GLOSSA e Glossatori
La parola glossa, equivalente all'italiana chiosa, si trova già in Aristotele (Rhet., III, 3, 2) ed esprime una forma d'insegnamento e di studio, che risale alla remota antichità. La Bibbia stessa ebbe le sue glosse interlineari e marginali: distinzione che parve nuova nei legisti. Si narra che le glosse a Omero risalgano al sec. V a. C.; certamente nel periodo alessandrino molti dovettero essere i glossatori, per testimonianza del grammatico Ateneo (250 a. C.). In questo periodo l'opera dei letterati si riduce a una continua glossa degli autori più noti o più pregiati. E, poiché tutto si veniva chiosando, non è improbabile che Giustiniano, col suo famoso divieto di commentare i testi di legge da lui raccolti, abbia voluto premunirli dalle glosse. Fiorisce anche l'uso nell'età bizantina, di raccogliere a chiarimento di un testo biblico o giuridico una serie di commenti ricavati da opere di varî autori intorno al testo stesso ordinando la raccolta in tal modo da farle applicare il nome di catena (v. catene). Questo uso, praticato soprattutto dai teologi, il Peters sostenne applicato anche dall'anonimo a commento dei Libri Basilicorum, ampia opera bizantina di alto interesse per lo studio del Corpus iuris civilis: questo organico apparato di scolî, scompigliato nell'edizione dei Basilici curata dal Heimbach, della quale ancora oggi ci serviamo, sarebbe forse possibile, secondo il Peters, ricostruire almeno in parte tornando all'esame diretto dei codici.
A Roma durante l'impero non mancarono i glossatori, noti non di rado come grammatici o eruditi in genere, così Varrone, Festo, Verrio Flacco, ecc. Una delle forme letterarie usuali della giurisprudenza romana consisteva nel commento di opere di giuristi anteriori fatto in modo che ci è reso possibile spesso separare ciò che è testo commentato da ciò che è commento al testo. Talvolta il commento è anche esteriormente distaccato dal testo commentato come accade delle celebri note di Paolo e Ulpiano a Papiniano. Nell'età postclassica, compresa tra l'inizio dell'impero di Costantino e la legislazione giustinianea, gli scritti dei giuristi romani non solo non potevano sfuggire alla sorte di tutti gli scritti, anche non giuridici, che venivano interpretati mediante glosse; ma soprattutto gli scritti giuridici sembravano esigere di essere accompagnati da chiarimenti, osservazioni, aggiunte, per renderne il loro uso più pratico nelle scuole e nel foro. La collezione di iura e di leges, che va sotto il nome di Fragmenta Vaticana e appartiene a questo periodo, contiene varî scolî o glosse. Nell'occidente postclassico la glossa si afferma col nome di interpretatio; e così nella maggiore opera legislativa di questo periodo, la lex romana Visigothorum sono accompagnate da interpretatio le Sententiae di Paolo e le costituzioni ivi trasportate dai tre Codices (gregoriano, ermogeniano, teodosiano). È ancora disputato se queste interpretationes siano commenti scolastici, anteriori alla legislazione visigotica e utilizzati da questa, o lavoro della commissione legislativa: ipotesi assai più probabile sembra la prima, anche se dovesse ammettersi nel senso soltanto che il precedente materiale scolastico abbia agevolato il lavoro del legislatore. La interpretatio occidentale solitamente è sunto o parafrasi modesta del testo giuridico a cui si accoda; non raramente contiene esplicazioni concrete eseguite con le forme id est, hoc est, e simili. Invece nella notevole operosità dell'Oriente postclassico la glossa doveva avere più vasto campo e splendere in più ricche forme, secondo quanto cercarono di lumeggiare recentemente in modo speciale F. Schulz, F. Pringsheim ed E. Albertario. Tutto lascia scorgere una sorprendente somiglianza tra la glossa postclassica in Oriente e la glossa medievale in Occidente; antonomasticamente detta beritese, la prima; bolognese, la seconda.
Dal sec. VI all'VIII operosi furono i glossatori: antichi glossarî erano in uso e, rimaneggiati, vennero a formare un tutto coi più recenti. È notissimo il liber glossarum d'Isidoro e noti sono pure i glossarî bilingui. Leggi barbariche, e così l'Editto di Rotari e la legge salica, portavano nel testo legislativo, per spiegare ai giudici popolari espressioni e concetti dichiarati in lingua latina, glosse nei dialetti germanici, le quali per altro divennero alla loro volta oscure e incomprensibili a chi ignorava il tedesco, cioè alla maggior parte del popolo. Anche per le antiche glosse è bene ricordare che umanisti italiani, cominciando da I. Scaligero (1540-1609) editore di Festo, giovarono a porre in luce l'importanza di esse; e si giunse così all'opera di A. Mai, Classici auctores (1831-1836). Se consideriamo la glossa quale una dichiarazione dell'altrui pensiero, ci viene naturale ravvisarla (come si vede nei letterati antichi di ogni paese) quasi un aiuto, si direbbe istintivo, che si cerca in quella, non avendo fiducia di poter fare da sé. Ma ciò non toglie che potesse anche sembrare un mezzo di ammaestramento per saper produrre nuove opere, almeno in certi momenti storici. Inoltre di antiche glosse furono fatti taluni dizionari dell'età di mezzo, quale quello di Uguccione e di Papia. Ciò che importa qui tenere presente è che le glosse letterarie sono pur contemporanee all'opera dei glossatori legisti. Così la Panormia di Osbern di Gloucester (1123-1200), il Corbocicum di I. di Janna (1288). La grande maggioranza di coloro che hanno parlato della glossa giuridica bolognese (vi comprendiamo anche le cosiddette glosse grammaticali) e dei glossatori dell'aureo periodo di Bologna da Irnerio ad Accursio, hanno preso una via che la critica storica non può approvare.
Le parole glossa e glossatori sono adoperate usualmente per indicare la glossa e i glossatori bolognesi; isolando erroneamente la glossa bolognese da tutte le altre antiche e recenti che (siano la glossa alla Bibbia o ad Aristotele e altri filosofi e padri della Chiesa) appartengono tutte allo stesso genere letterario. Bologna si è servita naturalmente di questo, sebbene la glossa bolognese si possa distinguere per caratteri proprî, che ricordano soltanto quelli che recenti congetture attribuiscono alla glossa giuridica beritese. Anche più grande è l'errore, passato pure in autori di grido, che Irnerio (v.) sia stato il primo a glossare i testi romani; e che sia un maestro senza legame alcuno con precedente scuola e precedenti maestri.
La tradizione, viva ancora nel sec. XIII e continuamente poi ripetuta, accenna fra questi maestri a un certo Pepo, che sarebbe stato "nullius nominis". Ma H. Fitting, che fu un profondo conoscitore della letteratura giuridica del Medioevo, ci fa osservare che Pepo è detto "clarum Bononensium lumen" dal vescovo Gualtiero II di Siena (1085-1127); e che in un manoscritto pergamenaceo, anteriore al sec. XIII, si legge che appartiene a Pepo maestro bolognese. Questi, come si può congetturare dal manoscritto stesso, avrebbe insegnato a Bologna nei primi anni del sec. XII, essendo ben noto anche fuori di Bologna, e specialmente in Toscana; dove partecipò a importanti giudizî e forse fu redattore di qualche buon documento che ci è rimasto. Se anche non vogliamo dare a queste notizie, raccolte dal Fitting, che il valore d'indizî, è pur ragionevole di unirli agli altri che abbiamo sugli antecessori d'Irnerio. Né tanto vale soffermarsi sui nomi di legis doctores a noi noti anteriormente a Irnerio, quanto piuttosto sulle testimonianze che si possono trovare nelle sue parole e in documenti a lui anteriori. Alcune glosse del famoso manoscritto torinese delle Institutiones giustinianee sono molto antiche e rimontano forse all'età di Giustiniano; di glosse furono corredati, come già si è detto, i Basilici. Glosse s'incontrano frequentemente in leggi e scritti dell'alto Medioevo, come ci mostra il quadro di quel periodo, quasi condotto a termine dal Conrat (Gesch. d. Quellen u. Liter. des röm. Rechts im Mittelalter, I, Lipsia 1891 , pp. 12, 17, 25 segg.). Sembra arrischiato, almeno per ora, di asserire col Ficker (Forsch. zur Reichs-u. Rechtsgesch. Italiens, III, p. 143) che la scuola di Bologna fosse già famosa prima d'Irnerio. Ma certa non è neppure la negazione del Denifle (Die Univers. d. Mittelalt. bis 1400, Berlino 1885, I, p. 45 n. 22). Sicura è l'asserzione di L. Chiappelli, che vi fu un'antica scienza bolognese, conosciuta e stimata da Irnerio che ricorda "antiquae solutiones, casus antiqui, veteres praeceptores, doctores antiqui" e, in genere, precedenti glossatori di cui talora combatte le opinioni. Si osservi che la solutio e il casus accennano a elementi costitutivi del metodo dei glossatori.
Tutto ciò rende molto dubbia la tradizione che Irnerio avesse fatto da sé tutta la propria preparazione alla cattedra di diritto. Per lo meno avrà studiato in qualche scuola di artes liberales delle quali fu maestro: a questo studio dobbiamo dare un'importanza maggiore di quella che comunemente gli si attribuisce. È stato autorevolmente asserito che Irnerio ruppe il legame della scienza del diritto col trivio e col quadrivio; ma l'asserzione deve essere accolta soltanto nel senso che egli tenne una cattedra a sé di diritto e la fece fiorire, più agli occhi forse dei posteri che dei contemporanei. Non poteva certamente allora chiunque si dedicasse a una scienza, abbandonare quella forma logica e dialettica che s'imparava nelle scuole delle artes liberales e che era comune a tutto il sapere. Né i successori d'Irnerio l'abbandonarono; anzi si vedrà come ne traessero profitto.
Dall'età d'Irnerio sino alla metà circa del sec. XIII molti furono i successori di lui, indicati genericamente con il nome di glossatori. Molti di essi, non tutti, insegnarono a Bologna; taluni anche fuori d'Italia, come Vacario in Inghilterra. Si tenta e sempre si è tentato dagli storici delle Università, specialmente della bolognese, e dagli storici della giurisprudenza (a dir vero pochi e poco originali) di fare un elenco dei glossatori. Ma più cause hanno impedito che l'elenco riuscisse completo ed esatto.
Anzitutto la poca critica, principalmente degli antichi, nell'accogliere, come sicure, notizie senza buon fondamento; poi la perdita di molti dei manoscritti ove erano le glosse dei maestri scritte da loro o dagli scolari, cagionata in parte dalla compilazione della Glossa magna che tutti li mescolò insieme, se anche per lo più li distinse con sigle, le quali, come lettere iniziali o prima sillaba del nome, avrebbero dovuto far distinguere bene l'un glossatore dall'altro. E sarebbe stato di somma utilità per noi conoscere e apprezzare l'individualità di ciascuno di essi e le loro diverse tendenze, delle quali si ha un barlume già nei primi scolari d'Irnerio, o, se vogliamo dire con maggiore precisione, nei quattuor doctores che la tradizione presenta come immediati successori di lui: Bulgaro, Martino, Iacopo e Ugo. Ma anche le sigle sono un documento per noi spesso enigmatico; talune non si capiscono o restano dubbiose; altre sono state usate, in modo identico, da più glossatori; qualcheduna accenna a un nome, altronde ignoto.
Un passo di Raffaele Fulgosio (Comm. in Cod. ad tit. de obl. et act.) sembra stabilire una differenza tra la glossa letteraria e le glosse giuridiche; ma, in realtà, il Fulgosio non nega che glosse siano le une e le altre; soltanto dice, e a ragione, che le bolognesi sono diverse dagli scolî ai classici autori. Diciamo scolî perché, se tale fu la parola greca (anche nei Basilici), corrisponde alla parola glosse, per le quali usarono i bolognesi anche quella di notulae e l'altra di apostillae che diedero ad alcuni scritti. La glossa bolognese è passata per gradi da una forma più semplice e breve a una più lunga e complicata. Le cosiddette glosse grammaticali, spesso interlineari nei tempi antichi, somigliavano molto agli scolî dei grammatici; poi approfondita l'esegesi e con essa fattosi più ampio l'esame delle opinioni in un senso e nell'altro, le glosse divennero più lunghe e ordinate secondo un disegno logico che si fonda sull'insegnamento aristotelico. Le magre apostillae dei grammatici poterono sembrare qualche cosa di diverso dalle glosse dei giuristi. Giacché queste si elevano al punto da non poter essere considerate una semplice spiegazione di frasi o parole. Il glossatore dei libri giustinianei rileva le contraddizioni (contrarietates) che questi libri contengono, donde le molte incertezze (dubitationes, dubietates) e le molte controversie (dissensiones) che insorgono. Spesso le contraddizioni trovano una spiegazione (solutio) e le incertezze scompaiono mercé un'opportuna distinctio o differentia. Il glossatore espone dalla cattedra i libri giustinianei; eostruisce fattispecie ed esempî: da ciò derivarono le numerose glosse che pongono casus. Oltre ciò, il glossatore tende a fissare regole estratte dai varî testi che studia; ed ecco glosse contenenti regulae, definitiones, generalia, annunciate dalle parole nota quod, nota; oppure sciendum est, inspiciendum est, ecc. Bisogna dirlo chiaramente: la glossa bolognese fu la dichiarazione, possibilmente sicura, della mens legis o, come diciamo noi, del pensiero del legislatore; la rivelatrice dello spirito che domina l'opera di Giustiniano. Per i glossatori infatti la parola interpretazione si usa non pure per spiegazione di vocaboli e di frasi, ma "pro correctione, artactione, seu restrictione et prorogatione seu extensione" di norme di legge. La glossa bolognese è una ricerca di verità, cui si giunge mediante l'esposizione del pro e del contro servendosi di argomenti insegnati da Aristotele e appresi dai glossatori nella scuola di retorica, studiando la Topica di Cicerone, commentata da Boezio (si noti che ivi gli esempî sono presi dal diritto romano), e Porfirio e Boezio e altri compendî. Ricordano i glossatori anche Aristotele; ma è quasi certo che non lo conobbero direttamente. Infine un motivo di differenza delle glosse letterarie dalle bolognesi, per l'ampiezza e il contenuto, è che quelle potevano restare oggetto di studio e di astratta meditazione, mentre queste volevano essere un continuo ammaestramento teorico e pratico per tutti i legisti, non soltanto maestri, ma giudici, avvocati, consultori in ogni questione di diritto privato e pubblico. Tali fumno pressoché tutti i glossatori risalendo anche a Irnerio.
La parola glossatori non ci deve far credere che tutto, per essi, si riducesse al chiosare i testi. Dall'elenco dei libri di testo e di studio che gli stationarii bolognesi dovevano sempre tenere a disposizione degli scolari, si vede che i glossatori scrissero vere e proprie lezioni, talora raccolte dagli scolari, somme, raccolte di casi, manuali di procedura, ecc.
L'opera dei glossatori, come diretta chiosa del testo si chiude convenzionalmente, ma non senza ragione, con la Glossa magna di Accursio (v.). Per la distinzione fra glossa incorporatasi nel testo e interpolazione v. interpolazione.
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