MARZANO, Goffredo
– Nacque probabilmente verso la metà del sec. XIV; di nobile famiglia napoletana, era figlio di Roberto, conte di Squillace e grande ammiraglio, e fratello di Giacomo, duca di Sessa, conte di Squillace e grande ammiraglio.
Secondo i Diurnali, nel 1373 il M. partecipò, con Giovanni Malatacca, capitano generale dell’esercito, all’assedio di Teano, contro Francesco Del Balzo, duca di Andria, che si era ribellato a Giovanna I d’Angiò regina di Sicilia. Sconfitto il duca di Andria, per recuperare il denaro speso per l’assedio la regina vendette Teano al M. per 15.000 fiorini. Per Di Costanzo il M. comprò Teano per 13.000 ducati. Invece Della Marra riferisce che il M. ebbe in dono Teano e Carinola dal re di Napoli Ladislao d’Angiò Durazzo. Alla morte di Giovanna I (27 luglio 1382), il M. fu al fianco di Carlo III d’Angiò Durazzo, e quando il 10 nov. 1383 papa Urbano VI fece il suo ingresso trionfale a Napoli, accolto dalla cittadinanza, il re e il M. lo accompagnarono a piedi a Castel Capuano tenendo le redini del suo cavallo. Nell’aprile 1384 Carlo III lasciò Napoli per combattere in Puglia e il M. lo seguì.
Alla morte di Carlo III (febbraio 1386), la moglie Margherita di Durazzo assunse la reggenza per il figlio Ladislao minorenne. Nel luglio 1387 l’esercito di Luigi II, duca d’Angiò, avversario di Ladislao, costrinse la regina a lasciare Napoli. Rifugiatasi a Gaeta con il piccolo Ladislao, Margherita concesse al M. e al fratello Giacomo la facoltà di ridurre e perdonare i ribelli. Nel gennaio 1389 i sostenitori di Margherita si radunarono ad Aversa, decisi a recarsi a Napoli, per prestare soccorso a Ugolino Delle Grotte, castellano del Castel Capuano, assediato dalle truppe di Luigi II. Si prepararono a combattere anche il M. e il fratello con numerosi cavalieri, ma a maggio il castello si arrese e i baroni tornarono nelle loro terre.
Nel maggio 1389 Margherita inviò ambasciatori a Palermo per combinare un matrimonio tra Ladislao di Durazzo e Costanza, figlia di Manfredi Chiaramonte, conte di Modica e Caccamo, vicario e grande ammiraglio di Sicilia. Concluso l’accordo, ai primi di ottobre Costanza s’imbarcò su una galea a Palermo e fu accompagnata a Gaeta dal M., da Luigi di Capua e da Cecco Del Borgo.
Alla morte di Urbano VI (15 ott. 1389), divenne papa Bonifacio IX. Nel 1390 Margherita inviò il M. e Raimondo Cantelmo a Roma per prestare omaggio di fedeltà al nuovo pontefice, che sollevò dalla scomunica la regina e promise d’investire re il figlio Ladislao. Poco dopo il papa inviò a Gaeta il cardinal legato Angelo Acciaiuoli, che il 29 maggio 1390 incoronò Ladislao re di Sicilia (Napoli). Il 14 agosto Luigi II d’Angiò sbarcò a Napoli, accolto da una folla di nobili e popolani, cavalcò per le vie della città con il vessillo del papa avignonese Clemente VII ed entrò nella chiesa di S. Chiara, dove ricevette l’omaggio dai cittadini.
Per respingere Luigi II, Margherita chiamò in suo soccorso i baroni a Gaeta; giunsero anche il M. e il fratello Giacomo, che in questo difficile frangente le prestarono un valido aiuto. Il 1° febbr. 1391 la regina affidò al M. l’incarico d’imporre una tassa di 6 tarì per ogni fuoco a tutti gli abitanti della Terra di Lavoro.
Tra 1391 e 1393 il M. esercitò la carica di gran camerario con uno stipendio di 75 onze annue, in carlini d’argento, affiancato da luogotenenti. Il gran camerario si occupava dell’amministrazione finanziaria del Regno, presiedeva la Camera dei conti, formata dai maestri razionali e dai notai regi, e nominava i funzionari addetti alle finanze. Nel 1392 il M. designò Paride di Sanfelice luogotenente della Sommaria, ufficio preposto al controllo degli attivi e dei passivi e alla rilevazione dei crediti residui.
Il 6 maggio 1392 il maresciallo di Luigi II lasciò l’accampamento di Pozzuoli e si spostò con l’esercito ad Aversa, per espugnarla. Il M. si spinse fino alla barriere che proteggevano la città, con tutti gli armigeri che la presidiavano, e alcuni fanti e cavalieri, usciti allo scoperto, furono catturati dai nemici e portati a Napoli. Il 20 dicembre il M. e il fratello Giacomo intervennero per primi al consiglio convocato a Gaeta dalla regina Margherita. Nella primavera del 1393 Ladislao chiamò a raccolta i baroni a lui fedeli che, rispondendo al suo appello, a luglio lasciarono le truppe in un accampamento in riva al Garigliano e si recarono a Gaeta. Anche il M. e il fratello Giacomo parteciparono al parlamento tenuto da Ladislao a Gaeta, nel quale si decise di assediare L’Aquila, unica città dell’Abruzzo ancora in mano angioina, e di ridurre i ribelli abruzzesi. Quando le operazioni militari ebbero inizio, il M. e il fratello combatterono al fianco di Ladislao.
Per rompere l’alleanza tra la famiglia Marzano e Ladislao, nel 1395 i Sanseverino proposero a Giacomo di sposare la figlia di Luigi II d’Angiò. Il progetto, che alla fine non si realizzò, fu tuttavia accolto con entusiasmo e i Sanseverino raggiunsero l’obbiettivo di rafforzare la coalizione favorevole al duca d’Angiò. In seguito, Luigi di Capua, conte d’Altavilla, promosse la sollevazione di Capua, avvalendosi di un contingente armato di Ladislao. Inizialmente il M. controllava la torre e il castello di Capua, aveva ai suoi ordini il capitano Roberto di Prata ed era aiutato dal fratello Giacomo e da Luigi II. Poi costoro andarono a Taranto e il M. difese da solo la città. Quando anche il M. dovette lasciare Capua per recarsi ad Alife, gli abitanti di Capua imprigionarono il capitano e assediarono con bombarde e balestre la torre, che dopo quattro mesi si arrese. Per stroncare la resistenza della famiglia, Ladislao mandò contro il M. e il fratello Giacomo l’esercito comandato da Cecco Del Borgo. Dopo una tregua di un anno, propiziata da Giovanni Tomacelli, fratello di papa Bonifacio IX, col benestare di Luigi II, le ostilità ripresero.
Il 14 maggio 1398 Ladislao stipulò un trattato di pace con il M., il fratello Giacomo, Giacomo Orsini, conte di Tagliacozzo, e Giacomo Stendardo, maresciallo, in base al quale i soldati e i sudditi di Ladislao avrebbero potuto circolare liberamente a Sessa e nel suo territorio di giorno e di notte per quindici giorni, anche armati, senza commettere atti ostili contro la popolazione. In cambio, i nobili napoletani s’impegnarono a non sostenere più Luigi II, ma furono autorizzati da Ladislao a inviare a Napoli tre ambasciatori, per spiegare al duca d’Angiò la causa del loro comportamento. Il papa ordinò di prestare omaggio di fedeltà a Ladislao, che in cambio avrebbe dovuto restituire ai baroni i beni allodiali e feudali, ereditati, comprati e donati, le città, i castelli, le terre, le contee, le baronie, i diritti e le azioni, e rimettere ogni delitto, incluso il crimine di lesa maestà. Dopo la conquista di Napoli, il M. avrebbe avuto la città di Capua, con i fortilizi, come capitano e castellano. Il M. e il fratello avrebbero riacquistato i privilegi, le immunità, le grazie e le esenzioni fiscali loro concesse in passato da Carlo III, da Margherita e dallo stesso Ladislao. Il 23 maggio Bonifacio IX raccomandò al M. e al fratello di obbedire a Ladislao e di sostenerlo contro Luigi II e il 1° giugno ratificò la pace stipulata a Sessa. La ritrovata armonia tra Ladislao e il M. è attestata da un privilegio emanato da Ladislao nel 1398 a favore di Raimondo Del Balzo Orsini, nel quale il M. è qualificato come gran camerario.
Il 10 luglio 1399 Ladislao s’impadronì di Napoli e ad agosto Luigi II tornò in Provenza. A dicembre il M. lavorava ancora per Ladislao come gran camerario. Dopo la partenza di Luigi II, Ladislao fu libero di agire contro i baroni che in passato lo avevano tradito, e questi maturarono una crescente diffidenza nei confronti del re e iniziarono a temere ritorsioni. A riprova di ciò, nell’aprile 1401 il M. e il fratello non parteciparono al Parlamento convocato da Ladislao a Napoli in S. Chiara. Alla morte del fratello (1402), il M. divenne tutore del nipote Giovanni Antonio e fortificò Sessa, la rocca di Mondragone e Teano, per timore di Ladislao. Ladislao decise di vendicare il passato tradimento dei Marzano usando l’astuzia anziché la forza, e propose al M. di dare in sposa la sua unica figlia a Rinaldo, figlio naturale del re e di una donna di Gaeta, insignito del titolo di principe di Capua. Sebbene non si fidasse di Ladislao, il M. dovette accettare la proposta e il re gli mandò il piccolo principe, che aveva appena otto anni, perché lo crescesse insieme con la figlia. Secondo alcune fonti, dopo l’accordo, il M. cavalcò per le strade di Napoli, in segno di riconciliazione, e fu organizzata una grande festa. Poco tempo dopo, Ladislao comunicò al M. che doveva portare gli sposi a Capua per festeggiare degnamente l’accordo matrimoniale. Il M. obbedì e si recò a Capua con la moglie Ceccarella di Jamvilla, figlia del conte di Sant’Angelo, la figlia, la cognata Caterina Sanseverino, vedova di Giacomo, il nipote Giovanni Antonio, duca di Sessa, e le nipoti nubili. Appena giunsero a Capua, Ladislao li fece catturare, portare nel Castelnuovo di Napoli, tolse al M. la contea di Alife e Teano e le assegnò a Giannotto Stendardo.
Non sono noti il luogo e la data di morte del Marzano.
Fonti e Bibl.: I Diurnali del duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXI, 5, pp. 15, 53, 60, 68-70, 73 s.; Codex Italiae diplomaticus…, a cura di J.Ch. Lünig, IV, Francofurti et Lipsiae 1735, pp. 542-546; Cronicon Siculum, a cura di G. De Blasiis, Napoli 1887, pp. 52, 93 n. 111; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, I, Fiorenza 1580, pp. 188 s.; A. Di Costanzo, Historia del Regno di Napoli, L’Aquila 1581, pp. 235, 238, 242, 248, 253, 256, 262, 264 s.; F. Campanile, Dell’armi overo Insegne de i nobili, Napoli 1618, p. 138; F. Della Marra, Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non, comprese ne’ seggi di Napoli imparentate colla casa della Marra, Napoli 1641, pp. 249 s., 253; C. De Lellis, Discorso delle famiglie nobili del Regno di Napoli, I, Napoli 1654, p. 196; G. Marzano, Memorie storiche intorno alla famiglia Marzano, Pisa 1874, pp. 8-10; E. Ricca, La nobiltà del Regno delle Due Sicilie, V, Napoli 1879, pp. 56 s., 66; A. Cutolo, Re Ladislao d’Angiò Durazzo, Napoli 1968, pp. 134 s., 151, 162 s., 187, 237, 243, 296 s., 315; S. Fodale, La politica napoletana di Urbano VI, Caltanissetta-Roma 1973, pp. 58 n. 83, 97 n. 1; Id., Costanza Chiaramonte, in Diz. biogr. degli Italiani, XXX, Roma 1984, p. 361; A. Kiesewetter, Ladislao d’Angiò-Durazzo, ibid., LXIII, ibid. 2004, p. 42.