Vedi GORTINA dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
GORΤIΝΑ (ν. vol. III, p. 987 e S 1970, p. 359)
Dal 1978 l'indagine su G. è divenuta uno degli impegni principali della Scuola Archeologica Italiana in Atene. Fino a tale data della città non si conoscevano neanche i limiti raggiunti al momento del suo massimo sviluppo, in età medio-imperiale. Grazie alla realizzazione di 19 tavole a scala 1:500 e di una nuova pianta d'insieme 1:2000, oggi sappiamo che la città, necropoli comprese, arrivò a occupare un'area di almeno 400 ha, mentre una serie di scavi, sia d'emergenza sia mirati, ci consente ora una conoscenza abbastanza articolata specie della G. romano-bizantina.
Oggi è possibile ipotizzare, con buona verosimiglianza, che la città ebbe origine, nel corso del VII sec. a.C., dal sinecismo dei nuclei che in età geometrica occuparono non solo la collina di Haghios Ioannis, che costituì poi l'acropoli cittadina, ma anche le balze meridionali di Prophitis Ilias (scavi 1987-88). Questa collina a E e quella di Haghios Ioannis a O, con le alture intermedie di Pervolopetra e Armi, costituirono in ogni tempo l'ultimo ostacolo allo sbocco nella pianura della Messarà, per chi fosse giunto dal Nord dell'isola, dalla via di Prinias. È sulla cresta e sulle balze più alte di queste colline che fra il 1981 e il 1986 sono state rinvenute e scavate le fortificazioni che, in età ellenistica, coprirono G. da N. Si tratta di due cinte murarie costruite in momenti diversi, ma in parte sullo stesso tracciato, poste a controllo della via che sboccava nella piana passando nella gola del Mitropolianòs, fra la collina dell'acropoli e quella di Pervolopetra. Il muro più antico aveva uno spessore variabile fra 3,80 e 4,50-5 m ed era costruito con massi di arenaria locale appena sbozzati, disposti a doppio paramento con un èmplekton di schegge di pietre e terra. Sulla base dello scarso materiale rinvenuto si data fra il III e il II sec., ed è probabile che si tratti della cinta che secondo Strabone (X, 4, 11) Tolemeo IV Filopatore aveva regalato ai Gortinî e che sarebbe rimasta incompleta essendone stati realizzati solo 8 stadi. La seconda cinta seguiva un percorso più ristretto ed era costituita da due circuiti separati da un diatèichisma N-S sul versante orientale di Pervolopetra. Il muro, spesso non più di 1,50-2 m, era costruito con la stessa tecnica e gli stessi materiali della prima cinta; aveva sia torri esterne sia piccole torri (più che «casematte») interne e sulla sommità di Pervolopetra fu realizzata anche un'ampia torre (10 x 9 m) per baliste. La costruzione di questa seconda cinta si data a partire dagli anni 85-82 (bronzo di G.) e l'abbandono dovette avvenire verso il 31-30 a.C. (tesoretto di monete di Cnosso) in seguito a un violento terremoto che la distrusse durante lavori di rifacimenti parziali o di rafforzamento.
Scendendo in pianura, rari ma significativi elementi sono stati acquisiti anche per la conoscenza della città arcaica. In un sondaggio aperto a un centinaio di m a SE di S. Tito (1978, settore L), furono rinvenuti 5 frammenti ceramici databili fra la fine del IX e la seconda metà dell'VIII secolo. Essi costituiscono una testimonianza di vita, già in età geometrica, nella pianura fra il Mitropolianòs e il tempio più antico (VII sec.) di Apollo Pizio, che una scoperta recente (1989, sotto la strada a O del Pretorio) ci assicura essere stato ubicato a meno di 100 m da un torrente, il quale, scendendo fra le colline di Pervolopetra e Armi, costituì il confine orientale dell'area su cui si estese la città nelle sue fasi più antiche.
Nel corso del VII sec. la città orientalizzante, frutto di un processo di aggregazione degli antichi poli geometrici, si stese in piano, mentre l'acropoli di Haghios Ioannis rimase sede del culto poliade, quello di Atena, di ascendenza addirittura micenea; il fatto che già dal VII sec. G. dominasse l'ampia pianura del Leteo fino a Festo e al mare è suggerito da alcuni versi della Telemachia nell’Odissea (III, 293-296).
Il forte interro pluristratificato che copre le fasi più antiche di G. ha impedito di raggiungere l'abitato classico e quello arcaico; di quello ellenistico, grazie agli scavi di emergenza del 1978 e del 1979, abbiamo significative testimonianze. All'altezza dell'odierno villaggio di Mitropolis e a S di esso vi furono abitazioni sparse fra il III e il II-I sec. a.C.; nel settore Β della trincea scavata nel 1979 una strada lunga 2,80 m, pavimentata a ciottoli di fiume, delimitava un'abitazione orientata grosso modo N-NO/S-SE. Un abitato continuo è stato individuato solo 80 m più a Ν di quest'ultima abitazione (isolata?), c.a 600 m a S dello stradale Haghioi Deka-Mires ed è stato saggiato per una lunghezza di c.a 250 m. Le abitazioni, con muri di pietrame e terra, appaiono divise da vie orientate fra O-NO e E-SE che incrociano altre con direzione N-NE/S-SO; fra esse ne è stata individuata una larga ben 5 m, nella quale, ai margini della carreggiata e a piccola profondità, correvano le tubazioni d'acqua potabile (1979, settore D). Che questo impianto stradale sia sopravvissuto in età imperiale è dimostrato da una strada NE-SO (la via per Lebena?) pavimentata a grandi basoli di calcare, rinvenuta (1979, settore E, 18) subito a S della nuova grande basilica cristiana che è stata individuata e saggiata (1979-80, 1991) fra 300 e 400 m a S di quella ben nota di S. Tito.
Pur senza l'alta concentrazione dell'età ellenistica, un abitato sopravvisse anche in età imperiale nell'area compresa fra l'agorà civile greca-protoimperiale - raggiunta dai profondi saggi dello Halbherr a S dell'Odeon, ai piedi della collina di Volakas - e l'abitato di Metropolis; e ancora nella parte più settentrionale di esso s'impiantò, successivamente, con lo stesso orientamento, un importante quartiere bizantino. Alla piena età ellenistica va attribuito anche il lembo di necropoli scavato nel 1975 da A. Karetsou, a O della città romana (che non superò mai di molto il Mitropolianòs), nei campi del locale Istituto Agrario. Si tratta di tombe a fossa rivestite di lastre e di poche altre a camera costruite con blocchi (anche riutilizzati) di calcare o di alabastro, precedute da un pozzetto a gradini; vi sono stati recuperati elementi di corredo di una certa ricchezza, fra cui una piccola coppa «megarese» in argento.
All'età ellenistica vanno attribuite anche le terrecotte figurate affiorate di recente durante lavori di aratura (1989) nel Santuario di Demetra e Kore che stava fuori della città, alla base della collina di Prophitis Ilias, mentre, c.a 500 m più a E e subito a Ν del ginnasio di Haghioi Deka, è verosimile che sorgesse un ceramico, come i numerosissimi frammenti fittili che si raccolgono in superficie portano a credere. Più numerose sono le scoperte riguardanti la città romana. G., che aveva parteggiato per Ottaviano contro Cnosso legata a Cleopatra e Antonio, si arricchì di nuovi quartieri al di là del torrente che limitava l'area davanti al Pỳthion e che, colmato e ridotto a strada, servì a regolarizzare da E l'area stessa. Che ciò sia avvenuto ancora in età ellenistica è possibile; sta di fatto che si ebbe qui un'area trapezoidale, verosimilmente una piazza, che legò il vecchio impianto urbano al nuovo, i cui assi appaiono orientati più decisamente verso SE e che si estese per ancora c.a 1 km verso S e SE.
A conclusione della vecchia città restava il veneratissimo Pỳthion, ad apertura della nuova il grandioso pretorio, la residenza del proconsole delle provincie di Creta e Cirene che, all'origine, dovette ospitare anche un tribunal e un'edicola per il culto imperiale. Ancora non è possibile datare con precisione nell'ambito del I sec. d.C. la fase più antica dell'edificio, la quale, comunque, non varcò la fine del secolo. È evidente, invece, che ai margini dello sviluppo programmato della città imperiale sorsero fra il II e il III sec. i tre più grandi edifici comunitari: da Ν a S, l'anfiteatro, un grandioso teatro e il circo.
Né l'anfiteatro né il circo furono raggiunti dalle abitazioni, ma lo sviluppo della; necropoli di età imperiale li superò ampiamente; tombe d'età medio-imperiale sono state rinvenute fino all'estremità orientale di Haghioi Deka. Nell'abitato stesso di Haghioi Deka è stato identificato l'anfiteatro, il cui muro del circuito settentrionale resta tuttora utilizzato dalle case del villaggio. Uno scavo d'emergenza (1985) presso la chiesa dei Ss. Dieci ha portato alla luce le fondazioni, mal conservate, di un cuneo dell'edificio e la chiesetta appare essere sorta sull'asse maggiore (NOSE) dell'arena, mentre la sua navata centrale, che è più bassa rispetto al piano attuale di c.a 2 m, è rimasta nei secoli allo stesso livello dell'antica arena. Si può dedurre che proprio nell'anfiteatro furono martirizzati sotto Decio i dieci cristiani che il villaggio ancora ricorda nel suo nome. I martiri furono seppelliti poco distante, nella necropoli che si stendeva fra anfiteatro e città, e la tradizione individua, ma a torto, la loro sepoltura in una camera a loculi sotto l'attuale chiesetta di Haghia Limni. Peraltro, poche decine di metri a Ν di questa chiesetta gli scavi del 1982 hanno portato alla luce un'area funeraria che, avendo una cista di laterizi (osteoteca) inserita nel pavimento del vano principale, si suppone fosse un martỳrion.
La necropoli Ν (un'altra, amplissima, è stata individuata a S della città fra il circo e Mitropolis) si allungava da Haghioi Deka fino all'Odeon e a S. Tito, con recinti funerari e tombe anche importanti, come una a camera di II-III sec., costruita in grandi blocchi squadrati (ed elementi di età ellenistica riadoperati), la quale conserva ancora, intatta, la porta, un monoblocco di calcare.
Più vicino all'abitato, del quale doveva costituire il margine orientale, fu costruito, forse sotto Antonino Pio (una cui statua colossale ornava la fronte della scena volta a occidente), un grandioso teatro. La scena era a tre (?) piani e l'edificio venne ad aggiungersi al teatro romano del Pỳthion e a quello greco tagliato nella pendice meridionale dell'acropoli, a O del Mitropolianòs, ma collegato da un ponte all'Odeon romano che s'inserì verosimilmente in un ekklesiastèrion d'età ellenistica, nel quale vennero riportati, da un ekklesiastèrion più antico, i blocchi della Grande Iscrizione. Questo nuovo grande teatro romano, sulla base di un'incerta tradizione antiquaria e di un rilievo sommario e impreciso, è stato finora ritenuto un anfiteatro, ma a torto. Ancora c.a 300 m verso S è stato possibile identificare i carceres del circo, di cui è stato messo parzialmente in luce il lato lungo nord-occidentale.
Quanto al pretorio, sappiamo che esso e il complesso termale detto Megali Porta sono collocati su uno stesso allineamento NE-SO (i prospetti settentrionali dei due edifici distano fra loro c.a 410 m) e si ritiene che abbiano fatto parte di isolati, all'incirca quadrati, larghi intorno ai 93 m. Mentre gli edifici della Megali Porta nacquero fin dall'inizio (II sec.?) come le maggiori terme di G., poste a chiudere a O la più grande piazza della città romana (un vero e proprio foro, sul cui lato Ν sorsero due piccoli edifici pubblici pressoché gemelli e nella cui area fu poi costruita una basilica cristiana) nel pretorio, sul finire del I sec. o all'inizio del II, avvennero profonde trasformazioni. Distrutto da un terremoto il pretorio di I sec., costruito tutto in bei blocchi lapidei attorno a un grandioso cortile a peristilio aperto a S, sulle sue rovine sorsero a E un tempio su un alto podio preceduto da un'ampia corte e, a O, terme imponenti che durarono, con numerose modifiche e rifacimenti, fino al tardo VII secolo. Sul settore occidentale di queste terme si costruì, dopo il terremoto del 365, come edificio a sé stante, il «nuovo pretorio» o la «basilica» delle iscrizioni tarde.
Fra il 618 e il 620 un violento sisma devastò non solo G. ma anche Cnosso e forse l'intera isola; la ricostruzione della città fu opera di Eraclio.
Il complesso del pretorio, sia pure parzialmente, fu restaurato, ma l'impegno maggiore fu indirizzato alla ricostruzione della rete idrica della città e dei monumenti cristiani. La città cristiana ebbe il suo focus nella grandiosa basilica rinvenuta a metà strada fra Mitropolis a S e S. Tito a N. Contando S. Tito, la basilica di Mavropapas, il c.d. Martỳrion triconco, già noti, e un'altra basilica più piccola inedita nei pressi del Mitropolianòs, a O di quella già indagata, si hanno, in una fascia di 600-700 m per 300, ben cinque edifici sacri, tanti da far supporre ragionevolmente che qui risiedesse il metropolita di Creta e che questo fosse il centro della nuova città cristiana, la νέα Γόρτυνα delle iscrizioni.
La basilica, larga più di 30 m e lunga più di 50, ebbe due fasi e in entrambe occupava un intero isolato fra due strade basolate provenienti da O-NO, di cui una larga 6,60 m, le quali ricalcavano ancora i tracciati della città greco-romana. Un'altra strada, d'ampiezza minore, è stata individuata poco più a monte della basilica, la cui fogna (l'impianto fognario fu tenuto in efficienza fino alla fine in tutta la città) ha fornito utilissimi elementi di datazione (1979, settore I). La prima basilica, forse già a cinque navate, è attribuibile a età tardo-giustinianea, la seconda è posteriore al 618-620. Quest'ultima, pavimentata con spesse lastre di marmo, aveva finestre a lastre di vetro inserite in una intelaiatura di gesso. Nella più antica erano mosaici pavimentali con disegni geometrici e di animali, mentre entrambe avevano mosaici parietali di pasta vitrea.
Poco a E di questa basilica, la più importante di G. e dell'intera Creta per dimensioni e qualità dei materiali, sono stati individuati almeno due ampi recinti che custodivano tombe di riguardo (vescovi? santi?) e, addossati alla parete Ν di uno di questi, si sono rinvenute tre notevoli sepolture «à caisson» (1979, settore C). Come tutta la città, anche questa basilica fu distrutta da un sisma di eccezionale potenza negli ultimi anni di regno di Costante II o nei primi di Costantino IV, intorno al 670.
Evidenze di questo sisma emergono da tutta l'area della città e soprattutto dal quartiere di artigiani che, dopo il terremoto del 365 d.C., venne a occupare la piazza fra Pỳthion e pretorio. Passato attraverso almeno cinque fasi, venne infine distrutto nel 670; uno dei forni di ceramisti qui trovato produceva ancora un particolare tipo di ceramica dipinta che ora sappiamo prodotta in loco dal volgere del VI sec. e che costituisce la ceramica fine imperante a G. durante almeno tutto il VII sec. (ma continua nell'VIII): dopo il 670, spezzata per sempre l'unità cittadina, un nucleo di artigiani rioccupò parzialmente il quartiere mentre un monastero con cappella s'installò anche fra le rovine del complesso monumentale del vicino pretorio; ma oltre a questo e a qualche altro nucleo (1979, settore L) sopravvissuto per circa un secolo fra le rovine della città, la popolazione ritornò sull'antica acropoli, cinta, probabilmente da Eraclio, da mura possenti.
A quest'ultimo va certamente attribuita la costruzione di gran parte delle c.a quaranta cisterne-fontane che fornirono acqua ai vari quartieri nell'ultima fase di vita cittadina. Tali cisterne prendevano acqua da tre rami di un acquedotto costruito in soprassuolo, forse nel corso del VI sec., dal momento che i terremoti avevano messo fuori uso l'imponente rete di tubuli sotterranei che, almeno dalla prima età imperiale, portava l'acqua potabile ovunque. Del ramo C sono stati individuati i piloni degli archi che sorreggevano il canale lungo la strada che limitava da O la basilica del pretorio e che raggiungeva un grande deposito-fontana all'altezza della Megali Porta. Da questi rami principali, al tempo di Eraclio, canali su lunghi muri portavano acqua alle varie fontane, le quali, con la loro decorazione in laterizio, costituiscono ancora oggi i resti più evidenti in soprassuolo dell'antica città bizantina.
Sono infine da ricordare le numerose sculture recuperate nell'area del pretorio e l'inventario metodico di sarcofagi e capitelli provenienti dall'area dell'antica città che hanno dato luogo a recenti estese pubblicazioni. I rapporti stilistici appaiono vivi, in età ellenistica, oltre che con Atene, con la Sicilia e Alessandria e dalla media età imperiale con l'Asia Minore.
Del resto anche la grande quantità di ceramica catalogata mostra uno stretto rapporto con l'Asia Minore sino alla fine della città, ma anche con l'Africa settentrionale, l'Egitto, la Siria, Cipro fino a che questi paesi furono strappati all'impero bizantino dagli Arabi. Creta, attraverso G. sua capitale, mostra ancora una volta il suo ruolo di punto di incontro fra Oriente e Occidente, di plaquetournante dei traffici mediterranei dell'impero bizantino.
Bibl.: Notizie di scavo: A. Di Vita, Atti della Scuola, in ASAtene, XXXIX, 1977; XL, 1978; XLI, 1979; XLII, 1980; XLVI, 1984; XLVII, 1985; XLVIII-XLIX, 1986-1987; AA.VV., Creta antica. Cento anni di archeologia italiana (1884-1984), Roma 1984, in part. pp. 69-116 (con bibl.).
Gli scavi del 1978 sono stati pubblicati in edizione definitiva in A. Di Vita e altri, Gortina I (Monografie della Scuola archeologica di Atene e delle Missioni italiane in Oriente, 3), Roma 1988 (in part., pp. 142-149, A. Di Vita, Appendice II. La ceramica bizantina a decorazione stilizzata sovradipinta). - V. inoltre: L. Guerrini, Statua di Nemesi da Gortina, in ASAtene, XLVI, 1984, pp. 113-139; M. A. Rizzo, Capitelli corinzio-italici da Creta, ibid., pp. 151-175; A. Dello Preite, Le importazioni di ceramica fine a Gortina e a Creta tra il IV e il VII sec. d.C., ibid., pp. 177-197; F. Ghedini, Sculture dal ninfeo e dal pretorio di Gortina, ibid., XLVII, 1985, pp. 63-248; E. Ghisellini, Sarcofagi romani di Gortina, ibid., pp. 249-335; M. Ricciardi, Il tempio di Apollo Pizio a Gortina, ibid., XLVIII-XLIX, 1986-1987, pp. 7-130; A. A. Ortega, Il ninfeo presso il pretorio, ibid., pp. 131-174; M. Livadiotti, G. Rocco, Note sull'uso dei distanziatori fittili per la realizzazione di intercapedini nei calidaria. Le terme del pretorio a Gortina (Creta), ibid., pp. 353-387.