzare parimenti tutti gli uomini e tutti i partiti a più alta sfera spirituale, affinché, con effetti sempre più benefici, combattano le lotte necessarie. Varcare questi limiti dell’ ufficio a loro assegnato, contaminare politica, letteratura e scienza, è un errore, che, quando poi si faccia, come in questo caso, per patrocinare deplorevoli violenze e prepotenze e la soppressione della libertà di stampa, non può dirsi neppure un errore generoso. [...] Nella sostanza, quella scrittura, è un imparaticcio scolaresco, nel quale in ogni punto si notano confusioni dottrinali e mal filati raziocini: [...] come dove, con facile riscaldamento retorico, si celebra la doverosa sottomissione degl’ individui al Tutto, quasi che sia in questione ciò, e non invece la capacità delle forme autoritarie a garantire il più efficace elevamento morale. [...] Ma il maltrattamento della dottrina e della storia è cosa di poco conto, in quella scrittura, a paragone dell’ abuso che vi si fa della parola “religione”; perchè, a senso dei signori intellettuali fascisti, noi ora in Italia saremmo allietati da una guerra di religione, dalle gesta di un nuovo evangelo e di un nuovo apostolato contro una vecchia superstizione, che rilutta alla morte, la quale le sta sopra e alla quale dovrà pur acconciarsi; - e ne recano a prova l’ odio e il rancore che ardono, ora come non mai, tra italiani e italiani. Chiamare contrasto di religione l’ odio e il rancore che si accendono da un partito che nega ai componenti degli altri partiti il carattere d’ italiani e li ingiuria stranieri, e in quest’ atto stesso si pone esso agli occhi di quelli come straniero e oppressore, e introduce così nella vita della Patria i sentimenti e gli abiti che sono propri di altri conflitti; nobilitare col nome di religione il sospetto e l’ animosità sparsi dappertutto, che hanno tolto perfino ai giovani dell’ Università l’ antica e fidente fratellanza nei comuni e giovanili ideali, e li tengono gli uni contro gli altri in sembianti ostili: è cosa che suona, a dir vero, come un’ assai lugubre facezia. [...]
in “Il Mondo”, 1 maggio 1925
Benché il termine “regime” indichi in generale qualsiasi forma di sistema politico e statuale, ci riferiamo qui con questo termine a un sistema di governo autoritario e dittatoriale. Nel contesto specifico dell’Europa del Novecento si intenderanno così i regimi nazi-fascisti (Germania, Italia, Spagna, Portogallo) e comunisti (Unione Sovietica e Paesi satelliti), entrambi totalitari.
Durante il regime fascista l’organizzazione sistematica della vita intellettuale italiana viene affidata al ministro dell’istruzione Giovanni Gentile che, nel 1925, con lo scopo di regolare la formazione e la politica culturale, fonda l’Istituto Nazionale Fascista di Cultura e la Reale Accademia d’Italia, quest’ultima con funzione di rappresentanza, a cui aderiscono gli scrittori e intellettuali più vicini al regime, fra i quali Salvatore Di Giacomo, Luigi Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti ed Emilio Cecchi. In generale, a parte gli intellettuali fascisti militanti (divisi in varie correnti), non si ha una vera e propria identificazione tra mondo della cultura e regime, piuttosto variegate forme di convivenza, spesso con l’illusione, da parte degli scrittori, di una libertà nelle scelte culturali: la creazione di riviste, case editrici e organi di stampa direttamente legati al regime offre molte occasioni di lavoro mentre l’attività giornalistica è ridotta a puro esercizio di stile senza effettive funzioni critiche. I veri oppositori vengono esiliati (ricordiamo, ad esempio, Gaetano Salvemini e Giuseppe Borgese) e incarcerati, altri vivono appartati dalla vita ufficiale; l’unico antifascismo tollerato è quello del filosofo idealista Benedetto Croce.
I confronti e le battaglie intellettuali si svolgono soprattutto nell’ambito delle riviste politiche e letterarie. “La Critica” (1903-1944), fondata da Croce, è il centro d’irradiamento del liberalismo antifascista e tollerata dal regime perché inattiva sul piano pratico; “La Rivoluzione Liberale” (1922-1925), di Piero Gobetti, persegue il tentativo di formare una classe intellettuale che realizzi cambiamenti in senso liberale sulla base della tradizione illuministica; “La Ronda” (1919-1922), fondata da Vincenzo Cardarelli, è il centro dell’aspirazione “al ritorno all’ordine”, a una letteratura quanto più lontana dal vivo presente storico e dunque anche dalla politica. Nel 1925 Gentile, durante un convegno per le Istituzioni fasciste a Bologna, redige il Manifesto degli intellettuali del fascismo firmato, tra gli altri, da Marinetti, Di Giacomo, Pirandello, Curzio Malaparte e Alfredo Panzini. Il primo maggio dello stesso anno sul quotidiano “Il mondo” Croce pubblica Una risposta di scrittori, professori e pubblicisti italiani, al manifesto degli intellettuali fascisti che ottiene numerose adesioni tra cui ricordiamo quelle di Matilde Serao, Luigi Einaudi, Giovanni Amendola, Aldo Palazzeschi, Marino Moretti ed Eugenio Montale: questo rappresenta, per lungo tempo, l’ultimo momento di aperto scontro culturale tra fascismo e antifascismo. Nel 1931 viene imposto il giuramento di fedeltà ai professori universitari: quei pochi che si rifiutano, fra cui Giuseppe Antonio Borgese, sono destituiti. Sotto l’ufficialità fascista – vedi “L’Italia letteraria” (1929-1936) –, interessata a dare l’immagine di una forte e vigorosa letteratura nazionale, si formano varie correnti culturali; la tendenza del populismo antiborghese (il fascismo come rottura del conformismo borghese e affermazione di uno spirito popolare) viene rappresentata da “Il Selvaggio” (1924-1943) di Mino Maccari, mentre quella del “Novecentismo” (fascismo come apertura alla modernità industriale e internazionale) si esprime attraverso il “900” di Massimo Bontempelli (che in seguito critica il regime) e Malaparte. Mentre Antonio Gramsci sviluppa in prigione le sue riflessioni nei Quaderni del carcere (1929-1937), la rivista fiorentina “Solaria” (1926-1936), fondata a Firenze da Alberto Carocci, si pone come laboratorio per la creazione di un letteratura critica di respiro internazionale, libera dalle costrizioni politiche e ideologiche fasciste; è però solo dopo la metà degli anni Trenta che, in seguito al nascente imperialismo italiano e alle leggi razziali, atteggiamenti di dissidio e di opposizione da parte di giovani cresciuti nelle istituzioni culturali fasciste (sostenitori del cosiddetto “fascismo di sinistra”, antiborghese e aperto verso la cultura europea) trovano posto in varie riviste come, per esempio, “Il Bargello”(1929-1943). L’ultima rivista fascista, “Primato” (1940-1943), diretta da Giuseppe Bottai e legata alla corrente del “corporativismo”, favorevole a una certa indipendenza della corporazione degli intellettuali, considera il regime solo come un punto di riferimento istituzionale e cerca di radunare le varie correnti culturali per riaffermare, in prospettiva europea, la superiorità della letteratura italiana. Grazie soprattutto al contributo di “Solaria” si forma verso il 1930 un “nuovo realismo moderno”, che si propone di rappresentare criticamente i cambiamenti della società italiana contemporanea nei suoi rapporti, anche conflittuali, con l’individuo (tra gli altri ricordiamo Carlo Emilio Gadda, Elio Vittorini, Alberto Moravia, Cesare Pavese e Vasco Pratolini). L’oppressivo e stagnante contesto sociale e intellettuale italiano viene ritratto nel capolavoro del giovanissimo Alberto Moravia, Gli indifferenti (1929), grottesca e violenta rappresentazione critica della borghesia sotto il fascismo, e in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, radiografia della vita sociale della capitale durante il regime alla fine degli anni Venti.
Nello stesso periodo in cui in Italia si andavano formando gli scrittori del nuovo realismo moderno, la Repubblica di Weimar lascia posto al regime nazista di Hitler che si conclude solo nel 1945 con la sconfitta della Germania nella seconda guerra mondiale. Sotto il regime praticamente non esiste vita letteraria e intellettuale: emblematico, nel 1933, il rogo in cui vengono bruciati i libri di quasi tutti gli autori significativi del tempo. Centinaia di letterati e intellettuali, chi costretto, chi per libera scelta, prendono la via dell’esilio: benché proveniente dai più diversi schieramenti (dall’estrema sinistra alla borghesia liberale), unanime è il rifiuto del nazismo. Se ne vanno, tra i tantissimi, i fratelli Mann, Bertolt Brecht, Anna Seghers, Alfred Döblin, Carl Zuckmayer ed Enrich Maria Remarque. Nel suo celebre discorso tenuto al congresso del PEN club (Poets, Essayists, Novelists) a Dubrovnik, subito dopo il rogo dei libri, lo scrittore Ernst Toller condanna la barbarie nazista e il presidente dell’associazione, Herbert George Wells, prende le difese degli scrittori in fuga: la sezione tedesca del club, che non ha condannato le persecuzioni degli intellettuali avversi al nazismo, viene espulsa dal PEN. Nel 1936, 118 esponenti della cultura, della politica e della scienza, organizzano un’imponente manifestazione di solidarietà a favore delle vittime del nazismo durante la quale vengono raccolte firme e dichiarazioni per la liberazione, tra gli altri, di Karl von Ossietzky, intellettuale pacifista e premio Nobel per la pace, incarcerato dai nazisti e in seguito deportato nel campo di concentramento di Esterwegen.
Le riviste nate all’estero svolgono un ruolo fondamentale sia come mezzi di lotta politica sia come canali di diffusione artistica. Tra quelle di carattere prettamente letterario ricordiamo “Nuovi fogli tedeschi” (“Neu deutsche Blätter”, Parigi 1933-1935), “La Raccolta” (“Sammlung”, Amsterdam) e “La Parola” (“Das Wort”, Mosca 1936-1939). Tra i vari intellettuali in fuga spicca il nome del liberal-borghese Thomas Mann che, nelle opere successive all’esilio – ad esempio la tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli (Joseph und seine Brüder, 1933-1943) –, recupera testi e temi delle tradizioni letterarie più disparate, reinterpretandoli per dare una rappresentazione critica del tempo presente. Un’operazione simile viene compiuta da Ernst Glaeser che nella sua trilogia – Ferdinando e Isabella (Ferdinand und Isabella, 1936), Re Filippo II (König Philipp II, 1938) e La lotta per la corona (Um die Krone, 1952) – sulla storia spagnola del Quattrocento e del Cinquecento (epoca dell’Inquisizione e delle persecuzioni degli ebrei) rilegge in chiave moderna e antinazista avvenimenti di un passato controverso. Bertolt Brecht, nella sua dimora provvisoria di Svedenborg, in Danimarca, riunisce svariati artisti antifascisti, tra i quali anche Walter Benjamin e Karl Korsch, e nel 1939 pubblica la silloge Poesie di Svendborg (Svendborger Gedichte) che richiamano, per lo stile e i temi, le esperienze e le discussioni politiche di quel periodo. Nel 1941 si trasferisce negli Stati Uniti, Paese scelto come patria adottiva da molti altri intellettuali in fuga come, tra gli altri, lo stesso Thomas Mann, Hermann Broch – che lì compone La morte di Virgilio (Der Tos des Vergil, 1945) –, il filosofo Theodor Adorno, uno dei principali esponenti della Scuola di Francoforte, e lo scienziato Albert Einstein. Ricordiamo infine il contributo ebraico di Lion Feuchtwanger che dal suo esilio ad Amsterdam pubblica il ciclo “della sala d’aspetto” (“Wartesaal”), in cui tratteggia il passaggio dalla Repubblica di Weimar al nazismo, la persecuzione degli ebrei e la vita degli esuli.
I pochi intellettuali rimasti in patria, tra cui lo scrittore Erich Kästner, vengono messi a tacere; ricordiamo tuttavia Reinhold Schneider la cui concezione metafisica della storia presente, ad esempio, nel romanzo Bartolomeo Las Casas (Las Casas vor Karl V., 1938) costituisce una forma di opposizione al regime. Significative e interessanti sono anche le riflessioni e la vicenda del teologo e pastore protestante Dietrich Bonhoeffer che dalle parole passa ai fatti e, per aver partecipato a un fallito complotto contro Hitler, viene dapprima rinchiuso nel carcere berlinese di Tegel – dove scrive le lettere raccolte poi in Resistenza e Resa (Letters and papers from prison, 1953) –, in seguito deportato nel campo di concentramento di Flossenbürg e qui ucciso.
Nell’Austria invasa dalla Germania nazista tra i tanti intellettuali che migrano all’estero citiamo Robert Musil, Hermann Broch, Joseph Roth e Arnold Zweig, che per la disperazione si suicida insieme alla moglie durante l’esilio. Si ricordi poi, in Norvegia, Arnulf Øverland che dopo aver esortato il suo popolo alla resistenza – Parole serie al popolo norvegese (1940) – viene deportato in un campo di concentramento. In seguito alle rivelazioni dei crimini compiuti da Stalin lo scrittore, diventato ormai poeta nazionale, prende le distanze anche dal comunismo a cui si era avvicinato in gioventù. L’arresto e l’esilio spettano al connazionale Johan Borgen per la sua attività antifascista, che tuttavia prosegue in Svezia con la pubblicazione di alcuni romanzi sull’occupazione tedesca in Norvegia.
Il successo del fascismo in Italia e del nazismo in Germania avviene nel contesto di una più generale crisi delle istituzioni liberal-democratiche dell’Europa (trasformatasi, secondo lo scrittore viennese Albert Ehrenstein, in “Barbauropa”) negli anni Venti e in quegli anni Trenta che il poeta inglese Malcom Lowry definisce “di ubriachezza universale dell’umanità”. In Portogallo Antonio de Oliveira Salazar, dopo un colpo di Stato militare, instaura nel 1933 una dittatura di stampo fascista. Solo con la rivoluzione dei garofani, cominciata il 25 aprile 1974, il regime salazarista viene rovesciato. Tra i pochi intellettuali non schierati a favore della dittatura (con la propaganda o il silenzio) ricordiamo Manuel Ferriera, il poeta Alexandre O’Neill che per le sue impietose satire sociali – come Nel regno di Danimarca (No reino da Danimarca, 1941) – viene spesso arrestato e messo sotto stretta sorveglianza, José Saramago e José Cardoso Pires. Quest’ultimo crea negli anni Sessanta la collana economica I Livros das Tres Abelhas (Libri delle Tre Api), dove vengono pubblicati, oltre ai “grandi” delle letterature straniere (Hemingway, Faulkner, Calvino), anche gli scrittori portoghesi Manuel de Fonseca e Alves Redol, critici del regime e delle sue violenze; fonda la rivista mensile “Almanaque”, che ha come oggetto di satira il nazionalismo provinciale portoghese e per questo è varie volte sequestrata dalla polizia; con altri intellettuali, inoltre, fonda in Francia la “Association internazionale pour la liberté de la culture” che gli costa vari arresti. Nel 1968 Cardoso Pires pubblica Il delfino (O Delfim), rappresentazione simbolica dell’arretratezza culturale e dell’ottusità del potere salazarista, fondato sulla miseria e lo sfruttamento del latifondo. Nel 1972 il suo romanzo Dinosauro Eccellentissimo (O dinosauro excelentissimo precedentemente edito in Francia e Inghilterra), testo d’accusa verso le censure repressive del regime e Portogallo imbavagliato (Portugal baillonné, 1972) di Mario Soares, raccontano la situazione del Paese lusitano all’opinione pubblica internazionale. Tra gli autori che continuano a scrivere in esilio e operano attivamente contro il regime, il poeta Manuel Alegre (“Persino nella notte più triste dei tempi di schiavitù c’è sempre qualcuno che resiste, c’è sempre qualcuno che dice no”), divenuto poi ministro in Portogallo dopo la rivoluzione.
A differenza di quanto sta avvenendo in Germania, Italia e Portogallo, dove forti dittature reprimono una minoranza di oppositori, la guerra civile spagnola tra franchisti e repubblicani, scoppiata il 17 luglio 1936, appare come un conflitto aperto tra libertà e tirannia. Mentre Mussolini e Hitler inviano aiuti militari a Francisco Franco, molti intellettuali (tra i quali Ernest Hemingway, André Malraux e Simone Weil) provenienti da tutta Europa e da oltreoceano giungono in Spagna per combattere in prima linea. Tra questi, il poeta inglese Wystan Hugh Auden scrive la famosissima lirica Spagna 1937 (Spain 1937), in cui la tensione civile non cede però all’eccesso celebrativo e partigiano. L’opera più significativa sulla guerra di Spagna è probabilmente il diario-reportage di George Orwell, Omaggio alla Catalogna (Homage to Catalonia, 1938), sulle lotte intestine tra comunisti trockijsti e anarchici. Mentre Juan Ramón Jiménez riporta in Guerra in Spagna (Guerra en España, 1986) la sua esperienza da una prospettiva repubblicana, Maria Zambrano rappresenta l’atteggiamento populista riguardo alla guerra civile in Gli intellettuali nel dramma di Spagna (Los intelectuales en el drama de España, 1937); improntati sull’esaltazione della vita militare e delle azioni gloriose sono invece i romanzi di guerra di Rafael García Serrano La fiel infantería (1943) e Plaza de Castillo (1951).
Dopo la vittoria di Franco nel 1939, la censura spegne rapidamente il fervore letterario di inizio secolo controllando totalmente la vita culturale; solo negli anni Cinquanta, con il consenso delle ali franchiste più liberali, nascono varie riviste anticonformiste come “La hora” (1948-) a Madrid e “Laye” a Barcellona; la poesia accentua le tematiche sociali dell’ingiustizia e della vita quotidiana in un Paese non libero (un esempio è il poeta della scuola di Barcellona José Augustin Goytisolo). Verso la fine degli anni Cinquanta nasce un “romanzo realista” con lo scopo di ritrarre le condizioni di vita degli operai in contrapposizione alla borghesia – La risacca (La resaca, 1958) di Juan Goytisolo –. Sin dai primi anni della dittatura si sviluppa una vasta letteratura dell’esilio specialmente nei Paesi dell’America Latina (tra gli altri Ramón Sender, Max Aub – Campo chiuso (Campo cerrado, 1943) – e Francisco Ayala – La testa dell’agnello (La cabeza del cordero, 1949). Ricordiamo infine il famoso poeta Federico García Lorca che, dopo aver fondato nel febbraio 1936 con gli scrittori Rafael Alberti e José Bergamín, l’Associazione degli intellettuali antifascisti, viene assassinato nell’agosto dello stesso anno dai falangisti.
Di fronte alla presa di potere di Lenin gli intellettuali si dividono tra chi appoggia la rivoluzione bolscevica, considerandola l’inizio di una nuova era, e chi invece la osteggia, tentando una qualche iniziale opposizione oppure fuggendo all’estero (è il caso della poetessa Marina Cvetaeva). Mentre una parte dei futuristi russi emigra in Georgia, un’altra, i cosiddetti kom-futy (comunisti-futuristi), guidati dal poeta Vladimir Majakovskij, abbraccia gli ideali della rivoluzione. Questi ultimi entrano ben presto nella sezione artistica del Narkompros – Narodnyj Kommissariat Prosvescenija (Commissariato del popolo per l’istruzione) –, e fondano la rivista “Gazeta futuristov”. Nasce, sorretto dalle formulazioni teoriche di Aleksandr Bogdanov, il Proletkul’t(abbreviazione di Proletarskaja cultura, “cultura proletaria”), associazione che si prefigge lo scopo di elaborare una cultura proletaria di massa, organizzando anche incontri letterari e centri di educazione per gli operai. Le esigenze di rinnovamento e rigenerazione negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione sono ben espresse nella raccolta Azzurrità (Goluben) dell’altro protagonista del primo periodo della rivoluzione, Sergej Esenin, che però ben presto si distacca dagli entusiasmi iniziali fino al suicidio nel 1925.
Dopo l’istituzione nel 1921 della NEP (Nuova politica economica), che introduce provvisoriamente il libero mercato, la vita intellettuale del Paese si intensifica solo per pochi anni. Nasce ad esempio il gruppo denominato I fratelli di Serapione (Serapionovy brat’ja), definiti daLev Trockij “compagni di strada” (Poputciki) perché, pur non condividendo l’ideologia marxista, si dichiarano comunque pronti a collaborare con le nuovi istituzioni. Gli scrittori del gruppo, tutti giovanissimi (ricordiamo, tra gli altri, Sergej Bulgakov, Venjamin Kaverin, Konstantin Fedin), rinnovano la prosa russa guardando alle esperienze occidentali secondo il procedimento stilistico dello skaz, la riproduzione della lingua parlata e la caratterizzazione individuale di ogni personaggio. Il partito centrale non elabora una precisa politica culturale ma tollera le varie realtà: insieme ai Fratelli di Serapione, svariati gruppi operano infatti per contribuire alle istanze rivoluzionarie, tra i quali ricordiamo i futuristi del Lef (Fronte di sinistra della arti, 1923-1925) di Majakovskij e i membri del gruppo Ottobre, detti napostovcy – dal nome della rivista “Na Postu” (“In guardia”) –, sostenitori della subordinazione della letteratura alla direzione politica del partito; i più irriducibili di questi si radunano poi nella nuova rivista “Al posto di guardia letterario” del critico Erich Auerbach.
Dal 1928 in poi, con la scalata al potere di Stalin, si instaura la dittatura. La proposta del Nuovo Lef (1927-1928) di trasformare lo scrittore in corrispondente operaio (rabkor), favorendo la letteratura dei fatti (literatura fakta: il diario, la biografia, le memorie) a scapito della letteratura d’invenzione (il romanzo), non impedisce infatti la soppressione, nel 1932, di tutte le organizzazioni culturali, sostituite e riunite ora nell’Unione degli scrittori. Al Primo Congresso degli scrittori, nel 1934, Maksim Gor’kij formula i principi guida del realismo socialista a cui ogni artista, nella celebre definizione di Stalin “ingegnere dell’animo umano”, deve adeguarsi: rappresentazione “sincera” della realtà, esaltazione del socialismo, arte come strumento e contributo per la creazione del mondo nuovo comunista. La letteratura degli anni Trenta viene messa sotto stretto controllo attraverso la censura e le campagne denigratorie contro vari scrittori (ad esempio Eugenij Zamjatin), l’eliminazione fisica e la deportazione degli scrittori “nemici del popolo” tra i quali lo scrittore Boris Pil’njak e il grande poeta Osip Mandel’štam, morti entrambi in un lager. La diaspora degli intellettuali in Europa, già cominciata all’indomani della rivoluzione, portò alla formazione, a Parigi e Berlino, di veri e propri centri di raccolta russi (caffè letterari, case editrici, case culturali). Ne Il maestro e Margherita (cominciato nel 1928 ma pubblicato solo nel 1966 previa censura), Michail Bulgakov rappresenta con efficacia la vita socio-culturale di quegli anni e in particolare affronta gli interrogativi riguardanti il ruolo e il destino dell’artista; altra importante testimonianza a memoria delle vittime del terrore comunista è il poema Requiem, scritto dalla poetessa Anna Achmatova tra il 1935 e 1940, fatto circolare clandestinamente e poi pubblicato postumo. Nel dopoguerra Andrej Ždanov, in una risoluzione del Comitato Centrale del Partito del 14 Agosto 1946, imposta la linea culturale da seguire: indipendenza della letteratura sovietica da quella estera, lotta al cosmopolitismo e alla traduzione.
La morte di Stalin (1953) e la scalata al potere di Nikita Chruscev, che avvia la cosiddetta destalinizzazione, hanno conseguenze rilevanti anche sul mondo culturale: meno censura, meno repressione per gli scrittori che rappresentano le contraddizioni sociali, riammissione di intellettuali espulsi, riabilitazione di quelli vittime delle purghe staliniane e ripubblicazione di alcune opere e autori fino ad allora proibiti, Dostoevskij, per esempio. Si affiancano così la letteratura del disgelo (diretta dall’alto, che mira all’accelerazione della destalinizzazione) e la letteratura del dissenso, che si sviluppa clandestinamente; in questo clima esce nel 1954 Il disgelo di Il’ja Il’ja Erenburg, incentrato appunto su personaggi che ritrovano se stessi dopo una “revisione” interiore contro le opprimenti convenzioni sociali. Nel 1958 esplode il caso Pasternak: il suo Il Dottor Zivago era stato messo all’indice e l’autore, insignito del premio Nobel, è costretto a rifiutare l’onorificenza. Nel 1962 la pubblicazione di Una giornata di Ivan Denisovic di Aleksandr Solženicyn apre al mondo la realtà dei lager sovietici, i gulag.
Nel 1964 Leonid Breznev, divenuto segretario del partito comunista (e nel 1977 capo dello stato e del partito), inaugura il periodo cosiddetto della “stagnazione”, caratterizzato da una dura repressione. Cominciano i primi processi pubblici: nel 1964 Iosif Brodskij (poi premio Nobel) viene accusato di “parassitismo”, nel 1966 Julij Daniel e Andrej Sinjavskij vengono arrestati e condannati con l’accusa di aver pubblicato all’estero scritti antisovietici. Gli anni Settanta si caratterizzano per una produzione “di regime” (appartenenti all’Unione degli Scrittori), dal samizdat (“autoedizione” in proprio) e dal tamizdat (pubblicazione illegale all’estero); l’iniziativa dell’almanacco “Metropol”, che tenta di aprirsi al panorama della letteratura contemporanea senza uscire dalla legalità, si conclude con il sequestro dei testi e la repressione degli autori. Bisognerà aspettare fino alla perestrojka di Michail Gorbacëv (1986) perché venga messa fine alla censura e vengano “riabilitati” gli scrittori banditi fino a quel momento.
Nei Paesi dell’Est comunista la situazione è simile a quella prodotta nell’Unione Sovietica: gli scrittori accademici, aderenti all’ideologia marxista, che seguono le indicazioni delle autorità centrali; gli scrittori tollerati, nelle cui opere sono presenti accenni di riflessione critica sulla realtà contemporanea, che riescono tuttavia a essere pubblicati in patria; gli scrittori clandestini, le cui opere si diffondono tra gli intellettuali e la gente comune nonostante la censura e la repressione; gli scrittori esiliati, che vengono pubblicati da editori stranieri per un pubblico straniero.
In Boemia, la Primavera di Praga permette un rifiorire della produzione letteraria: Josef Skvorecky, nato in Ungheria ma emigrato in Canada, nel 1972 scrive (in boemo) Il Miracolo, raffigurazione degli intellettuali di quegli anni e, nel 1977, La storia dell’ingegnere di anime umane, dove con ironia è descritto il passaggio del protagonista dal regime nazista a quello comunista; fama internazionale ha avuto il ceco Milan Kundera che, ne Lo scherzo (1967), rappresenta le persecuzioni e la censura della dittatura in Cecoslovacchia negli anni del culto stalinista. Si ricordi anche lo scrittore ungherese Tibor Déry che, per la sua opposizione al regime e la partecipazione alla rivolta del 1956, ha trascorso quattro anni in prigione dove ha scritto Il signor G.A. nella città di X (1964).
I regimi europei del Novecento sono accomunati dalla pretesa di poter controllare in modo capillare la vita dei cittadini eliminando ogni voce critica che possa destabilizzare il loro potere. In questo contesto le risposte di intellettuali e scrittori di fronte sia alle dittature “rosse” sia a quelle “nere” sono simili: alcuni collaborano pienamente ai regimi o nella sincera illusione che spazi di libertà siano comunque garantiti loro o per convenienza o per intima convinzione ideologica (salvo poi in alcuni casi ricredersi e passare “dall’altra parte” o comunque su posizioni critiche); altri, dietro una collaborazione o un’indifferenza di facciata, continuano con l’azione armata e/o con la stampa e diffusione di opere clandestine un’attività sovversiva più o meno efficace; chi si proclama apertamente contrario ai regimi viene censurato, arrestato, condannato a morte o all’esilio aggiungendosi così a coloro che, rifiutando la dittatura, scelgono di propria iniziativa la fuga verso Paesi liberi da dove proseguirono poi l’attività artistica e di opposizione.