Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
In ambiti civili e militari gli strumenti matematici hanno un impiego crescente: in particolare nella navigazione, nella balistica e nell’ingegneria. Accanto ad usi pratici gli strumenti entrano a far parte della scienza – processo già affermatosi in astronomia, che si estende anche ad altre discipline. Grazie alle nuove conoscenze di ottica e alla molatura di lenti, il telescopio si perfeziona consentendo sempre migliori osservazioni. Le innovazioni introdotte negli strumenti di misurazione del tempo contribuiscono a far progredire le ricerche di meccanica e favoriscono la risoluzione di problemi pratici come la determinazione della longitudine. La pompa pneumatica è tra i più innovativi strumenti del secolo: essa consente di eseguire sofisticati esperimenti sull’aria e la respirazione.
Gli impetuosi sviluppi della navigazione, esplorazione, balistica, topografia, ingegneria, architettura e metallurgia richiedono la costruzione di strumenti di precisione, finalizzati a misurare il tempo, a osservare e misurare spazi, a controllare calibri e gittate. Nascono botteghe artigiane specializzate nella costruzione di strumenti matematici, molti dei quali destinati a usi pratici, non necessariamente alla sperimentazione.
Agli strumenti per usi pratici cominciano ad aggiungersi quelli per scopi di carattere scientifico: in astronomia, in chimica, in termometria, nella meccanica e pneumatica. Lo strumento consente di perfezionare i sensi, come il telescopio e il microscopio, di ottenere risultati più precisi, come gli strumenti di misurazione del tempo, di oggettivare ciò che si osserva, come le sfere armillari, nonché di creare artificialmente condizioni non esistenti o difficilmente realizzabili in natura, come la pompa pneumatica.
Certamente lo sviluppo della scienza sperimentale ha a sua volta stimolato la produzione di strumenti atti a realizzare ricerche sempre più sofisticate, ma quello scientifico progettato e costruito con specifiche finalità di ricerca si afferma molto lentamente.
Non pochi vengono per esempio costruiti o acquistati non per essere usati in laboratori o in osservatori, ma con finalità di carattere ornamentale, per destare meraviglia e arricchire collezioni di principi (per esempio i globi e le carte geografiche). È certamente questo il caso degli eleganti strumenti di termometria dell’Accademia del Cimento in vetro lavorato.
Nel Seicento la scienza comincia a spettacolarizzarsi e lo strumento scientifico diviene un’attrattiva, come accade con l’esperimento degli emisferi di Magdeburgo. Nel 1657 il borgomastro della città, nonché scienziato, Otto von Guericke allestisce una spettacolare esperienza alla quale assiste un enorme numero di concittadini. Dimostra che il peso dell’aria spinge l’uno contro l’altro due emisferi perfettamente combacianti, entro i quali è stato fatto il vuoto, con tale forza che occorrevano due tiri contrapposti di sedici cavalli per separarle.
Lo status dei costruttori di strumenti è piuttosto vario. Innanzitutto occorre precisare che non esiste una categoria omogenea: coloro che realizzano strumenti matematici sono per lo più distinti da coloro che lavorano lenti e producono quelli ottici. Alcuni di questi ottengono un considerevole successo commerciale e acquisiscono posizioni di prestigio presso le corti, vi sono poi costruttori di strumenti che sono anche direttamente impegnati in indagini scientifiche, mentre molti (forse la maggior parte) sono artigiani che occupano una posizione sociale piuttosto bassa e lasciano poche tracce delle proprie attività – talvolta solo una sigla sull’oggetto.
La ricca e potente famiglia toscana dei Della Volpaia costruisce orologi e sfere armillari per i Medici per tutto il Cinquecento, fino ai primi anni del Seicento. Lo svizzero Joost Bürgi è orologiaio di corte del langravio Guglielmo IV di Assia e poi dell’imperatore Rodolfo II. Bürgi ha competenze matematiche e collabora con Giovanni Keplero. Michel Coignet, figlio a sua volta di un costruttore di strumenti, lavora ad Anversa, è al servizio dell’arciduca Alberto d’Austria e pubblica opere di matematica e ingegneria. Giuseppe Campani ed Eustachio Divini, noti per le loro lenti, telescopi e microscopi, associano la costruzione di strumenti a osservazioni astronomiche e alla pubblicazione di testi scientifici.
L’olandese Anton van Leeuwenhoek (1632-1723), mercante di stoffe a Delft, ottiene risultati eccellenti nella lavorazione delle lenti, costruisce circa 500 microscopi e invia i risultati delle sue indagini al periodico della Royal Society di Londra, “Philosophical Transactions”.
Fra coloro che invece lasciano solo una sigla sulla loro creazione possiamo menzionare Marcantonio Mazzoleni, che costruisce strumenti per Galilei (compassi militari, bussole, squadre). Pur essendo un abile costruttore non diviene mai ricco, vive con moglie e figlia presso Galilei a Padova. Descartes impiega Jean Ferrier, un abile artigiano parigino nella molatura di lenti. Avendo in gran considerazione il suo lavoro, gli propone (invano) di continuare a lavorare al suo servizio in Olanda. Di Ferrier non restano altre tracce.
Alcuni fra i più noti scienziati del secolo si dedicano alla costruzione di strumenti: Huygens è direttamente impegnato nel lavoro di molatura di lenti e nella realizzazione di orologi. Già dai primi anni Cinquanta egli è in contatto con artigiani olandesi e tedeschi per conoscere nuove tecniche di molatura e produce lenti fino a 23 centimetri di diametro e di grande lunghezza focale. Robert Hooke costruisce (con Boyle) la pompa pneumatica, lavora lenti per il microscopio e perfeziona dispositivi necessari alla misurazione del tempo, quali lo scappamento ad ancora e le molle a spirale applicate ai bilancieri. Hooke collabora e scambia informazioni con artigiani londinesi.
L’arte della guerra è uno dei principali scopi per cui si producono strumenti matematici. Non è un caso che Galilei definisca il proprio compasso “geometrico-militare”. È uno dei più complessi strumenti di calcolo del primo Seicento: consente di risolvere i problemi aritmetici e geometrici più semplici, così come il calcolo degli interessi, il cambio delle monete, i pesi specifici, la misura dei calibri, l’assetto dei cannoni, la misura delle altezze e delle pendenze. Già dal XVI secolo livelle e mirini sono utilizzati nella balistica per traguardare il bersaglio; il goniometro è utilizzato nell’ingegneria civile e militare. Per i rilievi topografici, la tavoletta pretoriana è affiancata, ma non sostituita, dal teodolite.
Allo scozzese John Napier si deve l’invenzione di un dispositivo di calcolo fatto di dieci bastoncini rettangolari numerati; su ciascuno sono scritti i multipli dei numeri da 1 a 9 e i bastoncini vengono posti l’uno accanto all’altro: la moltiplicazione si esegue sommando le cifre che compaiono sulla diagonale. Basandosi sull’opera di Napier, il matematico inglese William Oughtred costruisce un regolo calcolatore lineare: facendo scorrere l’uno sull’atro due righelli, è possibile eseguire moltiplicazioni e divisioni.
L’ideazione della prima macchina calcolatrice, ad opera di Blaise Pascal (1623-1662) nel 1642, risponde a fini pratici: il giovane matematico la costruisce per aiutare il padre a gestire la contabilità. La “pascalina” esegue le addizioni e sottrazioni attraverso la rotazione di ingranaggi ed è in grado di tener conto dei riporti; esegue anche moltiplicazioni, ma in modo non semplice, attraverso la ripetizione di addizioni. Ne vengono realizzati circa 20 esemplari, ma la calcolatrice non ha un gran successo, essendo la sua costruzione difficile e costosa. In Inghilterra Samuel Morland (1625-1695), uomo politico legato a Cromwell, inventa una macchina in grado di eseguire le quattro operazioni e una per calcoli trigonometrici. A Parigi Leibniz è informato della macchina di Pascal e nel 1672 realizza una propria calcolatrice, in grado di eseguire anche moltiplicazioni di due numeri a più cifre e divisioni. Presenta la macchina alla Royal Society di Londra, dove incontra Morland, ma gli Inglesi mostrano scarso interesse per l’invenzione del matematico tedesco. Nel 1675 la calcolatrice è presentata all’Accademia delle Scienze di Parigi ed è molto apprezzata. Nel 1694 Leibniz produce a Parigi, con l’aiuto di un orologiaio, un nuovo modello (molto costoso) della propria macchina, che si basa su un tamburo differenziato, un meccanismo che contiene nove denti di lunghezza crescente.
Grazie a Galilei, il telescopio entra a pieno titolo nella storia dell’astronomia. Ma Galileo non è il primo a costruire un telescopio. Prima di lui, nei Paesi Bassi, tre costruttori di lenti fabbricano dispositivi atti a osservare oggetti lontani, costituiti da un tubo di metallo, una lente da presbite per obiettivo e una da miope per oculare. Si tratta di Hans Lipperhey, Zacharias Jansen e Jacon Metius. Se ne ha notizia nel 1608 e rapidamente il nuovo strumento è prodotto in altre parti d’Europa. In Inghilterra, Thomas Hariot lo perfeziona e osserva la Luna. Nel 1609 Galileo costruisce il proprio cannocchiale: un telescopio rifrattore dotato di un obiettivo biconvesso che rifrange (piega) i raggi, così da farli convergere in un fuoco e un oculare biconcavo. Lo strumento galileiano è molto più potente dei precedenti: ingrandisce fino a venti volte, mentre quelli olandesi due o tre.
Keplero, a differenza di Galilei che opera in maniera empirica, elabora una teoria ottica relativa alle lenti. Costruisce un telescopio con un oculare convesso, che presenta l’inconveniente (in astronomia non molto grave) di capovolgere l’immagine, ma ha il vantaggio di avere un campo maggiore e di rendere possibile la proiezione di un’immagine su uno schermo. Intorno al 1650 i telescopi raggiungono cinquanta ingrandimenti, nel decennio successivo, il doppio, ma presentano un duplice problema: l’aberrazione sferica e l’aberrazione cromatica. La prima è dovuta al fatto che le lenti di curvatura sferica non portano in un unico fuoco tutti i raggi incidenti paralleli. Per ridurre gli effetti dell’aberrazione sferica si usano lenti di piccola curvatura, ossia di grande distanza focale e ciò costringe ad usare telescopi molto lunghi (più di dieci metri), che richiedono complesse strutture per essere manovrati. L’astronomo di Danzica Johannes Hevelius usa telescopi lunghi fino a 45 metri. L’aberrazione cromatica è invece dovuta alla differente rifrazione di raggi di diverso colore, il che rende l’immagine poco nitida.
La soluzione dei problemi posti dai rifrattori comincia a emergere negli anni Sessanta, quando James Gregory progetta un telescopio a riflessione. Nel 1672 il francese Laurent Cassegrain (1629 -1693 ca.) progetta un telescopio simile a quello di Gregory. Lo stesso anno (1672) Newton, che ha compreso che la luce bianca non è semplice, ma composta di colori, ognuno dei quali è rifratto di un angolo leggermente diverso da un obiettivo, giunge allo conclusione che l’aberrazione cromatica è intrinseca ai telescopi a rifrazione.
Il telescopio a riflessione di Gregory evita questo problema, ma è piuttosto complesso, in quanto ha due specchi, uno dei quali deve essere forato. Quello di Newton è un po’ più semplice: ha uno specchio primario in fondo al tubo e un piccolo specchio secondario piano e inclinato di 45° rispetto al tubo, che riflette la luce fuori del tubo, dove è collocato un oculare. Il telescopio di Newton è costruito nel 1671 ed è presentato alla Royal Society nel 1672. I riflettori aboliscono l’aberrazione cromatica e quella sferica e sono mediamente più piccoli dei telescopi a rifrazione, tuttavia non determinano la scomparsa di questi ultimi, a causa della scarsa riflettività degli specchi dell’epoca, che riflettono non più del 60% della luce incidente.
La necessità di misurare gli angoli rende necessaria l’introduzione di uno strumento da aggiungere al telescopio. Galileo, secondo quanto ci dice Borelli, introduce il micrometro per misurare le distanze dei pianetini da Giove. Si tratta di un regolo che si innesta sul cannocchiale. L’inglese William Gascoigne (1612-1644 ca.) intorno al 1640 e poi Huygens introducono un dispositivo a reticolo direttamente all’obiettivo, al fine di misurare le distanze angolari.
Al primo decennio del Seicento risale la costruzione dei primi modelli di microscopio, che possono essere considerati una filiazione del cannocchiale: a ciascuna estremità del tubo hanno rispettivamente una lente concava e una convessa. Ben presto si comprende che due lenti convesse danno risultati migliori, producendo ingrandimenti di venti o trenta volte. Il microscopio comincia a diffondersi in vari Paesi, ma la qualità è piuttosto bassa, presentando, come i telescopi, aberrazione sferica e cromatica. A metà Seicento, Eustachio Divini costruisce ottimi microscopi composti, dotati di un treppiede, ma permangono l’aberrazione sferica e cromatica, risolte solo nel XIX secolo. Robert Hooke perfeziona il microscopio introducendo un sistema di illuminazione. Ne dà notizia nella Micrographia (1665), la prima opera dedicata alla microscopia, in cui sono presenti numerose tavole che illustrano insetti, parti di piante, protozoi. In quest’opera introduce il termine cellula (cell), per definire le microstrutture del sughero, che gli sembrano simili a celle monastiche.
Migliori risultati sono ottenuti dall’ingegnoso Leeuwenhoek, che costruisce microscopici semplici, con una sola lente di ingrandimento, microscopi che si diffondono soprattutto nei Paesi Bassi. La sua innovazione sta nell’uso di lenti piccolissime (fino a 1-2 mm di diametro) ma molto potenti, arrivando fino a 300 ingrandimenti. Alcune lenti sono prodotte con il metodo dell’abrasione (per mezzo di polveri abrasive), altre per fusione. In questo modo si producono piccole lenti sferiche molto precise. Data la loro dimensione, le lenti così prodotte sono difficili da utilizzare, quindi Leeuwenhoek le monta tra due piastre di ottone forate; applica poi una vite sulla cui parte finale vi è una piastrina dove pone gli oggetti da osservare. In questo modo può regolare la distanza dell’oggetto dall’obiettivo. Leeuwenhoek osserva microrganismi, i globuli rossi, tessuti di piante e animali, la struttura dei cristalli di vari tipi di sali. Il suo contributo più noto alla microscopia è l’osservazione degli spermatozoi. Benché privo di una regolare formazione scientifica, Leeuwenhoek studia i meccanismi di riproduzione e, guidato dall’idea dell’uniformità della natura, nega la generazione spontanea e sostiene la concezione preformista, per la quale l’embrione è già formato nel seme maschile. Scrivendo alla Royal Society nel 1678, afferma di aver osservato nel seme di cane, di coniglio e dell’uomo “animalcula”, organismi dotati di forme che presentano leggere differenze da una specie all’altra.
Nel Seicento, la misurazione del tempo è affidata a clessidre, orologi ad acqua, meridiane, notturnali, astrolabi, nonché a orologi meccanici sempre più precisi e di dimensioni ridotte, fino agli orologi tascabili, alcuni dei quali magnificamente decorati. L’orologio meccanico è sempre più diffuso e nascono corporazioni di orologiai; inizialmente, i maggiori centri di produzione sono Norimberga e Augusta, ma dopo la guerra dei Trent’anni (1618-1648) la Francia domina la scena. Quindi, in seguito alla revoca dell’editto di Nantes (1685), i migliori orologiai francesi, per lo più protestanti, emigrano e i principali centri di produzione divengono l’Inghilterra e la Svizzera.
Inizialmente, gli orologi meccanici (la cui origine risale al Trecento) sono regolati per mezzo dei ben più precisi orologi solari, come quelli costruiti nelle cattedrali. Il perfezionamento degli strumenti di misurazione del tempo è dettato da scopi pratici, in particolare la navigazione. Al fine di determinare la longitudine, anche un errore di pochi minuti in un giorno può avere effetti disastrosi sulla rotta. Non mancano loro applicazioni alle indagini astronomiche e allo studio del moto dei corpi, come accade con Galilei e Huygens. Le principali innovazioni agli orologi meccanici provengono da Huygens e da Hooke. Huygens scopre che le oscillazioni del pendolo sono perfettamente isocrone solo se descrivono un arco di cicloide e nel 1658 perfeziona un orologio a pendolo da lui costruito l’anno precedente, nel quale utilizza due ali cicloidali per imprimere all’orologio un andamento costante. Nel nuovo orologio Huygens applica a uno dei bracci del bilanciere delle ganasce entro cui è sistemato il filo del pendolo. Queste garantiscono oscillazioni isocrone e quindi un andamento costante e una scansione precisa del tempo. Huygens e Hooke realizzano, indipendentemente l’uno dall’altro, un meccanismo basato su una molla a spirale, che sostituisce il pendolo e dà al bilanciere un moto periodico. Il vantaggio di questa innovazione è di ridurre in modo considerevole gli effetti perturbatori, quali urti o cambiamenti di posizione; ciò dà impulso alla costruzione di orologi di piccole dimensioni.
Tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento sono costruiti vari termoscopi ad aria, da Galileo, Santorio Santorio e Cornelius Drebbel. Con essi si registrano le variazioni di densità dell’aria causate dai mutamenti di temperatura. A partire dalla prima metà del Seicento cominciano a essere costruiti termometri, strumenti per misurare la temperatura che si basano sulle proprietà di alcune sostanze di dilatarsi o contrarsi in funzione delle variazioni di temperatura. Intorno alla metà degli anni Cinquanta il granduca Ferdinando II de’ Medici si fa costruire da Jacopo Mariani, un abile artigiano, termometri di vetro ad alcol. Agli accademici del Cimento si deve la costruzione di termometri di vetro ad alcol con scale termometriche, che però non sono tarati in maniera omogenea. Alcuni sono ad alto fusto, a grappolo e a base ramificata, eleganti oggetti destinati ad essere usati dal granduca.
Nel 1665 Hooke propone un procedimento basato su un unico punto fisso: la temperatura di congelamento dell’acqua distillata. Alla fine del secolo lo scienziato danese Ole Rømer (1644-1710) introduce due punti fissi: la temperatura della neve come punto più basso e quella dell’acqua bollente come punto più alto. L’invenzione del barometro trae origine dall’esperimento di Evangelista Torricelli, per mezzo del quale è possibile dimostrare sperimentalmente mediante le variazioni del livello del mercurio l’esistenza della pressione atmosferica. Nei Saggi di naturali esperienze dell’Accademia del Cimento le variazioni dell’altezza del mercurio sono messe in relazione alla temperatura dell’ambiente e alle differenti condizioni atmosferiche. La principale difficoltà nella fabbricazione dei barometri è quella di riempire il tubo di mercurio senza lasciar traccia dei vapori. Nel 1665 Hooke descrive un barometro dotato di un disco lungo nel quale si muove una lancetta cui sono collegati due pesi, uno dei quali poggia sulla superficie del mercurio e comunica all’indicatore i movimenti prodotti dalle variazioni del livello del mercurio. Nel 1668 Hooke costruisce un barometro con due differenti liquidi. Lo strumento consiste in due tubi, alle cui estremità sono due bulbi abbastanza ampi da contenere il mercurio ad ogni cambiamento di pressione. Al di sopra del mercurio è posta l’acqua e sull’acqua una goccia di olio di lino per impedire l’evaporazione. Le variazioni del livello dell’acqua in base al mutamento della pressione atmosferica sono più nette di quelle del mercurio. Uno dei motivi del crescente interesse per il barometro è di carattere medico: la ricerca di una possibile relazione tra i mutamenti atmosferici e l’insorgere di epidemie.
Joseph Glanvill
La natura del caldo e del freddo
Il termometro
Il termometro è un altro strumento, tra quelli che avevo menzionato, che scopre tutte le piccole e impercettibili variazioni del freddo e del caldo dell’aria, ed esibisce molti rari e illuminanti fenomeni che possono aiutare a ottenere una migliore informazione intorno a quelle qualità dei corpi delle quali, altrimenti, non avremmo nozione. A questo proposito, osservo con il Verulamio, e con l’altro Bacon, l’illustre signor Boyle, che il caldo e il freddo sono la mano destra e sinistra della Natura. Il primo è il grande strumento di gran parte delle operazioni naturale mentre l’altro ha il suo proprio ruolo. La filosofia di Aristotele non ha tuttavia fatto granché per tentare di scoprire le loro nature, ma si è contentata della noiosa, volgare e generale descrizione secondo la quale il caldo è una qualità che raccoglie insieme cose di natura simile e divide quelle di natura diversa; mentre il freddo conglomera entrambe. Ma se ora vogliamo conoscere in profondità il funzionamento della rarefazione e della condensazione, la meteorologia, e altri affari materiali della natura, dobbiamo tentare ben altri resoconti di tali cose. Le mere informazione dei nostri sensi non sono esatte a sufficienza per questo scopo; poiché i resoconti dei sensi sono vari e incerti, secondo l’umore e la disposizione dei nostri corpi e diversi altri accidentali e inosservati mutamenti che vi hanno luogo. Questo strumento è stato dunque inventato per sopperire a quei difetti e offre ben più costanti e accurate, sebbene non sempre infallibili, relazioni: ma i dati migliori sono permessi dal termometro sigillato. Ho inoltre suggerito che l’uso di questo strumento potrà aiutare molto nella composizione di una storia del tempo meteorologico che potrà a sua volta essere applicata a molte eccellenti finalità della filosofia e della vita.
Joseph Glanvill, Plus Ultra: or the Progress and Advancement of Knowledge since the Days of Aristotle, trad. redazionale, London, James Collins 1668
La pompa pneumatica è uno dei più noti, anche se tra i più complessi e costosi, strumenti scientifici del secondo Seicento. La costruzione della principale pompa, tra il 1658 e il 1659, si deve alla collaborazione tra Robert Boyle e Robert Hooke. Essa si basa sulla pompa realizzata da Otto von Guericke e descritta da Caspar Schott nel 1657. La pompa di Guericke è finalizzata a creare il vuoto in un contenitore aspirando l’aria con una specie di siringa che consiste in un pistone che scorre in un cilindro. La tenuta non è perfetta e l’azione di estrazione dell’aria molto faticosa.
La pompa pneumatica di Boyle è costituita da due componenti: un recipiente di vetro, ampio a sufficienza per porre al suo interno oggetti e piccoli animali, introdotti da un’apertura posta in alto, e un meccanismo per l’estrazione dell’aria. La parte inferiore del contenitore di vetro, cui è applicata una valvola, è inserita in un cilindro di ottone, montato su un supporto di legno. Nel cilindro opera un pistone di legno azionato da una manovella, con la quale l’aria è estratta dal contenitore. La principale difficoltà da superare è quella di impedire l’ingresso dell’aria esterna, e Hooke e Boyle dedicano particolare attenzione nell’apporre valvole e sigillare l’apertura superiore del contenitore.
La pompa pneumatica boyleana è subito famosa, è uno degli emblemi della Royal Society; in Olanda Huygens ne costruisce una nel 1661, un’altra è in funzione presso l’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1667-1668; Pieter van Musschenbroek ne fabbrica una a Leida; in Italia una pompa pneumatica è costruita e utilizzata per esperimenti di pneumatica dai membri dell’Accademia dei Fisiocritici di Siena negli anni Novanta.
La pompa pneumatica è ulteriormente perfezionata da Denis Papin, che lavora con Huygens a Parigi nel 1673. Le pompe di Papin sono più semplici e più economiche e cominciano a essere commercializzate.