GOITO (A. T., 20-21)
Paesello della provincia di Mantova, sulla destra del Mincio, a 30 m. s. m. La sua posizione strategicamente importante lo rese celebre nella storia del Risorgimento. Vi sono notevoli monumenti. Contava 898 ab. nel 1921, mentre il suo comune, vasto 78,79 kmq., ne contava 7739, saliti a 8429 nel 1931. Le colture più diffuse nel territorio sono i cereali, i prati irrigui, i gelsi; le industrie sono rappresentate da una cartiera, da fornaci e da cave di sabbia. Tramvia per Mantova (16 km.) e Brescia. Stazione ferroviaria a Roverbella (11 km.) sulla Verona-Mantova.
La battaglia di Goito (30 maggio 1848). - Al principio di maggio del 1848, l'esercito piemontese, avanzato attraverso la Lombardia, aveva forzato i passi del Mincio e si era proposto di attaccare i forti esterni di Verona dal lato occidentale, con la speranza (segreti, ma non ben definiti accordi erano infatti intervenuti) che i nazionalisti veronesi insorgessero alla voce del cannone, il che avrebbe potuto indurre il Radetzky ad abbandonare Verona, come nel marzo precedente aveva abbandonato Milano. Il tentativo fallì, perché i Piemontesi - che si erano avanzati il 6 maggio fino alle porte di Verona e avevano avuto un successo tattico a S. Lucia - non avendo sentore di sommovimenti in Verona e non potendo rimanere in quella precaria situazione, dovettero ritornare nelle posizioni di partenza. Essi attesero che Peschiera, accerchiata con regolare assedio, cadesse; con le forze assedianti, rimaste libere, i Piemontesi avrebbero rinforzato le truppe di campagna e ripreso l'azione offensiva. Occorreva anche ai Piemontesi sistemare il servizio dei rifornimenti, che - affidato a un'impresa dal governo provvisorio di Milano, il quale ne aveva assunto la responsabilità - funzionava molto imperfettamente dopo il passaggio del Mincio. L'attesa sulle colline moreniche del Garda a oriente del Mincio durava da oltre venti giorni, quando, ricevuti i rinforzi del Nugent e portate così le sue forze a circa 60.000 uomini, il generalissimo degl'imperiali decise di uscire dalla piazza con circa 40.000 uomini, lasciando gli altri a presidio della città e per atti dimostrativi contro l'ala settentrionale dei Piemontesi (da Rivoli). Non sembrando conveniente al maresciallo austriaco attaccare direttamente i nemici nelle loro forti posizioni sulle alture, decise di puntare rapidamente verso Mantova (tuttora in possesso degli Austriaci), di passare quivi il Mincio e di volgersi poi verso nord per tagliare ai Piemontesi le comunicazioni, e, nel tempo stesso, rompere le linee d'assedio di Peschiera. La manovra di Radetzky comportava una rischiosa marcia di fianco (Verona-Mantova) sotto gli occhi dei Piemontesi in posizione sulle alture a nord di Villafranca. Inoltre, uscendo da Mantova verso ovest, avrebbe incontrato la resistenza dei volontarî toscani, che il Radetzky sapeva trovarsi in posizione fra Curtatone e Montanara (v.). La marcia di fianco su tre colonne (per Trevenzuolo, per Isola della Scala, per Bovolone-Cerea) fu quasi interamente compiuta nella notte 27-28 maggio, senza che i Piemontesi avvertissero il movimento. Quando il mattino del 28 il consueto "niente di nuovo" tranquillizzava i comandi delle grandi unità sarde, già la parte pericolosa del percorso era dagli Austriaci superata. Soltanto a mezzogiorno giunsero al gen. Bava (1° corpo piemontese) le prime informazioni degli abitanti sulle mosse del nemico. Il comando supremo, cui arrivava poco dopo analoga informazione, ordinava al Bava di avvertire i Toscani (De Laugier) che - fatta una prima buona difesa - rimontassero lungo la destra del Mincio fino a Goito, dove i Piemontesi, con affrettate disposizioni, sarebbero stati concentrati, visto che non era più possibile attaccare gli Austriaci ad oriente del Mincio. Il passaggio dei Piemontesi sulla riva occidentale del fiume fu iniziato la notte 28-29 maggio. Il mattino del 30 maggio fra Volta, Valeggio e Goito i Piemontesi avevano raccolto 22 battaglioni, 24 squadroni e 4 batterie e mezzo. Siccome l'atteso attacco nemico non si pronunciava ancora (si sapeva che il 29 i Toscani erano stati battuti a Curtatone e Montanara) tutte quelle truppe furono portate in linea a sud, sulle alture di Goito. Il Radetzky, per la fiera resistenza opposta dai Toscani il 29, aveva dovuto perder tempo e dedicare la mattina del 30 al riordinamento delle proprie truppe e a provvidenze logistiche. Soltanto a mezzogiorno ordinò l'avanzata verso nord non per attaccare in quello stesso pomeriggio, ma per preparare la battaglia offensiva che intendeva svolgere il 31 contro le alture di Volta, dove supponeva essere i Piemontesi.
Gli Austriaci marciavano su due colonne; quella di destra (avanguardia Benedek) giungendo alle 15,30' in vista di Goito, fu improvvisamente bersagliata dalle artiglierie piemontesi. Il Benedek, sorpreso ancora incolonnato, spiega le prime truppe e s'inizia un duello di artiglieria, ma la piemontese prevale; la brigata che segue il Benedek soltanto alle 17 può essere spiegata a sinistra della brigata di testa, e a quell'ora attacca la destra della prima linea piemontese (brigata Cuneo) che il Bava subito rinforza facendo avanzare le "Guardie" condotte dal Principe ereditario (poi Vittorio Emanuele II); indi avanzano i fanti dell'"Aosta". Con questi rinforzi l'ala destra piemontese può essere prolungata fino a sopravvanzare la linea attaccante e a consentire una manovra di contrattacco contro la sinistra austriaca. Gli Austriaci del Wohlgemuth si trovano in critiche condizioni e la terza delle brigate della colonna di destra (Strassoldo) non giunge in tempo a soccorrerla. Tanto meno giunge il corpo d'armata costituente le colonne di sinistra. Alle ore 19 la linea austriaca è battuta; per sfuggire all'aggiramento il comando del corpo d'armata ordina la ritirata. Dopo due giorni di perplessità, il Radetzky ordina il ripiegamento di tutto il corpo di operazione per Mantova alla sinistra del Mincio.
Lo stesso pomeriggio del 30 maggio, mentre si accentua il successo tattico di Goito, giunge a Carlo Alberto la notizia che la guarnigione austriaca di Peschiera si è arresa ai Piemontesi. L'artiglieria aveva potentemente contribuito ad entrambi i successi e fu altamente elogiata. Il 30 maggio divenne la festa d'armi dell'artiglieria italiana.