GOLICYN (pron. galìzzyn)
Famiglia principesca russa, discendente dal principe lituano Gedimino. Grande è l'importanza che questa famiglia, ricca e numerosa, ha avuto nella storia politica e culturale della Russia. I rappresentanti principali di essa sono: Vasilij Vasil′evič, nato nel 1643; passò gli anni della sua gioventù alla corte dello zar Aleksej Michailovič, e iniziò la sua attività d'uomo di stato sotto lo zar Fedor. Egli occupava allora il primo posto nelle sfere governative, e si distinse in modo particolare sotto la reggenza della principessa Sofia Alekseevna, che ebbe in lui un prezioso collaboratore e lo amò con grande passione.
In quei tempi G. è stato uno dei pochi precursori di Pietro il Grande nell'avvicinare la Russia alla cultura occidentale; ricevuta un'ottima istruzione privata, completata e approfondita da assidue letture e rapporti frequenti con gli stranieri, egli prendeva vivo interesse alla vita politica dell'Europa contemporanea; conoscitore di parecchie lingue, fra cui il latino e il greco, aveva una ricca biblioteca; contrario al conservatorismo che nel campo della cultura predominava a Mosca, G., subendo l'influenza della cultura polacco-cattolica, stimava necessario di mandare i bambini russi nelle scuole polacche e d'invitare in Russia insegnanti polacchi; il francese Neuville, che lo conobbe a Mosca nel 1689, sentì dire da lui che i Russi dovevano studiare l'arte militare nell'Occidente, che bisognava liberare dalla schiavitù i contadini e introdurre riforme adeguate nel regime fondiario ed economico della Russia moscovita. Nelle sue idee religiose G. mostrava una grande libertà: fu p. es. sotto il suo governo che i gesuiti si stabilirono a Mosca, d'onde furono espulsi dopo la sua caduta.
Nominato nel 1682 capo dell'ufficio degli ambasciatori che amministrava anche la politica estera ed era depositario del sigillo dello stato, G. fu effettivamente il centro del meccanismo statale del regno moscovita. Frutto della sua attività di pochi anni furono: nella sfera della politica interna, l'abolizione (1682) del mestničestvo (il posto assegnato a ognuno secondo la sua nascita) nei rapporti di servizio; nella sfera della politica estera, la pace "eterna" con la Polonia (21 aprile 1686) e le spedizioni contro i Tatari della Crimea (1687, 1689). La pace "eterna" con la Polonia consolidò de iure il possesso di Kiev, che realmente apparteneva a Mosca fin dal 1667, e inoltre imponeva alla Polonia l'obbligo di non molestare gli ortodossi dentro i suoi confini, donde la possibilità per Mosca di esercitare la sua influenza sulla politica religiosa interna e la politica nazionale della Polonia; questa pace fu conclusa per spiegare un'azione unita contro il sempre crescente pericolo turco. Le spedizioni di Crimea, conseguenza dell'accordo del 1686, si proponevano di distruggere i Tatari che continuamente molestavano le steppe della Russia meridionale, ma non raggiunsero lo scopo cui miravano. Svanì così la speranza di G. di consolidare, con un nuovo successo, la sua posizione, data anche la tensione dei rapporti fra la principessa Sofia e il maggiore dei due zar regnanti, Pietro. Nel 1689 questa tensione fu bruscamente troncata, la principessa fu rinchiusa in un convento e lo zar Pietro prese nelle sue mani tutto il potere. G., accusato di responsabilità nella disastrosa impresa di Crimea, fu privato dei suoi diritti e beni ed esiliato prima a Jarensk in Siberia, e poi nel villaggio di Kologory della provincia di Arcangelo, dove morì nel 1714.
Boris Alekseevič (1654-1714), fu eminente uomo di stato e zelante sostenitore dell'europeizzazione della Russia. Partigiano di Pietro il Grande, già nel 1682 ne sostenne la candidatura al trono. Nel 1689 organizzò la rivolta, in seguito alla quale la reggente principessa Sofia fu rinchiusa in un monastero e il potere affidato al giovane Pietro. Dopo questo G. fu innalzato alla dignità di boiaro e insieme con L. K. Naryskin divenne capo effettivo del governo russo. Nel 1694-95 accompagnò Pietro nei viaggi sul Mar Bianco ed ebbe una parte importante nella spedizione di Azov (1695). Vegli anni 1697-98, durante il viaggio all'estero di Pietro, tutto il potere nel paese fu affidato a G., insieme con Naryskin e col principe Prozorovskij. Al ritorno di Pietro dall'estero e all'inizio della guerra nordica l'influenza di G. diminuì e fu definitivamente scossa dopo la rivolta di Astrachan nel 1705. Nel 1713 si fece monaco.
Dmitrij Michajlovič, principe (1665-1737), uomo di stato russo, eminente rappresentante dell'aristocrazia russa, e distinto diplomatico. Fu educato all'estero e all'accademia di Kiev; nel 1697 venne inviato all'estero e seguì in Italia gli studî per la carriera militare di marina. Nel 1701 fu ambasciatore straordinario a Costantinopoli per le trattative sulla libera navigazione russa nel Mar Nero; negli anni 1704-06 rappresentò la Russia in Polonia e vi comandò il distaccamento russo durante la guerra con la Svezia; nel 1707 fu nominato voivoda e nel 1711 governatore di Kiev. In questo periodo entrò in stretti rapporti coi rappresentanti della cultura e della società russa meridionale; nel 1718 fu nominato senatore; nel 1723 perdette titoli e impiego, ma fu presto graziato.
Per le sue idee e convinzioni G. è stato un sostenitore dei diritti privilegi e tradizioni dell'aristocrazia ereditaria; alla cultura e all'apprezzamento del sapere (possedeva una grande biblioteca e per suo incarico furono fatte molte traduzioni in lingua russa) egli univa il disprezzo verso gli stranieri, che erano numerosi in Russia al principio del sec. XVIII. Dopo la morte di Pietro il Grande, come capo degli antichi boiari, egli sostenne risolutamente i diritti del nipote di Pietro I, Pietro II Alekseevič, contro la vedova di Pietro I, Caterina I (v.). Dopo la morte di Pietro II nel 1730, fu chiamata sul trono imperiale su proposta di G. la nipote di Pietro I, Anna Ivanovna, che aveva firmato le "Condizioni" che limitavano i diritti del monarca a vantaggio dei rappresentanti dell'alta aristocrazia ereditaria della Russia, i quali in numero di otto formarono il supremo consiglio segreto. Le "condizioni" formulate da G. si basavano sulla costituzione svedese, per la quale G. aveva dimostrato un grande interesse. La nobiltà media e i personaggi che circondavano l'imperatrice, protestarono contro le "condizioni" di carattere così spiccatamente aristocratico e oligarchico, e Anna le stracciò. Allora G. si ritirò dagli affari; arrestato, sotto un pretesto, fu processato e condannato a morte, ma poi fu graziato e morì nelle carceri della fortezza di Schlüsselburg.
Bibl.: A. Brückner, Fürst W. Golitzyn, in Russische Revue, 1878; D. A. Korsakov, Vocarenie imp. Anny Joannovny (La salita al potere dell'imperatrice A. J.), Kazan' 1880.