GORO di Ser Neroccio
Nacque a Siena il 26 marzo 1382 (Machetti, p. 58) o 1387 (Milanesi, p. 149) e svolse l'attività di orafo almeno a partire dal 1414, anno in cui eseguì, in collaborazione con Mariano di Ambrogio, due trombe d'argento con smalti per la Signoria di Siena (Borghesi - Banchi).
Il nome "Ghoro" appare in una scritta che corre alla base del fusto di un calice "in argento cesellato e con applicazioni di smalti traslucidi", che nel 1967 si trovava nell'abitazione senese di tale Carlo Gandini. Il contenuto della scritta venne riassunto da Trionfi Honorati: "Neroccio-orafo-Siena 1415" (pp. 59, 64 fig. 13).
Il calice, come si deduce dalla riproduzione fotografica, ha base mistilinea, poggiante su una piattaforma a dentelli, con superficie decorata con placchette in smalto. Il nodo a sfera reca incastonati dei medaglioni in smalto con figurazioni sacre incise.
La firma di G. e la data 1415 sono ricordate anche sul fusto di un calice già nella collezione Debruge Dumenil (Labarte; Machetti).
G. firmò inoltre due calici conservati rispettivamente al Museo nazionale del Bargello di Firenze e al Museo dell'Opera del duomo di Siena.
Il primo, forse eseguito per una cappella o una chiesa dedicata all'arcangelo Michele (Collareta - Levi, p. 14), risulta registrato nell'inventario del 1823 dell'Accademia di belle arti di Firenze e in quello del 1879 della Galleria degli Uffizi (Collareta, p. 94).
Realizzato in rame sbalzato cesellato e dorato è caratterizzato da due serie di placchette, in smalto traslucido su argento, applicate sul piede e sul nodo, raffiguranti rispettivamente una serie di santi e il Cristo di pietà tra la Madonna e s. Giovanni, i ss. Pietro e Paolo e s. Michele. I raccordi e il sottocoppa sono, invece, ornati da losanghe con crocette multicolori a smalto champlevé e con serafini in basse-taille (Collareta - Levi, pp. 13-15).
Il calice, che "ricorda da vicino la forma del calice senese tardo-trecentesco" (ibid., p. 6), viene collocato nel secondo decennio del Quattrocento soprattutto per le affinità formali e di repertorio decorativo con i due calici datati 1415 (Collareta, p. 95; Cioni) e per le analogie stilistiche esistenti fra gli elementi figurati e la produzione pittorica dei senesi Benedetto di Bindo e Gualterio di Giovanni (Collareta - Levi, p. 6; Collareta, p. 95).
Ignota è la provenienza del secondo calice di proprietà della mensa arcivescovile di Siena, depositato insieme con la sua patena presso il Museo dell'Opera del duomo di Siena nel 1924 (Cioni).
Eseguito in rame, ha base mistilinea con superficie incisa. Nel nodo lavorato a sbalzo e cesellato sono inserite sei placchette in smalto traslucido raffiguranti Cristo patiens, la Madonna e s. Giovanni, s. Paolo, il monogramma di Cristo e un santo forse identificabile con s. Girolamo. Il sottocoppa appare inciso con cerchi e fiori dentro losanghe (Gianni, p. 68). Collareta (Collareta - Levi, pp. 6 s.) ha proposto, seppur dubitativamente, di attribuire il manufatto alla fase tarda dell'attività di G., sulla base dell'analisi delle caratteristiche tecniche dell'oggetto e in particolare per la predilezione accordata alla "lavorazione diretta del metallo rispetto allo smalto", per "il frequente ricorso alla rete di losanghe" e per "l'insistita articolazione anatomica". Tale datazione è stata accolta da Cioni (p. 109), che indica più decisamente il terzo decennio del XV secolo, evidenziando come l'opera si distacchi per la decorazione più sobria e calligrafica dai calici del 1415 e del Bargello.
Nel 1419, l'Opera del duomo di Siena pagò a G. la "rachonciatura" di cinque turiboli e di una navicella (Lusini, 1911, p. 350 n. 253).
Il 1° giugno 1427 il nome di G. compare nell'atto di battesimo del figlio Francesco, insieme con quello di Iacopo di Piero d'Angelo di Guarniero (Iacopo della Quercia), presente in qualità di padrino (Beck, pp. 427 s. doc. 186).
Il 25 ott. 1428 sempre l'Opera del duomo di Siena commissionò a G. l'esecuzione di una statua in ottone dorato rappresentante, come si deduce dal testo dell'atto di pagamento, la Fortezza, da destinare al fonte battesimale del battistero di S. Giovanni (Paoletti, 1967, pp. 322 s. doc. 182). Per quest'opera l'orafo ricevette pagamenti il 27 ott. 1428 e il 18 apr. 1429 (Bacci, 1929, pp. 87 s.); il saldo fu pagato il 13 ag. 1431 (Paoletti, 1967, p. 347 doc. 264; Beck, p. 481 doc. 332).
Si tratta della scultura collocata in una delle nicchie angolari della vasca del fonte battesimale e riconoscibile per la presenza della corazza che le copre il braccio e l'avambraccio destro. Schubring (p. 25) identificò erroneamente la statua con quella rappresentante l'allegoria della Giustizia, e pertanto ne attribuì l'esecuzione allo scultore senese Giovanni di Turino, cui quest'ultima era stata assegnata. Questa opinione fu condivisa da Bacci (1929, p. 227), il quale tuttavia osservò come la decorazione dell'armatura ricordasse la lavorazione dei reliquiari a braccio, suggerendo di assegnare il modello della statua a Francesco di Valdambrino. Per primo, Machetti interpretò correttamente l'attributo della corazza come quello proprio della Fortitudo e ricondusse l'opera a Goro.
La statua della Fortezza è l'unica opera scultorea di G. documentata. Già riconosciuta da Venturi come non estranea all'influsso di Iacopo della Quercia, è stata giudicata da Seymour la traduzione di un modello fornito da quest'ultimo, al quale G. aggiunse quei dettagli ornamentali fondamentalmente estranei alla produzione di Iacopo. L'opinione di Seymour è stata ribadita da Paoletti (1967; 1973) e da Beck, che più radicalmente attribuiscono l'invenzione del disegno della Fortezza a Iacopo. Diversamente articolata la posizione di Bagnoli, che, se da un lato indica nelle due statuette eseguite per il fonte da Donatello il prototipo della Fortezza, soprattutto per quanto riguarda le modalità esecutive del panneggio, dall'altro propone di farla discendere da un'idea originale di Iacopo, desunta da un profeta del tabernacolo (pp. 200, 205). Bagnoli non nega, in conclusione, un certo interesse di G. per l'arte di Iacopo, da cui discende quel "più corretto rapporto di dipendenza" (p. 200) che diventa elemento peculiare della produzione di G. per il fonte battesimale, anche rispetto all'opera degli altri maestri senesi che vi lavorarono. Lo studioso inoltre individua negli inserti decorativi lavorati a cesello, che caratterizzano alcune parti della veste, un'invenzione rispondente all'arte prima di tutto orafa di Goro. Cantelli (1977, p. 68) propende a credere che la Fortezza sia stata eseguita da G. con l'aiuto di Donatello.
Nel 1428, G. eseguì in collaborazione con Vanni di Franco dodici scodelle per il Concistoro di Siena (Milanesi, p. 149).
Reca la firma di G. una Croce-reliquiario conservata nel Museo della Cattedrale di Pienza, identificata con quella descritta in un inventario del 1784, recante lo stemma pontificio di Pio II (Mannucci, p. 168).
Sulla base di questa memoria, Carli (1966, p. 110) avanzava l'ipotesi che l'opera potesse essere stata acquistata a Siena da Pio II Piccolomini, rimodernata e destinata al Tesoro della cattedrale di Pienza. Lo studioso non escludeva che essa potesse essere stata destinata sin dal principio a una chiesa di Pienza, forse alla parrocchiale di Carsignano, anche in considerazione dell'esistenza nel Museo di Pienza di un piede di reliquiario che Carli riteneva attribuibile a Goro.
La Croce-reliquiario, in rame dorato, presenta una base mistilinea poggiante su una piattaforma sbalzata con motivi decorativi fitomorfi. Il fusto è caratterizzato dal nodo a tempietto gotico e testine di cherubini in smalto traslucido. Dall'apice del fusto si dipartono due bracci a voluta, con funzione di basamento per le statuette della Vergine dolente, pervenutaci, e di S. Giovanni, perduto. La croce ha terminazioni trilobe e castoni di forma quadriloba, destinati molto probabilmente ad accogliere delle formelle.
Nella piccola statua della Madonna, Bagnoli (p. 200) vede il riapparire nell'arte di G. di quegli arcaismi di ascendenza gotica, quali per esempio l'hanchement della figura e il cadere rigido del panneggio, che erano stati superati nella figura della Fortezza terminata qualche anno prima. Lo stesso osserva che un'identica trattazione della figura appare in una Madonna in gloria tra tre cherubini sbalzata su un fermaglio di piviale (Siena, Museo dell'Opera), già attribuito a G. da Lusini (1939, p. 26).
Negli anni 1431, 1436, 1437 G. fu operaio della Camera del Comune e podestà di Buonconvento e Montalcino (Machetti, p. 60). Nel 1436, G. intervenne sulla Croce grande del clero del duomo di Siena e su "altre chose de la saghrestia" (Milanesi, p. 150; Lusini, 1939, p. 31).
Nel 1437 G. ricevette pagamenti dallo spedale di S. Maria della Scala di Siena per la realizzazione di un turibolo in argento, perduto, e del reliquiario a braccio di s. Biagio (Gallavotti Cavallero, pp. 147, 258 n. 53 s., 420 docc. 127-130, 132), terminato in quello stesso anno, come attesta l'iscrizione apposta alla base.
Il reliquiario a braccio di s. Biagio - realizzato in argento sbalzato, cesellato, inciso, parzialmente dorato e decorato con smalti champlevé e traslucido - presenta base esagonale liscia, con applicati cinque stemmi in smalto champlevé, poggiante su sei piedi leonini. Il braccio è ornato a losanghe interessate internamente da motivi fitomorfi e trafori quadrilobi. La mano, in argento liscio, presenta sul dorso, all'interno di un tondo contornato da una polilobatura fiorita, l'immagine in smalto traslucido del Cristo patiens (Gianni, p. 66).
L'opera è stata considerata il "capolavoro della fase tarda" di G. (Collareta - Levi, p. 6) o, al contrario, l'espressione di una "patetica nostalgia per un passato che l'artista non riesce a superare", nonostante l'esperienza maturata al fianco di Iacopo della Quercia e di Donatello nelle sculture del fonte battesimale (Cantelli, 1995).
È segnato "opus Gori ser Neroccii" un reliquiario conservato nel Museo del Duomo di Massa Marittima (Carli, 1976); opera definita di stampo tradizionale, sia nell'architettura sia nell'ornamentazione, e genericamente riferita al primo Rinascimento (Cantelli, 1995, p. 16).
Oltre al fermaglio di piviale nel Museo dell'Opera del duomo di Siena (Lusini, 1939, p. 26; Bagnoli, p. 200 fig. XXIV.1) e al piede di reliquiario nel Museo della Cattedrale di Pienza (Carli, 1966, p. 110), sono stati attribuiti a G. un ostensorio in bronzo dorato già nel Tesoro della cattedrale di Siena (Lusini, 1939, p. 55) e un reliquiario a forma di tempietto gotico esagono nella chiesa di S. Mamiliano in Valli a Siena. Quest'ultimo è stato dubitativamente assegnato a G. nel catalogo della Mostra dell'antica arte senese (1904, p. 134) e successivamente spesso citato fra le opere dell'orafo per la sua somiglianza con il reliquiario firmato della cattedrale di Massa Marittima. In rame dorato e smaltato, conserva lo stemma della committente, il cui nome è tramandato da una iscrizione apposta sotto al nodo: "Hoc tabernaculum dom(in)e Nigie uxor olim Ioh(ann)is de Galena fecit".
Non si conosce la data di morte di G., menzionato per l'ultima volta nel 1456 (Machetti, p. 59).
Fonti e Bibl.: J. Labarte, Description des objects d'art qui composent la collection Debruge Dumenil, précédée d'une introduction historique, Paris 1847, p. 630; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, II, Siena 1854, pp. 148-150; J.B. Supino, Catalogo del R. Museo nazionale di Firenze (palazzo del Potestà), Roma 1898, pp. 353 s.; S. Borghesi - L. Banchi, Nuovi documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1898, pp. 77 s.; L. Petrocchi, Massa Marittima: arte e storia, Firenze 1900, p. 57; P. Caratelli, Pienza…, Roma 1901, p. 19; Mostra dell'antica arte senese. Catalogo generale illustrato, Siena 1904, pp. 59, 130, 134; C. Ricci, Il palazzo pubblico di Siena e la mostra d'antichità artistiche senesi, Bergamo 1904, pp. 57, 60 figg. 153, 163; P. Schubring, Die Plastik Sienas im Quattrocento, Berlin 1907, pp. 25, 28; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, VI, Milano 1908, pp. 124-126; V. Lusini, Il duomo di Siena, I, Siena 1911, pp. 350 s.; II, ibid. 1939, pp. 26, 31, 55; P. Bacci, Jacopo della Quercia: nuovi documenti e commenti, Siena 1929, pp. 87-89, 227; I. Machetti, Orafi senesi, in La Diana, IV (1929), 1, pp. 58-60; P. Bacci, Francesco di Valdambrino, Siena 1936, p. 367; G.B. Mannucci, Pienza: arte e storia, s.l., s.d. [forse, Pienza 1937], pp. 112 s., 168; E. Carli, Pienza, Roma 1966, pp. 110, 132 n. 40; J.T. Paoletti, The Siena baptistry font: a study of an early Renaissance collaborative program, 1416-1434 (diss., Yale University), University Microfilms Int., Ann Arbor, MI, 1967, pp. 205-209, 222, 285, 322 s., 347; M. Trionfi Honorati, Una casa del Settecento a Siena, in Antichità viva, VI (1967), 1, pp. 59, 64 fig. 13; C. Seymour, Jacopo della Quercia, New Haven-London 1973, pp. 64 s., 109; J.T. Paoletti, Scultura senese del Quattrocento, in The Art Quarterly, XXXVI (1973), p. 105; A. Bagnoli, G. di S.N. e il fonte battesimale, in Jacopo della Quercia nell'arte del suo tempo (catal., Siena), Firenze 1975, pp. 200-203, 205; F. Bellini - A.M. Guiducci, ibid., p. 315; E. Carli, L'arte a Massa Marittima, Siena 1976, p. 48; G. Cantelli, Sull'oreficeria senese fra Tre e Quattrocento, in Jacopo della Quercia fra gotico e Rinascimento…, Atti… Siena… 1975, Firenze 1977, pp. 10 s., 67 s.; E. Carli, Il duomo di Siena, Genova 1979, ad indicem, tav. CCLXXXVI; M. Collareta - D. Levi, Calici italiani, Firenze 1983, pp. 6 s., 13-16; D. Gallavotti Cavallero, Lo spedale di S. Maria della Scala a Siena, Pisa 1985, pp. 105, 147, 258, 420; J. Beck, Jacopo della Quercia, New York 1991, ad indicem; M. Collareta, in Oreficeria sacra italiana (catal.), a cura di M. Collareta - A. Capitanio, Firenze 1990, pp. 94-99; E. Cioni, in Panis vivus. Arredi e testimonianze figurative del culto eucaristico dal VI al XIX secolo, a cura di C. Alessi - L. Martini, Siena 1994, pp. 108 s.; G. Cantelli, Postille per una breve storia dell'oreficeria senese nel Trecento, in La grande stagione degli smalti. L'oreficeria senese tra il Duecento e il Quattrocento (catal.), Siena 1995, pp. 16 s.; A. Gianni, ibid., pp. 66, 68; B. Santi, La committenza dell'ospedale, in S. Maria della Scala, dall'ospedale al museo, Siena 1995, p. 42; G. Cantelli, Reliquiario del braccio di s. Biagio, in L'oro di Siena. Il Tesoro di S. Maria della Scala (catal.), a cura di L. Bellosi, Milano-Siena 1996, pp. 132 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 403 s.