gloriare
Ricorre nella Vita Nuova, nel Convivio e nel Paradiso, all'infinito (a eccezione del gloriai di Pd XVI 6) e sempre nella forma dotta (v. GLORIA). La dieresi di -ia- è costante nell'infinito, quasi sicura nell'unica occorrenza al passato remoto.
Con costrutto assoluto corrisponde a " essere beato ", " godere della felicità eterna ". Con questo significato, come ‛ gloria ', ‛ glorioso ' e ‛ gloriosamente ', è voce naturalmente connessa all'immagine che D. conservava di Beatrice. La sua morte è subito raffigurata come l'inizio della beatitudine (Vn XXVIII 1 lo segnore de la giustizia chiamoe questa gentilissima a gloriare sotto la insegna di Maria); quando nella sua tristezza ripensa a lei, non può che immaginarla in questo stato felice: un soave penser, che se ne gia / molte fiate a' pie' del nostro Sire, / ove una donna gloriar vedia (Cv II Voi che 'ntendendo 17); e nel commento in prosa, dove il verso è ripetuto, conferma questa sua certezza: io era certo, e sono, per sua graziosa revelazione, che ella era in cielo (II VII 6). Con questo uso g. è l'esito del latino glorior, passato attraverso la tradizione cristiana: in Ep II 5 Alessandro di Romena, morto da poco, cum beatorum principibus gloriatur.
Il me ne gloriai (di te, nobiltà di sangue) di Pd XVI 6, con il corrispondente glorïar di te la gente fai del v. 2, è interpretato comunemente come la confessione di un sentimento di orgoglio o di vanagloria, provato in cielo alla notizia che un suo antenato, Cacciaguida, era stato fatto nobile da un imperatore. Però, se si tiene presente che, quando D. manifesta in forma diretta il suo stato d'animo, le sue parole sono di gioia e non di orgoglio (vv. 16-21) e se si pensa che parole della stessa famiglia (v. gloria, in fine) indicano spesso la felicità terrena, si riterrà probabile che anche le due occorrenze in questione rientrino in quest'ambito semantico, come analogo umano al g. celeste.
Con valore attivo, nel senso di " esaltare ", in Pd XXIV 44 a gloriarla (" per magnificarla, esaltarla ": la Fede). In latino l'attivo è reso con ‛ glorificare ' (Mn II III 9 Hectorem, quem prae omnibus Homerus glorificat; V 15 ut Livius... glorificando renarrat), il cui corrispondente in volgare manca in tutto il corpus dantesco.