Gli Stati generali sull'esecuzione penale
A seguito di sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia ha operato alcuni interventi normativi e amministrativi con l’obiettivo di realizzare un miglioramento delle condizioni detentive. In questo contesto è stata ideata e realizzata l’iniziativa degli «Stati generali sull’esecuzione penale», con l’obiettivo di favorire la maturazione di una diversa cultura delle pene e di orientare le future scelte normative in materia. Il contributo che segue offre una sintesi dei passaggi essenziali dell’iniziativa promossa dal Ministero della giustizia e propone un primo bilancio sulla stessa.
A seguito delle condanne pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano per i trattamenti inumani e degradanti subiti da persone detenute1, diversi sono stati gli interventi normativi (quasi tutti operati nella forma del decreto-legge)2 e amministrativi (in prevalenza circolari)3 rivolti non solo a contenere il fenomeno del sovraffollamento carcerario4 ma anche, e in parte consequenzialmente, ad assicurare un miglioramento delle condizioni dei reclusi.
Nella medesima direzione può essere riguardato il recente disegno di legge di delega che propone una revisione dell’attuale ordinamento penitenziario (l. 26.7.1975, n. 354), in grado di assicurare, secondo i proponenti, «l’effettività rieducativa della pena» così come richiesto dall’art. 27, co. 3, Cost.5.
In questo contesto si inserisce l’iniziativa promossa dal Ministero della Giustizia denominata «Stati generali sull’esecuzione penale», avviata nel maggio 20156 e conclusa nell’aprile 20167. Un’iniziativa nata per favorire una riflessione tra esperti, a diverso titolo, del sistema dell’esecuzione penale e, nelle intenzioni ministeriali, per promuovere un coinvolgimento dell’opinione pubblica, da attivare mediante interazione telematica su documenti resi disponibili nel sito del Dicastero, auspicabilmente sollecitata dal presunto interesse che l’intrapresa avrebbe ricevuto dai mass media. Sempre nelle intenzioni del Guardasigilli, i lavori degli Stati generali avrebbero dovuto seguire un percorso parallelo a quello della delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario, potendo così fornire spunti sia per eventuali modifiche parlamentari del disegno di legge sia per la successiva redazione dei decreti legislativi delegati.
I lavori degli Stati generali, coordinati da un Comitato di esperti, si sono così articolati su diciotto perimetri tematici (in larga parte coincidenti con i punti della cd. delega penitenziaria) affidati ad altrettanti Tavoli di lavoro, composti mediamente da dodici membri (docenti universitari, magistrati, avvocati, dirigenti penitenziari, rappresentanti del mondo del volontariato, della cultura e dello sport)8, con un coinvolgimento, dunque, di oltre duecento persone.
All’esito dei lavori ciascun tavolo ha prodotto una Relazione, preceduta, medio tempore, da un sintetico report, e, successivamente, il Comitato di esperti ha redatto un Documento finale nel quale sono state delineate le linee principali dell’iniziativa ed elaborate alcune ipotesi di intervento che occupano i diversi ambiti presi in considerazione9.
Diverse e difficilmente sintetizzabili sono le criticità rilevate e le proposte elaborate nei documenti prodotti dai Tavoli degli Stati generali, che peraltro coinvolgono sia il piano normativo sia quello amministrativo (nonché, talora, quello dell’interpretazione-applicazione giurisprudenziale) e ruotano attorno all’esigenza di abbandonare la prospettiva “carcerocentrica” che ha sinora orientato in modo decisivo le scelte sul “come punire”.
Su questa generale esigenza, s’innestano puntuali necessità, tra le quali: a) effettiva realizzazione del principio della territorialità della pena, con attenzione sia ai legami affettivi sia ai percorsi di risocializzazione già intrapresi presso specifici istituti penitenziari (con riguardo a quest’ultimo punto sono da evidenziare i problemi connessi ai continui trasferimenti cui i detenuti sono spesso sottoposti); b) considerazione delle specifiche esigenze dei minori nella gestione dei rapporti con il genitore detenuto; c) aggiornamento della disciplina dei permessi, al fine di non limitarne la concessione agli eventi familiari «di particolare gravità»10, interpretando la predetta formula, o meglio rivedendola, al fine di comprendervi gli “eventi di particolare importanza” che non siano necessariamente gravi nell’accezione negativa del termine; d) proiezione normativa, in termini di diritti, dei bisogni legati all’affettività e alla sessualità (cd. permesso di affettività e introduzione dei colloqui intimi); e) incremento dei colloqui e della corrispondenza con i familiari, eliminando tra l’altro il trattamento differenziato degli imputati e dei condannati per particolari delitti elencati nell’art. 4 bis l. n. 354/197511; f ) standardizzazione delle “buone pratiche” già consolidate in alcuni istituti penitenziari, nella prospettiva di porre fine ad una gestione eccessivamente eterogenea dell’esecuzione penale che osta peraltro all’uniforme garanzia dei diritti; g) “normalizzazione” del lavoro penitenziario, affidandone se del caso la promozione ad apposito organismo/ente dotato delle necessarie competenze in materia di marketing, organizzazione produttiva, gestione del personale, ecc., e rivedendo le retribuzioni, ferme a valori risalenti a più di venti anni fa; h) maggiore considerazione delle specifiche esigenze di tutela della salute dei soggetti ristretti, anche modernizzando il servizio (uso delle cartelle cliniche digitali, impiego della telemedicina); i) introduzione di norme più cogenti quanto al diritto all’istruzione, che rendano possibile ed effettiva la frequenza da parte di tutti i detenuti dei corsi di istruzione di primo e secondo grado e dei corsi di formazione e qualificazione professionale; l) revisione della disciplina concernente l’assistenza spirituale e l’accesso al carcere dei ministri di culto, prestando attenzione maggiore ai bisogni dei detenuti, piuttosto che alle esigenze delle confessioni religiose; m) adeguamento delle strutture architettoniche degli istituti di pena alle esigenze del modello detentivo comunemente indicato come “vigilanza dinamica”; n) effettiva attenzione, sul piano normativo e amministrativo, ai bisogni di particolari categorie di soggetti definite “vunerabili”; o) valorizzazione delle sanzioni di comunità in luogo delle pene detentive; p) rimozione di automatismi e preclusioni che attualmente ostano all’applicazione di misure non detentive nei confronti di autori di determinati reati (tali misure non devono essere intese come modo di afflizione attenuato, ma come modo migliore per un graduale reinserimento sociale12); q) superamento della troppo rigida distinzione tra compiti di sicurezza e di trattamento che caratterizza l’attuale configurazione delle professionalità che intervengono nella fase dell’esecuzione della pena; r) profondo ripensamento del sistema delle misure di sicurezza; s) valorizzazione dell’utilizzo della giustizia riparativa. Questi sembrano essere i principali ambiti di intervento sui quali si è focalizzata l’attenzione dei Tavoli, nonché quella del Comitato di esperti, con l’obiettivo di concepire un sistema che favorisca l’autodeterminazione e la responsabilizzazione del soggetto destinatario della sanzione. Un obiettivo
che demanda alle istituzioni chiamate a sovraintendere la delicata fase dell’esecuzione penale il compito di farsi sempre più promotrici, senza paternalismi, di occasioni che consentano al singolo di “riappropriarsi della vita”, di intraprendere un percorso che consenta di ricostruire quel legame sociale che si presume essere stato interrotto dalla commissione del fatto di reato. Un obiettivo che per essere efficacemente perseguito presuppone la maturazione di una nuova cultura della pena, una maggiore consapevolezza dell’interdipendenza tra politiche sociali e politiche penali (“chi e perché punire”)13 e una decisa valorizzazione delle sanzioni non carcerarie (“come punire”)14. Quando poi la pena carceraria si riveli l’unica possibile nelle circostanze date, che si abbia coscienza che «l’estensione e la portata dei diritti dei detenuti … può subire restrizioni di vario genere unicamente in vista delle esigenze di sicurezza inerenti la custodia in carcere. In assenza di tali esigenze, la limitazione acquisterebbe un valore afflittivo supplementare rispetto alla privazione della libertà personale, non compatibile con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione»15. Di qui, tra l’altro, la necessità di una rimeditazione della cornice spaziotemporale a disposizione del detenuto, con una più ampia fruibilità del perimetro degli istituti penitenziari e un’articolazione della vita quotidiana scandita dallo svolgimento di attività (lavoro, formazione, cultura, svago, ecc.) che consentano l’autorealizzazione del singolo. In questa prospettiva la cella dovrebbe essere mera camera di pernottamento e la dimensione spaziale della pena essere definita dal muro di cinta, con possibilità di “indietreggiare” fino alla camera di pernottamento soltanto a fronte di precise, puntuali, esigenze di ordine e sicurezza.
D’altra parte la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sì affermato che uno “spazio vitale” nella cella inferiore a 3 mq è condizione che di per sé comporta la violazione dell’art. 3 CEDU (divieto di trattamenti inumani o degradanti), ma non ha mai ritenuto che, garantito questo “spazio vitale”, la carcerazione sia senz’altro conforme a umanità. Anzi, ha esplicitamene stabilito che, ove tale presupposto sia rispettato, occorre in ogni caso verificare l’osservanza delle più generali condizioni di detenzione (situazione igienico-sanitaria, cubatura d’aria, riscaldamento, ore d’aria e di socialità, ecc.) al fine di poter escludere la violazione dell’art. 3 CEDU16. Si tratta di un punto fondamentale se si intende realizzare un modello detentivo rispettoso della dignità della persona, che consideri il diritto a un’esecuzione della pena non disumana non riducibile nei termini della disponibilità di uno spazio minimo all’interno della cella, ma comprensivo della più ampia pretesa ad un “trattamento” che offra concrete possibilità di reinserimento sociale17.
Rispetto a questi obiettivi, le criticità individuate dai Tavoli, in larga parte evidenziate già dalla dottrina nonché da Commissioni ministeriali, parlamentari e del C.S.M. istituite anche negli ultimi anni sul tema18, lasciano emergere un variegato quadro di responsabilità, di compiti costituzionali non adempiuti, dei quali peraltro lo stesso Ministro della giustizia ha mostrato piena consapevolezza sin dalla presentazione dell’iniziativa, ove si legge che essa ha il fine di contribuire a realizzare «un modello di esecuzione della pena all’altezza dell’articolo 27 della nostra Costituzione»19. La speranza espressa in forma così impegnativa si è tradotta presto in ambizione attraverso l’individuazione dell’obiettivo principale degli Stati generali: aprire un confronto rivolto a «definire un nuovo modello di esecuzione penale», ponendo il tema «al centro del dibattito pubblico» in modo da coinvolgere «l’opinione pubblica e la società italiana nel suo complesso, dal mondo dell’economia, a quello della produzione artistica, culturale, professionale». Un’enfasi che trova riscontro nella scelta, invero abusata, dell’intitolazione dell’iniziativa20, che addirittura evoca, secondo la tradizione francese sin da Filippo il Bello, un ampio coinvolgimento delle forze sociali, invitate a rappresentare al “sovrano” le loro richieste e soprattutto le loro lamentele21.
Può dirsi che l’iniziativa abbia raggiunto i risultati proposti? Solo in parte. L’elemento più incoraggiante è dato dal positivo esito dell’incontro tra culture ed esperienze che prima non avevano dialogato se non sporadicamente, con il coinvolgimento di persone che in pochi mesi e a titolo gratuito sono state in grado di offrire un patrimonio di proposte e di documenti dai quali possono trarsi spunti e persino soluzioni (spesso redatte in forma di “articolato”) per un concreto miglioramento del sistema dell’esecuzione penale.
Un risultato importante, dunque, senz’altro ascrivibile a un metodo fecondo, basato sulla “sinergia”, sull’azione combinata e coordinata di coloro che hanno partecipato all’intrapresa, in grado di assicurare, probabilmente, un “rendimento” maggiore di quello conseguibile con l’azione separata del singolo.
Una “sinergia” che, auspicabilmente e oltre le intenzioni originarie, potrebbe aver contribuito a sprigionare una forza autonoma, non rivendicabile da nessuna parte politica e pronta a vagliare criticamente i futuri interventi normativi e amministrativi in tema di esecuzione delle pene.
Il dato negativo è invece costituito dal fallimento della consultazione pubblica, sia in termini di partecipazione critica sulla documentazione proposta sia sotto il profilo dell’attenzione (pressoché inesistente) dei mass media22. Il che, oltre a confermare un dato ben noto qual è quello del disinteresse dei mezzi di comunicazione di massa verso i temi dell’esecuzione delle pene, costringe a rilevare una precisa responsabilità del Ministero della giustizia per non aver saputo vincere questa resistenza. L’iniziativa non è stata adeguatamente divulgata nel suo iter e probabilmente anche nella presentazione dei suoi esiti in quella che un giornale ha definito la “kermesse sul carcere” svoltasi nell’aprile 2016 presso l’istituto romano di Rebibbia23.
Il dubbio che residua, in sede di bilancio sugli esiti dell’iniziativa, è se la politica saprà effettivamente fare tesoro della mole di lavoro prodotta, superando quella massa inerziale che, già consistente di per sé quando a venire in gioco è il tema del rispetto dei diritti nell’esecuzione penale, tende ad accrescersi ulteriormente in periodi di (ormai continua) competizione elettorale. I primi riscontri non sono certo incoraggianti, come dimostra il fatto che il percorso parlamentare di approvazione del disegno di legge di delega in materia penitenziaria non si è concluso, come invece annunciato, né prima né immediatamente dopo gli Stati generali. È in questa fase che la forza sprigionata dagli Stati generali dovrà saper far valere la propria autonomia di giudizio, vagliando criticamente le scelte che saranno compiute a livello politico e amministrativo, nonché denunciando le eventuali omissioni o inerzie nel perseguimento dell’obiettivo di realizzare «un modello di esecuzione della pena all’altezza dell’articolo 27 della nostra Costituzione». Che il lavoro dei “tecnici” prosegua, dunque, nella forma più consona, che non è certo quella della contiguità al potere. A imporlo è anche la tradizione francese, che prevede lo scioglimento degli Stati generali, senza attendere la risposta del governo del re, una volta elaborate critiche e lamentele (cahiers de doléances). È proprio in questo momento che si apre il solco tra il tecnico (specie lo studioso) e il politico, dovendosi il primo, se è realmente tale, ispirare al motto «feci quod potui, faciant meliora potentes». Non è più, insomma, il tempo degli “esperti”. Il compito di dare “seguito” agli Stati generali spetta, doverosamente ed esclusivamente, alle forze politiche.
Note
1 Si tratta delle decisioni nelle quali è stata riscontrata la violazione dell’art. 3 CEDU, che prevede il divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti. Il riferimento è, in particolare, a C. eur. dir. uomo, 8.1.2013, Torreggiani e altri c. Italia (def. 26.5.2013). Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha ritenuto che l’Italia abbia dato piena esecuzione alla sentenza ed ha chiuso il caso in data 8 marzo 2016: Risoluzione del Comitato dei Ministri, CM/ResDH
(2016)28. Prima della sentenza Torreggiani si veda, almeno, C. eur. dir. uomo, 16.7.2009, Sulejmanovic c. Italia. Successivamente, per il riconoscimento dell’impegno dell’Italia nella risoluzione del problema strutturale del sovraffollamento carcerario, v., almeno: C. eur. dir. uomo, 25.9.2014, Stella c. Italia; 7.11.2014, Rexhepi c. Italia.
2 Tra gli interventi normativi successivi alla sentenza Torreggiani: d.l. 1.7.2013, n. 78, conv. con modif. in l. 9.8.2013, n. 94, che ha rimosso alcuni automatismi e preclusioni ostativi a un trattamento rieducativo “individualizzato” per numerose tipologie di condannati; d.l. 23.12.2013, n. 146, conv. con modif. in l. 21.2.2014, n. 10, che ha, tra l’altro, introdotto una diversa disciplina del procedimento giurisdizionale volto a garantire la tutela dei diritti dei detenuti, previsto la misura
della liberazione anticipata speciale, istituito il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute; d.l. 26.6. 2014, n. 92, conv. con modif. in l. 11.8.2014, n. 117, che ha introdotto il rimedio cd. compensativo per la detenzione patita in condizioni contrarie all’art. 3 CEDU. Devono altresì menzionarsi la l. 28.4.2014, n. 67, che ha introdotto importanti modifiche al sistema delle sanzioni per i reati minori, e la l. 16.5.2014, n. 79, riguardante il regime sanzionatorio differenziato
per le condotte illecite legate alle droghe “leggere” e alle droghe “pesanti”.
3 Si vedano, tra le altre, le seguenti circolari DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria): n. 3649/6099 del 13.7.2013, riguardante la cd. sorveglianza dinamica; prot. n. 366755 del 2.11.2015, sulla possibilità di accesso ad internet da parte dei detenuti; prot. n. 425948 del 21.12.2015 n. prot. 425948, sui processi di conoscenza della persona detenuta.
4 Occorre rilevare che nel 2010 il numero dei detenuti aveva raggiunto quota 67.971, mentre al 31.8.2016 gli istituti penitenziari italiani ospitano 54.195 persone.
5 Il disegno di legge (XVII Legislatura, A.C. n. 2798 e A.S. 2067) reca nel titolo la seguente, significativa, formula: «Modifiche… all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena». Si vedano, in particolare, l’art. 29 (che prevede la «Delega al Governo per la riforma del processo penale e dell’ordinamento penitenziario») e l’art. 31 (che fissa i principi e i criteri direttivi per l’adozione dei decreti legislativi delegati).
6 Si veda il d.m. 8.5.2015, con il quale è stato istituito il «Comitato degli esperti per lo svolgimento della consultazione pubblica sulla esecuzione della pena denominata “Stati Generali sulla esecuzione penale”», e il successivo d.m. 9.6.2015 che ha disposto l’integrazione del predetto Comitato (entrambi pubblicati in www.giustizia.it). L’iniziativa è stata presentata il 19.5.2015 presso la Casa di reclusione di Milano Bollate.
7 Sul sito del Ministero della giustizia (www.giustizia.it) è disponibile il Documento finale redatto dal Comitato di esperti e depositato a ridosso dell’evento conclusivo tenutosi presso la Sala Teatro del Carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso il 18 e 19 aprile 2016. Nella stessa sede è possibile consultare le Relazioni dei diciotto Tavoli.
8 Di seguito l’elenco dei Tavoli: 1. Spazio della pena: architettura e carcere; 2. Vita detentiva. Responsabilizzazione del detenuto, circuiti e sicurezza; 3. Donne e carcere; 4. Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenze; 5. Minorenni autori di reato; 6. Mondo degli affetti e territorializzazione della pena; 7. Stranieri ed esecuzione penale; 8. Lavoro e formazione; 9. Istruzione, cultura, sport; 10. Salute e disagio psichico; 11. Misure di sicurezza; 12. Misure e sanzioni di comunità; 13. Giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime del reato; 14. Esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali; 15. Operatori penitenziari e formazione; 16. Trattamento. Ostacoli normativi all’individualizzazione del trattamento rieducativo; 17. Processo di reinserimento e presa in carico territoriale; 18. Organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale. Per la composizione dei Tavoli si rinvia alla consultazione del sito www.giustizia.it.
9 Non mancano già riflessioni sull’iniziativa degli Stati generali: Giostra, G., La riforma penitenziaria: un nuovo approccio ai problemi di sempre, in www.costituzionalismo.it, fasc. 2/2015; Ruotolo, M., Gli Stati generali sull’esecuzione penale: finalità e obiettivi, in www.penalecontemporaneo.it, 11.3.2016; Giostra, G., Ragioni e obiettivi di una scelta metodologicamente inedita, in Riv. it. dir. proc. e pen., fasc. 1/2016, 449 ss.; Fiorentin, F., La conclusione degli “Stati generali” per la riforma dell’esecuzione penale in Italia, in www.penalecontemporaneo.it, 6.6.2016; Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane, Gli Stati generali dell’esecuzione penale, Pisa, 2016. Si veda anche il documento del C.S.M., Risoluzione in ordine agli Stati Generali sull’esecuzione penale, in www.cosmag.it, 2016.
10 Cfr. art. 30 l. n. 354/1975.
11 L’art. 4 bis l. n. 354/1975 prevede preclusioni nell’accesso alle misure “rieducative” e ai benefici penitenziari con riferimento a una ormai variegata tipologia di reati, dall’associazione mafiosa al sequestro di persona sino all’associazione a delinquere finalizzata al contrabbando dei tabacchi lavorati esteri.
12 In questo ambito è stata opportunamente sottolineata l’assurdità non solo del cd. ergastolo ostativo, ma in misura persino maggiore dell’ostatività rispetto alle pene temporanee. Sulla fenomenologia e le criticità costituzionali dell’ergastolo ostativo v. Musumeci, C.-Pugiotto, A., Gli ergastolani senza scampo, Napoli, 2016. Le presunzioni legali di irrecuperabilità sociale pongono problemi di compatibilità sia con i principi costituzionali sia con le specifiche previsioni della CEDU. Su quest’ultimo punto v. C. eur. dir. uomo, 9.7.2013, Vinter e altri c. Regno Unito.
13 Non vi è dubbio che le risposte date alle domande “chi e perché punire” abbiano condizionato le scelte sul “come punire”, perdendosi volutamente una visione d’insieme al centro della quale andrebbe posto il tema della adeguatezza delle politiche sociali, vero antidoto al crimine, reale strumento di prevenzione dei delitti. In argomento v. le fondamentali pagine di: Melossi, D.-Pavarini, M., Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema penitenziario, Bologna, 1977; Margara, A., Sorvegliare e punire: storia di 50 anni di carcere, in Questione giust., fasc. 5/2009, 89 ss.; Pavarini, M., Governare la penalità. Sistema sociale, processi decisionali e discorsi pubblici sulla penalità, Bologna, 2013.
14 Come ho sostenuto altrove, anche sulla base di alcuni spunti tratti dalla giurisprudenza costituzionale, sarebbe necessario che il legislatore prima di introdurre nuove fattispecie di reato valuti il potenziale impatto della novità in termini di carcerizzazione (perché la possibilità stessa dell’individualizzazione del trattamento è pregiudicata dal sovraffollamento), comprendendo anche questo fondamentale passaggio valutativo nell’analisi di impatto della legislazione che ormai i regolamenti parlamentari impongono nella fase istruttoria dei procedimenti legislativi. Cfr. Ruotolo, M., Gli Stati generali sull’esecuzione penale, cit., 4.
15 C. cost., 7.6.2013, n. 135. Per un quadro sulla copiosa giurisprudenza costituzionale riguardante i diritti dei detenuti v. Ruotolo, M., Tra integrazione e maieutica: Corte costituzionale e diritti dei detenuti, in Rivista telematica dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, www.rivistaaic.it, fasc. 3/2016.
16 Cfr., ad. es, C. eur. dir. uomo, 18.3.2010, Kouzmin e altri c. Russia.
17 Per una più ampia riflessione sul fondamentale diritto a un’esecuzione della pena non disumana e sulle sue implicazioni v. Ruotolo, M., Dignità e carcere, II ed., Napoli, 2014.
18 Cfr. Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica (che ha prodotto il Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattamento per migranti in Italia, 2012, www.senato.it); Commissione per elaborare proposte di interventi in tema di sistema sanzionatorio penale (istituita con d.m. 10.6.2012 e presieduta dal Prof. Francesco Palazzo, la quale ha prodotto nel dicembre 2013 una Relazione reperibile in www.penalecontemporaneo.it, 10.2.2014); Gruppo di studio ministeriale istituito con d.m. 14.12.2012 per elaborare una proposta di revisione del sistema penale attraverso l’introduzione di norme di depenalizzazione (istituito con d.m. 14.12.2012 e presieduto dal prof. Antonio Fiorella, la cui Relazione è stata prodotta nell’aprile 2013 ed è pubblicata in www.giustizia.it); Commissione ministeriale per elaborare una proposta di interventi in materia di processo penale (istituita con d.m. 10.6.2013 e presieduta dal dott. Gianni Canzio, la cui relazione è stata prodotta nel novembre 2013 ed è pubblicata in www.penalecontemporaneo.it, 27.10. 2014); Commissione ministeriale di studio in tema di interventi in materia penitenziaria (istituita con d.m. 13.6.2013 e presieduta dal Prof. Mauro Palma, il cui Documento finale, presentato al Ministro della giustizia il 25.112013, è pubblicato in www.giustizia.it); Commissione ministeriale di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione (istituita con d.m. 2.7.2013 e presieduta dal Prof. Glauco Giostra, la quale ha prodotto nel dicembre 2013 un Documento finale, reperibile in www.penalecontemporaneo.it, 20.12.2013); Commissione mista per lo studio dei problemi della Magistratura di sorveglianza (presieduta dal Prof. Glauco Giostra, la cui Relazione è stata pubblicata nei Quad. C.S.M., 2013, con il titolo Sovraffollamento carceri: una proposta per superare l’emergenza); Commissione ministeriale per l’elaborazione di proposte in tema di revisione del sistema sanzionatorio e per dare attuazione alla legge delega 28.4.2014, n. 67 in materia di pene detentive non carcerarie e di depenalizzazione (istituita con d.m. 27.5.2014 e presieduta dal Prof. Francesco Palazzo, la quale ha prodotto una Relazione nel dicembre 2014, reperibile nel sito del Senato, www.senato.it).
19 Presentazione degli Stati generali sull’esecuzione penale, consultabile sul sito www.giustizia.it.
20 L’indizione di Stati generali è ormai iniziativa quasi quotidiana, promossa da istituzioni pubbliche o da soggetti privati. Limitandosi al periodo più recente possono ricordarsi gli Stati generali del turismo, della ricerca sanitaria, sui cambiamenti climatici e la difesa del territorio, della Green Economy, delle donne, della lotta alla criminalità organizzata, sino a quelli partitici come gli «Stati generali del centro destra di governo».
21 Fu il re Filippo il Bello a convocare i primi Stati generali il 10 aprile 1302 nella chiesa di Notre-Dame a Parigi. L’ultima convocazione si ebbe nel 1789, con la trasformazione degli Stati generali in Assemblea nazionale costituente.
22 Gli Stati generali sono saliti alla ribalta dei media in due occasioni: la nomina (poi venuta meno) di Adriano Sofri a coordinatore di Tavolo (giugno 2015); l’intervento video dell’attore Checco Zalone in occasione dell’evento finale (aprile 2016).
23 A Rebibbia la kermesse sul carcere, via streaming, in La Stampa, 13.4.2016.