GOFFREDO di Alatri
Non si hanno notizie precise sulle sue origini; proveniva sicuramente dalla città laziale di Alatri. È menzionato per la prima volta in una pergamena del 7 dic. 1229 in cui viene detto canonico della cattedrale di Alatri. Questa notizia ci permette di collocare la sua nascita ai primissimi anni del XIII secolo. Seguendo la ricostruzione di Marchetti Longhi, si può ipotizzare che suo padre fosse Gregorius Guttifridi, condomino del castello di Frosinone e probabilmente figlio di Guttifridus Longus. Di sua madre non si hanno notizie, ma potrebbe essere appartenuta alla famiglia dei signori di Sgurgola, con la quale G. era congiunto in parentela: infatti, nel testamento di Corrado il Vecchio, datato al 1274, G. viene ricordato come nipote del signore di Sgurgola.
Dieci anni dopo la prima menzione, G. viene ancora una volta indicato con l'appellativo di canonico di Alatri in una testimonianza a un processo giudiziario fra Trasmondo, vescovo di Orte, e Angelo, abate di Sassovivo. Nel 1251, poi, appare come cappellano del cardinale Stefano di S. Maria in Trastevere, allorché gli viene concesso di tenere il decanato "Olenensis" (Les registres d'Innocent IVe) e la chiesa di S. Stefano di Alatri, con la connessa cura delle anime. Al 19 agosto dello stesso anno risale anche la concessione, fattagli da papa Innocenzo IV, di conservare i benefici che gli spettavano dai canonicati dei quali era titolare; e poiché in tale concessione viene detto "canonicus Ulixbonensis" (Lisbona), è da ritenere che nel frattempo avesse ottenuto anche la concessione di quel titolo. Nel luglio e nel settembre del 1257 appare ancora come decano olenense e cappellano di papa Alessandro IV.
Per alcuni anni non si hanno più notizie documentarie su G., il quale, nel frattempo, dovette continuare la sua ascesa nella gerarchia ecclesiastica, dal momento che, successivamente, ricompare come cardinale diacono di S. Giorgio in Velabro. Appare già investito di tale titolo in una bolla del 7 nov. 1263, con cui papa Urbano IV gli affidò l'incarico di riformare il monastero sublacense. Secondo il Ciacconio, G. sarebbe stato elevato alla dignità cardinalizia da papa Alessandro IV, ma non ci sono documenti che suffraghino tale ipotesi; in realtà dovette essere eletto il 24 dic. 1261, in occasione delle nuove nomine cardinalizie promosse da Urbano IV.
Successive notizie di G. risalgono al 1265, quando, a Perugia, conferì un beneficio, e, il 4 aprile, separò i beni vescovili da quelli capitolari e redasse il nuovo ordinamento del capitolo di Alatri, che venne poi approvato da Clemente IV. Ma è in seguito che G. cominciò ad assumere un nuovo e più importante ruolo nella gestione degli eventi politici che videro il Papato contrapposto agli ultimi rappresentanti della dinastia imperiale sveva. G. prese decisamente parte per Carlo I d'Angiò, di cui fu strenuo sostenitore contro i diritti di Manfredi, trovandosi anche in contrasto con la fazione filosveva attiva presso la Curia e perfino contro i conti di Ceccano, che erano suoi parenti: sappiamo infatti che era zio di Annibaldo e Goffredo da Ceccano, figli di Giovanni. E proprio dai documenti relativi ai contrasti con la famiglia dei conti di Ceccano, e soprattutto con Annibaldo, padre del già menzionato Giovanni e, quindi, nonno dei due nipoti di G., ricaviamo notizie che rendono chiara la posizione da lui assunta contro i partigiani dello Svevo. In un documento del 18 dic. 1269, trasmesso dai registri angioini, G. appare come signore di Ceprano, in contrasto con Annibaldo da Ceccano, che pure accampava pretese sullo stesso castello. È difficile dire se G., su quel feudo, vantasse diritti ereditari, oppure se ne fosse stato investito recentemente. In ogni caso, il 13 ottobre di quell'anno Annibaldo da Ceccano, poggiando sull'aiuto e sul favore degli abitanti, si era impadronito del castello di Ceprano, che aveva una funzione strategica e militare importantissima, essendo collocato all'ingresso settentrionale del Regno di Sicilia, a custodia del ponte attraverso il quale era già passato, nel 1266, re Carlo. Per questo, il 18 dicembre, con il menzionato documento ora disperso, Carlo d'Angiò dava ordine a Ludovico de Montibus, custode dei passi di Terra di Lavoro, di prestare soccorso armato a Roberto di Briançon, vicario del cardinale di S. Giorgio in Velabro, e di aiutare G., suo legittimo signore, a rientrare in possesso del castello: evidentemente re Carlo riteneva assolutamente necessario che un luogo tanto importante rimanesse nelle mani di un suo fidato sostenitore.
Il castello di Ceprano costituì il nucleo attorno a cui G. organizzò un più ampio dominio unitario e personale, costituito attraverso benefici avuti in concessione, donazioni e acquisti. Già nel settembre del 1270, infatti, un "dominus Tallacotius domini Tallacotii de Ceperano" donò a G. la quarta parte delle case da lui possedute nel castello; acquisizioni dello stesso tipo continuarono, quasi senza soluzione di continuità, fino al 1286.
L'attività ecclesiastica svolta nel corso della sua lunghissima carriera è ricostruibile sulla base dei registri pontifici, che riportano i provvedimenti in favore di varie chiese: come la conferma dell'elezione dell'abate del monastero di Montevergine, presso Avellino; quella del priore della chiesa rurale di S. Pietro di Guarcino nella diocesi di Alatri; quella, ancora, dei vescovi di Osimo, di Acqui, di Fano, di Senigallia e di Salerno. G. godette anche di una rilevante influenza presso la Curia pontificia, come appare attestato dalle sue sottoscrizioni ai più importanti documenti dei papi Urbano IV, Clemente IV, Onorio IV e, soprattutto, Martino IV. Il suo nome risulta legato soprattutto agli atti riguardanti il Regno di Sicilia, ma compare anche nelle bolle relative al conferimento del Regno di Aragona a Carlo di Valois (figlio di Filippo re di Francia) e alla sua nomina a re di Valenza. Nel 1286 fu anche inviato come legato presso il re di Castiglia. Sempre nel marzo del 1286 viene attestato come podestà di Alatri: una nomina che, come accade anche altrove, potrebbe far pensare a un tentativo di ingerenza diretta - attraverso ecclesiastici che godevano della fiducia e della riverenza della popolazione - nella vita politica e amministrativa dei Comuni del Lazio da parte dell'amministrazione pontificia.
G. viveva prevalentemente presso la Curia: lo troviamo, infatti, segnalato nei luoghi che costituivano le residenze abituali dei pontefici, ovvero a Perugia, a Viterbo e a Orvieto. Oppure viene ricordato come residente a Roma, presso la chiesa di S. Giorgio in Velabro, di cui era titolare, o presso quella dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio. In ogni caso, continuò a tenere sempre rapporti con la sua città natale, in favore della quale si adoprò anche salvaguardandone i monumenti e promovendo il loro restauro. È probabile che abbia avuto un ruolo nella commissione delle pitture fatte eseguire nell'antica abbazia di S. Sebastiano, presso Alatri, in occasione del suo restauro per opera del cardinale Stefano di S. Maria in Trastevere. In ogni caso, il suo nome risulta legato con sicurezza alle sorti della chiesa di S. Stefano di Alatri, sulla cui porta venne apposta, nel 1284, un'epigrafe che lo celebrava come "rector" e "auctor" (Marchetti Longhi, p. 36). Evidentemente sulla base di tale epigrafe Ciacconio era giunto alla conclusione che G. fosse il fondatore di quella chiesa, anche perché invece di "rector" leggeva "fundator"; ma l'ipotesi è priva di ogni fondamento, dal momento che, come detto in precedenza, G. risulta essere stato insignito della cura delle anime di quella chiesa già nel 1251. Dunque, nel 1284, G. dovette semplicemente essersi fatto promotore del restauro - forse concesse anche una ricca dotazione - in favore dell'istituzione presso la quale aveva cominciato la carriera ecclesiastica.
A quanto pare G. morì di peste a un'età molto avanzata; la sua morte va collocata sicuramente in un periodo anteriore al 31 maggio 1287, poiché in quel giorno venne stilato l'inventario dei suoi beni. Fu sepolto presso la chiesa degli eremitani di Roma, in S. Maria del Popolo, dunque presso una chiesa dell'Ordine cui forse appartenne, dato che in un documento contenuto nei registri angioini viene ricordato come frate.
Suoi esecutori testamentari furono Gervasio, cardinale prete di S. Martino ai Monti, Benedetto Caetani (il futuro Bonifacio VIII), cardinale diacono di S. Nicola in Carcere Tulliano, e Francesco de Patrica, canonico di Alatri e camerario di Goffredo.
Dall'inventario dei beni di G. si ricavano molte notizie relative alla sua vita privata. In esso viene elencata l'intera familia, ovvero la sua corte, composta da vescovi, come quello di Avellino e quello eletto di Savona, da un medico, da un camerario e da numerosi cappellani e domicelli: tutti assegnatari di una parte di eredità, di compensi o di lasciti vitalizi. L'inventario riguarda soltanto i beni mobili posseduti da G., non quelli fondiari e immobiliari; tuttavia esso ci rende consapevoli della sua notevole ricchezza. Nell'elenco si trovano menzionati vasi d'argento con coperchio e senza coperchio, argenteria di cappella, ornamenti ecclesiastici, stoffe di seta e di tela, coperte, tappeti, coltelli, vasi di vetro e di legno, mobili del cellario, utensili da cucina: quasi tutti gli oggetti vengono stimati in fiorini, in provisini o in tornesi. Notevole appare anche il lascito di libri, che risultano essere 52, di cui 23 sono di argomento giuridico: cosa che ci permette di desumere anche quali fossero stati gli studi compiuti da G., che, comunque, appaiono ipotizzabili anche sulla base dei numerosi arbitrati di cui fu incaricato; del resto già nel 1257 veniva chiamato da papa Alessandro IV col titolo di magister. L'inventario ci permette di conoscere, infine, i nomi dei suoi parenti; oltre ai già menzionati Annibaldo e Goffredo da Ceccano, compaiono i nomi di altri nipoti: Jacoba, Bartolomea, Pietro, Riccardo di Alatri.
Non sappiamo con certezza se fu G. a far costruire l'imponente complesso architettonico di Alatri noto col nome di Palazzo del cardinal Goffredo o di Case grandi al Trivio, costituito da due organismi contigui, ovvero da una casa-torre a tre piani e da un più ampio edificio che si sviluppa longitudinalmente con due piani di bifore. In ogni caso, la tradizione attribuisce proprio a G. quel complesso, che ora ospita il Museo civico di Alatri.
Lo stemma della famiglia raffigura un leone bianco rampante volto a sinistra, ondato di azzurro.
Fonti e Bibl.: Alatri, Arch. capitolare, pergg. 120, 169, 298, 345, 356; Ibid., Arch. comunale, cap. II, n. 29; Roma, Arch. Colonna, pergg. XVII, nn. 33, 45, 48, 49, 53, 56, 57, 60, 63, 233; XX, n. 3; XXV, n. 2; XXXIV, n. 1; LI, n. 6; LIV, nn. 1, 3; LVI, n. 5; LXI, n. 71; A. Potthast, Regesta pontificum Romanorum, II, Berolini 1875, nn. 1541, 1649, 1703, 1755, 1795, 1825; Les registres d'Honoire IV, a cura di M. Prou, Paris 1888, nn. 96, 112, 373; Les registres de Grégoire X, a cura di J. Guiraud, Paris 1892, n. 52; Les registres d'Innocent IV, a cura di É. Berger, III, Paris 1897, nn. 5462 s.; Les registres de Nicolas III, a cura di G. Gay, Paris 1898, nn. 119, 458 s., 475, 517, 523, 589, 600, 688 s.; Les registres de Martin IV, a cura di F. Olivier Martin et al., Paris 1901, nn. 77, 153, 162, 214, 251 s., 295, 297, 367, 396, 526, 580 s.; Les registres d'Urbain IV, a cura di J. Guiraud, Paris 1901, nn. 347, 435, 678, 959, 980 s., 1004-1106, 1119 s., 1191, 1471, 1623, 1690, 1770, 1803, 1894, 1926, 2210, 2650, 2692, 2891; Les registres d'Alexandre IV, a cura di C. Bourel de la Roncière et al., II, Paris 1917, nn. 22, 32 s.; I registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, II, Napoli 1951, p. 131; III, ibid. 1951, p. 10; V, ibid. 1953, pp. 28, 114; VI, ibid. 1954, pp. 128, 132, 136, 208, 275; X, ibid. 1957, p. 106; XIX, ibid. 1964, p. 249; XXI, ibid. 1967, p. 327; XXIV, ibid. 1976, p. 176; A. Ciaconius, Vitae Romanorum pontificum et cardinalium, II, Romae 1677, pp. 159 s., 254; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali della S. Romana Chiesa, I, 2, Roma 1792, pp. 302 s.; L. De Persiis, Del pontificato di s. Sisto I papa e martire, Alatri 1881, p. 245; M. Prou, Inventaire des meubles du cardinal Geoffroy d'Alatri, in Mélanges d'archéologie et d'histoire de l'École Française de Rome, V (1885), pp. 382-411; A. Fanta, Ein Bericht über die Ansprüche des Königs Alfons auf den deutschen Thron, in Mitteilungen des Instituts für österreichisches Geschichtsforschung, VI (1885), pp. 94-104; G. Zander, Il palazzo del cardinale Gottifredo ad Alatri, in Palladium, II (1952), pp. 109-112; G. Marchetti Longhi, Il cardinale Gottifredo di Alatri, la sua famiglia, il suo stemma ed il suo palazzo, in Archivio della Società romana di storia patria, LXXXV (1952), pp. 17-49; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, München 1973-82, ad indicem; A. Paravicini Bagliani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, ad ind.; C. Eubel, Hierarchia catholica, Monasterii 1913, I, p. 8; Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastiques, XX, coll. 527 s.