GODIN TEPE
Località dell'attuale Iran occidentale, lungo il Gämäsyäb, affluente del Saymarre. Il sito, esteso per c.a 10 ha, ha costituito una tappa essenziale nella via commerciale di Kermānsāh che, da E a O, collegava la catena dei monti Zagros all'altopiano iranico. L'importanza strategica del sito perdurò fino a Dario I e a Serse, come attestano le loro iscrizioni nella zona di Hamadān.
L'antico centro di G. T. fu scoperto nel corso di un'ampia ricognizione su siti archeologici del Luristan avviata nel 1961 e solo più tardi e per breve tempo divenne oggetto di scavi sistematici da parte del Royal Ontario Museum e dell'Università di Toronto, intrapresi nel 1965 e proseguiti per cinque campagne. La struttura urbana del sito è costituita dalla cittadella, di c.a 5 ha, dalla città bassa, con una pari estensione, e- dall'area periferica, in un'ampia successione stratigrafica, dall'età calcolitica al periodo persiano, fino alle poche attestazioni islamiche. Vi furono individuate sette fasi culturali maggiori, corrispondenti ad altrettanti periodi peculiari nella formazione e nello sviluppo del centro urbano. Per l'articolazione cronologica del sito si fa riferimento agli ultimi dati presentati dall'archeologo che ne ha diretto gli scavi, T. Cuyler Young. Nella sequenza stratigrafica si registra un'effettiva continuità nell'occupazione del sito fin dai periodi IX e VIII (4100-3700 a.C.), con numerosi resti architettonici nel primo, e con tracce di una cultura sedentaria del tutto nuova nel secondo.
Accanto alla ceramica fatta a mano, sia di tipo comune sia fine, nel periodo VII (3700-3400 a.C.) è attestata la ceramica dipinta caratteristica della tradizione calcolitica di Teli Ḥalaf ed el-'Ubayd, che permane nel periodo VI (3400-3100 a.C.). Quest'ultimo appare cronologicamente e culturalmente assai articolato, nella varietà sia morfologica che tipologica della ceramica, e complessivamente comparabile con l'orizzonte culturale del livello V di Tepe Giyān.
Il periodo V (3100-3000 a.C.), che rappresenta un momento di particolare fioritura della cultura urbana del sito, indica già nella tecnica costruttiva delle mura, nell'impiego di mattoni crudi grandi e piccoli e del pisé (argilla pressata), e nei tipi ceramici, come le coppe a orlo piano, significative relazioni sia con la cultura di Uruk e di Ğemdet Naṣr, sia con quella di Tepe Gawra della Mesopotamia protostorica, nell'arco cronologico compreso tra la fine del IV e gli inizi del III millennio a.C.
Per quanto concerne le testimonianze architettoniche, sono stati portati alla luce lunghi tratti del muro perimetrale di una corte di pianta ovale, con imponente ingresso a S fiancheggiato da piccoli magazzini; lungo il lato Ν del cortile è un edificio monumentale incentrato su un vano rettangolare con un ampio focolare e pareti con nicchie e finestre. La topografia urbana di G. T. in questo periodo, con la città bassa destinata a ospitare l'insediamento agricolo e l'acropoli con le strutture fortificate, ha fatto supporre che il complesso arroccato sulla cittadella fosse il centro del traffico commerciale susiano, quale tappa essenziale nel controllo della via del Khorasan e delle aree settentrionali.
Il tramite delle relazioni tra G. T. e l'area mesopotamica è ravvisato nell'insediamento nella pianura elamita di «coloni-mercanti» susiani, che vi diffusero vasellame di tipo Uruk, sigilli cilindrici di stile susiano e un sistema di contabilità precedente all'impiego della scrittura, come attesta il ritrovamento di 43 tavolette con segni numerici e pittografici. Le evidenti relazioni tra la cultura di G. T. V e i siti di Uruk nel «paese di Sumer» e di Ḥabūba Kabira e Ğebel Arūda nell'alta Siria, consentono tuttavia di considerare parimenti possibile la presenza diretta di comunità commerciali sumeriche nella città. Il centro delle attività e della vita di G. T. nel periodo V era costituito dalla cittadella, più tardi (periodo IV) occupata da una nuova installazione, di matrice anatolica e sud-caucasica, definita «cultura di Yanik», dal sito omonimo nei pressi di Tabriz.
Le caratteristiche salienti del periodo IV (3000-2600 a.C.), articolato in tre fasi costruttive, riguardano la persistenza della ceramica decorata e l'impiego della tipologia rettangolare per le unità domestiche, in sintonia con la tradizione architettonica del Bronzo Antico I-II del sito di Yanik Tepe, nell'Azerbaigian. Tali relazioni testimoniano nell'Iran occidentale direttrici di sviluppo e di scambi commerciali e culturali prima ignoti e imprevisti nella frequenza e ampiezza del raggio operativo, nella prima metà del III millennio a.C. Tra i resti architettonici spicca un ampio complesso, forse un'area di culto, costituito da due vani rettangolari a cielo aperto, cinti da spesse mura, provviste di banchi in muratura lungo le pareti, intonacati e decorati con pitture a temi geometrici in bianco e nero. Una seconda area, a carattere pubblico, forse officina per la lavorazione dei metalli, si estendeva a S e a E del complesso di culto ed era provvista di vasche, installazioni per il fuoco con canali per lo scorrimento dei materiali e contenitori per provviste.
La più ampia e prolungata fioritura del sito si ebbe nel periodo III (dal 2600 al 1500 a.C. circa) quando G. T., dopo un periodo di oblio, raggiunge le dimensioni massime di estensione e la maggiore importanza nel corso della sua storia. Una stratigrafia fortemente articolata ha condotto a riconoscere almeno 5 fasi edilizie principali in una serrata continuità di occupazione dell'area, nonostante una prima violenta distruzione, probabilmente causata da un terremoto. Resti di mura spesse oltre 4 m, forse parte di fortificazioni della cittadella, strutture abitative a carattere privato e, in un caso, forse pubblico, per la monumentalità dei resti, strutture comuni per la preparazione dei cibi, attestano il livello di organizzazione urbanistica del sito. Inumazioni semplici nell'area periferica e sepolture più complesse nella cittadella stessa hanno restituito corredi funerari diversificati rispetto alla gerarchia sociale, fino alla tomba a camera rinvenuta nel cimitero dell'area periferica, cui forse era associato il sacrificio di un equide, e costituiscono gli altri aspetti salienti del contesto archeologico del periodo III. La produzione ceramica, per lo più dipinta, e riconducibile, pur nell'ampia diversificazione all'interno dello stesso periodo, a un ornato a bande parallele intervallate, nel registro principale, da motivi geometrici e animalistici, può indicare, come è stato autorevolmente proposto, la presenza di una popolazione eterogenea, ove l'orizzonte culturale predominante corrisponde all'ambito susiano e, in particolare, a quello di Tepe Giyān IV-II, nella vallata di Kangāvar.
Dopo una lunga pausa di c.a 5 secoli, l'insediamento del periodo II, di età meda (c.a 750-550 a.C.), sensibilmente ridotto alla sola cittadella - come indicano i dati archeologici - è rappresentato da massicce strutture di un complesso fortificato, circondato da spesse mura lungo il fronte N, originariamente estese per più di 100 m e rinforzate da torri quadrangolari e bastioni. Una così imponente opera muraria non riposa tuttavia su fondazioni in pietra, ma è semplicemente allettata su uno zoccolo in mattoni, mentre le pareti sia esterne che interne delle mura sono accuratamente intonacate. Il complesso fortificato comprende l'edificio palatino, originariamente costituito da una grande sala ipostila, con cinque file di sei colonne lignee su basi di pietra parzialmente lavorate, con un trono situato lungo la parete N, di fronte a un'installazione per il fuoco, e numerosi banchi in muratura lungo gli altri lati; a SE era una seconda sala minore, anch'essa con trono sulla parete N, forse destinata a udienze private o comunque ad attività non esplicitamente ufficiali. A tale primo nucleo palatino si aggiunsero più tardi altre due sale di tipologie analoghe alle precedenti, rispettivamente a O e a S. Al complesso centrale erano aggregati i servizi (cucine, magazzini) e un edificio insolito, a forma scalare, probabilmente un tempio, mentre a E sorgeva un ampio arsenale a file multiple parallele di magazzini.
L'intero complesso fortificato cadde in rovina nel VI sec. a.C. e fu fortemente alterato nelle successive occupazioni del sito, fino a ridursi, in età islamica (periodo I), a una torre di avvistamento.
Bibl.: Rapporti preliminari: T. C. Cuyler Young, Excavations at Godin Tepe: First Progress Report, Toronto 1969; T. C. Cuyler Young Jr., L. D. Levine, Excavations of the Godin Project: Second Progress Report, Toronto 1974.
Notizie degli scavi: in JNES, XXV, 1966, pp. 228-239; Iran, V, 1967, pp. 139-140; VI, 1968, pp. 160-161; VIII, 1970, pp. 180-182; XII, 1974, pp. 207-211; Archaeology, XX, 1967, pp. 63-64; Memorial Volume of the Vth International Congress on Iranian Art and Archaeology, Teheran 1968, pp. 204-210; AJA, LXXIII, 1969, pp. 240-241; AfO, XXIII, 1970, pp. 153-154; Proceedings of the 2nd Annual Symposium on Archaeological Research in Iran, 1973, Teheran 1974, pp. 80-90.
Studi: T. C. Cuyler Young Jr., The Chronology of the Late Third and Second Millennia in Central Western Iran as Seen from Godin Tepe, in AJA, LXXIII, 1969, pp. 287-291; H. Weiss, T. C. Cuyler Young Jr., The Merchants of Susa: Godin V and Plateau-Lowland Relations in the Late Fourth Millenium B.C., in Iran, XIII, 1975, pp. 1-17; R. C. Henrickson, SimaSki and Central Western Iran: the Archaeological Evidence, in ZA, LXXIV, 1984, pp. 98-122; id., A Regional Perspective on Godin III Cultural Development in Central Western Iran, in Iran, XXIV, 1986, pp. 1-55; T. C. Cuyler Young, Godin Tepe VW and Central Western Iran at the End of the Fourth Millenium, in U. Finkbeiner, Ğamdat Nasr: Period or Regional Style? Papers Given at a Symposium Held in Tübingen, 1983, Wiesbaden 1986, pp. 212-228; P. Amiet, L’âge des échanges inter-iranien. 3500-1700 avant J.-C., Parigi 1986; R. C. Henrickson, The Godin III Chronology for Central Western Iran 2600-1400 B.C., in IrAnt, XXII, 1987, pp. 33-116; id., Godin III and the Chronology of Central Western Iran circa 2600-1400 B.C., in F. Hole (ed.), The Archaeology of Western Iran, Washington 1987, pp. 205-227.