GOTICO
Il termine G. entrò in uso tra gli umanisti italiani durante il sec. 15° per definire quegli aspetti del mondo contemporaneo che, alla luce di un passato classico idealizzato, ricevevano un giudizio negativo e fu successivamente esteso all'arte dell'epoca precedente. Peraltro, coloro che avevano costruito nello stile poi definito gotico, sembra non avessero neppure una chiara idea del fatto che ciò che essi stavano realizzando aveva caratteri peculiari, tali da meritare in seguito una denominazione specifica.L'abate Suger - per il quale si suppone tale stile sia stato creato - nei suoi numerosi scritti su Saint-Denis non mostra di essere cosciente del fatto che egli stava promuovendo una rivoluzione in architettura. Nel sec. 13°, tuttavia, il cronista tedesco Burcardo di Hall (Chronicon Ecclesiae Collegiatae S. Petri Winpiensis), nel vedere la nuova chiesa di Wimpfen im Tal, la descriveva come opus francigenum, indicazione importante perché nel secolo precedente Gervasio di Canterbury (Tractatus de combustione et reparatione Cantuariensis ecclesiae), pur essendo a conoscenza che il nuovo coro della cattedrale era opera di un artista francese, non aveva per questo definito francigenum l'edificio, che per lui costituiva semplicemente un progresso rispetto a quello che lo aveva preceduto. Quando, sullo scorcio del sec. 14°, i costruttori lombardi attivi al duomo di Milano si trovarono di fronte esperti provenienti dalla Francia e dalla Germania, era chiaro che, nelle questioni di progettazione e costruzione, si erano ormai evidenziate varie tendenze nazionali; ma, pur nelle differenziazioni regionali, si esprimeva la lingua franca di uno stile ormai maturo, quello che fu poi detto Tardo Gotico.E alla fine del Medioevo, quando vari costruttori tedeschi ebbero a scrivere della pratica relativa alla loro professione, essi non avevano ancora coscienza di una periodizzazione stilistica della storia dell'architettura.La mancanza per il Medioevo di un omologo di Vitruvio ha impedito di conoscere le basi teoriche degli architetti medievali riguardo agli edifici che essi realizzarono, e di conseguenza la comprensione di questi ultimi è rimasta per più di cinquecento anni in balìa di pregiudizi, opinioni e idee preconcette, quasi tutte ispirate dalle esperienze artistiche predominanti del momento.Il tentativo più esaustivo di delineare l'evoluzione del concetto di G. in tutti i suoi risvolti si deve a Frankl (1960). In origine il termine non si riferiva in modo particolare all'architettura: Leon Battista Alberti poteva utilizzarlo per un'opera di scultura, mentre Lorenzo Valla lo riferiva alla scrittura; in entrambi i casi con una connotazione spregiativa. Il termine deriva evidentemente dai Goti, una delle popolazioni germaniche responsabili della caduta dell'Impero romano, che aveva saccheggiato Roma nel 410, cosa che si era ripetuta nel 455 a opera dei Vandali. I francesi e i tedeschi che invadevano l'Italia, gli uni nel 1494, gli altri nel 1527, dovevano necessariamente ricordare agli italiani colti le antiche incursioni provenienti dal Nord delle Alpi: il termine G., con quanto di rozzo, misterioso e forse ridicolo poteva suggerire, doveva quindi sembrare adeguato a esprimere il disprezzo nei confronti della selvaggia architettura del Nord. Invece, quando si manifestò la necessità di un aggettivo adeguato per descrivere il comportamento della folla parigina durante la Rivoluzione francese nell'ultimo decennio del sec. 18°, si scelse il termine vandalismo, entrato nell'uso di molte lingue, proprio perché ormai il termine G. aveva perso la sua accezione negativa e non era più sinonimo di distruzione gratuita e sconsiderata.Era stato Rabelais, nel 1533, a introdurre il vocabolo nella lingua francese (Pantagruel, I, 8); con quella stessa accezione dispregiativa venne fissato da Vasari nelle Vite e per suo tramite determinò l'atteggiamento critico nei confronti dell'architettura medievale dei secoli successivi.Nella visione tripartita della storia - sostituita dagli umanisti alla struttura bipartita avallata dalla Chiesa - che prevedeva un lungo periodo di declino, il Medioevo, tra due apici di civilizzazione, il G. era designato a riempire il lungo intervallo che separava l'architettura classica dalla moderna.Due aspetti del G. colpirono gli italiani per la loro evidenza: il suo carattere primitivo e la sua origine tedesca. La forma che apparve come più caratteristica fu l'arco acuto, che per trecento anni fu universalmente riconosciuto come elemento distintivo del Gotico. Quando all'atteggiamento di disprezzo si sostituì la curiosità, per prima cosa si formulò il quesito di come gli architetti medievali fossero giunti a elaborare l'arco acuto. La prima risposta fu che esso derivasse dall'intreccio dei rami e dei tronchi degli alberi; sarebbe stata una forma connaturata ai popoli di stirpe germanica che provenivano dalle foreste settentrionali. Tale spiegazione era gradita ai colti umanisti, che avevano acquisito le loro nozioni di architettura attraverso Vitruvio, poiché essa riecheggiava il racconto dello scrittore latino, il quale poneva le origini dell'ordine dorico nella costruzione in legno (De architectura, II, 1, 3).Non è necessario sottolineare come per una seria spiegazione delle origini del G. non si possa partire dalla 'teoria della foresta'; non può però essere del tutto tralasciata l'ipotesi di un'interazione tra costruzione in legno e muratura, che venne infatti ripresa alla fine dell'Ottocento da Courajod (1899) in Francia e da Strzygowski (1926) in Germania. La memoria subliminale della nativa foresta ancestrale che poteva aver condizionato il carattere dell'ipotetico uomo 'gotico' inventore dell'arte e dell'architettura gotica catturò l'immaginazione di una generazione di storici dell'arte tedeschi che cercavano le origini dello stile nel profondo della psicologia antropologica.La convinzione che gli archi dovessero avere un profilo semicircolare o acuto, sebbene corrispondesse alla realtà, era tuttavia superficiale, poiché la distinzione è puramente visiva; la presunta superiorità della forma semicircolare dipendeva in definitiva dal concetto platonico per cui il cerchio è la forma perfetta. Lo pseudo-Raffaello (Schlosser, 1924; Frankl, 1960) nel sec. 16° poteva persino ipotizzare che un arco semicircolare con un unico centro potesse sostenere un peso maggiore di quello sostenuto da un arco acuto con due centri, come se l'efficienza potesse coincidere con la concentricità. Questo macroscopico errore rifletteva una concezione ingenua della scienza della meccanica e indica come venisse ancora accettata la fisica aristotelica. Proprio l'ignoranza del comportamento degli archi costituì il punto debole dell'attacco del Rinascimento nei confronti del Gotico.Nel linguaggio della meccanica, scienza affermatasi nel corso dei secc. 17° e 18°, le strutture stanti potevano essere comprese come complessi di forze in uno stato di equilibrio statico; ciò poté costituire a tempo debito la base per l'apprezzamento del G. dal punto di vista tecnico, che rovesciava diametralmente il verdetto del Rinascimento. Il primo passo verso una rivalutazione del G. fu la teoria della curva catenaria di Johann Bernoulli del 1691 e la scoperta, fatta da David Gregory nel 1698, che le forze generate da un arco portante si scaricano lungo la linea di una curva catenaria rovesciata. La capacità di portare peso propria di un arco era strettamente legata al suo profilo; più alta era la chiave rispetto alla luce dell'arco, proporzionalmente maggiore diventava il peso che esso poteva portare. Da questo punto di vista un arco a sesto acuto che si avvicinava a una curva catenaria era più efficiente di un arco a tutto sesto. La prima riluttante ammissione che gli archi acuti erano probabilmente più resistenti "dei nostri archi semicircolari" si deve a Soufflot nel 1741 (Mondain-Monval, 1918, p. 424ss.; Frankl, 1960, p. 399), il quale era inoltre disposto ad ammettere che gli architetti gotici erano abili ingegneri, fatto non ben compreso dall'Illuminismo.Nel sec. 18° venne riconsiderato anche il problema della cronologia del G., giacché era impossibile continuare a credere che quei Goti che avevano contribuito alla caduta dell'Impero romano nel sec. 5° avessero qualcosa a che fare con l'architettura gotica che utilizzava gli archi acuti. Lo pseudo-Raffaello era disposto a posticipare l'avvento della 'maniera tedesca' fino al sec. 7°, ma restava comunque un vuoto di circa cinquecento anni prima di giungere al sec. 12°, quando i primi archi acuti avevano fatto la loro comparsa in Europa. Nel 1713 Christopher Wren (Elmes, 1823) osservava che essi erano stati in uso tra gli Arabi nell'Africa settentrionale a partire dal sec. 9°, proponendo per questo motivo di ribattezzare lo stile gotico come 'saraceno'. Il suo suggerimento non fu mai realmente accolto e comunque, una volta individuato, il problema della cronologia rimase aperto. A esso sottostava la distinzione che Blondel (1752) aveva operato tra G. antico e G. moderno, che fu uno dei primi tentativi di dare un nome all'architettura creata tra l'età romana e bizantina da un lato, e il vero e proprio G. dell'arco acuto dall'altro.La teoria 'saracena' non ebbe seguito presso autori tedeschi come Herder e Goethe, che rifiutarono di ritenere il G. altro che unsere deutsche Kunst, ma costrinse comunque coloro che insistevano su un'origine europea dello stile a guardare oltre l'arco acuto per individuare le caratteristiche architettoniche che distinguevano gli edifici cristiani da quelli islamici. L'attenzione fu di conseguenza diretta alle volte. I primi studi relativi agli aspetti meccanici della costruzione delle volte comparvero in Inghilterra nel 1800 ca.; a questi diedero immediatamente seguito i Francesi, con un nuovo interesse per le croisées d'ogives delle loro chiese gotiche: si trattava di un'espressione di epoca medievale - occasionalmente usata tra gli altri da Philibert de l'Orme nel sec. 16° (Architecture, IV, 3) e da Félibien (1676) -, che all'inizio del sec. 19° divenne di primo piano nel dibattito sul G., che i Francesi cominciarono a quest'epoca a chiamare stile ogivale. Contemporaneamente il termine Romanico, mutuato dai filologi che con esso classificavano le lingue neolatine, venne adottato per definire l'architettura medievale anteriore a quella gotica.Grazie all'indagine tecnica di ingegneria strutturale venne apprezzata l'importanza dei costoloni, e la distinzione tra G. e Romanico, in sostituzione della precedente contrapposizione tra G. e Classico, venne effettuata su basi di carattere esclusivamente architettonico. Ciò segna il momento in cui la storia dell'architettura si svincolò dai prevalenti interessi storici. Per più di un secolo le conseguenze di tali divergenze vennero accettate senza esitazione: tutte le teorie sul G. anteriori alla seconda guerra mondiale vennero determinate da due opinioni contrapposte secondo le quali soltanto un architetto sarebbe stato in grado di comprendere l'architettura del passato, o viceversa, essendo l'architettura un'arte, solo uno storico dell'arte avrebbe avuto la necessaria competenza in materia.Altri filtri coloravano la percezione del G. quando esso divenne, nel sec. 19°, oggetto di studi sistematici. A quell'epoca avevano cominciato a emergere atteggiamenti nazionalistici rispetto al Gotico. Gli Italiani ebbero sempre la tentazione di considerare il proprio stile nazionale come un qualcosa già formatosi nell'Antichità e quindi il G. come un'intrusione estranea, sebbene estesa nel tempo, proveniente dall'esterno. Gli altri paesi europei avevano invece posizioni diverse. Per la Germania, l'Inghilterra e gran parte della Francia non era esistita un'architettura anteriore al Medioevo e, a partire dal sec. 16°, gli studiosi e gli antiquari dell'Europa settentrionale che si erano interessati agli edifici gotici lo avevano fatto secondo prospettive che non avevano tanto a che fare con le proprietà strettamente architettoniche, bensì con la loro funzione di testimonianza di storia sacra ed ecclesiastica. Gli Inglesi furono i primi a superare tali limiti: la serie di restauri che, a partire dalla seconda metà del sec. 18°, interessò le cattedrali di Ely, Salisbury e Durham determinò l'interesse professionale degli architetti nei confronti del Gotico. In Germania, la campagna promossa da Boisserée, dopo le guerre napoleoniche, per riaprire i lavori al duomo di Colonia conseguì risultati analoghi.I Francesi dovettero attendere la Rivoluzione del 1830, i cui effetti furono tuttavia immediati; in seguito a una serie di iniziative, tutte intraprese tra gli anni trenta e gli anni quaranta dell'Ottocento, nei successivi cinquant'anni la Francia venne ad avere un ruolo guida nell'elaborazione teorica sul Gotico. La tardiva scoperta dell'origine francese del G. fu promossa in gran parte dall'entusiasmo dei Francesi. In realtà era stato un inglese, Whittington (1809), il primo a rendersi conto che il coro di Saint-Denis (1144) era il più antico tra gli edifici gotici datati, ma tale scoperta era passata inosservata. Nell'inoltrato sec. 19° Didron (1856) affermava che già nel 1830 gli era stata chiara l'origine francese del G.; tale concetto divenne opinione comune soltanto dopo il 1845, ma stranamente questa acquisizione non ebbe grandi ripercussioni. Non pare che qualcuno si sia chiesto per quale motivo il G., considerato la quintessenza dell'antitesi del Classico, fosse stato inventato da un popolo di stirpe germanica che parlava però una lingua neolatina, piuttosto che dai Germani stessi, come si era precedentemente ritenuto.Del resto, l'idea che il G. costituisse una pura espressione dell'anima germanica faticò a morire in Germania. Sebbene Mertens (1843-1847) avesse rammentato ai suoi connazionali l'anteriorità di Saint-Denis rispetto agli altri edifici gotici, ancora Worringer (1912) era pronto a operare una distinzione tra il G. vero e proprio, che a suo parere era stato sempre estraneo alla Francia, e il sistema di costruzione gotico che soltanto casualmente era stato ideato in questo paese.Altrove venne presto accolto il concetto di G. come precoce manifestazione della disposizione alla chiarezza e al pensiero logico propria dei Francesi, un punto di vista che si cristallizzò nella percezione del G. come sistema strutturale. Boisserée (1823) aveva già genericamente accennato a un sistema gotico, ma solo l'esperienza acquisita nel corso dei restauri condotti dalla Commission des Monuments Historiques diede origine alla nota elaborazione teorica del G. come unione di volte costolonate, archi acuti e contrafforti rampanti: la teoria è legata in modo indissolubile al nome di Viollet-le-Duc, che si proclamò campione del G. come architettura del futuro, ma probabilmente era stato dello storico Quicherat (1850) il merito di aver messo in rilievo la mutua dipendenza delle tre componenti riconoscendo il costolone come l'elemento primario da cui derivava tutto il resto. Il contributo di Viollet-le-Duc (1854-1868) fu quello di aver rivestito questo nucleo concettuale di una quantità straordinaria di informazioni particolareggiate che resero la teoria praticamente immune da critiche. Per lungo tempo in Francia essa costituì la dottrina ortodossa, e persino dopo la prima guerra mondiale, quando i bombardamenti tedeschi determinarono le catastrofi di Noyon, Soissons e Reims, dove i costoloni non si comportarono come teorizzato, doveva passare ancora un lungo periodo prima che su tali considerazioni teoriche venissero espressi dubbi.L'approccio al G. secondo l'ottica propria dell'ingegneria strutturale fece sì che la sua terminologia fosse mutuata dai manuali di scienza della meccanica del 19° secolo. La visione evoluzionistica del G. era inoltre debitrice nei riguardi di quella che tra le scienze naturali era all'epoca la disciplina oggetto di maggior interesse, la biologia. L'analogia tra un fenomeno artistico e un organismo vivente era già stata utilizzata da Winckelmann (1776) come cornice nella quale inserire la storia dell'arte classica; la stessa periodizzazione ciclica in quattro fasi fu applicata al Gotico. La prima fase, sperimentale, segnava la transizione dal Romanico al nuovo stile; seguiva la maturità della fase classica del G. della prima metà del sec. 13°, cui succedeva l'esperta delicatezza del G. rayonnant, per giungere quindi all'inesorabile declino dello stile nel G. flamboyant. L'analogia biologica forniva anche una scala di valori: i migliori edifici appartenevano infatti ai periodi migliori. Per chiunque avesse acquisito le proprie conoscenze del G. tramite Viollet-le-Duc era assiomatico che l'ornamento fosse sintomo di decadenza; mentre la perfezione del G. classico era proprio nell'immacolata purezza della sua struttura, qualità per cui le cattedrali di Amiens e Beauvais si contendevano il titolo di capolavoro supremo, al contrario tutto il Tardo G. era irrimediabilmente contaminato dalla superfluità di un'ornamentazione non necessaria. Questo austero verdetto venne accettato in Francia, dove si trovano gli esempi migliori del G. classico, ma in paesi come la Germania, dove per la maggior parte le opere gotiche appartengono a una fase avanzata di questo stile, tale affermazione costituiva un invito a riaprire la questione.Nell'Inghilterra del sec. 19° gli unici contributi sul G., a parte qualche isolata ma importante eccezione, si devono ad architetti quali Rickman (1817), Pugin (1841), Street (1865) e Scott (1881), i quali studiarono e restaurarono edifici di età gotica, anche se il loro compito principale fu quello di costruire nuove chiese per le grandi città dell'Inghilterra vittoriana e le loro teorie furono profondamente influenzate dai riformatori ecclesiastici dell'epoca (per es. la Camden Society) per i quali il G. costituiva l'unico stile architettonico adatto alla devozione anglicana. Tale convinzione era particolarmente forte in Pugin, il quale, sebbene convertito al cattolicesimo, fece probabilmente più di chiunque altro per formare il gusto dell'età vittoriana.Il G. in Inghilterra non si prestava strettamente alla logica architettonica di Quicherat e tendeva a essere in larga misura inteso in termini di dettagli di superficie per i quali materiali, colori e ornamenti decorativi erano altrettanto importanti. Lo spirito classificatorio non era peraltro totalmente assente: Rickman (1817) produsse la prima raccolta sistematica di elementi caratteristici, quali le finestre, motivi di tracery, porte, colonne, pilastri, basi, capitelli, modanature, poi ordinati in raggruppamenti cronologicamente compatibili. Ciò permise di ricorrere ai particolari per l'individuazione delle successive fasi del G., come avveniva per la pittura con i c.d. dettagli morelliani. Oltre ad aver reso possibile la distinzione tra 'sassone' e 'normanno' (cioè romanico), Rickman suddivise il G. in early English, geometrical decorated, curvilinear decorated e perpendicular, terminologia tuttora in uso. Il valore che tale classificazione ebbe per gli storici dell'architettura fu immediatamente evidente, e Caumont (1830-1841) operò un'analoga suddivisione per gli archéologues francesi, prima che i restauratori iniziassero a raccogliere il materiale da classificare.L'inglese più vicino agli studiosi francesi che si occuparono di G. fu Willis (1842-1863), professore di scienze meccaniche a Cambridge. Egli certamente comprendeva il comportamento delle strutture, ma più che all'astratta idea di G. era interessato al modo in cui particolari chiese gotiche si erano evolute nel corso delle numerose fasi di costruzione. Le cattedrali inglesi, raramente edificate in un'unica fase, si prestavano a un approccio di questo genere e Willis usava i sistemi di Rickman per stabilire la loro cronologia. Sotto questo aspetto egli fu precursore della moderna scuola di storici dell'architettura. Egli cercò inoltre, laddove possibile, di unire l'esperienza visiva con la tradizione antiquaria della sua epoca, anticipando così l'uso moderno di unire all'archeologia lo studio delle fonti scritte. Willis assunse la dottrina base della storia totale, secondo cui nessuna testimonianza può essere trascurata e le conclusioni per essere valide devono seguire principi di logica e di coerenza reciproca. Da questo punto di vista Willis sopravanzava di gran lunga la propria epoca; infatti il significato della sua opera fu riconosciuto solo dopo la seconda guerra mondiale, mentre fra i contemporanei fu del tutto posto in ombra da Ruskin (1853), che, considerandosi un profeta alla guida di una crociata contro i filistei della società borghese del sec. 19°, designò il G. come veicolo artistico di elevazione morale, l'alternativa mondana al senso della religiosità riconosciuto al G. da Pugin. Per Ruskin le virtù degli artisti gotici erano evidenti tanto nei capitelli del Palazzo Ducale di Venezia quanto nelle murature delle cattedrali francesi.La crociata di Ruskin - così come anche il tentativo fatto da Viollet-le-Duc per promuovere il G. su base razionale come stile architettonico del futuro - spiega l'improbabile presenza di edifici neogotici nelle remote regioni dell'America settentrionale e dell'Australasia, ma finì per soccombere di fronte al più radicale richiamo del movimento moderno; comunque, prima del mutare della corrente, una vivida impressione del G. si era imposta con successo a un vasto pubblico in tutto il mondo anglofono.Quando il coinvolgimento diretto degli architetti con il G. come stile costruttivo venne meno, l'ampliamento degli orizzonti, che aveva portato tutte le arti visive del Tardo Medioevo sotto l'egida del concetto di G., venne istituzionalizzato alla fine del secolo nella disciplina accademica della storia dell'arte. Fu in questo campo che i Tedeschi diedero il loro maggior contributo alla conoscenza del Gotico.Gli studiosi tedeschi del sec. 19° vedevano nel G. un fenomeno profondo e di ampia portata, le cui radici affondavano in una delle suddivisioni primarie dell'antropologia culturale. Questo pensiero risaliva per lo meno a Hegel, il quale nelle sue lezioni sulla filosofia della storia aveva suddiviso l'umanità in tre tipi fondamentali, orientale, classico e germanico, e in quelle di estetica aveva distinto l'arte in astratta, classica e romantica. In tal modo i concetti di germanico e romantico si sovrapponevano, e Hegel usò il G. per illustrare che cosa egli intendesse con il termine di romantico. Ancora nel 1910 questa improbabile antropologia godeva in Germania di un credito sufficiente a far sì che Worringer (1912) ne traesse la sua visione dell''uomo gotico' (cioè l'uomo germanico) che raggiungeva l'infinito tramite le sublimi altezze delle sue cattedrali. L'idea che il G. fosse un linguaggio artistico designato unicamente a esprimere le innate aspirazioni della razza tedesca verso la trascendenza poté trovare eco tra seri storici dell'arte medievale tedeschi fino alla fine della seconda guerra mondiale.Secondo il principio del conoscitore (Connaisseur) le chiese gotiche erano opere d'arte attentamente progettate da ingegnosi architetti per produrre proprio quelle impressioni che un osservatore sensibile avrebbe sperimentato entrando in esse.Lo stesso Hegel (Estetica, III, 3) aveva evidenziato che la materia prima dell'architettura romantica era lo spazio interno (Raumform); ciò diede il punto di avvio concettuale alle successive generazioni di storici dell'arte. Gli architetti modellavano lo spazio così come gli scultori facevano con l'argilla, la pietra, il legno o il metallo. La forma della chiesa gotica era essenzialmente tridimensionale e gli archi acuti e le volte costolonate erano semplicemente mezzi bidimensionali per dar forma allo spazio; essi dovevano quindi essere sempre visti congiuntamente con tutte le altre parti come contributi a un effetto d'insieme. Era il carattere dello spazio a dar significato alle parti e non viceversa. Una volta riconosciuto il ruolo principale dello spazio, ne conseguiva che lo spazio gotico aveva più di una configurazione. I Tedeschi avevano così la possibilità di contrastare la condanna di Viollet-le-Duc nei confronti del Tardo Gotico. La manifestazione caratteristica del Tardo G. tedesco era la Hallenkirche (chiesa 'a sala'), la cui forma spaziale, benché diversa da quella delle cattedrali francesi della fase classica del G., non era però a essa inferiore. Il desiderio di separare le due forme diede l'avvio a suggestivi tentativi di collegare il Tardo G. tedesco al Rinascimento, alla Riforma o al Barocco, staccandolo implicitamente dalle sue origini francesi. Gerstenberg (1913) lo dichiarò stile nazionale e, una generazione dopo, Harvey (1947) riprendendo il tema concludeva che lo stile nazionale dell'Inghilterra era invece il G. perpendicular. A tutt'oggi nessun francese ha avanzato analoghe pretese per il G. flamboyant.Anche la questione delle origini del G. fu riaperta dagli storici dell'arte tedeschi. Il sistema di sostegni e di costoloni, che per i teorici francesi determinava il senso di logica strutturale, per i Tedeschi diventava un sistema di articolazione con scarso o nessun valore strutturale. Gall (1915) aveva notato che sostegni e costoloni erano presenti nelle chiese romaniche della Normandia, dove tuttavia la loro funzione era semplicemente quella di definire le campate. Il fatto che il sistema esistesse prima della nascita del G. compromise quella netta distinzione tra Romanico e G. che era stata assiomatica dall'inizio del 19° secolo. La derivazione del G. dal costolone, così come aveva stabilito Quicherat (1850), dava per scontato che questo fosse di origine francese. Venivano tralasciati i costoloni allettati nelle volte romane perché si supponeva svolgessero una diversa funzione. Il primato della Francia rimase comunque incontestato fino a quando lo studioso americano Porter (1911) ripropose la questione, assegnando la priorità alle volte costolonate della Lombardia; già Bilson (1899), in Inghilterra, aveva richiamato l'attenzione sulla data precoce delle volte di Durham (1093). Stranamente, benché Gall sembrasse sospettare che le volte costolonate della cattedrale di Spira risalissero all'ultimo decennio del sec. 11°, gli studiosi tedeschi non fecero alcun tentativo per attribuire l'invenzione delle volte costolonate alla Germania.Il risultato di queste riconsiderazioni del problema produsse l'effetto di porre in dubbio la teoria che le volte costolonate fossero la causa prima del G. e di trasferire l'attenzione sui muri e sulle finestre che racchiudevano lo spazio gotico. Dopo la prima guerra mondiale, Gall (1925) diede inizio a un imponente studio sulle origini del G. in Francia e in Germania. Quest'opera non fu portata a termine, ma quanto Gall riuscì a completare riguardò per gran parte il processo di dissolvimento dei solidi muri e sostegni delle costruzioni romaniche. Jantzen (1928) andò oltre, indicando come fattore essenziale del G. ciò che egli chiamò 'muro diafano', cioè un muro ampiamente svuotato dalle finestre oppure costituito da strutture ridotte al minimo. Focillon (1938) riuscì a introdurre le teorie della critica tedesca in Francia e Bony (1939) diede all'intera argomentazione una solida base archeologica con la sua distinzione tra 'muro sottile' e 'muro spesso'.Nell'ambito dei 'muri spessi' di epoca romanica il sistema non era certamente più di un'articolazione, ma unito al muro sottile, i cui presupposti erano ottoniani, carolingi o addirittura paleocristiani, esso acquistava un ruolo strutturale. Per quest'ultimo Bony coniò il termine di 'membrificazione', che implicava come significato complementare il concetto di struttura scheletrica e di tessitura traslucida.Così concepite, le strutture del 'muro sottile' facilitarono ciò che i Tedeschi definirono Raumverschmelzung, vale a dire il mescolarsi e il fondersi degli spazi interni; un processo che, come aveva mostrato Gall, operava dall'inizio della fase di transizione al Gotico. Spettò dunque a Bony il compito di realizzare il magnum opus sognato da Gall; la magistrale opera di Bony (1983) sul G. visto come esplorazione delle possibilità di composizione dello spazio fu in sostanza il completamento di un progetto concepito prima della seconda guerra mondiale e un monumento a un genere di studi passato rapidamente di moda durante la seconda metà del Novecento.Gli storici dell'arte tedeschi intorno al 1900 si preoccuparono di mantenere le distanze dalla principale corrente della storia accademica, insistendo sul fatto che l'analisi dello stile dava loro uno status autonomo; coloro che speravano di aumentare il prestigio della loro disciplina tentarono di stabilire contatti con le scienze naturali, tenendo presente in particolare la psicologia. La cultura del Novecento si muoveva invece nella direzione della storia vera e propria: filosofi come Dilthey in Germania, Croce in Italia e più tardi Collingwood in Inghilterra portarono la storia al di fuori del raggio d'influenza delle scienze naturali; alla visione della storia intesa come una veste tessuta tutta d'un pezzo si sostituì quella che prevedeva una serie di campi specialistici.Nell'ambito degli studi artistici, fu Aby Warburg (1866-1929) il primo a dimostrare come poteva mutare la comprensione delle immagini rinascimentali qualora esse venissero lette alla luce dei testi contemporanei, piuttosto che viste come singoli elementi di un Kunstwollen che si manifestava come un continuum in musei come il Louvre a Parigi e il Kunsthistorisches Mus. a Vienna. Warburg non mostrò mai un particolare interesse nei confronti dell'arte e dell'architettura medievali, ma la sua biblioteca dedicata alle sopravvivenze della tradizione classica attraversava il Medioevo e l'unico ostacolo all'estensione del suo modus operandi al G. fu la scarsità di testi medievali adeguati, tali da poter essere messi a confronto con gli edifici. Tuttavia i riferimenti alla Bibbia e alla liturgia ecclesiastica e il fatto che prima del sec. 13° il cristianesimo tendesse a leggere il mondo visibile come allegoria delle verità di fede furono elementi sufficienti per ricercare segni simbolici nella forma delle chiese medievali; del resto, Guglielmo Durando nella prefazione al Rationale divinorum officiorum (ante 1286) aveva dato un fondamento all'idea che le parti delle chiese fossero progettate per corrispondere a temi dottrinali. Il primo reale successo nella ricerca di una moderna iconografia dell'architettura ecclesiastica si ebbe quando Sedlmayr (1933) propose che la cellula spaziale definita dal sistema strutturale gotico, cioè la singola campata, dovesse essere stata costruita come una sorta di baldacchino e che essa dovesse avere la funzione che era sempre stata propria dei baldacchini, quella cioè di designare siti di speciale santità. Il primo baldacchino noto dell'epoca cristiana era quello eretto sull'altare dell'antica S. Pietro in Vaticano e individuava il luogo dove si riteneva che il santo fosse stato seppellito. Si trattava di una struttura a costoloni diagonali che poteva quindi qualificarsi come prototipo della campata medievale. Da questo alla nozione della chiesa completamente voltata intesa come insieme di cellule spaziali consacrate riferentisi simbolicamente alle dimore celesti o alla Gerusalemme celeste della Chiesa trionfante, restava solo un breve passo, che fu compiuto dallo stesso Sedlmayr (1950) in un'opera in cui esponeva la propria compiuta teoria sul concetto di cattedrale.Molto più specifico, e quindi storicamente più convincente, per l'esercizio di confronto di un testo con un edificio reale, fu il tentativo di Panofsky (1946) di individuare l'influenza del teologo mistico neoplatonico noto come pseudo-Dionigi l'Areopagita (autore siriaco del sec. 5°) sul coro dell'abbaziale di Saint-Denis. Il testo greco dello pseudo-Dionigi fu donato all'abbazia di Saint-Denis nel sec. 9° e venne tradotto in latino da Giovanni Scoto Eriugena; è quasi certo dunque che esso doveva essere noto a Suger quando egli commissionò il coro nel 1140. Nell'ambito di motivazioni religiose lo pseudo-Dionigi appare ampiamente interessato all'allegoria della luce. Negli scritti di Suger, Panofsky ha individuato alcuni passi dai quali ha dedotto che furono questi testi a ispirare le vetrate del coro. Tale studio sembrava fornire la prova decisiva della presenza del simbolismo nel cuore stesso dell'arte gotica, a Saint-Denis, il luogo di nascita di questo stile. La funzione che i costoloni avevano avuto per i razionalisti francesi veniva assunta dalla luce per gli storici dell'arte.Le argomentazioni di Panofsky costituivano il fondamento della teoria del muro diafano e collimavano con precisione con l'immagine del G. come 'architettura a baldacchino' di Sedlmayr, che probabilmente proprio per la volontà di riunire i diversi filoni di ricerca approdò alla grandiosa sintesi (Sedlmayr, 1950), nella quale la cattedrale archetipica veniva rappresentata come epicentro della vita spirituale del cristianesimo medievale. Sedlmayr era lontano da Viollet-le-Duc quanto più non si poteva essere: gli aspetti materiali e tecnologici del G. vennero messi da parte come appena degni di menzione e fu considerato un errore anche il prestare attenzione agli elementi formali dello stile: era come provare a imparare una nuova lingua leggendo un dizionario. Nulla aveva senso fino a che non veniva letto in relazione alla funzione generale che spettava all'architettura. Quando ciò avveniva ogni elemento trovava una propria collocazione. Per Sedlmayr tale principio regolatore, che aveva funzioni analoghe a quelle di una causa ultima aristotelica, era la visione celeste (das Himmelbild). A diversi livelli questo è ciò che ogni cattedrale aspirava a essere.Jantzen (1957) invece preferì considerare la cattedrale ecclesia spiritualis, un'espressione più adatta a ricordare - cosa che era indubbiamente necessaria - che le cattedrali gotiche furono costruite per servire un'istituzione che vedeva se stessa come membro temporale di una comunità mistica che si riuniva nella celebrazione dell'eucaristia. Da questo punto di vista l'edificio era un theatrum sacrum nel quale la Chiesa militante in terra e la Chiesa trionfante in cielo si univano e diventavano un'unica cosa per il corpo e il sangue di Cristo. L'immagine aveva un carattere globale e, se si considerava anche la musica della messa, si aveva un vero e proprio Gesamtkunstwerk. Tale visione della cattedrale ideale come palcoscenico per un dramma rituale poteva forse considerarsi realizzata in alcuni degli esempi del G. classico, ma è da discutere se essa aggiunga qualcosa di sostanziale al concetto di G. o se piuttosto non ne abbia affatto bisogno: l'enfasi è passata dall'edificio alle dramatis personae e l'architetto è virtualmente scomparso. Questa è la conseguenza inevitabile di quando si tenta di comprendere il G. esclusivamente in termini di simbolismo.L'accento posto sul G. quale manifestazione del sentimento religioso concluse la parabola iniziata in epoca romantica. L'idiosincratico muoversi a ruota libera dell'empatia di Sedlmayr era indubbiamente ispirato dal sincero desiderio di recuperare l'éthos nel quale il G. era fiorito. Si trattava comunque di una storia priva di disciplina, vista attraverso occhi neoromantici. Sedlmayr era del tutto unilaterale, così come lo erano stati i razionalisti francesi. Si potrebbe osservare che come antitesi a Viollet-le-Duc egli ne era in un certo qual modo il complemento: l'uno vedeva il G. soltanto come ideale e non aveva interesse per come tale ideale dovesse essere realizzato, l'altro dava per scontato l'ideale ed era del tutto concentrato nel processo di attuazione. Stando così le cose, sembrerebbe opportuno sommare le due interpretazioni, impresa tutt'altro che facile. Esse avevano origine in due mondi di pensiero profondamente diversi, nessuno dei quali medievale, che non si combinavano, né è stato possibile finora trarne una sintesi convincente.Dopo la seconda guerra mondiale, era diffusa l'impressione che i tempi fossero maturi per le sintesi: Frankl, già occupato nella scrittura del suo grande compendio di teorie sul G., progettato per il centenario di Saint-Denis nel 1944 e che fu pubblicato solo nel 1960 (Frankl, 1960), scrisse anche un volume sul G. per la serie Pelican History of Art (Frankl, 1962).Dal 1960 gli studiosi tedeschi aggiunsero pochi riferimenti di carattere speculativo al significato simbolico del Tardo G.; la tendenza dominante fu invece il passaggio dello studio degli edifici gotici dall'area di competenza degli storici dell'arte a quella degli archeologi, per i quali, per diverse ragioni, l'idea di G. ha cessato di essere un problema. La metamorfosi della storiografia artistica tedesca aveva avuto inizio non appena essa era stata esportata in Francia, Inghilterra e America nel periodo tra le due guerre. Il clima intellettuale incontrato nelle terre di adozione le fu raramente congeniale. Invece di visioni ispirate, sostenute da una qualsiasi prova che potesse confermarle, i più cauti anglosassoni preferivano partire dall'elemento concreto. Questo inibì la discussione ad ampio spettro sul G. in generale, ancorando il soggetto più di quanto fosse mai stato in precedenza in Europa centrale alle due categorie inattaccabili delle fonti primarie: i documenti e i dati archeologici. Una volta accettate le costrizioni dei metodi rigidamente storici, fu subito chiaro che le credenziali del G. come vero concetto storico non erano molto solide. Le cronache e i documenti che forniscono la gran parte delle testimonianze conservate per i processi costruttivi in epoca medievale facevano soprattutto riferimento ai desideri dei committenti e dei benefattori; gli ordinari delle cattedrali facevano talvolta luce su come esse venivano utilizzate dal clero; i sermoni tenuti nella chiesa prendevano certamente spunto dall'edificio per allegorie religiose, sebbene fosse necessaria una buona dose di fantasia per mutare l'ecclesia spiritualis nel paradigma simbolico per la costruzione della chiesa così come era stato postulato da alcuni storici dell'arte; ma come gli architetti sviluppassero i loro progetti era presumibilmente qualcosa che riguardava soltanto loro, e a tal proposito non si scriveva, oppure questa documentazione non veniva conservata. Per questo i medievisti che hanno optato di partire dai documenti hanno ritenuto prudente limitare le loro ricerche alla società e all'ambito di pensiero nel quale l'architettura gotica era fiorita, per lasciare lo studio degli edifici stessi agli esperti delle fabbriche storiche, che sono attualmente gli archeologi piuttosto che gli architetti.Nel corso degli ultimi trenta anni è stato riscritto quasi per intero quello che può essere considerato il 'punto di vista archeologico' della storia dell'architettura del Medioevo. Una capacità analitica sul genere di quella pionieristica di Willis nel sec. 19°, ma raffinata e sviluppata fino a un più alto livello di sofisticazione tecnica, ha sostituito l'approccio a priori dei metodi precedenti e ha acquisito il privilegio esclusivo di registrare ogni sfumatura stilistica e ogni cambiamento di progetto, per quanto piccolo. In un certo qual modo ciò può essere considerato come la tappa più recente nella lunga storia del pensiero sul G., ma potrebbe risultare l'ultima in assoluto, giacché il concetto stesso di G. è stato relegato in una posizione secondaria se non del tutto abbandonato. Diminuito l'interesse nei confronti del concetto, l'attenzione si è rivolta in modo sempre più preciso su singoli edifici gotici ed è ormai chiaro che nessuna definizione può comprenderli nel loro insieme.Nel corso dei secoli, in definitiva, gli studi sul G. hanno oscillato costantemente dall'astratto verso il concreto, dal generale al particolare. Ciascun momento ha rappresentato un progresso verso una buona messa a fuoco, e con il restringersi del campo concettuale è cresciuta l'esigenza di una più esatta terminologia. Ai suoi esordi il termine G. bastava ad abbracciare tutto il Medioevo; nel 1800 G. era diventato uno dei tre termini in cui il Medioevo poteva essere diviso; da allora si sono moltiplicate le divisioni. Attualmente si parla di stili nazionali e scuole regionali tutti chiaramente differenti l'uno dall'altro; alcuni gruppi trovano inoltre difficoltà a essere inseriti all'interno di confini nazionali o regionali; all'interno di ciascun gruppo i singoli membri hanno le loro idiosincrasie e ciascuna delle più importanti cattedrali si è dissolta in una serie di distinte fasi costruttive. Si è giunti al punto di poter individuare nel corso di una singola campagna botteghe diverse operanti l'una accanto all'altra, mentre i segni lapidari hanno permesso di assegnare i singoli blocchi lavorati a coloro che li avevano tagliati o approntati (James, 1972).Il termine G. resta comunque in uso per contrassegnare le opere prodotte dal 1140 al 1540, ma anche così necessita di specificazioni, poiché, da quando gli edifici profani di epoca medievale hanno iniziato a ricevere il genere di interesse in precedenza rivolto soltanto alle chiese, è divenuto chiaro che le categorie valide per l'architettura ecclesiastica non hanno in questo caso molto valore . È comunque possibile che la storiografia del G. non finisca qui, giacché l'attuale stato degli studi non può essere considerato del tutto soddisfacente. Una storia dell'architettura medievale costruita sui testi dell'epoca o sulle fabbriche dei monumenti si trova di fronte a un serio ostacolo quando si arriva al problema dell'esatta individuazione del contributo dato dagli architetti alle opere. L'ostacolo non può tuttavia essere aggirato perché l'esistenza degli architetti è un dato di fatto. È vero che ci sono aspetti degli edifici gotici nei quali la muratura costituisce l'unica chiave di lettura, tuttavia nella maggior parte dei casi tutto ciò rappresenta un fatto secondario rispetto al problema centrale: quale fosse il bagaglio intellettuale a disposizione di un architetto medievale quando si accingeva a progettare una grande chiesa gotica, e in che misura gli storici possano mai arrivare a precisarlo.Prima che gli storici dell'architettura si sottomettessero alla disciplina delle testimonianze ciò non era sentito come un problema: era ovvio per chiunque avesse conoscenza delle strutture che gli architetti gotici dovevano essere stati superbi ingegneri strutturali. Il problema sorge soltanto se si considera che prima del sec. 18° non esistevano manuali di ingegneria strutturale. C'è da chiedersi dunque come poté essere compreso il comportamento della struttura prima della nascita della scienza della meccanica. Gli storici dell'arte tedeschi erano abbastanza nel giusto quando insistevano sul fatto che il segreto del G. risiedeva nelle peculiari configurazioni dello spazio gotico; tuttavia, a quanto essi scrivevano, sembrava talvolta che gli architetti medievali si fossero formati all'interno di un equivalente medievale del Bauhaus.Una delle principali questioni riguarda il modo in cui veniva visualizzato lo spazio prima che divenisse comune l'uso dei modelli in scala e in mancanza di qualcosa di analogo al disegno prospettico; ciò che lo storico avrebbe bisogno di sapere è cosa c'era al posto di queste complesse consuetudini postmedievali. Negli scritti di Suger c'è un unico riferimento indiretto all'architetto di Saint-Denis: la menzione degli strumenti geometrici e aritmetici utilizzati nell'impiantare il nuovo coro. Per tutto il periodo gotico l'unico genere di perizia che gli architetti si attribuirono, o che era loro attribuita, riguardava le cognizioni di geometria. Che cosa si intendesse per geometria costruttiva e quale fosse il suo ruolo sono problemi che possono essere ricondotti nel campo dell'indagine storica e le risposte incoraggiano a ritenere che la matematica fosse in un certo qual modo il linguaggio tramite il quale durante il Medioevo si concepivano la tecnologia, l'estetica e persino il simbolismo dell'architettura. Se così fosse, sarebbe possibile proporre un concetto alternativo di G. accettabile per gli storici e tale da giustificare il termine stesso.Le prove dirette di quanto si è detto non sono molte e nella maggior parte dei casi provengono da fonti tedesche risalenti agli ultimi due secoli del Medioevo. L'esempio più noto è il Büchlein von der Fialen Gerechtigkeit (Fialenbüch) di Matthäus Roritzer, pubblicato a Ratisbona nel 1486 (Shelby, 1977). Sebbene questo modesto incunabolo fosse dedicato all'esoterica discussione relativa a come disegnare un pinnacolo, è stato spesso evidenziato come l'opera riveli dei metodi della pratica costruttiva gotica più di quanto non appaia. Il trattato fu riportato alla luce da Heideloff (1844), ma per gran parte del sec. 19° tutta la discussione relativa alle regole e ai regolamenti della pratica muraria fu disturbata dalle argomentazioni fantastiche degli estremisti, e gli storici dell'arte seri che avessero voluto usarlo come fonte primaria ne erano impediti dall'incapacità di operare il passaggio decisivo dal disegno di un pinnacolo a quello dell'intera chiesa. Un tentativo venne effettuato da Frankl (1945), il quale intendeva mostrare come il Fialenbüch corrispondesse alla pratica costruttiva tardogotica, senza giungere tuttavia, sebbene per poco, a esplorare le implicazioni matematiche del testo.La stessa data di pubblicazione dell'opera fornisce una chiave per comprendere lo scopo della pubblicazione stessa. Essa coincideva infatti quasi esattamente con l'apparire in Italia dell'editio princeps di Vitruvio e del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti. Doveva risultare evidente ai colti lettori di Roritzer, se non a Roritzer stesso, che il principio matematico sul quale era basato il disegno di un pinnacolo - il rapporto tra il lato e la diagonale di un quadrato - era noto a Vitruvio e poteva essere fatto risalire al Menone di Platone. L'iniziativa della pubblicazione si deve quasi certamente a colui al quale l'opera fu dedicata, l'umanista vescovo di Eichstätt che diede l'imprimatur: l'opera doveva essere il contributo transalpino al dibattito che aveva contemporaneamente luogo in Italia circa la rinascita dell'architettura classica.La seconda opera stampata da Roritzer, la Geometria Deutsch (1487-1488) getta nuova luce sulla geometria costruttiva tardomedievale. Essa descrive metodi per disegnare alcuni dei più difficili poligoni regolari come il pentagono e l'eptagono, figure che richiedono una conoscenza considerevole dei testi di geometria per essere disegnate correttamente. In entrambi i casi le costruzioni di Roritzer sono semplici da seguire e sufficientemente accurate da rispondere a scopi pratici, ma esse non hanno alcun valore dal punto di vista matematico. Ciò consente di mettere nella giusta prospettiva le aspirazioni dei costruttori tardogotici. Roritzer era contemporaneo di Regiomontano e di Piero della Francesca, due veri matematici, ma sarebbe stato completamente a disagio in loro compagnia. Ciò che i costruttori possedevano non erano altro che aides-mémoires e regole empiriche che rendevano possibili approssimazioni tollerabilmente accurate per i poligoni regolari tramite regoli e compassi; il contenuto intellettuale della loro c.d. geometria era trascurabile e, a rigore, non potrebbero essere definiti matematici.Questa deve essere stata la conoscenza comune alla fine del sec. 14° e, probabilmente, la ragione per cui nel 1391 i costruttori del duomo di Milano ritennero necessario affidarsi ai servigi di matematici professionisti, che potessero dare alla loro decisione di costruire ad triangulum una veste di precisione accademica. La sezione trasversale proposta per il duomo di Milano era soltanto nominalmente triangolare. Ciò che i costruttori effettivamente volevano era il rapporto di √3 : 2 tra l'altezza e l'ampiezza, che potrebbe essere rappresentato dal punto di vista figurativo come un triangolo equilatero. Il passo dai poligoni ai rapporti che i poligoni rappresentano è il legame non esplicito tra il pinnacolo di Roritzer e il progetto in generale. I primi tre poligoni regolari, cioè il triangolo equilatero, il quadrato e il pentagono erano al centro di un importante nesso di forme geometriche. Da una parte essi erano correlati ai cinque solidi regolari, dall'altra ai cinque più noti rapporti irrazionali.Dal triangolo equilatero derivava √3, dal quadrato √2, dal pentagono √5 e la sezione aurea. Per i platonici di ogni tempo i solidi avevano grande significato cosmologico e a essi era stato dato nuovo rilievo da Luca Pacioli nell'ultimo decennio del sec. 15°, forse per riflesso di un'idea che ossessionava Piero della Francesca. Ma erano i rapporti a interessare i costruttori gotici. Come i poligoni, essi erano quasi sempre usati nella forma di approssimazioni convenienti, per es. 17/12 per √2 oppure 26/15 per √3. La più chiara dimostrazione di come i costruttori come Roritzer usassero effettivamente i poligoni e i rapporti è rappresentata dai loro disegni. Se ne conservano alcuni a Vienna (Akad. der bildenden Künste; Historisches Mus.). Essi mostrano molto meglio di quanto non facciano gli edifici i principi matematici della progettazione gotica, poiché si tratta in realtà di modelli matematici di progetti o di parti di alzato.Non c'è alcuna prova che essi venissero progettati per essere riprodotti in scala, ma in virtù dei rapporti che li regolavano potevano essere compatibili con ogni scala; così per illustrare le proporzioni essi dovevano essere bidimensionali. Esistevano metodi per trarre l'alzato dalla pianta, a cui si allude nei regolamenti dei costruttori tedeschi elaborati a Ratisbona nel 1459 e di cui si discuteva a Milano nell'ultimo decennio del 14° secolo. Ne consegue che gli effetti spaziali venivano visualizzati, se lo erano, solo in termini di sezione.Un contemporaneo di Roritzer, Hanns Schmuttermayer, riteneva che tale concezione avesse avuto origine con i Parler di Praga, e per quanto riguarda il mondo tardogotico della Germania meridionale può essere così. Ma i poligoni erano chiaramente connessi con la bar tracery che era stata elaborata in Francia all'inizio del sec. 13° e i disegni rendevano chiaro che i rapporti potevano essere stati applicati direttamente alle dimensioni degli edifici ben prima che il G. rayonnant li estendesse ai modelli della tracery. Villard de Honnecourt era perfettamente a conoscenza del loro uso come schemi di progettazione (Bucher, 1979). In realtà esiste tutta una serie di prove metrologiche e architettoniche che permettono di concludere che l'intero sistema di idee era rimasto continuamente in uso dall'Antichità classica. Se così fosse, ciò eliminerebbe la speranza di identificare il G. con un insieme di proporzioni specifiche dello stile e indebolirebbe tutte le teorie circa un nuovo inizio del Gotico.Una volta riconosciuto che le proporzioni erano un linguaggio formale che il Medioevo e il mondo antico avevano in comune, cosa che paradossalmente implicava il Fialenbüch di Roritzer, ne consegue che il Rinascimento proprio come il G. aveva interrotto i legami con il passato. In effetti, da un punto di vista puramente matematico il G. non era più che una deviazione all'interno di un'unica tradizione. Per gli storici ciò che Braudel (1986) chiamò "lo sviluppo della prima Europa" ebbe inizio nel sec. 11°, non nel 12°, e la sua controparte architettonica era il Romanico, non il Gotico. Il G. fu uno degli aspetti più cospicui del fermento di attività che va sotto il nome per certi versi fuorviante di rinascenza del 12° secolo. La partecipazione a questo movimento delle arti figurative non è mai stata messa in discussione e soltanto questa potrebbe essere una ragione sufficiente per mettere in dubbio la tesi secondo cui il G. fu l'unico stile in antitesi con l'architettura classica.Se il sec. 12° prestò grande attenzione a quello che esso aveva ereditato dal mondo antico, ciò era interamente motivato dagli interessi dell'epoca. L'Antichità non era ancora considerata l'età d'oro del passato, così come divenne per gli Italiani dopo Petrarca, ma un bagaglio da cui attingere motivi profani, tecniche e conoscenze che potessero essere adottate nella nuova civiltà che si stava creando per il mondo cristiano occidentale. Il controllo culturale era saldamente in mano alla Chiesa: il problema delle apparenti incongruenze nella legge canonica e nei testi patristici condusse i teologi del sec. 12° allo studio della logica aristotelica, e i Cistercensi, volendo purificare il loro canto liturgico da indesiderati ornamenti, trovarono la giustificazione nella teoria musicale degli antichi. Si può ipotizzare che il G. fosse il prodotto proprio dello stesso modo di pensare; non può esistere alcun dubbio che Romanico e G. fossero fasi successive della stessa ricerca, che potrebbe essere descritta come uno studio sulla forma adatta per una chiesa di grandi dimensioni. Tale processo venne avviato dai vari movimenti di riforma, per lo più monastici, dei secc. 10 e 11° e culminò con l'affermazione del potere temporale del papato, che ebbe conseguenze ovunque in Europa fin nell'inoltrato 13° secolo.Fino a un certo punto Romanico e G. erano accomunati dal fatto che l'elemento chiave per la progettazione era l'arco: in pratica quasi tutte le innovazioni puramente architettoniche potevano ridursi alla creazione di strutture con gli archi, aggiungendo archi come articolazioni, sovrapponendo arcate in ordine decrescente, sostituendo i muri con archi - tramite l'apertura di finestre oppure come aperture tra spazi aperti -, inserendo archi tra i muri (per es. costoloni) per prolungarli lungo le curvature delle volte; cambiare la forma dell'arco era parte di tale processo. Ma vi erano anche delle differenze, e queste non erano meno significative. Il Romanico non era tanto uno stile quanto una collezione di esperimenti apparentemente privi di ogni chiara nozione di uno scopo comune, oltre che la produzione di grandi e splendidi monumenti che si accordassero alla percezione che la Chiesa aveva del proprio status nel mondo; i suoi esiti notevoli dipendono in buona misura da precedenti tratti dai resti di edifici imperiali romani. Il G. era ben più disciplinato e ovviamente molto meno interessato ai precedenti, come se le variazioni dovessero essere sanzionate dalla teoria. Per il sec. 11° le volte avevano acquistato un significato simbolico che le rendeva una forma opportuna se non indispensabile di ogni grande progetto di chiesa, fermo restando che l'ideale era quello della chiesa completamente voltata.Per il Romanico si trattava di adattare le chiese ai tipi di volta romani, costruendo cioè muri e sostegni sufficientemente robusti da reggere volte a botte e costolonate. Il problema della volta divenne tuttavia di difficile soluzione in quelle regioni del mondo occidentale in cui si voleva restare fedeli al tipo di chiesa rappresentato dalla basilica paleocristiana, la quale aveva muri sottili e cleristorio ben illuminato. Gli architetti romani che avevano costruito i prototipi del sec. 4° li consideravano probabilmente impossibili da voltare, ma nella Francia settentrionale si riuscì a farlo, determinando quindi il Gotico.Così posta la questione, non deve sorprendere che Viollet-le-Duc abbia visto nel G. un progresso tecnologico rispetto all'ingegneria strutturale dei Romani. Tuttavia, anche se non esistevano precedenti romani per le volte gotiche, non ne consegue che il G. non dovesse nulla al passato classico. La conseguenza è un non sequitur che tralascia il fattore matematico.I primi passi nell'evoluzione del G. sono generalmente presentati come una cauta esplorazione delle volte costolonate per tentativi ed errori. Fino a un certo punto l'esperienza deve essere stata acquisita in modo empirico, ma le incertezze dipendevano dal problema di inserire le volte costolonate all'interno di un progetto generale. Dall'origine ci sono segni inequivocabili che l'ampiezza e il raggio dei costoloni maggiori erano definiti da proporzioni e che ovunque possibile i costoloni coprivano campate secondo leggi geometriche riconosciute.Ciò non aveva nulla a che fare con tentativi ed errori: i modelli erano troppo vicini a quelli che possono essere identificati nei resti delle volte romane di età imperiale. Ma non si trattava di una questione di copie né esatte né approssimative: il parallelismo risiede nel fatto che le volte gotiche e quelle romane erano concepite allo stesso modo. Ciò implicava una teoria comune.Sebbene manchino prove documentarie dell'esistenza di una teoria delle volte nel Medioevo, è provato che tale teoria esisteva nell'Antichità. Nel sec. 1° a.C. Erone di Alessandria scrisse un trattato sull'argomento (Kamariká), che non si è conservato, neppure tramite citazioni. È comunque ancora possibile - grazie ad altri suoi scritti pervenuti - avere un'idea complessiva dei contenuti dell'opera di Erone, che era un matematico, non un architetto, interessato agli edifici in quanto insieme di forme e alle forme come geometria applicata.Analogo si riteneva fosse il carattere distintivo degli architetti-ingegneri della Roma imperiale, raggruppati sotto il nome di 'mechanici della scuola di Erone', che, secondo Agazia Scolastico (ca. 550; Hist., V, 6-7), imponevano ai solidi forme geometriche e facevano copie delle cose esistenti, un'allusione al dio creatore del Timeo di Platone, che dava al cosmo forme di solidi regolari. Si può quindi arguire che le volte imperiali romane fossero applicazioni della teoria di Erone su scala monumentale.L'influenza di Erone non fu limitata a Roma. Cinquecento anni dopo il suo trattato, Isidoro di Mileto, che ricostruì la cupola di Santa Sofia a Costantinopoli nel 558, ritenne opportuno scrivere un commentario su di esso, ed è possibile che egli abbia concepito il proprio compito nei termini posti da Erone. Dopo Isidoro non si trova più menzione dei Kamariká, ma un'opera che aveva esercitato la propria influenza per almeno cinquecento anni non cadde del tutto in oblio. La gigantesca volta ellittica del Ṭāq-i Qisrā, costruita nel 550 ca. per il sovrano sasanide Cosroe I a Ctesifonte, permette di ipotizzare che le conoscenze contenute nel testo di Erone, se non il testo stesso, si fossero spostate verso l'Oriente ed esistono buone ragioni per ritenere che alcuni insegnamenti di Erone abbiano trovato applicazione nell'architettura degli Arabi; nel qual caso memorie di tale insegnamento si rintraccerebbero ovunque tra Córdova e Baghdad. È difficile che si possa arrivare a conoscere le precise circostanze nelle quali gli architetti del sec. 12° della Francia settentrionale ebbero contatti con quanto restava della teoria classica della copertura a volte, ma se ciò non è avvenuto, resterebbe solo l'alternativa di un'improbabile coincidenza.Non ci sono prove che il testo greco sia stato tradotto in latino, ma durante i secoli dell'Impero in Occidente dovevano comunque circolare alcune raccolte in latino e la spiegazione più plausibile è che alcune di queste esistessero ancora quando, in epoca medievale, le coperture a volta tornarono a essere importanti. Esse devono essere riaffiorate in una forma che rendeva possibile la distinzione tra i principi matematici (cioè la teoria) e ciò che grazie a tali principi era stato compiuto nel passato (cioè i precedenti).Su questa base gli architetti gotici procedettero a ideare un nuovo genere di chiesa, in conformità con antichi metodi di progettazione, così come nel sec. 12° vennero create nuove forme di musica da compositori convinti di conformarsi alle regole eterne della composizione musicale. Gli architetti medievali non erano indifferenti ai testi: copie di Vitruvio erano presenti nelle biblioteche monastiche dell'Europa settentrionale e la comparsa dell'ordine gigante nelle chiese romaniche permette di ritenere che Vitruvio venisse talvolta studiato dagli architetti o dai loro committenti. Ancora nel 1130 ca. Ugo di San Vittore nel suo Didascalicon (III, 2) indicava Vitruvio come fonte indispensabile per l'architettura. In seguito tuttavia l'interesse nei confronti di Vitruvio svanì rapidamente ed è difficile non mettere in relazione questa circostanza con la sua incapacità di dire qualcosa di utile sulle volte.Gli architetti gotici si sforzarono sempre di proclamare che la loro opera doveva essere considerata una scienza e ciò era giustificato dall'uso che facevano dell'arte liberale della geometria. Tale pretesa peraltro non venne mai realmente accettata, giacché le arti liberali dipendevano in definitiva dall'esistenza di fonti classiche e, nonostante i loro straordinari risultati, gli architetti gotici non furono mai in grado di produrre i testi specifici che avrebbero portato l'architettura a uno status comparabile a quello della medicina, della musica e del diritto. Tale anomalia li lasciò in una posizione unica, tra le arti liberali e le arti meccaniche, una situazione che può in qualche modo spiegare perché si sia dimostrata particolarmente difficile una definizione storica soddisfacente del termine Gotico.
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