CORBULONE, Gneo Domizio (Cn. Domitius Corbŭlo)
Generale romano, che cominciò a distinguersi nel 47 d. C., sotto l'imperatore Claudio, combattendo vittoriosamente in Germania contro la tribù dei Cauci guidata da Gannasco. Ma il suo nome è legato con la politica del periodo neroniano verso i Parti. I Romani, per assicurare i confini orientali dell'impero contro questi irrequieti e pericolosi vicini, dovevano mantenere in Armenia un ordinamento a loro favorevole. Ma, come era pericoloso lasciare l'Armenia in balia dei Parti, così non giovava tenerla in dominio diretto, perché una provincia romana incuneantesi nel regno partico avrebbe costituito una provocazione permanente. Augusto, seguito dai successori, aveva dunque conservato l'autonomia dell'Armenia, ma l'aveva ordinata in stato vassallo, che contribuiva a mantenere distaccati i Parti dall'Impero romano. La soluzione aveva il difetto di tagliar fuori l'Armenia dal sistema difensivo dell'Impero ed esporla facilmente agli attacchi dei Parti. Appunto nel 54 d. C. il re dei Parti Vologese invase l'Armenia e ne affidò il trono al fratello Tiridate. Il governo di Nerone diede a Corbulone il comando dell'esercito romano incaricato di liberare l'Armenia dai Parti. Ma C. non condusse subito vigorosamente la guerra, perché era convinto personalmente che fosse opportuno accordarsi con i Parti, mentre il governo romano era deciso a ristabilire l'ordinamento augusteo. Solo nel 58 circa, probabilmente perché gli fu imposto di riprendere con vigore la spedizione, invase l'Armenia e occupò Artassata e Tigranocetta, restaurando il regno vassallo che fu affidato a un nobile di Cappadocia, Tigrane. I Romani poi, contro la volontà di C., passarono a una politica offensiva verso i Parti e fecero occupare da Tigrane l'Adiabene, approfittando dei dissidî interni del regno Partico (la ribellione degl'Ircani). Ma i Parti concessero l'indipendenza agl'Ircani e, rivoltisi contro l'Armenia, la invasero una seconda volta. C., coerente con sé stesso, non volle accettare il comando della nuova spedizione in Armenia, che fu affidata invece a Cesennio Peto. Anzi egli, per liberarsi da ogni responsabilità, mentre si aspettava il nuovo generale, pattuì una tregua con i Parti, secondo cui tanto i Romani quanto i Parti avrebbero dovuto abbandonare per il momento l'Armenia. Sperȧva evidentemente che in un secondo tempo sarebbe stato possibile trovare la via dell'accordo, che invece fu impedito dalla volontà del governo di Nerone, che ordinò a Peto di procedere, mentre C. fu inviato al comando delle truppe della Siria. Secondo il piano di guerra, Peto sarebbe entrato con due legioni in Armenia e C., per creare un diversivo al nemico, si sarebbe schierato lungo l'Eufrate; è dubbio se C. avrebbe dovuto invadere la Mesopotamia. Ma tutto il piano rovinò perché Cesennio Peto, prima ancora di raggiungere Tigranocerta, sorpreso dai Parti fu disfatto (62 d. C.). Allora finalmente, dopo il disastro, il governo romano si decise ad accettare la politica che C. aveva sempre patrocinato. Tiridate, il re partico, riebbe il trono, a patto che riconoscesse l'alta sovranità dell'Impero romano sull'Armenia e ricevesse il diadema in Roma (63 d. C.). Senza che si venisse a un nuovo conflitto, per cui i Romani stavano già preparando le forze, C. riusciva a risolvere per il momento il dissidio con i Parti. La soluzione era imposta dalla stessa natura delle cose, perché, quando si fosse rinunziato a sottrarre all'influenza partica l'Armenia, il meglio che si poteva era pretendere che gli Arsacidi, in quanto sovrani dell'Armenia, si riconoscessero vassalli di Roma. Ma, come la storia posteriore dimostrò, non era offerta in questo modo alcuna garanzia a Roma per la fedeltà dei Parti, e così il problema della difesa dei confini orientali rimase, nonostante l'accorta soluzione di C. Il quale, dopo un momento di grande trionfo, finì col divenire sospetto a Nerone quando si scoprì che una congiura contro l'imperatore era capeggiata da un suo cognato, Annio Viniciano. Nel 67, mentre Nerone compiva il suo famoso viaggio in Grecia, C., incontrandolo, ebbe l'impressione di essere perduto: infatti lo raggiunse a Cencree un ordine di morte, ed egli si uccise.
Fonti: Per la spedizione in Germania, Tac., Ann., XI, 18 segg.; Cass. Dio, LX, 30. Per le guerre di Armenia, Tac., Ann., XIII-XV, passim; Dio, LXI-LXIII, passim.
Bibl.: Oltre alle storie dell'impero, v. B. W. Henderson, in Classical Review, XV (1901), pp. 159 segg., 204 segg., 266 segg.; id., The Life and Principate of Nero, Londra 1903, pp. 153 segg., 471 segg. e passim; C. F. Lehmann-Haupt, Armenien einst und jetzt, I, Berlino 1910, pp. 383 segg., 501 segg.; W. Schur, Die Orientpolitik des Kaisers Nero, in Klio, XV Beiheft, Lipsia 1923; id., in Klio, XX (1925), p. 215 segg.; A. Momigliano, in Atti II Congresso nazionale di studi romani, Roma 1930.