GOTEBOLDO
La data della sua nascita è sconosciuta e l'unica notizia che si ha sulla sua vita prima dell'elezione a patriarca di Aquileia, avvenuta nel 1049, è fornita dal cronista Erimanno, il quale riferisce che in quella data G. era "prepositus Nemetensis".
G. assunse la carica di patriarca di Aquileia in un periodo in cui le plurisecolari tensioni con il patriarcato di Grado e il Ducato di Venezia si erano riaccese in modo estremamente aspro. Basti pensare che verso il 1024 il patriarca di Aquileia Popone aveva condotto contro Grado una vera e propria spedizione militare risoltasi con l'incendio di una parte della città e con il saccheggio di alcune chiese.
G. non giunse mai a questi eccessi, ma proseguì la politica dei suoi predecessori di opposizione nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche veneziane. Le sue azioni non furono tuttavia coronate da successo. Nel 1050-51 sostenne il vescovo di Treviso, che era ricorso alla falsificazione di un diploma dell'imperatore Enrico II per usufruire le decime di due curtes, che venivano riscosse dal monastero veneziano di S. Ilario, anche se le curtes si trovavano nella diocesi di Treviso.
In un primo momento il diploma falsificato fu confermato da Enrico III, ma poi l'abate di S. Ilario, grazie ai diplomi originali di Ottone III, Enrico II e Corrado II - che, a dire la verità, avevano confermato un falso attribuito a Carlo il Grosso - riottenne i suoi diritti sulle suddette curtes.
Ben più scottante fu la sconfitta subita nel 1053, anno in cui, in un concilio tenutosi a Roma, papa Leone IX promulgò una sentenza in base alla quale Grado, definita "Nova Aquileia", doveva essere considerata per sempre "caput et metropolis" della provincia ecclesiastica della "Venetia et Histria", mentre il patriarca aquileiese, definito "Forojuliensis episcopus", doveva limitarsi a esercitare la sua autorità sulla terraferma. Dal punto di vista pratico non cambiava nulla, però questa sentenza rappresentava un duro colpo per il prestigio del patriarca di Aquileia. Si è ipotizzato che essa fosse frutto dell'attrito esistente tra Leone IX e G., il quale non aveva aiutato molto il papa nella sua lotta contro la simonia.
Alla morte di Leone IX (1054), il patriarca quasi sicuramente sperava di indurre, con l'aiuto di Enrico III, il nuovo papa Vittore II a cambiare questa sentenza. Non poté però realizzare il suo progetto, perché l'imperatore morì poco dopo, lasciando un figlio minorenne. Un indice dell'importanza attribuita da Enrico III a G. è rappresentato dal fatto che, insieme con il papa e con il vescovo di Ratisbona, egli fu convocato dal sovrano in punto di morte probabilmente per discutere degli affari dell'Impero e decidere a chi affidare la reggenza durante la minorità di suo figlio.
G. non dimenticò l'affronto subito nel 1053, e, appena Enrico IV fu dichiarato maggiorenne, tornò ad avanzare le sue pretese di supremazia su Grado. Nel 1062 egli infatti - avendo probabilmente compreso che, a causa del progressivo deterioramento dei rapporti tra la corte tedesca e la S. Sede, il giovane sovrano aveva bisogno di alleati in Italia - si recò in Germania e ottenne da Enrico IV la conferma dei privilegi su Grado, rilasciati in precedenza dagli imperatori ai patriarchi di Aquileia. Il fatto che questa alleanza fosse già stata stabilita pare essere confermato dal particolare che né G. né i vescovi da lui dipendenti furono presenti al concilio del 1059 nel quale vennero cambiate le modalità di elezione del papa; in base a esse l'imperatore infatti perdeva di fatto tutti i poteri di controllo fino ad allora detenuti.
La reazione veneziana alla mossa di G. non si fece però attendere. Nel 1064, infatti, in occasione del concilio di Mantova, che riconobbe definitivamente papa Alessandro II contro Onorio II (Cadalo), che era stato sostenuto dalla corte tedesca, Alessandro II rinnovò la dignità patriarcale al patriarca di Grado Domenico, andando così contro il decreto di Enrico IV del 1062.
Questa ulteriore umiliazione da parte papale fu però risparmiata a G., che era morto nel 1063.
G. non si dedicò esclusivamente a riottenere il riconoscimento dei diritti di primazia della sua sede su quella di Grado. Si ha infatti testimonianza che egli ebbe particolarmente a cuore anche il sostentamento degli ecclesiastici e la riparazione degli edifici religiosi andati in rovina. Un documento, del quale non si conosce la data, attesta che il patriarca elargì al monastero di S. Maria in Valle a Cividale quattro massarizie situate ad Ampezzo nella Carnia, i cui proventi dovevano essere consegnati alle monache di quel cenobio in occasione delle quattro festività di Maria.
In un documento del 1062 invece si riferisce che G., accortosi della penosa situazione in cui si trovava la chiesa di S. Stefano di Aquileia, ormai cadente e non più utilizzata da moltissimo tempo, decise di farla riparare, di riconsacrarla, di dotarla di numerose reliquie di vari santi e di costruire un monastero nel quale pose dei canonici regolari. Per il loro mantenimento assegnò al monastero un mulino sul fiume Rovedola e numerosi appezzamenti di terra.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss.lat., cl. XIV, 133 (4284): B.M. De Rubeis, Dissertationes variae eruditionis de rebus praesertim Forojuliensibus et patriarcharum Aquileiensium…, p. 115; Herimannus Augiensis, Chronicon, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, V, Hannoverae 1844, p. 128 (a. 1049); Lambertus Hersfeldensis, Annales, a cura di L.F. Hesse, ibid., p. 157 (a. 1056); Heinrici IV. Diplomata, a cura di D. v. Gladiss, Ibid., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, VI, 1, Berolini 1941, pp. 128 s.; P.F. Kehr, Italia pontificia, VII, 1, Berolini 1923, pp. 30 s.; B.M. De Rubeis, Monumenta Ecclesiae Aquileiensis, Argentinae 1740, col. 530; G. Marcuzzi, Sinodi aquileiesi, Udine 1910, p. 323; P. Paschini, Vicende del Friuli durante il dominio della casa imperiale di Franconia, in Memorie storiche forogiuliesi, IX (1913), pp. 178-184; P. Kehr, Rom und Venedig bis ins XII. Jahrhundert, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XIX (1927), pp. 96-101; H. Schmidinger, Patriarch und Landesherr. Die weltliche Herrschaft der Patriarchen von Aquileja bis zum Ende der Staufer, Graz-Köln 1954, pp. 14 s., 41, 166; R. Cessi, Venezia ducale, II, 1, Commune Venetiarum, Venezia 1965, pp. 36 n. 1, 54; P.S. Leicht, Breve storia del Friuli, Udine 1977, p. 102; C.G. Mor, Il patriarcato "de parte Imperii", in Il Friuli dagli Ottoni agli Hohenstaufen. Atti del Convegno internazionale di studio, … 1983, a cura di G. Fornasir, Udine 1984, pp. 8 s.; M.L. Iona, Note di diplomatica patriarcale. Gli scrittori dei documenti solenni da Pellegrino a Goffredo, ibid., pp. 248, 260-262, 296; P. Paschini, Storia del Friuli, a cura di G. Brusin, Udine 1990, pp. 225-228, 257, 271; D. Rando, Una Chiesa di frontiera. Le istituzioni ecclesiastiche veneziane nei secoli VI-XII, Bologna 1994, p. 131 n. 368; P. Cammarosano, Patriarcato, Impero e Sede apostolica, 1077-1251, in Il patriarcato di Aquileia. Uno Stato nell'Europa medievale, a cura di P. Cammarosano, Udine 1999, pp. 237, 243-245, 248 s., 251, 256 n. 126.