GÓNGORA y ARGOTE, Luis de
Poeta spagnolo, nato a Cordova l'11 luglio 1561 da Francisco de Argote e da Leonor de Góngora, di cui assunse il cognome; e ivi morto il 23 maggio 1627. A quindici anni fu mandato a Salamanca per studiarvi giurisprudenza; ma qui completò invece e perfezionò, al di fuori delle convenzioni accademiche, la sua cultura umanistica e letteraria. Di ritorno a Cordova (1581), s'acquistò fama di poeta con sonetti e romances festivi, satirici e amorosi. Avuti gli ordini minori, rimase sempre appassionato della musica e della poesia profana, tanto che fu ammonito dal vescovo Francisco Pacheco (1589). In missione visitò Madrid nel 1589, quando si pubblicarono alcuni suoi romances (Flor de varios romances, Huesca 1589), ritornandovi l'anno dopo. Fu poi a Salamanca (1593), dove si ammalò gravemente, a Cuenca e a Valladolid (1603), sede della corte. Contemplò la vita della capitale con occhio scettico e curioso, lanciò audaci satire, polemizzò aspramente con Quevedo, consegnò a Pedro Espinosa numerose poesie da pubblicarsi in Las flores de poetas ilustres de España (Valladolid 1605). Lo riebbe Cordova (1604) per qualche anno, allontanandosene per altra missione a Madrid, ad Alcalá, a Burgos, in Galizia (1609): peregrinazioni che fiorirono in poetici ricordi pieni di umorismo e di schietta gaiezza. Da Madrid, di nuovo sede della corte e nuovo campo di amare diatribe con Quevedo e altri importanti personaggi, il G. ritornò in patria (1609), crucciato per qualche ambizione fallita. Tra gli sfoghi della sua musa ribelle, compose allora delicati e musicali versi religiosi in villancicos e in letrillas, e, in uno stile latineggiante e ricercato, l'Oda a la toma de Larache (1610). Ma la pubblicazione delle opere del cordovese Luis Carrillo y Sotomayor (Madrid 1611), dove preminevano il Libro de la erudición poética, pedantesco manuale di aristocratica precettiva letteraria, e la Fábula de Acis y Galatea, fu decisiva per lo svolgimento dell'arte gongorina, sinora ondeggiante tra le forme epiche e il preziosismo lirico dell'Herrera e le forme popolareggianti dei romances. Con esasperata ricerca di novità e con quel virtuosismo che già traluce nelle sue composizioni anteriori - completo trasferimento nello stile in un eccesso di raffinatezza e di grazia - il G. scrisse (1611-13) la Fábula de Polifemo y Galatea, in ottave, e la prima Soledad, in silvas con cori intercalati. Appena conosciute nei circoli letterarî, s'accese la polemica: le pedantesche apologie dei gongoristi e le reazioni di Esteban de Villegas, di Martínez de Jáuregui e di altri ancora, acuirono le discussioni sulla nuova poesia, che metteva in luce, con la massima evidenza, le forme teorizzate dall'estetica del Rinascimento. Così il G. rivelava e dava il nome al preziosismo o cultismo (spagnolo culteranismo), i cui precedenti letterarî troviamo nelle teorie linguistiche dell'Umanesimo (Juan de Valdés, Ambrosio Morales), nella nobilitazione del linguaggio popolare, ricercata, con grazia di scelta, nella cruda parola latina o greca, o nella violenta trasposizione sintattica, o nell'abilità e ingegnosità con cui sono rinnovati gli stremati motivi della tradizione trovatorica e petrarchesca (v. secentismo). E mentre le polemiche si moltiplicavano, egli iniziava la seconda Soledad, scriveva il Panegírico al Duque de Lerma (1617), la Fábula de Píramo y Tibe e dispensava sonetti e odi secondo il nuovo stile. Passato a Madrid e ordinato sacerdote, fu nominato cappellano d'onore del re (1617), e la sua poesia libera e mordace si fece cortigiana. Quando il conte de Lemos e il marchese di Siete Iglesias caddero in disgrazia e le sue ambizioni fallirono, egli riversò in satire la sua amarezza. Colpito da grave malattia (1626), ritornò a Cordova, dove moriva.
Nello stesso anno apparve la prima raccolta delle sue poesie a cura di J. López de Vicuña (Obras en verso del Homero español, Madrid 1627); e quindi quella di G. Hoces de Córdoba (Madrid 1633). Il gongorismo, cioè l'abuso dell'erudizione, la ricerca sistematica dell'oscurità, le sottigliezze di pensiero fermate con stile lapidario e con sintassi arbitraria, tutti gli artifizî di G., esagerati e gonfiati, diventarono l'ideale dei suoi imitatori, che si perpetuarono sino al trionfo dell'estetica neoclassica nel Settecento. Ma il gongorismo non è G., poeta molteplice che si rivela grande a tratti, bella discontinuità di un mondo sentimentale dove si alternano il religioso e l'osceno, il burlesco e l'eroico, il grazioso e il mordace: atteggiamenti contrastanti che si compongono nella duttile pieghevolezza di una forma sempre garbata e signorile per virtù di parola e squisitezza musicale. Poeta prezioso nei sonetti d'amore, nei romances e nelle letrillas, egli rivela il suo virtuosismo elegante nell'encomio madrigalesco o nello scherzo o nei travestimenti burleschi di temi cavallereschi e mitologici, sempre con lo stesso spirito, raffinato e colto. Il G. lavora di ricamo; ha motivi sparsi e accenti isolati; e la sua poesia, che respira entro un'atmosfera sentimentale, si regge solo appoggiandosi a ingegnose combinazioni intellettive o a figure retoriche sciolte dal dominio dell'ispirazione. Il suo capolavoro è la Fábula de Polifemo y Galatea: contrapposizione del gigante, forza bruta che solo l'amore riesce a domare, e della ninfa gentile, figurazione squisitamente lirica, sullo sfondo luminoso della Sicilia, regno idillico di un amore che sente le urgenze del desiderio. La favola pastorale, che elabora il mondo della solitudine, già esaltato nelle Soledades, ora a tratti violenti ora in osservazioni precise, nella mollezza musicale del ritmo e nel virtuosismo coloristico e verbale, dà la misura dell'arte del G.: preziosa e maliosa, che, vaga di suoni, smaterializza la corpulenza della parola comune. Perciò il G. ritornò a ispirare i parnassiani e i simbolisti francesi, e quindi Rubén Darío e i modernisti spagnoli.
Ediz.: Poesías, in Bibl. de Aut. Esp., X e XXXII; R. Foulché-Delbosc ha curato l'ed. delle Obras poéticas, in Bibl. hispanica, XVI-XVII e XX, New York 1921; delle Poésies attribuées a G., in Revue hisp., XIV (1906), pp. 71-114; e delle Lettres de G., ibidem, X (1903), pp. 184-225.
Bibl.: R. Foulché-Delbosc, Bibl. de G., in Revue hisp., XVIII (1908), pp. 73-161; L.-P. Thomas, Le lyrisme et la préciosité cultistes en Espagne, Halle-Parigi 1909; id., G. et le gongorisme considerés dans leurs rapports avec le marinisme, Parigi 1911; A. Farinelli, Marinismus und Gongorismus, in Deutsche Lit. - Zeitung, XXXIII (1912); A. Reyes, Contribuciones á la bibl. de G., in Revista de filol. española, III (1916) e IV (1917); id., Los textos de G., in Bol. de la R. Ac. esp., III (1916); id., Cuestiones gongorinas, in Revue hisp., XLIII (1918), e in Rev. de fil. esp., V (1918); H. Thomas, Three translators of G. and other Spanish poets, in Revue hisp., XLVIII (1920); M. Artigas, Biografía y estudio crítico de L. de G., Madrid 1925; W. Pabst, Góngoras Schöpfung in seinen Gedichten Polifemo und Soledades, in Revue hisp., LXXX (1930).