Goodfellas
(USA 1990, Quei bravi ragazzi, 145m); regia: Martin Scorsese; produzione: Irwin Winkler per Warner Bros.; soggetto: dal romanzo Wiseguy: Life in a Mafia Family di Nicholas Pileggi; sceneggiatura: Nicholas Pileggi, Martin Scorsese; fotografia: Michael Ballhaus; scenografia: Kristi Zea; costumi: Richard Bruno; montaggio: Thelma Schoonmaker, James Kwei.
1970. Tre gangster sono all'opera, con sistemi decisamente cruenti. Uno di loro, Henry, si ferma per fare il punto della situazione e raccontare la sua storia. Fin da bambino ha sempre desiderato essere un criminale, perché lì c'era il rispetto, la bella vita, l'avventura, la possibilità di condurre un'esistenza fuori dall'ordinario. È ancora ragazzino quando entra nelle grazie del boss di quartiere, Paul, che progressivamente lo introduce nella gerarchia delle cosche (pur sapendo che i vertici gli saranno sempre preclusi, visto che Henry non è di origine italiana). Con due amici scaltri e feroci, Jimmy e Tommy, il giovane malavitoso si dedica a colpi sempre più fruttuosi, muovendosi in una zona di confine fra la fedeltà alle 'famiglie' e l'iniziativa personale. Con la donna ebrea che nel frattempo ha sposato le cose procedono a meraviglia, finché i nodi vengono al pettine uno dopo l'altro. Henry entra nel traffico di cocaina, di cui è anche affezionato consumatore, trova un'amante che rischia di far naufragare il suo matrimonio, è anche costretto a trascorrere alcuni anni in carcere, con Paul e altri amici (prigione dorata ma pur sempre prigione). Tornato in circolazione, deve fare i conti anche con i due amici di sempre: Tommy è diventato così impulsivo da eliminare un boss senza la necessaria 'autorizzazione', e per questo viene giustiziato, mentre Jimmy lo tradisce nel tentativo di uscire da una brutta situazione. A Henry non resta che tradire a sua volta, ricevendo in cambio la protezione dello Stato e una nuova identità. Con il rimpianto, però, dei privilegi perduti.
Dopo le polemiche feroci suscitate da The Last Temptation of Christ (L'ultima tentazione di Cristo, 1988), Martin Scorsese pare voler inaugurare una nuova fase della sua carriera, mettendo la sua fantasia figurativa al servizio di vicende in cui il registro dominante è sostanzialmente ludico. Lo si nota già nell'episodio Life Lessons (Lezioni di vero, in New York Stories, 1989) e a maggior ragione in Goodfellas, che riprende un discorso sulla mafia italoamericana inaugurato molti anni prima con Mean Streets (Mean Streets ‒ Domenica in chiesa, lunedì all'inferno, 1973) e proseguito fra le righe di Raging Bull. Ma se Goodfellas sceglie deliberatamente di oltrepassare il confine del paradosso, adottando il punto di vista interno di un mafioso che ha sempre voluto essere tale, ciò non deve indurre a credere che il regista sia qui meno serio nell'affrontare la questione che altrove.
D'altra parte, per poter tornare a frequentare un genere che aveva trovato nell'epica di Coppola prima e di Leone poi due vertici difficilmente raggiungibili, Scorsese aveva bisogno di un radicale mutamento di prospettiva. E si può dire che i presupposti del romanzo autobiografico di Nicholas Pileggi invertano quasi meccanicamente lo schema di The Godfather. Se per tutto il film di Coppola il figlio del padrino convive con il senso di una responsabilità ineluttabile e la violenza viene enfatizzata perché riveli il dramma morale che la produce, l'eroe di Goodfellas vive con assoluta leggerezza il proprio ruolo, quasi interpretasse una parte che prevede una ricompensa altissima (il divismo di quartiere e il denaro) e dalla quale ci si può sottrarre appena i rischi diventano troppo alti. Di conseguenza, uccidere è il quotidiano, la routine. Con un cadavere nel portabagagli, gli eroi del film non trovano nulla di strano a fermarsi a cena dalla madre di uno di loro, quasi in auto vi fosse il carico di un rappresentante di abiti che si concede una pausa domestica. Abituato fin dai tempi di Scarface a osservare sullo schermo le gesta dei gangster sotto la lente morale di una tragedia shakespeariana, il pubblico resta spiazzato dalla rappresentazione di Scorsese, e può arrivare facilmente ad abbandonarsi al suo lato intrinsecamente 'cartoonistico'.
L'effetto comico che alcune imprese efferate determinano attesta il fatto che "Scorsese ha messo in scena non uno spaccato del gangsterismo italiano nell'arco di un ventennio, ma i fantasmi rappresentativi della sua violenza, il sistema simbolico dei suoi impulsi criminali" (Franco La Polla). La ferocia iperbolica e vitalistica di questo film, estrapolata dal suo contesto originario e trasposta in pura azione e ironia, diventerà uno dei tratti caratterizzanti di gran parte del cinema del decennio successivo (per primi i film di Quentin Tarantino). Bisogna però fare uno sforzo e inquadrare questa pellicola nel suo tempo e nella filmografia dell'autore. Ci si accorge allora che Goodfellas è anche un'analisi sociopolitica nascosta dietro una storia apparentemente minima e bizzarra, ma in realtà spaventosamente emblematica, per molti aspetti simile a quella già narrata in The King of Comedy (Re per una notte, 1983) o a quelle successive di Casino (Casinò, 1995) e Gangs of New York (2002): una parabola sul mito largamente condiviso del successo ad ogni costo, sulla dialettica fra lo squallore dell'anonimato e l'euforia tossica del prestigio. E, fra le righe, si potrebbero leggere non pochi riferimenti, cinici e lucidissimi, a un perverso sistema di produzione della ricchezza e di circolazione del denaro, rispetto al quale la logica della criminalità organizzata rappresenta solo un epifenomeno, quasi naif per la sua trasparenza.
Goodfellas è un film ricchissimo di idee e di invenzioni registiche, una di quelle pellicole in cui pare non esserci una sola inquadratura che non sia stata progettata per stupire gli occhi e i sensi dello spettatore. C'è il capogiro della macchina da presa che insegue senza stacchi il protagonista e la fidanzata lungo l'entrata secondaria di un locale notturno, fino a un tavolino aggiunto appositamente in prima fila. C'è la raffinatezza geniale dell'esecuzione di Joe Pesci, sublimata in termini pittorici con una macchia di colore rosso che si spande sul pavimento, quasi che morire fosse una sorta di action painting. E c'è, soprattutto, una ricchissima colonna sonora, quaranta canzoni con triplice funzione: scandire il ritmo attraverso continui contrappunti, comporre un affresco storico e dare profondità all'ambiente.
Interpreti e personaggi: Robert De Niro (Jimmy Conway), Ray Liotta (Henry Hill), Joe Pesci (Tommy DeVito), Lorraine Bracco (Karen Hill), Paul Sorvino (Paul Cicero), Frank Sivero (Frankie Carbone), Tony Darrow (Sonny Bunz), Mike Starr (Frenchy), Frank Vincent (Billy Batts), Chuck Low (Morris Kessler), Frank DiLeo (Tutti Cicero), Henry Youngman (se stesso), Gina Mastrogiacomo (Janice Rossi), Catherine Scorsese (madre di Tommy), Charles Scorsese (Vinnie), Suzanne Shepherd (madre di Karen), Jerry Vale (se stesso), Samuel L. Jackson (Stacks Edwards), Gigi Sforzini (il 'Bastardo'), Michael Imperioli (Spider).
T. Jousse, L'affaire Judas, in "Cahiers du cinéma", n. 435, septembre 1990.
G. Lenne, Des grands enfants, in "La revue du cinéma", n. 463, septembre 1990.
P. Kael, Goodfellas, in "The New Yorker", September 24, 1990, poi in "Modern Review", n. 1, Autumn 1991.
K. Murphy, Made Men, in "Film comment", n. 5, September-October 1990.
Y. Tobin, Osmose, in "Positif", n. 356, octobre 1990.
M. Walter, After Henry, in "Listener", n. 3188, October 25, 1990.
F. La Polla, Quei bravi ragazzi, in "Cineforum", n. 300, dicembre 1990.
T. Milne, Goodfellas, in "Monthly film bulletin", n. 683, December 1990.
L. Quart, Goodfellas, in "Cineaste", n. 2, March 1991.
M. Viano, Goodfellas, in "Film quarterly", n. 3, Spring 1991.
G.C. Bertolina, Martin Scorsese, Milano 1995.
Sceneggiatura: Goodfellas, London 1990.