glorioso
Presente in tutte le opere sicuramente dantesche, fuorché nelle Rime. Come per ‛ gloria ' (v.), si riconosce autentica solo la forma dotta. La dieresi di -ió- si ha sempre (cfr. anche GLORIOSAMENTE), senza eccezioni. Il superlativo ricorre una sola volta per indicare Dio, l'altissimo e gloriosissimo seminadore del seme di felicitade (Cv IV XXIII 3 e XX 9); e negli scritti in latino solo per il gloriosissimum regem Aeneam (Mn II III 6), in un brano vibrante di apologia per il popolo romano e la nobiltà delle sue origini. Ha valore di sostantivo in Vn XXXII 1, XXXIII 1, e Pd II 16.
L'accezione di gran lunga più frequente è di carattere sacrale e paradisiaco; ma anche quando si riferisce a glorie militari o civiche, non manca spesso di sfumature più o meno accentuate di sacralità, naturali in un autore attento all'aspetto provvidenziale e analogico della storia umana.
Gloriosa è Roma, che portò il mondo alla ottima disposizione necessaria per la nascita di Cristo (Cv IV V 4); glorioso, uno dei suoi più illustri cittadini, Tito Manlio Torquato, che soprattutto grazie al divino aiutorio trovò la forza di condannare i propri figli per amore del publico bene (IV VI 12 e V 14); e glorioso è Catone (VI 10), trasfigurato da D. sino al punto da sembrargli l'uomo più degno di simboleggiare Iddio (XXVIII 15).
Glorioso è anche (Pd XVI 151) il popolo della Firenze di Cacciaguida, in un contesto che mira a fare dell'antica città una specie di paradiso in terra (con una descrizione in prevalenza attraverso negazioni, simile a quelle tradizionalmente usate per dare un'idea del divino), e del suo popolo giusto e senza divisioni interne qualche cosa di molto simile al popol giusto e sano della candida rosa (Pd XXXI 39), contrapposto anch'esso alla Firenze contemporanea.
In un senso soltanto terreno indica la gloria dell'ingegno, quella dell'ardimento e quella connessa alla potenza terrena. Aristotele è quello glorioso filosofo (Cv III V 7), la diva Pegasëa fa glorïosi gl'ingegni e li rende longevi (Pd XVIII 83); per D. Brunetto Latini aveva già intravisto una meta sicura, il glorïoso porto di una splendida fama di poeta (If XV 56).
Gli Argonauti, autori della memorabile impresa, così presente alla fantasia di D., sono que' glorïosi che passaro al Colco (Pd II 16). Pier della Vigna chiama glorïoso offizio (If XIII 62) la sua altissima carica, perché segno e fonte di potere e di grande considerazione. Provenzan Salvani compì il suo straordinario atto di umiltà quando vivea più glorïoso (Pg XI 133), cioè al culmine della sua fortuna politica, che avrebbe dovuto invece insuperbirlo maggiormente (modifica l'antitesi chi attribuisce qui a g. il doppio significato del latino gloriosus: " glorioso " e " vanaglorioso ").
In Cv IV XXIV 16 sarà glorioso traduce " glorificabitur " di Prov. 13, 18, e il senso è chiarito dall'originale (" Egestas et ignominia ei qui deserit disciplinam, / qui autem adquiescit arguenti glorificabitur "), dove la ‛ gloria ' contrapposta a egestas e a ignominia non può che riassumere in sé la ricchezza e la buona reputazione; ma D., omettendo la prima parte dell'affermazione, rende più indeterminata e insieme più seducente la ricompensa destinata al giovane che si sottopone volentieri alle correzioni delle persone mature. L'aggettivo ritorna in un'altra traduzione (Cic. Off. I XIV 43 " cupidi splendoris et gloriae "; Cv IV XXVII 15 desiderosi d'essere apparenti e gloriosi), dove la gloria ambita corrisponde invece al favore popolare, dipendente da un'ingannevole nomea di generosità, ed è quindi esteriore e vuota.
‛ Farsi g. ' (Cv I XI 15) equivale a " menar vanto " (della conoscenza del volgare altrui), " farsene un merito eccessivo ".
Poiché la vera e più alta gloria è quella di Dio, coincidendo con la sua maestà e potenza infinita, l'aggettivo g. gli si addice in sommo grado. Si è già visto il gloriosissimo seminadore di Cv IV XXIII 3; anche in Vn XXII 1 Dio è il glorioso sire.
Per partecipazione, lo stesso attributo è dato a chi, persone o cose, rientri nella sfera del divino. La luminosa processione del Paradiso terrestre, forma sensibile di verità e di realtà rivelate e volute dal cielo, è chiamata lo glorïoso essercito (Pg XXXII 17); e il trono di Maria nell'Empireo è un glorïoso scanno (Pd XXXII 28), con un implicito riferimento anche al suo splendore di luce soprannaturale.
Così la Filosofia è definita questa gloriosa donna (Cv III XV 1), certamente in quanto figlia di Dio, regina di tutto, nobilissima e bellissima (II XII 9), e ancora (XV 12) bellissima e onestissima figlia de lo Imperadore de lo universo. In II XV 3 a questa connaturata nobiltà di origine sacra, si aggiunge uno dei suoi meravigliosi effetti, l'affrancamento spirituale che comunica ai suoi fedeli, con la libera disponibilità della ragione: è, infatti, donna... gloriosa di libertade. E gloriose sono infine (Pd XXII 112) le stelle costituenti la costellazione dei Gemelli, perché grande è la loro virtù, e in questa si manifesta la Provvidenza (VIII 97-99); non certo perché la loro influenza dispone a conseguire la gloria poetica.
In corrispondenza all'accezione di ‛ gloria ' come beatitudine celeste, g. è chi ha conseguito la salvezza eterna. Lo è anzitutto Beatrice, presente nell'aspetto di gloriosa donna de la mia mente (Vn II 1) sin dal primo affiorare della sua immagine nel ‛ libro della memoria '. Il poeta sa con certezza che la sua morte non è dovuta a cause naturali, ma al desiderio del cielo di averla con sé, per liberarla dagli affanni della vita, indegni di lei: perciò èssi gloriosa in loco degno (Vn XXXI 11 31). D'ora in poi questo sarà il suo attributo più insistente, e quasi d'obbligo: negli ultimi capitoli della Vita Nuova (XXXII 1, XXXIII 1, XXVII 2, XXXIX 1) e nel II libro del Convivio (II 3, VI 7, VIII 16) Beatrice è la gloriosa per eccellenza, con scarse o nulle variazioni emotive, in base a un'idea ferma, la cui dinamica è assorbita dall'intento laudativo.
Con maggiore ricchezza e maturità d'immaginazione l'aggettivo ritornerà nel poema; e non tanto nell'accenno, anch'esso laudativo, a s. Giovanni Battista che, oltre a essere sì grande come si legge nel Vangelo, è anche, naturalmente, glorioso (Pg XXII 153), quanto nella rappresentazione diretta della beatitudine del Paradiso, della ‛ gloria ' in atto. Certe scene e certi scorci della terza cantica ricevono proprio da questa parola una, più certa e luminosa validità: così la gloriosa rota degli spiriti sapienti, che si muovono intorno a D. e a Beatrice in un trionfo di luci e di canti (Pd X 145); lo spettacolo immenso di tutti i beati, che fa da sfondo alla figura di s. Bernardo, vestito con le genti glorïose (XXXI 60); i singoli beati nel loro particolare fulgore: la gloriosa vita di Tommaso (XIV 6), quella di Traiano, vissuto miracolosamente due volte per la sua salvazione (XX 112 L'anima glorïosa onde si parla), l'incontro fantasmagorico di due grandissimi del Paradiso (XXV 23 così vid'ïo l'un da l'altro grande / principe glorïoso essere accolto). E così la visione sospirata e pur certa del momento nel quale la carne glorïosa e santa / fia rivestita (XIV 43), in cui si liberano in un momento sublime di poesia la secolare speranza cristiana nella resurrezione dei corpi e il concetto teologico del corpus gloriosum (espressione tecnica per indicare il corpo già spiritualizzato e circonfulso di luce; vedi s. Tommaso Sum. theol. III 54, 57 e passim).
Si ricordi infine Fiore XCV 2 molte buone Sante glorïose.