Gösta Berlings saga
(Svezia 1923-24, 1924, La leggenda di Gösta Berling o I cavalieri di Ekebù, colorato, 164m a 22 fps); regia: Mauritz Stiller; produzione: Svensk Filmindustri; soggetto: dall'omonimo romanzo di Selma Lagerlöf; sceneggiatura: Mauritz Stiller, Ragnar-Hyltén Cavallius; fotografia: Julius Jaenzon; scenografia: Ragnar Brattén, Erik Jerken, Vilhelm Bryde; costumi: Ingrid Günther.
Nella Svezia d'inizio Ottocento si consumano gli intricati e tormentati amori di Gösta Berling, pastore d'anime e pallido dongiovanni. Al servizio della contessa Dohna, fa innamorare di sé la figliastra della sua protettrice ed è causa involontaria del suo suicidio: Gösta infatti non può ricambiare i sentimenti della giovane Ebba perché il suo cuore è già preso dall'impossibile amore per Elisabeth, la bella moglie infelice del fratello di lei. Si trasferisce quindi nel castello di Ekebù, proprietà del conte Samzelius: questi però, poco dopo l'arrivo di Gösta, ha l'amara sorpresa di scoprire che il castello di cui è tanto fiero gli era stato donato da qualcuno che credeva un amico, ed era invece l'amante della moglie Margaretha. Scacciata, la donna si rifugia nel grande parco che circonda il castello, dove Gösta la cerca invano e dove s'imbatte invece in Marianne, figlia del conte e altra vittima del suo fascino. La sfortunata giovane trova subito dopo la morte nel devastante incendio che Margaretha provoca per distruggere il castello, prova del suo adulterio. Su un orizzonte di neve e di fuoco, Gösta reincontra Elisabeth, pronta a scivolare fuori dal suo languente matrimonio: qualche tempo dopo, con la benedizione della contessa Margaretha appena uscita di prigione, i due si confessano infine il reciproco amore.
Il più celebre film di Mauritz Stiller fu il canto del cigno dell'epoca d'oro del cinema svedese e l'ultima regia personale del suo autore, che Hollywood avrebbe poi trattato con crudeltà. Gösta Berlings saga è un film dai molti pregi: uno spettacolo magico (sia pur criticato dai contemporanei per aver annacquato la densità psicologica del romanzo di Selma Lagerlöf), elegiaco, tragico e profondo, della profondità propria ai grandi racconti epici e popolari. La complessa orchestrazione delle passioni rivela talento e immaginazione melodrammatica, la cupa visione del mondo dei personaggi viene evocata con una forza poderosa che apre però spiragli alla perpetua ricerca della felicità che li abita ‒ felicità nella sua variante scandinava, ovvero fatta di brevi momenti, perduti ancor prima di essere consumati dal grottesco gioco della vita.
Pur ricco di straordinari e regali personaggi femminili, il film è dominato dal suo protagonista maschile: Gösta Berling è la personificazione delle esistenze fallite a metà, un prete caduto in rovina che affonda il coltello nell'ipocrisia morale del suo ambiente. È uno dei grandi personaggi cui Lars Hanson ha prestato il proprio ardente e malinconico talento. Gösta Berling vive tra ricerca spirituale ed estasi erotica, in una sorta di passione dostoevskiana la cui rappresentazione trova forme che sono invece squisitamente stilleriane e debordano verso il kitsch: allucinazioni di inquiete memorie, paesaggi onirici, immedicabile Angst e momenti di intimità nella notte più scura.
Gösta Berlings saga si rivelò inoltre il punto più alto nella carriera di pigmalione di Stiller. La trasformazione da lui operata su una paffuta ragazza svedese di diciannove anni, fino a farla diventare 'materiale' luminoso pronto per Hollywood, rimane fenomeno insuperato e misterioso nella storia pur avventurosa dello star-system. La sofferenza e la richiesta di tenerezza che qui esprime Greta Garbo sono tanto più acute proprio perché affidate a un'allure già distante e altera. Il momento in cui la sua Elisabeth, nel vestito scollato che esalta la pelle di neve, tocca il proprio anello nuziale e se lo toglie dal dito consegna Greta Garbo al suo mito; e la scena dell'incontro notturno con Lars Hanson sul ghiaccio, davanti al castello in fiamme, è una delle più grandi sequenze del cinema di tutti i tempi. Le immagini dei cavalli che galoppano furiosamente trainando le loro slitte sul ghiaccio, dei lupi sempre più vicini ai due personaggi (scene d'azione magnifiche, selvagge eppure delicate) lasciano infine spazio alla confessione del loro impossibile amore; e quindi all'indimenticabile immagine di Greta Garbo che, con soave timidezza, chiude gli occhi quando lui le bacia la mano. E fu naturalmente per l'immensa celebrità della Garbo che il film, inizialmente diviso in due parti da proiettarsi separatamente, dopo la morte di Stiller venne compattato in una versione della durata di poco più di 140 minuti che dava massimo risalto al personaggio di Elisabeth.
Il critico svedese Gösta Werner, grande studioso di Stiller, ha sottolineato che il montaggio di Gösta Berlings saga contribuisce a rendere ancora più profonda la drammatica evoluzione interiore dei personaggi, e attraverso il cambiamento del punto di vista offre allo spettatore molteplici possibilità di identificazione. Il ri-tmo del film assume così un pulsare quasi umano, che cresce scena dopo scena. Storia di sentimenti crudelmente compromessi da regole sociali che hanno perso il loro senso e scopo, di vite emarginate e umiliate e tuttavia capaci di non abdicare a un barlume di speranza, Gösta Berlings saga si configura come paesaggio luminoso e incantato di illusioni che trovano nell'amore assoluto la loro estrema ragione.
Interpreti e personaggi: Lars Hanson (Gösta Berling), Gerda Lundequist (Margaretha Samzelius), Hilda Forsslund (sua madre), Otto Elg-Lundberg (conte Samzelius), Greta Garbo (Elisabeth Dohna), Jenny Hasselquist (Marianne), Ellen Cederström (contessa Martha Dohna), Torsten Hammarén (conte Henrik Dohna), Mona Mårtenson (Ebba Dohna).
C. Vincent, La leggenda di Gösta Berling, in "Cinema", n. 23, 30 settembre 1949.
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