GOFFREDO da Trani
Originario presumibilmente di Trani, nacque probabilmente alla fine del XII secolo. I dati biografici disponibili sono estremamente scarni; infatti, a prescindere dai cenni impliciti sparsi nelle sue opere, sono emerse finora per tutto il tempo precedente il suo cardinalato non più di cinque o sei notizie documentarie, sconnesse fra di loro sia in termini cronologici, sia riguardo al contenuto. G. studiò, intorno al 1220, certamente a Bologna, dove si dedicò con uguale impegno al diritto civile e a quello canonico. Il primo lo apprese soprattutto da Azzone, al quale si riferisce ripetutamente come "dominus meus"; ricorda inoltre espressamente le lezioni di Ugolino ("dominus H.") e di Simone Vicentino. Per il diritto canonico menziona il "magnus doctor Damasus" come suo maestro. Concluse i suoi studi prima del 1227, quando, nel primo documento che lo ricorda (Regesta Honorii papae III), viene già qualificato magister, nel senso preciso di titolo di studio in diritto canonico. Mentre non c'è traccia di lui come maestro a Bologna, sembra assai probabile un suo insegnamento a Napoli, ipotizzato prima da Meijers, poi confermato da Kamp (pp. 555 s.) in base a un documento che lo attesta "Neapoli commorans" nel 1235 e ulteriormente sottolineato da vari ricordi napoletani inseriti soprattutto nell'Apparatus.
La sua carriera ecclesiastica parte da Trani, dove fu fatto canonico della cattedrale; come tale dovette già godere di un certo prestigio se, nel 1226, veniva incluso in una rosa di candidati proposta dal capitolo per la successione del defunto arcivescovo, ma la proposta fu respinta il 27 genn. 1227 "propter inordinatos processus electionis" da papa Onorio III (Regesta Honorii papae III; cfr. Kamp, pp. 555 s.). Poco dopo (prima del 23 ag. 1228: Codice diplomatico barese), invece, il nuovo papa, Gregorio IX, ordinò G. "subdiaconus domini pape", titolo al quale si aggiunse forse presto quello di cappellano papale; comunque, con il doppio titolo di "domini pape subdiaconus et capellanus" egli si presenta ancora nel proemio della Summa. Non riuscì però ad accumulare, come tanti altri, un importante patrimonio beneficiale: al canonicato di Trani già menzionato si aggiungevano nella stessa città le due chiese di S. Giacomo al Ponte e di S. Gervasio fuori le Mura (Les registresd'Innocent IV); di queste due chiese non è noto lo stato giuridico, erano forse parrocchie, ma sembra poco probabile che fossero molto redditizie (cfr. Vitale; Ronchi). Nel 1240 gli fu inoltre concesso il personatus della chiesa di Gainford nella diocesi di Durham, forse più vantaggiosa, ma si dovette accontentare di due terzi delle entrate (Les registres de Gregoire IX; cfr. Paravicini Bagliani, p. 276 n. 2).
La sua attività pratica di giurista ha lasciato solo poche e isolate tracce: nel 1228 sostenne con un consilium un arbitrato emanato dall'arcivescovo di Trani (Codice diplomatico barese; cfr. Kamp, pp. 555, 633). Riappare solo il 15 maggio 1235, quando venne incaricato dal papa di punire con la scomunica alcuni laici napoletani per un attacco perpetrato ai danni del locale convento domenicano (Potthast, n. 9902; Kamp, p. 556 n. 95). Il 16 luglio dello stesso anno viene ricordato come giudice delegato del papa in una lite, ormai accantonata, fra il vescovo di Lesina e il priore di S. Leonardo di Siponto (Kamp, pp. 272, 556 n. 95). Da una provvisione concessa da Gregorio IX nel 1240 risulta che allora ricopriva l'importante carica di "auditor litterarum contradictarum" (Les registres de Gregoire IX). A questo ufficio si riferisce l'unico racconto, tramandato da Bonaguida d'Arezzo, di un'azione personale di G., in aperto contrasto con il vicecancelliere: "Et cum essem advocatus in causa cuiusdam Senensis, littere per vicecancellarium dilaniate fuerunt, licet dominus Goffredus qui tunc erat auditor contradictarum se opposuisset dicens quod transire debebant".
Dall'anno 1240, dunque, e forse già da prima, G. fece parte della Curia romana, dove sembra che avesse elaborato almeno in parte il suo Apparatus, e poi, durante la lunga vacanza degli anni 1241-43, la Summa. Forse legato già da tempo a Sinibaldo Fieschi, eletto papa col nome di Innocenzo IV il 25 giugno 1243, godette presso di lui di un eccezionale prestigio, apprezzato con parole vivaci da Matthew Paris: "non erat aliquis domino pape alius specialior vel utilior vel scientia et moribus clarior" (p. 415). Così spiega perché nella prima promozione cardinalizia (28 maggio 1244) fu nominato cardinale diacono del titolo di S. Adriano (le annose confusioni, da un lato con il cardinale Goffredo da Castiglione, poi papa Celestino IV, dall'altro con "Gotifredus de Prefectis", cappellano e legato pontificio, mischiati tutti e tre in un'apocrifa iscrizione, sono state definitivamente eliminate da Kuttner, 1940, pp. 125-131). Purtroppo anche con riguardo a quest'ultima fase della sua vita, che pure rappresenta il culmine della sua carriera, siamo costretti a rassegnarci alla "mancanza totale di documenti […] alla quale si deve aggiungere la carenza di notizie sulla sua familia cardinalizia" (Paravicini Bagliani, p. 277).
Subito dopo l'elevazione alla porpora G. accompagnò il papa nella sua fuga da Roma a Sutri, da dove il 3 luglio, insieme con il suo collega Ottone da Tonengo, diffuse la recente dichiarazione innocenziana Non solum riguardante l'annus probationis dei religiosi (Potthast, n. 11416b); poi si separò dal papa, imbarcatosi a Civitavecchia per dirigersi via mare a Genova, mentre G. con un gruppo di altri sei cardinali proseguì per terra il viaggio verso Lione, visitando fra l'altro Brescia, dove si iscrisse nel Liber memorialis delle monache di S. Giulia (l'autografia della firma, riprodotta nella nuova edizione, viene confermata dal confronto con la sua sottoscrizione sull'originale del privilegio del 3 apr. 1245: Karlsruhe, Generallandesarchiv, E.75, cfr. Schmidt). Il 12 novembre raggiunse il pontefice a Susa; da qui continuò insieme con lui il viaggio fino a Lione, dove la Curia arrivò il 2 dic. 1244. Dal 21 gennaio fino al 3 apr. 1245 troviamo regolarmente la sua firma autografa sui solenni privilegi emanati dalla Cancelleria papale (Paravicini Bagliani, p. 420 nn. 137-145).
G. morì a Lione, probabilmente pochi giorni dopo quest'ultima data: fra il 3 e l'8 aprile (Kuttner, 1940, seguendo Matthew Paris) o, forse, l'11 apr. 1245 (cfr. Paravicini Bagliani, pp. 277 s., che segnala il necrologio dell'abbazia di Clairvaux). Le due chiese tranensi delle quali era stato titolare furono assegnate per obitum a un suo nipote, un certo "Prasianus clericus", non altrimenti noto (Les registres d'Innocent IV, n. 1309; cfr. Kamp, p. 555 n. 93), mentre la chiesa di Gainford andò a un nipote dello stesso pontefice (Les registres d'Innocent IV, n. 1460).
In netto contrasto con lo scarso profilo biografico sono l'importanza scientifica e l'ampia diffusione delle sue opere, le quali fecero di G. per secoli una delle massime autorità della canonistica in Europa.
L'opera più importante è senza dubbio la Summa super titulis Decretalium, un trattato strutturato secondo il sistema delle Decretali di Gregorio IX, nel quale le materie dei singoli titoli vengono elaborate sistematicamente seguendo uno schema metodico-didattico tradizionale (continuatio, diffinitio, tractatus, quaestiones, notabilia, summarium). Della Summa manca sia un'analisi delle fonti (cfr. l'elenco sommario di Schulte, p. 90 n. 6; per i Libri feudorum cfr. Laspeyres), che dovrebbe soprattutto chiarire in che misura G. dipenda dall'analoga opera del suo maestro Damaso, sia un'indagine complessiva del contenuto giuridico (cfr. tuttora l'apprezzamento molto positivo di Schulte). Fu elaborata durante la sede vacante (novembre 1241 - giugno 1243; sempre valido il ragionamento cronologico di Schulte), probabilmente negli ambienti della Curia (v. il proemio: "officialium Romane curie instantia provocatus"), ma anche su richiesta di studenti ("tam frequentibus quam devotis scholarium precibus exhortatus"). Concepita per l'uso a tutti i livelli scientifici ("tam rudes in iure canonico quam provecti potissime tenentes cathedras magistrales", con fraseologia ripresa da Azzone), il discorso si distingue per competenza scientifica, chiarezza argomentativa, sobrietà e senso pratico. Grazie a queste qualità la Summa assunse una funzione centrale di libro di testo del diritto canonico per tutto il tardo Medioevo e tale funzione è rispecchiata in modo impressionante dalla tradizione manoscritta.
Con più di 280 manoscritti completi ancora esistenti (57 elencati da Schulte, p. 89 n. 5, con alcune collocazioni ormai desuete; nella cifra ora indicata non sono compresi frammenti, estratti ecc.; per un estratto dal titolo de feudis cfr. Acher, p. 136), la Summa si pone nella letteratura canonistica medievale al secondo posto dopo la Summa de penitentia di Raimondo da Peñafort e supera di gran lunga l'opera di forma analoga, ma intellettualmente ed economicamente più impegnativa, di Enrico da Susa, conservata solo in circa 115 manoscritti. Dopo questa imponente diffusione manoscritta la riproduzione a stampa rimane piuttosto contenuta: solo tre edizioni fino al 1500 (Colonia 1481: cfr. Gesamtkatalog der Wiegendrucke [=GW], 10949; ibid. 1487, cfr. GW, 10950; Venezia 1491, cfr. GW, 10951, Indice generale degli incunaboli, 4346), cinque nel Cinquecento (cfr. Schulte, p. 89 n. 5) e due nel Seicento: Brescia 1605 (cfr. Ruggiero Mazzone, p. 62 n. 5) e Padova 1667. L'edizione del 1519, dovuta a un curatore sconosciuto e stampata nell'officina di Johannes Moylin a Lione, è stata ristampata anastaticamente con il titolo Gottofredo da Trani (Goffredus Tranensis), Summa super titulis Decretalium, Aalen 1968, 1992.
L'altra opera principale di G. è l'Apparatus alle Decretali di Gregorio IX, una esegesi che spiega, sotto forma di glosse, il significato e le implicazioni giuridiche delle singole parole o frasi del testo legale.
Inedita, e perciò poco studiata, l'opera, che con metodo diverso dimostra le stesse qualità di precisione scientifica e sobrietà espositiva della Summa, sembra ancora sottovalutata dalla storiografia. L'analisi viene agevolata dal fatto che le singole glosse sono regolarmente segnate con sigle, presenti con insolita uniformità in tutta la tradizione manoscritta. La scrupolosa indicazione delle fonti, forse ispirata al modello di Tancredi (cfr. Kuttner, 1937, p. 327), permette di individuare il materiale proveniente dai vari apparati delle cinque Compilationes antiquae, riportato alla lettera da G. e attribuito con le solite sigle dei rispettivi glossatori. A prescindere dalle riprese verbali, identificate in questo modo, G. cita, nelle glosse stilate da lui stesso e siglate: "G.", "Go.", "Gof.", moltissimi canonisti e legisti, ne discute le opinioni, approvandole (quasi sempre nel caso del suo maestro Azzone), ma anche criticandole senza mezzi termini. Le fonti più recenti sono le glosse di Vincenzo Ispano (spesso criticato) alle costituzioni e le decretali dello stesso Gregorio IX; ne segue un arco cronologico di elaborazione non immediatamente successivo alla pubblicazione della compilazione gregoriana (settembre 1234), ma comunque precedente la Summa, nella quale G. si riferisce all'Apparatus come opera già conosciuta: "Si fortasse legeris quod in apparatu meo memineris te vidisse, considera quod non omnes qui summam habituri sunt habeant apparatum; et propterea malui repetere quam deesse" (ed. Lione 1519, p. 503). Come la Summa sembra che anche l'Apparatus fosse almeno in parte elaborato nella Curia (cfr. la glossa a X 1.38.8 v. proposita: "Hic in curia"), ma non mancano evidenti echi universitari; i ripetuti ricordi napoletani, anche se non conclusivi, permettono l'ipotesi che l'opera risalga a lezioni tenute all'ateneo federiciano. Comunque, sia i rinvii interni, frequenti e precisi, sia una tradizione di insolita compattezza mostrano una scrupolosa redazione finale e una pubblicazione controllata senza ulteriori ritocchi. L'opera sopravvive in dieci manoscritti completi, tutti del Duecento (6 in forma di glossa marginale, 4 come testo autonomo), più alcuni frammenti ed estratti (cfr. Bertram, 1971, 2002).
Sempre di G. sono note anche delle glosse a un gruppo ristretto di Constitutiones novellae di Innocenzo IV. Si tratta di otto costituzioni innocenziane (cfr. Kessler, 1942, pp. 214-235), elaborate al più tardi nei primi mesi del 1245, ma pubblicate ufficialmente solo nella Collectio I Novellarum del 25 ag. 1245, cioè un mese dopo la fine del concilio di Lione e cinque mesi dopo la morte di Goffredo. Non si sa se G. abbia collaborato alla stesura di queste otto costituzioni, comunque ne fornì la prima interpretazione con un piccolo apparato di glosse (cfr. Kessler, 1943, pp. 303-315), al quale hanno attinto tutti i commentatori successivi delle Novellae innocenziane, e fra gli altri lo stesso papa che, commentando le proprie costituzioni, ha ripreso alla lettera parecchie glosse di G. (ibid., pp. 357-363).
L'apparato di G., rimasto inedito, è stato tramandato in modo abbastanza conforme dai manoscritti, tutti duecenteschi: Bruxelles, Bibliothèque royale, ms. 16692 (Decretali con Novelle inserite), passim; Cambridge, Jesus College, Q.A.6, cc. 219r-221r; Fulda, Landesbibl., D.10, cc. 8r-9v; Nürnberg, Stadtbibl., Cent. IV 99, cc. 13r-16v (mancano Nov., III, 15 e le glosse a III, 36); Paris, Bibliothèque nationale, Nouv. acquisitions lat., 2439, cc. 1r-2v; Rouen, Bibl. munic., ms. 715, cc. 183r-184r; Saint-Omer, Bibl. munic., ms. 435 (Decretali con Novelle aggiunte in margine), passim; Ibid., ms. 459, cc. 2v-3r; Wien, Österreichische Nationalbibl., ms. 2140 (Decretali con Novelle aggiunte in margine; mancano Nov., III 21, 22, 25), passim.
G. è anche autore di una Lectura arborum consanguinitatis et affinitatis, commento ai due schemi figurativi della parentela, sorto forse da esercizi universitari, comunque redatto in forma autonoma prima dell'Apparatus (cfr. ad X 4.14.8 v. genere: Que genera qualiter contrahantur in arbore affinitatis distinxi; ad X 4.14.9: Hec et alia a parte notavi super arbore consanguinitatis).
Questo commento è trasmesso dai manoscritti: Biblioteca apostolica Vaticana, Ross. 595, cc. 1v, 4r (come glossa alle due arbores figurate); Milano, Biblioteca Ambrosiana, Z.50 sup., cc. 294v-295r (solo de consanguinitate, inserito fra il terzo e il quarto libro dell'Apparatus); Montecassino, Biblioteca della Badia, ms. 136, c. 205b (solo l'inizio); Seu d'Urgell, Archivio capitolare, ms. 2037, cc. 87v-88r (cfr. Kuttner, 1987, p. 21) e si trova anche, in forma ampliata, inserito nel titolo de consanguinitate et affinitate (X 4.14) della Summa (ed. Lione 1519, cc. 183va-186vb), spesso corredato da raffigurazioni (cfr. Schadt, con un elenco di 17 manoscritti miniati).
Si ricordano anche alcune Quaestiones non conservate, ma testimoniate dallo stesso autore (cfr. Apparatus ad X 1.3.28 v. diocesis: Hanc questionem notavi inter alias questiones meas); sistemate in una collezione di almeno 24 pezzi, erano ben conosciute ancora a Giovanni d'Andrea che ne possedeva una copia (Cochetti, p. 1017) e ne riporta singole questioni sia nelle proprie Mercuriales, sia nelle Additiones ad Speculum (Bertram, 1988).
Alcune glosse civilistiche trovate da Meijers nel ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. 5 sin. 3 (una a Dig. 5.1.19, attribuita a un Gofridus non meglio identificato, l'altra a Gofr. de Trano, a Dig. 17.2.63) hanno indotto lo studioso a ritenerle testimonianza del "professorato" di G. all'Università di Napoli, addirittura in diritto civile. Mentre la presenza di G. a Napoli sembra ormai fuori dubbio, rimangono deboli le prove dell'insegnamento del diritto civile: la glossa attribuita inequivocabilmente a G. non è altro che un estratto dall'Apparatus (a X 1.29.35), e non basta l'attribuzione generica di una glossa a un "Gofridus" per trarne delle conclusioni, le quali non vengono neanche supportate da glosse scoperte recentemente in due manoscritti del codice (cfr. Dolezalek): Assisi, Bibl. com., ms. 220, c. 59r: sigla "gof." (estratto dall'Apparato ad X 2.19.11 v. presumatur), c. 106rv: sigla "gof." (probabilmente non G.) e Graz, Universitätsbibl., ms. I 45, c. 143ra: sigla "Gof. de Trano" (estratto dalla Summa).
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