glielo, gliene (glile; gline; li le; lel; len; lien)
1. Alle grafie continue dei nessi pronominali corrispondenti agli attuali " glielo " e " gliene ", ovunque accolte dagli editori, sono preferite, in Vn XII 7 tu prieghi lui che li le [" glielo "] dica, la grafia li le, attestata in documenti fiorentini della seconda metà del XIII secolo (cfr. Castellani, Nuovi testi 83-90; Petrocchi, Introduzione 460, e v. If X 44), e quella le ne, in Vn XII 7 io... volentieri le ne ragionerò, e XIV 9.
2. La grafia lel, confrontabile con quella di documenti fiorentini della prima metà del XIII secolo ed eletta dagli editori in Cv III Amor che ne la mente 27 Suo esser tanto a Quei che lel [" glielo "] dà piace (così citato in III VI 9), non permette di presumere che la consonante liquida iniziale fosse palatalizzata: ciò, invece, possono far supporre le grafie con lie- iniziale, liele (in un'altra citazione dello stesso verso, in Cv III XIII 9) e liene (v. oltre, 4.). La grafia glile, più recente e sopravvissuta nel toscano almeno sino al secolo XV, attesta in due passi (Rime CXVII 11 un'altra donna... di signoria chiese la verga / ... e Amor glile [" gliela "] diede; Fiore CLXXV 3 che l'uomo avveder non sin potesse / che tutto in pruova l'uon glile [" glielo "] facesse) l'uso di un nesso pronominale il cui secondo elemento, le, come nelle forme li le e liele sopra ricordate, è indifferente al genere grammaticale e al numero (v. anche gliele, 3.1.).
3. Su 6 attestazioni di gliel, gliel' nella Commedia (rispetto a lil della '21), 5 recano il nesso pronominale come penultima parola del verso, di fronte a verbi che hanno, tranne in un caso, valori espressivi analoghi od opposti, e con i quali g. forma una clausola ditrocaica e, in un caso, un cursus planus: If X 44 non gliel celai, ma tutto gliel'apersi; XXI 102 E rispondien: " Si, fa che gliel'accocchi " (" glielo "; non sembra accettabile l'invariabile gliele); XXXIII 149 " ...aprimi li occhi ". E io non gliel'apersi; Pg XXXIII 123 ché l'acqua del Letè non gliel nascose; Pd XXVIII 138 ché chi 'l vide qua sù gliel discoperse.
3.1. Nel Fiore sono attestati gliele (CXCI 7, CCLXXVIII 13), " glielo "; gliel (LXIII 13, CLXXXIX 12), gliel' (CLXXVIII 14; v. anche Detto 387), " gliela ", e gliele (CXLI 14), " gliele "; soltanto in LXIII 13 g. non è la penultima parola del verso.
4. L'antica grafia len è eletta in Cv II Voi che 'ntendendo 30 L'anima piange, si ancor len [" gliene "] dole (ripreso in II IX 2); la grafia di Vn XXXIX 10 11 ch'Amor vi tramortisce, sì lien dole, un contesto affine al precedente, può ritenersi un indizio della palatalizzazione della liquida iniziale, esplicitata dalla grafia più recente (ma ancora rara in documenti fiorentini tra il 1297 e il 1309) glien, di Rime CVI 112 Poi che girato l'ha chiamando molto, / gitta 'l pasto ver lui, tanto glien cale (ancora in una posizione del verso affine a quelle precedenti) e If XXXII 104 e tratti glien'avea più d'una ciocca (ma nella '21 li n'avea), XXV 33 gliene diè cento, e non sentì le diece (secondo il Petrocchi, sostituibile con li ne).
4.1. Nel Fiore, oltre al più antico gline (CXXXVII 14 La Vecchia.../ gline merzììa molto e gline 'nchina; CLXXXVII 11 sì gline mostri molto gran sembianza), parallelo a glile sopra ricordato (cfr. 2.) e attestato appunto anche nel Fiore, ricorre gline (CLXXII 12 e poi si gliene fa risponsione), le cui prime attestazioni fiorentine " son da attribuirsi alle generazioni nate dopo il 1260-1270 " (Castellani, Nuovi testi 87).