LANGOSCO, Goffredo di
Conte palatino di Lomello, nacque probabilmente qualche anno dopo il 1200 da Rufino (II), conte palatino di Lomello del ramo di Langosco; ebbe un fratello più giovane, di nome Riccardo.
La famiglia dei conti palatini di Lomello, testimoniata a Pavia a partire dalla fine del X secolo, nel 1174, con la separazione del patrimonio avito effettuata dai conti Goffredo (I) e Rufino (I), zio e nipote, si era divisa in due discendenze, dette rispettivamente di Sparvaria e di Langosco. Le due denominazioni erano legate alle due località della Lomellina in cui si ergevano i più importanti castelli, toccati in sorte ai due conti. Il legame con l'imperatore era tradizionale entro l'ambito familiare; infatti il 19 febbr. 1219, alla corte di re Federico II, che in quel momento si trovava a Spira, si presentarono il conte Rufino (II) e suo cugino Enrico - ma il provvedimento avrebbe potuto interessare anche i loro figli - per chiedere la conferma di un precedente precetto imperiale. Il re concesse il diploma con il quale si assicuravano ai Langosco e ai loro discendenti i diritti signorili e quelli connessi alla carica di conte palatino, come la possibilità di presiedere le assemblee giudiziarie in assenza del sovrano, di nominare i notai, di legittimare i figli avuti fuori dal matrimonio e la facoltà di portare la spada regia durante le cerimonie.
La prima notizia riguardo al L., lo presenta come podestà di Bergamo nel 1234. Il 7 febbr. 1238 risulta testimone con il marchese Bonifacio II di Monferrato e con un marchese di Saluzzo a un atto compiuto dal vicario imperiale di Lombardia, Wertiguer, in favore del canonico regolare Enrico, preposito della fondazione ecclesiastica di S. Maria di Vezzolano, a cui fu restituita la giurisdizione sul luogo di Albugnano, che un tempo era appartenuta all'ente ecclesiastico. Da Rufino (II), che fu podestà di Vercelli nel 1235, il L. acquisì due esperienze professionali indispensabili per un miles di alto rango: la capacità di esercitare la professione podestarile alla guida delle città dell'Italia centrosettentrionale e il mestiere delle armi. Con questa educazione egli divenne ben presto un uomo di Federico II, a cui il sovrano poté affidare importanti incarichi politici durante gli anni di lotta contro il Papato.
Dopo la vittoria di Cortenuova (novembre 1237), l'imperatore aveva inviato in Toscana il suo stretto collaboratore Pandolfo Fasanella con il compito di creare e mantenere un quadro politico favorevole all'Impero. Inoltre nel 1238 Federico II si era accordato con il Comune di Firenze in modo da riservarsi il diritto di conferma del podestà di quella città in cambio del riconoscimento della piena giurisdizione dei Fiorentini sul contado e del diritto di conio. Proprio in base a questi accordi, nel 1242 il Comune di Firenze attribuì al L. la carica di podestà per un anno ed egli svolse un'azione filoimperiale, sostenuta dal vicario imperiale sulla Toscana, Fasanella, che aveva ottenuto l'ufficio nel 1241, e da Enzo, figlio naturale di Federico II.
In veste di podestà, il L. dovette intervenire più volte per sedare gli scontri tra le fazioni entro la città, che in quegli anni si ripetevano con puntuale frequenza.
Uguale incarico di podestà egli ricoprì nel 1250 a Vercelli, sostituendo il congiunto Enrico conte di Lomello, che aveva ricoperto l'ufficio politico nell'anno precedente. I conti in quel frangente erano ancora strettamente legati a Federico II ed erano schierati con Pietro Bicchieri, che aveva strappato la città nel 1248 a Gregorio da Montelongo, legato papale in Lombardia, all'arcivescovo di Milano, Leone da Perego, e agli Avogadro.
Proprio in questi anni di dominio sul Vercellese del partito federiciano, il L. dovette occupare, per finanziare le operazioni di guerra, l'importante grangia cistercense di Gazzo, proprietà del monastero di Lucedio, giacché i monaci nel giugno 1248 denunciarono l'intromissione del conte nei loro affari. Un uguale atteggiamento fu tenuto dal L. nei confronti delle proprietà dello stesso cenobio in territorio pavese, poiché nel luglio 1249 il podestà di Pavia gli intimò di non molestare le terre e gli introiti dei monaci bianchi di Lucedio. I rapporti della grande abbazia cistercense con la famiglia del L. erano anche di natura spirituale, poiché il Libro del capitolo di S. Maria di Lucedio registra proprio negli anni Quaranta del XIII secolo un'associazione ai benefici religiosi dell'Ordine di Cîteaux per due donne vicine al L., cioè la moglie Beatrice (di cui si ignora il casato) e la sorella Rufina.
Dopo la morte di Federico II, il L. aderì subito alle iniziative di re Corrado IV e fu al suo seguito a Cremona nel tardo autunno 1251, quando fu organizzata una spedizione verso l'Italia meridionale. Purtroppo mancano le fonti per ricostruire le imprese del L. nel ventennio successivo e pertanto non sappiamo se egli fece parte della feudalità settentrionale che nel 1266 fu sconfitta con Manfredi da Carlo I d'Angiò nella battaglia di Benevento e se seguì la sfortunata impresa di Corradino (1268).
Nell'ottobre 1271 alcuni documenti, editi da Winkelmann, lo presentano come podestà della "parte estrinseca", ossia dei fuorusciti di Milano, perseguitati dai Torriani, in quanto legati al partito imperiale. Risulta importante sottolineare che questo gruppo di nobili dissidenti - a cui aderivano, oltre ai conti di Lomello, anche i Pusterla e i Burro e che aveva stretti legami con il marchese Guglielmo VII di Monferrato, con Giacomo Tabernerio, con Uberto di Andito e Buoso da Dovara, capitano degli estrinseci di Cremona - si era organizzato in un'istituzione strutturata e guidata da un potere centrale, la podesteria della pars extrinseca, che fu affidata a un uomo esperto di vita politica e di guerre come il Langosco.
In questa veste egli aveva ordinato nell'estate 1271 a Guglielmo da Pusterla e a Guglielmo Burro di recarsi in Spagna, nella Murcia, insieme con il marchese Guglielmo VII di Monferrato, per promettere piena fidelitas al re dei Romani, Alfonso X di Castiglia. A Murcia il 4 ottobre i due aderenti alla parte estrinseca milanese, dopo aver giurato fedeltà, chiesero aiuto al sovrano, che avrebbe dovuto inviare un esercito capace di organizzare la riscossa contro i Torriani e il loro partito. In effetti il re, il 22 ott. 1271, scrisse al Comune di Pavia, città controllata in quel momento dai conti di Lomello, per assicurare ai suoi fedeli italiani che avrebbe ben presto inviato in Lombardia un vicario, una schiera di milites a cavallo e numerosi balestrieri, per iniziare a combattere contro i guelfi.
In realtà nella primavera 1273 alcune centinaia di cavalieri castigliani sbarcarono a Genova, insieme con un contingente di balestrieri, e si misero agli ordini del marchese e di Buoso da Dovara. Alla fine dell'anno i Tornielli di Novara conquistarono la loro città, strappandola a Francesco Della Torre, e nel 1275 i ghibellini vi posero come podestà uno stretto congiunto del L., il conte Enrico di Cerreto di Lomello. Le speranze dei fuorusciti in quel momento erano aumentate, tanto che nel febbraio essi, guidati dal marchese di Monferrato, conquistarono Castelletto di Cuggiono, Pombia e tentarono di impadronirsi di Vigevano, riuscendo a penetrare e a tenere con forza il borgo, mentre i Torriani si rinchiudevano nella rocca. Il podestà di Milano allora uscì con l'esercito e fece allontanare Guglielmo VII con le sue truppe, mentre i Castigliani con i Pavesi e i conti di Langosco costringevano il castello milanese di Galliate ad arrendersi. Intanto il marchese abbandonava temporaneamente la lotta, anche perché nell'estate papa Gregorio X, che parteggiava per gli Angioini e per i Torriani, convinse Alfonso X, con cui si era incontrato a Beaucaire, nei pressi di Avignone, ad abbandonare i fuorusciti lombardi.
Da quel momento i Torriani riconquistarono le fortezze e i borghi che avevano perso nei mesi precedenti. Le ostilità, interrotte nel dicembre 1275, ripresero nel marzo 1276, quando i ghibellini attaccarono con successo Lachiarella e altri villaggi del Lodigiano. Essi, che erano stati abbandonati da Guglielmo VII, vollero darsi un capitano e pertanto si recarono a Pavia e offrirono la carica al L. che accettò di buon grado. Giulini afferma che i proscritti milanesi, per convincere il conte, gli promisero la signoria della loro città, qualora egli avesse saputo conquistarla. Il L. fece subito venire dalla Liguria un contingente di balestrieri e unì i cavalieri castigliani con i milites lombardi fuoriusciti e occupò Angera, Arona e numerosi castelli dell'Ossola, le cui popolazioni parteggiavano per i Visconti e sostenevano l'arcivescovo di Milano, Ottone. Successivamente il L. si spinse nel comitato del Seprio e con un colpo di mano si impadronì della poderosa fortezza di Castelseprio. Napoleone e Cassone Della Torre allora uscirono da Milano con numerosi cavalieri tedeschi, inviati in loro aiuto da Rodolfo d'Asburgo, il nuovo re dei Romani, appoggiato dal pontefice, e rioccuparono la terra e la rocca di Angera, appartenente, come Arona, all'arcivescovo di Milano. Il L., informato che i suoi fedeli si erano rinchiusi nella fortezza di Arona e che in essa erano assediati, decise di accorrere in loro soccorso, abbandonando temporaneamente il Seprio. La sorte volle che i due eserciti dei Torriani e dei fuorusciti guidati dal L. si incontrassero casualmente al guado del torrente Guassa, nelle vicinanze di Arona.
Durante la battaglia, combattuta nell'estate del 1276, il cavallo del conte si impantanò e il L. fu disarcionato e fatto prigioniero con altri 35 cavalieri viscontei. Rivelata la sua identità a Napoleone Della Torre, venne immediatamente ucciso con un colpo di lancia.
I suoi cavalieri fuggirono dal campo e si rinchiusero nella città di Novara, mentre i Torriani a Gallarate decidevano di decapitare tutti i milites fatti prigionieri, fra cui Tebaldo Visconti, nipote dell'arcivescovo Ottone e padre di Matteo.
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