Vedi GLITTICA dell'anno: 1960 - 1994
GLITTICA
L'espressione, dal greco γλύπτω, cui corrisponde il latino scalpere, sta a indicare l'arte di incidere su pietra dura, e per estensione, la disciplina che studia l'intera classe delle gemme incise. Classe ricchissima, come è noto, in quanto l'incisione su pietra fu suggerita dalla necessità di "segnare", di "distinguere" un oggetto da un altro, di individuare cioè la "cosa" anonima, e pertanto risalì alle prime fasi della vita umana, determinando l'invenzione del "sigillo" (v.) e di conseguenza affermandosi con tanto maggiore diffusione nelle convivenze umane prive ancora di scrittura. È per questo che vastissimo è il campo della g. antica, che si estende dalle lontane civiltà orientali, mesopotomica ed egizia, a quella egeo-cretese ed alle altre: la greca, l'etrusca e via dicendo, che si succedettero nel tempo. Per la stessa ragione, mentre comuni sono alcuni aspetti di essa in ogni età - la tecnica ad esempio, che non sembra abbia avuto dagli inizî sostanziali mutamenti, avendo presto conseguito una grande compiutezza, che si trasmette da Oriente ad Occidente - altri, invece, appaiono peculiari di alcuni periodi, come i problemi di contenuto, o ancora più, quelli di stile o di arte, legati gli uni a generali tendenze dell'ambiente e della civiltà, gli altri all'affermazione isolata di forti personalità individuali.
Analogamente per alcuni periodi, quali la civiltà greca, di età classica o ellenistica, e quella romana, la g. dà solo un apporto secondario alla nostra conoscenza, specie in campo artistico, in quanto da un lato questa si forma più agevolmente per la ricchezza e la qualità della documentazione figurata in genere, dall'altra le gemme stesse rappresentano per la maggior parte, nella produzione artistica greco-romana, una forma secondaria e quasi sempre di artigianato. Per altre civiltà, invece, precedenti, in cui diffusissimo fu l'uso dei sigilli, e meno ricco è il numero dei monumenti figurati di cui disponiamo, l'interesse della g. si fa fondamentale, in quanto essa ci dà una pressoché continua documentazione artistica che, estendendosi nel tempo, permette di stabilire una successione cronologica e quindi di riconoscere, pure nella minutezza delle immagini, l'esistenza di definite correnti d'arte stabilendone i mutamenti e le alternanze.
Di tale interesse si fece interprete il Furtwängler che, intuendo l'importanza dell'intera categoria di opere per lo studio dell'arte antica, ne approfondì lo studio lasciandoci un trattato che resta tuttora fondamentale punto di partenza per ogni ricerca sull'argomento e che, se pure in qualche punto (v. cammeo) è ora da rivedere ed aggiornare, resta tuttavia, nel suo complesso, non facilmente superabile.
1) Tecnica. - Ma per tornare all'esame delle gemme, anzitutto della tecnica dell'incisione su pietra dura, che interessa l'intera disciplina in sé, occorre precisare che le nostre conoscenze in merito, più che da fonti scritte - scarse e in gran parte occasionali - risultano dall'esame diretto del materiale, sia per quanto è possibile ricavare dalla "qualità" dell'incisione, sia per il recupero di pietre non ancora rifinite e in cui pertanto è possibile seguire le diverse fasi della lavorazione, sia infine dai confronti con la tecnica moderna. Riunendo quindi questi vari accenni, prelevati peraltro da ogni età, è possibile ricostruire, più o meno legittimamente, nel suo complesso il procedimento seguito dagli incisori, che sembra non differire gran che da quello ancora in uso. Mentre le pietre tenere, quali la steatite, venivano incise a mano libera, le altre, una volta ridotte col taglio alla forma voluta, erano lavorate con uno strumento apposito e variabile di forma, mosso da una ruota. Il bulino poteva essere di metallo per le pietre meno dure rinforzato a volte dall'innesto di una scheggia di diamante (Plin., Nat. hist., xxxvii, 60), talora sostituita da schegge di pietre dure; la rarità del diamante tuttavia, pur conservandosene l'uso per la definizione dei particolari più minuti, fece preferire il sistema della polvere di smeriglio impastata ad olio che, per frizione, si applicava su un bulino spuntato (ferrum retusum) e da questo era poi mossa sulla superficie da incidere. In quanto al movimento del bulino, condotto in un primo tempo esclusivamente a mano libera, fu successivamente ottenuto a mezzo di una ruota mossa col piede, come oggi, o di un piccolo arco quale ci è noto attraverso la rappresentazione di una pietra incisa rinvenuta ad Atene (Ath. Mitt., xv, 1890, p. 333; Furtwängler, Gemmen, iii, fig. 206, p. 399). L'uso di uno strumento girevole, è comunque constatabile a partire dalla metà del II millennio ed è riconoscibile nella gemma dal particolare che i tratti dell'incisione terminano con un globetto, non dritti come gli altri. Mentre alcune lenti di cristallo di rocca rinvenute in tombe presso Cnosso autorizzano la fondata ipotesi (cfr. Otto-Herbig, Handbuch der Arch., 1950, parte iv, pp. 240-41) che gli incisori se ne servissero come lenti di ingrandimento nello sviluppo del lavoro, una calcedonia a quattro facce di età ellenistica (in collezione privata, Furtwängler, Gemmen, II, p. 400, figg. 207-210; Brit. Mus. Catal. of Engraved Gems, Introd., fig. A) ci assicura che l'incisore tracciava prima un disegno generale dell'immagine che poi veniva rilavorato e approfondito; la gemma non compiuta infatti, ha sulla prima faccia un semplice abbozzo della figura da rappresentare mentre sulle altre il disegno ci si presenta in stadi diversi di lavorazione. A questa fase della incisione vera e propria seguiva il lavoro di rifinitura che sovente i Greci fino ad età ellenistica hanno tralasciato. Ma se la tecnica, anche per mancanza di notizie particolareggiate, può essere esaminata contemporaneamente per l'intera classe, i problemi inerenti all'esame della rappresentazione figurata, sotto il duplice aspetto del contenuto e della forma, vanno esaminati di gruppo in gruppo, in quanto variano di volta in volta, e assumono con ognuno di essi caratteri ben definiti e peculiari, che, talora, collegandosi a quelli della "grande arte" contemporanea, ne riflettono i particolari accenti.
2) Mesopotamia. - A volere ora quindi accennare alle varie tradizioni, di grande interesse si rivela la g. nello studio delle civiltà asiatiche per la caratteristica forma, per lo più cilindrica e in una ultima fase (a partire dal IX sec. a. C.) conica, data alle gemme, per la ricchezza e la compiutezza della rappresentazione figurata, nonché per l'omogeneità del materiale. Documento utilissimo per la storia dell'arte orientale, specie mesopotamica, le opere di questo gruppo, che resta sostanzialmente ai margini dell'archeologia classica, interessano tuttavia sia per la loro testimonianza cronologica, perché, essendo sicuramente datate, aiutano a datare gli strati archeologici di Creta e di Grecia in cui talora si rinvengono, sia perché ci dànno modo di valutare la reale influenza esercitata dall'Oriente sul vicino Occidente ellenico.
La classificazione corrente distingue infatti nei due maggiori periodi in cui si suole scindere la civiltà mesopotamica, e cioè quello sumero-accadico (III millennio) e quello babilonese-assiro (2000-600 circa a. C.), tutta una serie di sottoperiodi: il protodinastico, l'accadico, il neo-sumerico, il babilonese, la fase cassita e quelle assire. Nel comune linguaggio formale essi si differenziano notevolmente sia per le diversità compositive; in rapporto anche alle iscrizioni brevi o lunghe che accompagnano sui sigilli la rappresentazione figurata, sia per il diverso rendimento delle figure, ora libere e più movimentate, ora schematizzate e irrigidite, sia per gli accessori e i riempitivi, che si inseriscono o meno nella rappresentazione, talora lasciando libero il campo, talora affollandolo deliberatamente; diverso è anche il contenuto delle complesse scene,ora per la maggior parte mitologico, ora prevalentemente religioso, pur non mancando le scene simboliche, i gruppi di uomini o di animali in lotta. (Per la trattazione della g. orientale, v. sigillo).
3) Creta e Micene. - Senza parlare ora della g. egiziana, di cui esponente fondamentale appare la larga produzione degli scarabei (v.), il secondo grande gruppo in cui si raccoglie il materiale antico è costituito dalla produzione del mondo cretese-miceneo. In parte contemporanea a quella babilonese, i cui prodotti dagli inizi del II millennio, come risulta da due cilindri rinvenuti a Creta, erano noti nell'ambiente egeo, la g. cretese ne appare influenzata solo in un secondo periodo e limitatamente ad alcuni elementi tecnici - l'uso della ruota - o a qualche motivo artistico isolato - gli schemi antitetici - del repertorio decorativo. Del tutto indipendente appare invece la forma della gemma, lenticolare o a ghianda, così come, a ben vedere, il suo linguaggio formale, basato agli inizi su motivi puramente decorativi, paralleli a quelli della ceramica, e vivificato più tardi, nelle rappresentazioni figurate, da una visione fantastica del tutto differente.
Per quanto la classificazione del materiale cretese non sia così precisa come quella del gruppo già studiato, tuttavia è possibile definirne le grandi linee, soprattutto grazie alla presenza di gemme di importazione (un sigillo egiziano dell'XI dinastia, oltre i cilindri già citati, rinvenuto ad Asine ed altro simile a Creta) e stabilire anche, in vari casi, una cronologia relativa degli esemplari. Sappiamo quindi che i sigilli cui si lega la storia della g. si iniziano nel Primo Minoico Il (2a metà del III millennio) con rappresentazioni di motivi decorativi: foglie e rami, linee, spirali, meandri, elementi noti attraverso la ceramica dell'antica Europa, ma già animati da una particolare forza di movimento, che costituisce il primo segno della visione caratteristica cretese. Questa tuttavia si afferma pienamente solo col grande sviluppo conseguito dalla g. nei successivi periodi del Medio Minoico (2100-1580 circa).
In questa fase, frequente è l'uso delle pietre semipreziose (cristallo di rocca, ametista, agata, diaspro e corniola), la cui comparsa viene a coincidere con una maggiore finezza nel rendimento formale delle immagini e con un grande arricchimento del repertorio decorativo, in cui subentrano, accanto agli elementi vegetali, più frequenti, rappresentazioni di animali fantastici o reali e spesso anche di figure umane raggruppate in movimentate scene. Durante tutta la prima metà del II millennio la g. cretese esemplifica chiaramente le tendenze naturalistiche dell'arte minoica, giungendo a darci anche dei profili umani, che costituiscono i primi tentativi di ritratto. Nel tardo Medio Minoico, i cui prodotti, rinvenuti anche sul continente, ci attestano correnti di esportazione da Creta anche in questo campo, le gemme per lo più in forma lenticolare o di prismi (Schiebchen), quadrangolari o convessi, continuano le tradizioni del periodo precedente pur sostituendo, spesso, per quel che riguarda il repertorio figurato, a rappresentazioni della vita, immagini di divinità ed esseri mostruosi, moltiplicati in grottesche visioni dalla necessità di meglio individuare l'impronta sigillare. Alla incisione su gemme si affianca, in questo periodo, quella degli anelli aurei di cui splendidi esemplari sono stati rinvenuti nelle tombe di Micene (v. oreficeria); sorge così la difficolta, comune ad altri manufatti, di scindere la produzione cretese da quella micenea, mentre è stato suggerito come criterio cronologico di considerare più tarde le rappresentazioni in cui compaiono elementi antitetici in quanto essi sarebbero frutto di importazione e quindi estranei alla produzione più antica, ed in quanto l'irrigidirsi della composizione appare caratteristica del Tardo Minoico (cfr. Groenewegen Frankfort, Arrest and Movement, Londra 1950, iii). La g. cretese-micenea, infatti, nella sua piena fioritura, presenta composizioni libere ed invididuali, con straordinario amore per il movimento, del tutto privo di convenzionalismo, con le figure conchiuse nel proprio schema e non legate alla superficie da nessun rapporto definito. Libere nello spazio, esse suggeriscono, talora, solo con i loro gesti, il senso della profondità e la direzione del loro movimento.
I prodotti del Tardo Minoico, impoveriti, così come tutta l'arte di questa fase, cedono via via alla produzione micenea, in cui i tipi sono molto meno ricchi e numerosi; essa si diffonde largamente, però, seguendo le sorti della cultura micenea e dando luogo alla produzione delle isole, che riproduce stancamente i prototipi importati, senza alcun apporto nuovo, e si estende fino all'VIII-VII sec., senza riflettere gli influssi del geometrico o molto scarsamente riecheggiandoli.
4) Grecia. - Gli inizî della g. nel continente, tanto negli esempi pre-micenei, quanto in quelli attribuibili al successivo periodo "geometrico", appaiono ancora indipendenti, sia per la tecnica, in cui ritroviamo la lavorazione a mano su pietra tenera quale la steatite, sia per lo stile, che in qualche immagine ferina conserva la potenza immediata di una visione primitiva (cfr. British Museum Cat., tav. iv, nn. 162; 171, 173), sia per il repertorio figurato, che per lo più accorda variamente linee e cerchi o si limita alla riproduzione di qualche animale e, occasionalmente, di qualche figura umana. In un secondo tempo tale repertorio, che si inquadra nella decorazione continentale, va modificandosi per influsso delle correnti orientali, che determinano, con l'immissione di visioni nuove, quel generale cambiamento del gusto da cui appare ispirata la produzione orientalizzante. È a questo punto, che tocca nel VII sec. soltanto il suo maggiore culmine, che realmente aspetti caratteristici della g. orientale vengono ad influenzare la produzione dell'Egeo, ed è anche evidente che questo avviene grazie ad un fenomeno ormai ben noto, molto più largo di quello che non possano essere i contatti diretti nel campo della glittica.
Comunque sia, le necropoli di Camiro a Rodi, come le tombe greco-fenicie di Cipro ci hanno dato, accanto ad autentici scarabei egiziani dell'VIII-VII sec. a. C. (= XXI-XXVI dinastia), una serie di gemme in cui si affiancano motivi egizi ed assiri, così come imitazioni di cilindri orientali. Frequenti sono anche gli scarabei e gli scarabeoidi (v. scarabeo) che, a partire da questo periodo, si diffondono in tutto il Mediterraneo fino alle Baleari, e come da scavo recentissimo nella necropoli di Pithecusa, ad Ischia. Nonostante la maggiore ricchezza del repertorio figurato, difficilmente però gli incisori di questo periodo riescono a realizzare, pure nella finezza dell'esecuzione, opere di reale interesse artistico; la g. orientalizzante resta così legata a una visione meramente calligrafica e decorativa, in cui la fusione dei diversi elementi è del tutto fredda e superficiale, così come l'equilibrata armonia che ne deriva.
In confronto con tale produzione un respiro più libero dà, ancora nel periodo arcaico, la g. greca, che ben presto appare fortemente influenzata dalla visione ionica, un po' per il forte peso esercitato dalle correnti ioniche nell'arte greca del VI sec., un po' perché proprio in uno dei grandi centri della Ionia, a Samo, si sviluppa una scuola di incisori. La tradizione serba infatti il ricordo di due artisti sami di questa età: Mnesarchos e Theodoros che alla g. avrebbero legato il loro nome, e, realmente, le gemme di questo periodo (per lo più corniole, calcedonie ed agate) sia attraverso il repertorio figurato in cui appaiono ancora di frequente animali fantastici, figure mostruose ed esseri irreali, sia soprattutto attraverso lo stile, che riecheggia nei suoi schemi e nel suo modo di realizzarli formalmente le visioni e i problemi della grande arte, appaiono legate al mondo ionico. Mentre alcuni particolari però (gli schemi, fra cui più frequente quello della corsa in ginocchio, o il carattere minuto e calligrafico del tratteggio, così come l'accentuata ricerca anatomica), ci riportano a problemi propri della grande arte figurata, problema particolare della g., solo in parte condiviso con l'arte monetale, appare quello della composizione, o meglio del riadattamento dell'immagine alla piccolezza del campo, frequentemente ovale.
Problema caratteristico che gli artisti di questa età tentano di risolvere piuttosto attraverso la scelta dei soggetti e quindi degli schemi (la corsa in ginocchio, il groviglio degli animali in lotta, il gruppo del sileno con la menade), che non attraverso una reale capacità compositiva. Frequente è quindi il caso di figure isolate, contorte in atteggiamenti inverosimili, spesso sproporzionate al campo della gemma, in cui non entrerebbero, se fosse loro dato raddrizzarsi. Ed è proprio la maggiore capacità compositiva, a parte ancora il trasformarsi dello stile sotto l'influsso delle generali visioni d'arte, quello che distingue nella uguale compitezza tecnica le gemme del periodo classico da quelle della fase precedente.
La g. del V-IV sec., che preferisce fra le pietre la calcedonia, il cristallo di rocca, l'agata e la sarda, ed adotta come forma tipica lo scarabeoide, sceglie ora con maggiore libertà i suoi temi, traendoli dalla vita di ogni giorno, riproducendo spesso scene della vita femminile o anche affrontando le immagini delle maggiori divinità: Atena, Afrodite, Eros e Nike; nella maggiore ricchezza dei soggetti affronta così con felicità di soluzioni e sapiente equilibrio compositivo la rappresentazione a più figure in scene equilibrate e costruite.
È in questo periodo inoltre che, con la gemma firmata da Dexamenos di Chio (Furtwängler, Gemmen, tav. xiv, n. 3) entra per non più uscirne, nel repertorio della g. il ritratto, ed è in questo periodo anche che si affaccia, con la firma degli incisori, uno dei più controversi e non risolti problemi di questa disciplina. L'uso di accompagnare con iscrizioni le rappresentazioni figurate risale infatti, come si è visto, alle origini stesse della g. e si ricollega direttamente alla destinazione, fondamentalmente sigillare, della gemma incisa (v. sigillo), ma l'uso, da parte degli incisori, di apporre la propria firma accanto all'incisione è storicamente un uso greco, in quanto resta estraneo agli altri ambienti, compreso quello etrusco, con un fenomeno significativo per la sua continuità in periodo ellenistico-romano. Evidentemente in Grecia proprio l'uso trova la sua ragione d essere in una generale consuetudine che interessa le cosiddette arti industriali (ceramica, incisione monetale) anche più che non la grande arte.
Disgraziatamente sulle gemme, accanto ai nomi chiaramente definiti nel loro significato dal verbo ἐποίει, la maggior parte dei nomi iscritti non è seguita da alcuna specificazione: il nome quindi può essere, non quello dell'incisore, ma quello dei proprietario della gemma, ipotesi molto probabile data la funzione cui essa è chiamata, di sigillo. Pertanto si è cercato di individuare alcuni criteri di discriminazione; la firma più vistosa apparterrebbe piuttosto al proprietario che all'artista, e lo stesso sarebbe in quei casi in cui l'iscrizione è incisa a rovescio in modo da comparire diritta nell'impronta; ma, per una ragione o per un'altra, una norma assoluta non è stata rinvenuta e forse, anche, non è mai esistita. Per gli studi moderni, in ogni caso, le difficoltà sono accresciute dal fatto che il nome, o la firma, possono essere stati aggiunti in un secondo tempo, sia nella stessa antichità sia in età moderna, fatto che tante volte si è verificato e che rende naturalmente più complesso il problema specifico, così come lo stesso esame delle gemme nell'intento di stabilirne l'autenticità.
Comunque sia, è stato possibile individuare un esiguo numero di autentici incisori, anche se non sempre tra le personalità, d'altronde rare, più rappresentative: accanto ad essi, grandissimo è il numero dei nomi incerti, molte volte anche collegati ad opere di nessun valore.
Si può dire che alcune differenze, piuttosto di carattere esteriore che non intrinseco, distinguono la produzione greca di età ellenistica da quella del periodo precedente; meglio ancora, mentre il rendimento stilistico non offre più problemi proprî in quanto si lega a quello della grande arte e la riflette, vi sono alcune particolarità specifiche che distinguono le gemme greche dalle ellenistiche. Esse si riassumono nella scomparsa degli scarabeoidi, sostituiti da grosse pietre o paste vitree di un ovale allungato, fortemente convesse dalla parte su cui di solito è approfondita l'incisione, e nella preferenza data ormai alla corniola, alla sardonica, alla calcedonia e, per la prima volta, al giacinto ed al granato, mentre fra le paste vitree appaiono in voga soprattutto le varietà dei verdi, del giallo e del bruno.
Produzione ellenistica che, a ben vedere, sfocia nel vastissimo campo della g. greco-romana con la quale, sotto molti aspetti, si confonde e nella quale il materiale si moltiplica ponendoci contro a variazioni grandissime di stile, in una larga e frammentata operosità di artigianato, e in una straordinaria varietà di repertorio che attinge ormai liberamente all'inesauribile campo mitologico.
5) Etruria e Italia meridionale. - Tuttavia non può valutare la produzione di questo periodo senza aver considerato a parte la g. etrusca e italica, che ne costituiscono forti componenti. La prima ha inizio alla fine del VI sec., con una certa indipendenza da quella greca, palese nel particolare che adotta come forma tipica non lo scarabeoide, proprio delle gemme greche, ma lo scarabeo (v.) evidentemente desunto, pei contatti peraltro ben noti, dall'Egitto. La stessa indipendenza si denota nella scelta della pietra che è quasi esclusivamente la corniola mentre raramente appaiono il diaspro verde, la calcedonia e l'agata fasciata.
Dalla fine del VI sec. l'attività degli incisori etruschi si estende fino a tutto il IV con un succedersi di variazioni nello stile che ha portato il Furtwängler a suddividerla in ben 12 periodi. Accennando qui solo alle caratteristiche essenziali, si può dire che, se pure manifesta una certa iniziale indipendenza, ben presto la g. etrusca appare influenzata da quella greca o, più probabilmente, dalla generale visione ellenica; ci dà così una produzione, varia nel repertorio figurato, in cui tuttavia mancano scene a soggetto religioso o rituale, equilibrata nelle composizioni, finissima nell' esecuzione tecnica, che pareggia certo, se non sorpassa, quella greca, specie nella prima metà del V sec., con una delicatezza e precisione che non può stupire chi conosce la meravigliosa perizia raggiunta dagli Etruschi in altri rami delle parallele arti industriali, la metallotecnica e l'oreficeria.
Nella seconda metà del IV sec. si fa poi strada nella g. locale, forse sotto l'influsso della produzione dell' Italia meridionale, una nuova tecnica basata sull'accentuato uso del trapano, che costituisce indubbiamente una degradazione rispetto a quella in uso, e che, tuttavia, si afferma, determinando un gruppo caratteristico con incisione detta "a globulo" in cui, cioè, l'immagine risulta per la giustapposizione di incavi ovali o tondeggianti. Le figure assumono così una forma strana, abbozzata piuttosto che chiaramente definita, in cui l'incisore rinunzia dagli inizi a meglio descrivere il tipo o rifinirlo. Questo porta, anche in quei casi in cui la nuova tecnica si abbina all'antica, una limitazione nella scelta del repertorio figurato, circoscritto a soggetti isolati in schemi semplici: guerrieri, eroi, centauri, animali.
Con l'esaurirsi della g. etrusca coincide, con fenomeno già constatato in altri campi, l'affermarsi della produzione italica, che risale dall'Italia meridionale al Lazio e alla Campania, acquistando nella diversa distribuzione regionale, coloriture proprie e differenziate.
Già il Furtwängler, infatti, distingueva una corrente etruschizzante da una seconda, influenzata dalla g. ellenistica; nella prima la forma dello scarabeo persiste, con pochi esemplari, accanto all'affermarsi delle gemme ovali, spesso di agata fasciata con un caratteristico amore per la policromia di questa pietra, mentre lo stile si distingue per una tendenza arcaicizzante e per una particolare secchezza nel rendimento delle immagini, asciutte e come rinsecchite. La seconda corrente preferisce esclusivamente la forma ovale delle gemme, per lo più piatte, ma talora anche convesse, come quelle della Grecia propria, ed è distinta nel comune repertorio figurato, in cui più frequentemente appaiono però le riproduzioni di divinità, da uno stile in se stesso meno originale, con figure più piene e morbide, fluidamente tratteggiate.
6) Roma. - In questo gruppo una parte è costituita da una serie di gemme che può esser designata come romano-campana e costituisce, a ben vedere, nella intera suddivisione il reale gruppo italico: nella esemplificazione non numerosa, anche perché in molti casi la differenziazione è data da sfumature stilistiche, non ancora chiarite a sufficienza, le gemme di questa corrente ci presentano un interesse particolare, per aspetti propri, che andrebbero individuati e approfonditi. Esse appaiono anzitutto caratterizzate dalla scelta dei soggetti in cui, ad esempio, generiche figure di guerrieri denotano, attraverso la specificazione del costume, una volontà di precisa indicazione; cosi la frequenza di scene religiose, di sacrifici presso un'ara ci riporta ad episodi della vita privata o pubblica, con una tendenza che ritroveremo nell'arte romana tanto palesemente espressa; ancora più significativo risulta il carattere del repertorio figurato in cui, accanto a temi desunti dalla mitologia greca, ritornano, in vari casi, episodi della leggenda romana che trovano così, proprio in queste gemme, la loro prima espressione figurata. Vediamo ad esempio più volte ripetuto il mito dei gemelli, o l'episodio del rinvenimento del capo di Tolus con cui si riconnette il nome stesso di "Capitolium" (Blanchet, in Rev. Arch., 1925, pp. 248-56) o, più raramente, l'incontro di Marte con Rhea Silvia, o il sacrificio leggendario del sabino Mettius Curtius. Né occorre insistere sull'interesse di contenuto, oltre che stilistico di questo gruppo di gemme che non sono ancora state studiate a sufficienza, e che tuttavia già il Furtwängler definiva una delle poche genuine espressioni della più antica arte romana.
Questi varî filoni, con le gemme greche dell'età ellenistica, confluiscono a formare la g. greco-romana di cui si è già accennato e sulla quale pertanto non occorre ritornare, se non per ricordare l'importanza che in essa assume il tema del ritratto. Estraneo alla g. etrusca, in cui la gemma riveste, specie nell'ultimo periodo, funzione decorativa piuttosto che puramente sigillare, il ritratto, già usato nelle gemme ellenistiche, in rapporto col suo generale diffondersi a partire dal tempo dei Diadochi, diviene nella g. greco-romana tema diffusissimo. Contribuiscono ad affermarne l'uso, l'amore pel ritratto individuale, proprio dell'arte romana, e la destinazione sigillare della gemma, ormai sempre piatta e per lo più incastonata nell'anello; la g. ci dà così, come la moneta, e parallelamente ad essa, un contributo notevolissimo allo studio di questa forma d'arte, in una ricchissima gamma di valori, che vanno dall'immagine appena abbozzata con rozza mano dal piccolo artigiano, all'espressione viva,o freddamente composta, dell'incisore aulico. Perché, con l'affermarsi dell'Impero, come già nelle regge dei Diadochi, la g. entra nel campo di diretto interesse dei sovrani. E come l'ellenismo ci ha lasciato il nome dell'incisore ufficiale alla corte di Alessandro: Pyrgoteles, ugualmente la prima età imperiale lega al nome di Augusto quello dell'incisore che per lui lavorava: Dioskourides. Con Augusto, infatti, la g. inizia una sua rifioritura, preparata dal grande amore per le gemme incise, che dette luogo tra i patrizi romani alle prime collezioni e giustificata, a ben vedere, dalle qualità intrinseche delle gemme stesse. Al gusto augusteo, con le sue spiccate tendenze neoclassiche, la sua eleganza raffinata, il tono compostamente aulico, ben si adattava la preferenza per la g.; i suoi prodotti, pertanto, si moltiplicano, dando luogo, in parte, ad una larga produzione di genere con soggetti: satirelli, menadi, figurette danzanti, Eroti, ecc., in cui si ritrovano motivi di repertorio comuni alle altre forme d'arte industriale del periodo: la ceramica aretina, le lastre Campana, gli stucchi, ecc., in parte a temi di maggiore impegno, quali i ritratti di membri della famiglia imperiale o le rappresentazioni di interesse storico. Mentre nei ritratti più ci è dato cogliere, ove ci sia, il valore artistico dell'incisore ed il suo temperamento, che ispira ora la fredda immagine ufficiale, ora la vivente riproduzione di una fisionomia individuale, nelle gemme di carattere allegorico comincia ad affermarsi la preferenza pei cammei (v.). Sin dall'età augustea, quindi, si profilano i due filoni in cui la g. si muoverà per tutto il I sec. fino alla fine del II: le gemme incise da un lato, che tendono ad industrializzarsi sempre più, ed in cui possiamo trovare opere graziose, mentre è vano cercare il piccolo capolavoro, eccezion fatta per qualche ritratto particolarmente vivido; i cammei dall'altro, cui si volgono gli incisori più ambiziosi, nell'affrontare ritratti di principi, o temi di contenuto storico o complesse allegorie. A questo tipo di gemme pertanto, a cui, nel vistoso cromatismo delle pietre preferite (la sardonica o l'agata fasciata) meglio si addice la pomposa dignità di un aulico linguaggio d'arte, resta affidato principalmente, nei secoli che seguono, la continuazione e la storia della glittica.
V. anche gnostiche, gemme, oltre alle voci dedicate ai nomi iscritti su singole gemme.
Bibl.: E. Babelon, in Dict. Ant., s. v. Gemma; H. Blümner, Technologie der Gewerbe und Künste bei Griechen und Römern, Lipsia 1887, III, Arbeit in Stein, par. 8-9, in particolare p. 279 ss.; A. Furtwängler, Gemmen, I Tavole; II Catalogo; III Storia, Lipsia 1900; id., in Jahrbuch, III-IV, 1888-9 (studî sugli incisori, riprodotti in Gesammelte Schriften); G. M. A. Richter, Catalogue of Engraved Gems. Greek, Etruscan a. Roman (Metropolitan Museum of Art), Roma 1956; J. D. Beazley, The Lewes House Collection of Ancient Gems, Oxford 1920; G. B. Walters, Catalogue of the Engraved Gems and Cammeos. Greek, Etruscan and Roman, Londra 1926.
Per i cilindri mesopotamici: H. Frankfort, Cylinder Seals, Londra 1939. Per gli scarabei egiziani rinvenuti ad Ischia: S. Bosticco, Scarabei egiziani nella necropoli di Pithecusa nell'isola d'Ischia, in La Parola del Passato, maggio-giugno 1957, p. 215 ss. Per la g. cretese-micenea: Ebert, Reallex. Vorg., s. v. Glyptik; D. Levi, Le cretule di Haghia Triada e di Zakro, in Ann. Sc. Arch. It. Atene, VIII-IX, 1925-1926, 1929, p. 71 ss.; Otto-Herbig, in Handbuch der Archäologie, IV, 1950, passim; D. Levi, in Ann. Sc. Arch. It. Atene, N. S. XIX-XX, 1957-58; si veda anche la bibl. s. v. cammeo.