GNOMONICA
. È l'arte di costruire gli orologi solari (ἡ γνωμονική, Gnomonice, quae est ars conficiendi solaria): più generalmente, l'arte di rappresentare la sfera celeste, o parti di essa, allo scopo di studiare nelle proiezioni così ottenute le posizioni e i movimenti degli astri rispetto all'osservatore. Inteso nel suo ampio significato, questo ramo dell'astronomia costituisce il fondamento geometrico universale della pratica di ogni misura angolare sul cielo, e quindi è parte essenziale della teoria degli strumenti. In senso più ristretto, la gnomonica si dedica specie a dedurre le leggi del moto apparente del Sole dalle lunghezze e dalle direzioni variabili delle ombre proiettate da uno stilo o gnomone che sia percosso dai raggi solari. Tali leggi si applicano alla determinazione degli elementi che definiscono l'orbita solaie apparente, e alla misura del tempo: potendo pure servire a stabilire le costanti geografiche generali e speciali (dimensioni del globo terrestre, coordinate del luogo di osservazione).
Lo studio della gnomonica è andato gradualmente declinando negli ultimi tempi, man mano che il perfezionarsi degli strumenti e dei metodi d'osservazione e degli orologi meccanici rendeva meno conveniente ricorrere ai procedimenti tradizionali: allo stesso tempo si abbandonò quasi del tutto l'uso di adoperare i tracciati gnomonici come motivi ornamentali per la decorazione degli edifizî, interrompendosi così l'antica collaborazione della gnomonica con l'architettura, attestata da tanti monumenti dell'antichità e del Rinascimento.
Rinviando il lettore, per le dimostrazioni matematiche che hanno attinenza con i problemi della gnomonica, alla bibliografia, si accennerà qui solo alle regole, non meno rigorose che eleganti, nelle quali Vitruvio e Tolomeo ci hanno trasmesso la dottrina gnomonica degli antichi. Di tale dottrina sono documenti preziosi i resti che troviamo nei monumenti assiri, egizî, greci e romani.
La base geometrica per la costruzione degli orologi solari d'ogni specie è posta da Vitruvio nel Libro IX del grande trattato De Architectura, dov'egli definisce la figura nota sotto il nome di analemma (cap. 4). Claudio de Saumaise ha tentato inutilmente nel Seicento di rendere più chiara la definizione vitruviana, estendendone la portata sino a comprendere non soltanto il corso del Sole, ma ancora la misura delle dimensioni del globo: ma chi voglia ricostruire il ragionamento del grande architetto non ha difficoltà a riconoscere che per analemma egli intendeva semplicemente la proiezione normale (ortografica) del cammino del Sole sul piano meridiano di un luogo di data latitudine, nelle varie stagioni dell'anno. L'elemento geografico fondamentale si ricava dall'osservazione dell'ombra proiettata sull'orizzonte dallo stilo in un giorno di equinozio. Il passaggio meridiano del Sole, com'è ben noto, corrisponde alla lunghezza minima dell'ombra nel giomo che si considera: quando questo è l'equinozio, il rapporto fra tale lunghezza e quella dello stilo dà subito la tangente trigonometrica della latitudine. Se la stazione è Roma, come suppone Vitruvio, il rapporto è di 8 a 9, cui corrisponde una latitudine di 41°38′. L'errore che si commette sostituendo questo valore a quello esatto di 41°54′ è trascurabile: non meno di quelli derivanti dal supporre infinitamente piccolo il rapporto tra le dimensioni della Terra e la sua distanza dal Sole, e dal sostituire il valore di 24° esatti al vero, di mezzo grado inferiore, per l'obliquità dell'eclittica. Costruendo ora due segmenti BC = 8 e AB = 9, perpendicolari tra loro, la BC sarà tangente in B al cerchio di centro A e di raggio AB, che facciamo corrispondere al meridiano. Essendo così BC orizzontale, la traccia dell'orizzonte sul meridiano sarà il diametro EI, perpendicolare ad AB: la AC, condotta a segare in F e in N il cerchio, sarà la traccia dell'equatore celeste: il diametro FN segnerà dunque nell'analemma il cammino del Sole nei giorni equinoziali, e il diametro PQ ad esso perpendicolare la direzione dell'asse del mondo. Fissiamo ora i punti H, G, K, L, sulla periferia, a 24° i due primi da una parte e dall'altra di F, e gli altri due similmente da N. Le due rette GL e HK, parallele a NF, segnano i paralleli corrispondenti ai solstizî: le diagonali del loro parallelogramma si segano nel centro del cerchio, e determinano sulla BC i punti R e T, ai quali arriva l'ombra nei giorni solstiziali. Finalmente la corda GH, alla quale Vitruvio dà il nome di Lacotomus, è fatta diametro del cerchio mensile o Manachus, e l'analemma si completa con i due semicerchi aventi per diametro LG e HK. Il cerchio e i due semicerchi sono i paralleli del Sole riportati nel piano del disegno. Da un esame di questo si riconosce facilmente che i segmenti NP, KU′, LS′ segnano gli archi semidiurni agli equinozî e ai solstizî: che il Manachus fornisce con le sue suddivisioni equidistanti le proiezioni che corrispondono ai punti intermedî, come gl'ingressi del Sole nei segni dello zodiaco: che infine le suddivisioni dei semicerchi in parti uguali (sei per il quadrante sopra l'orizzonte) conducono ai punti orarî e alle corde corrispondenti del cerchio. Benché l'analemma sia stato adoperato da Vitruvio esclusivamente per la costruzione degli orologi orizzontali, l'applicazione ne può essere estesa ad altri tipi (in piano verticale, nel piano scirocco-maestro, o nel simmetrico greco-libeccio, nell'orologio cilindrico aperto verso mezzogiorno, e così via).
Tolomeo ha dedicato all'analemma una delle sue opere minori, pubblicata nella versione latina da Federico Commandino nel 1562. Con questa, e con l'altra opera sul Planisfero, pure fatta conoscere dal Commandino, il contributo greco-romano alla gnomonica non lascia più nulla a desiderare. L'autore dell'Almagesto si fonda sopra un sistema di riferimento affatto identico al sistema altazimutale adottato dagli astronomi moderni. Sui principî da lui stabiliti, e su quelli che ricaviamo da Vitruvio, si basano tutti gli orologi solari dei tipi più svariati, fissi e mobili, su piani, cilindri, sfere cave e convesse, coni, la cui descrizione e interpretazione è oggetto d'innumerevoli ricerche e studî da astronomi, geometri, archeologi.
Per la pratica della costruzione degli orologi solari v. meridiana.
Bibl.: Oltre ai tre lavori citati di Vitruvio e di Tolomeo, abbiamo, a partire dal Cinquecento, un elenco amplissimo di scritti latini, italiani, tedeschi, francesi, inglesi sull'argomento. Limitandoci ai più importanti, citeremo: S. Münster, Compositio Horologiorum, Basilea 1531; P.A. Bienewitz (Apianus), Folium Populi, Ingoldstadt 1533; P. Beausard, Annuli Astronomici, Parigi 1553; C. Clavius, Gnomonices Libri VIII, Roma 1581; M. Oddi, Horologi solari, Milano 1614; I. Salò, Tabulae Gnomonicae, Rimini 1626; I.P. Stengel, Gnomonica Universalis, Augusta 1731; F. Bedos de Celles, Gnomonique pratique, 1760; C. Leadbetter, Mechanick Dialling, 1773; G.H. Martini, Sonnenuhren der Alten, Lipsia 1777; G. Toaldo, Orologi Solari, Venezia 1790. - Nell'ultimo secolo, basterà citare il capitolo X (vol. II) degli Elementi di Astronomia di G. Santini (Padova 1830); l'articolo Zur Theorie der Sonnenuhren nelle pubblicazioni dell'Osservatorio di Praga, diretto da L. Weinek (1912), nonché latrattazione dottissima di I. Drecker, Die Theorie der Sonnenuhren, in Bassermann Jordan, Die Geschichtre der Zeitmessung und der Uhren, Berlino-Lipsia 1924; ma non vi si parla delle grandi meridiane di Firenze, di Bologna e di Roma, alle quali sono legati i nomi di Paolo dal Pozzo Toscanelli, di Gian Domenico Cassini, di Francesco Bianchini, di Eustachio Manfredi, di Leonardo Ximenes.