GLITTICA (dal gr. (γλύϕω), "incido, intaglio")
Con questa parola si designa l'arte d'intagliare e incidere le pietre preziose. Quando queste cominciarono a essere adoperate come ornamento, furono dapprima levigate e molate leggermente, senza alterare la forma naturale del cristallo. La sfaccettatura regolare ebbe principio nel secolo XV a opera di Luigi van Berkem o Berquem di Bruges, che procedette a "tagliare" le pietre. Gli antichi invece, dopo averle lisciate, le nobilitavano con l'incisione, spesso figurata. Tale lavorazione (λιϑοτριβική, scalptura) avveniva con un trapano ad archetto, con punte di ferro indurito che, per vincere la durezza della materia, erano intrise di polvere di diamante, o smeriglio, e olio.
Le pietre dure si lavorano artisticamente in due modi: o lasciando in rilievo la figurazione, con l'abbassare il fondo, o incavandola sulla superficie. Nel primo caso si ha il cosiddetto cammeo, che generalmente è ottenuto da un'onice o da una sardonice, diverso colore, e che permettono perciò all'incisore di ottenere il rilievo di un colore, generalmente il più chiaro, su uno sfondo di altro colore più scuro, con singolare risalto della figurazione. In taluni casi è anche possibile profittare, per il rilievo, di due strati di diversa colorazione, ottenendo in tal modo una policromia di grande effetto. Fra i più insigni cammei dell'antichità se ne ricorda per la sua celebrità uno, di agata siciliana, rappresentante Apollo e le nove muse, appartenuto al re Pirro (Plinio, Nat. Hist., XXXVII, 3); e ce ne sono pervenuti alcuni di pari grandezza e bellezza (v. cammeo).
Quando la figurazione invece che a rilievo è incavata, si hanno le cosiddette pietre incise: questa lavorazione si compie sulla pietra di unico colore, e ha il principale scopo pratico di ottenere delle matrici da suggello. Le pietre incise sono perciò numerosissime, data l'importanza che nella vita sociale antica il suggello aveva come segno d'identità personale, oltre che di ufficialità.
Il suggello si otteneva calcando l'incisione su un pezzetto di cera o sulla creta (cretula); di cretule possediamo un certo numero, di cui un grosso nucleo che proviene da un archivio pubblico della città di Selinunte in Sicilia, e un altro grande gruppo rinvenuto di recente a Cirene.
Storia. - Antichità. - La finezza dell'incisione di tante pietre dure, lasciateci dal mondo antico, dimostra chiaramente che alla loro lavorazione si dedicavano veri artisti, che non si limitavano a professare una tecnica accurata, ma tendevano a vere creazioni di bellezza. Benché, per la loro natura medesima, i riferimenti storici che è possibile dare a codesti artisti siano evanescenti, non manca la possibilità di tracciare una storia di quest'arte delicatissima. anche perché alcuni famosi incisori, firmano, al pari di quelli dei conî monetali, le loro opere. Scarabei egiziani, cilindri assiro-babilonesi, le cosiddette pietre delle isole, proprie degli strati egeo-micenei e ciprioti, ci dànno documenti preziosi dell'arte dell'incisione nelle prime civiltà; lo scultore Teodoro di Samo è ricordato nel periodo primitivo dell'arte ellenica, come autore di un celebre anello di Policrate, né mancano gemme del periodo arcaico e dei secoli più illustri dell'arte ellenica. Anche gli Etruschi incisero abbondantemente pietre, specialmente adottando la forma dello scarabeo (v.). Il maggior numero delle gemme antiche pervenuteci risale all'età ellenistica e romana. È ricordato Pirgotele, che incise la pietra da suggello di Alessandro Magno, Satireio dell'epoca di Tolomeo I, Dioscuride, originario dell'Asia Minore, contemporaneo di Augusto, e i suoi figli; Aspasio, celebre per avere riprodotto in una gemma famosa, ora nel Museo Nazionale Romano, il busto della statua fidiaca di Atena Parthenos.
Cammei e pietre incise si incastonano principalmente in anelli o in altri monili; ma talvolta sono anche adoperati ad abbellire vasi preziosi. Quest'uso continuò anche nell'età bizantina. Si hanno anche ricordo e qualche avanzo di vasi ricavati da pietre preziose con lungo e paziente lavoro d'incavo e incisione (v. cretese-micenea, civiltà; grecia: Arte; romani: Arte; ecc.).
Medioevo ed età moderna. - Nel periodo cristiano primitivo la glittica riflette, come le altre arti, lo stile classico nei cammei e negl'intagli di soggetto sacro che già prima del sec. IV e V si diffusero largamente dall'Egitto e da altri centri di produzione, usati, specialmente i secondi, a ornamento degli anelli e come sigilli.
Dovette tuttavia l'esercizio di quell'arte farsi rapidamente sempre meno frequente, perché nei secoli successivi sono rarissime le gemme intagliate, specialmente in Occidente. Un vero rinascimento s'ebbe soltanto nel periodo carolingio; e anche allora la materia prevalentemente trattata fu il cristallo, non solo per sigilli ma anche per intagli con raffigurazioni di scene tolte dalla storia sacra (v. carolingia, arte, tavola XXX). Non ebbe neppure questo rifiorire, dovuto in parte a influssi arabi e bizantini, grande durata in Occidente, dove nei secoli X e XI di nuovo assai scarse sono le testimonianze di quest'arte. Nell'Oriente bizantino invece, dove la tecnica antica si era tramandata con maggiore fedeltà, i cammei e i rilievi in onice, eliotropio e steatite, dal sec. VIII in poi, se tengono ormai più della scultura vera e propria che non della glittica, raggiungono ben presto una finezza e una bellezza veramente notevoli e rivelano una perfetta abilità di esecuzione; capolavoro del genere è la patena cosiddetta di Pulcheria del monastero di Xeropotamo sul monte Athos, in ofite, con la rappresentazione della Vergine orante fra angeli. Anche presso i popoli musulmani fiorì allora la glittica, e si conoscono sigilli e anelli di pietre fini e coppe, vasi, ecc., di cristallo, soprattutto dell'Egitto fatimide, ma lavorati probabilmente anche in Sicilia: il tesoro di San Marco ci offre qualche esempio di tali opere di artisti arabi, lavorate alla mola e decorate alla ruota.
Il monaco Teofilo nella sua Schedula diversarum artuim (sec. XII) accenna all'intaglio delle gemme come a pratica viva al tempo suo in Italia; non ne abbiamo però testimonianze né numerose né sicure nei rari intagli o cammei del sec. XIII o anteriori, che adornarono spesso oggetti preziosi (croce di S. Celso a Milano) insieme con semplici gemme non sfaccettate.
Non molto più attivo dovette essere allora l'esercizio della glittica oltralpe, ché se la tradizione ci parla soprattutto per la Renania e per le Fiandre di religiosi abili in tale arte, appresa probabilmente da artefici bizantini, ben pochi sono i monumenti rimasti: qualche sigillo e qualche coppa o vaso di cristallo evidentemente imitato appunto da quelli bizantini. Poco di più ci è giunto del sec. XIII; sappiamo tuttavia che una corporazione di lavoranti in cristallo era già costituita a Parigi e ciò lascia presumere una sempre maggiore attività, che dovette andare accentuandosi nel Trecento, come ci attesta la frequenza dei lavori di glittica menzionati negl'inventarî di Bonifacio VIII, di Carlo V re di Francia, del fratello duca di Berry, dei duchi di Borgogna. Alle corti di Francia e di Borgogna lavorarono varî glittici alla fine del sec. XIV e al principio del XV; e ancora ne troviamo alla fine del 1400; ma il vero risorgimento è anche per la glittica nel Quattrocento italiano. Le collezioni di gemme antiche che allora si cominciarono a riunire vi diedero il massimo impulso; e principi mecenati (Paolo II, Lorenzo il Magnifico e il figlio suo Piero, ecc.) favorirono anche incisori di gemme mme Giovanni delle Corniole e Domenico dei Cammei. Oltre agl'intagli ai cammei si fecero anche oggetti in cristallo; e alla figure e scene desunte ma non copiate, dall'antichità e dalla mitologia, si aggiunsero ritratti, gruppi e soggetti religiosi derivati da pitture e incisioni.
Centri principali di quest'arte furono Roma, Firenze e, sulla fine del secolo, Milano; l'influsso italiano si fece sentire non solo alla corte provenzale di Renato d'Angiò ma anche nel nord della Francia. Col Cinquecento aumenta la produzione in tutta l'Europa: ma la glittica italiana annovera sempre i migliori maestri: Pier Maria da Pescia e Michelino lavorano per Leone X, Valerio Belli per Clemente VII e Paolo III, Giovanni Bernardi per Clemente VII, Matteo del Nassaro va in Francia a lavorare per Francesco I dando origine a una nuova scuola francese di glittici quali Olivier Codoré e altri. Un altro italiano, Gian Giacomo Caraglio, lavorò alla corte di Bona Sforza in Polonia; a Roma, verso la metà del secolo è soprattutto notevole l'attività di Alessandro Cesati. La scuola milanese, che fino dal suo inizio si era affermata per una particolare originalità e abilità d'esecuzione, continua a produrre glittici assai valenti, anche nella seconda metà del secolo: Giovanni Antonio dei Rossi, il più fecondo di tutti, Iacopo da Trezzo, che andò alla corte di Filippo II in Spagna, Francesco Tortorino, Alessandro e G. A. Masnago e lo scultore Annibale Fontana, la cui opera ebbe notevole influsso sugli altri incisori in cristallo. Accanto agl'intagli e ai cammei si afferma allora risolutamente la moda dei vasi d'apparato di cristallo di rocca o di pietre fini che schiude nuovi problemi alla tecnica della glittica e dà anche occasione a concetti decorativi originali nelle forme e nell'ornamentazione. Furono attivi in tal senso particolarmente i glittici milanesi e soprattutto i Saracchi e i Miseroni, mentre in Firenze alla fine del secolo quell'arte viene a poco a poco soppiantata dal mosaico. I Miseroni lavorarono alla corte dell'imperatore Rodolfo II e vi diedero origine a una vera e propria scuola. Col secolo XVII la glittica in Italia e fuori declina rapidamente e nell'uso e nella tecnica, e risorge soltanto alla metà del secolo XVIII, limitata però all'incisione d'intagli e cammei, e favorita anche questa volta dal rinnovato amore per le antichità e dalle scoperte che si andavano facendo nei grandi scavi allora intrapresi, p. es. a Ercolano. Oltre che in Italia si trovano allora incisori in pietre fini in Germania (Becker, Dorsch, Natter), in Inghilterra (Marchant, Burch), e soprattutto in Francia dove tra gli altri Jacques Guay ebbe fama notevolissima e fu nominato "graveur du roi" da Luigi XV, del quale, come di molti personaggi di quel tempo, egli fece ritratti in cammei e in intagli. Ma nei quasi cento anni di questo secondo risorgimento, la glittica non andò oltre l'imitazione dell'antico, e per quanto abili e perfetti fossero nell'esecuzione artisti come il Girolnetti, il Santarelli, il Pistrucci, i Siries e i Pichler, non c'è cosa loro che possa stare a pari delle creazioni della glittica cinquecentesca. Modernamente la glittica ha avuto notevoli e originali maestri: su tutti, in Francia il Lalique, in Italia il Ravasco.
Delle collezioni di opere della glittica medievale e moderna sono fra le più ricche quella fiorentina (oggi al Museo degli argenti nel Palazzo Pitti) che comprende non solo intagli e cammei, ma vasi, coppe e oggetti in pietra fine di varie epoche e risale a Lorenzo il Magnifico; quella viennese del Kunsthistorisches Museum e quella della Bibliothèque Nationale di Parigi che data da Enrico IV e si accrebbe soprattutto dal sec. XVII in poi; seguono per importanza quella del British Museum, quella del Louvre e quella della Schatzkammer di Monaco.
V. tavv. XCV e XCVI.
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