CANCIANI, Gottardo
Nacque a Udine da Leonardo e da Vittoria Picco nel 1729. È incerto se sia mai stato ordinato sacerdote, beriché in molti scritti dell'epoca venga ricordato col titolo di abate. Nutrito di una solida cultura classica, si fece conoscere negli ambienti colti friulani come elegante poeta e sue rime in occasione di nozze o monacazioni di fanciulle si trovano stampate in raccolte (1750) o anche separatamente. Col passare del tempo i suoi interessi si rivolsero verso gli studi di agricoltura cui dedicò gli anni più intensi e operosi della sua esistenza che trascorse particolarmente tranquilla e ritirata nella città natale senza episodi significativi.
Nel 1770 la Società di agricoltura pratica di Udine, una delle numerose accademie agrarie sorte nel '700, bandì un concorso sul tema: "Determinare i più essenziali difetti dell'agricoltura friulana, ed i mezzi facili e più atti a correggerli, per accrescere o migliorare i prodotti; e ciò non tanto in rapporto a proprietari, quanto in risguardo ai lavoratori delle terre ed alla varia qualità delle medesime"; il C. ottenne il premio con una importante Memoria, che venne pubblicata a Udine nel 1773.
L'opera è articolata secondo un piano organico e risente in modo evidente di un impianto filosofico di ispirazione vichiana; procede per definizioni e principî che poi l'autore illustra con lunghe spiegazioni ed esempi pratici. Innanzitutto il C. precisa che sono due i tipi di ostacoli a impedire il raggiungimento dello stato ideale della coltivazione, quelli "fisici", dipendenti dalla natura delle cose, e quelli "morali" dipendenti dal libero arbitrio dell'uomo. Per quanto riguarda il Friuli, che secondo il suo parere è senz'altro "suscettibile di una più ordinata e più economica coltivazione", è la scarsezza di investimenti a impedire i necessari lavori di miglioria provocando la miseria e la "fatale indolenza" dei coltivatori. Causa prima di questo stato di cose è l'avarizia dei proprietari che sottraggono ai contadini una quota del reddito che sarebbe necessaria al loro sostentamento con la scusa che ciò è necessario per mantenere il decoro conveniente al loro stato sociale. Questa osservazione gli offre il pretesto per una digressione sul lusso, talvolta utile alle nazioni ma senz'altro nocivo al Friuli dove manca l'industria e i padroni di terre non sono partecipi di attività commerciali. Altri difetti strutturali dell'organizzazione agraria friulana sono l'eccessiva libertà d'azione concessa ad agenti e coloni, l'imprevidenza e la falsa economia dei padroni, che non sanno valutare i vantaggi futuri di un immediato impiego di capitali e infine l'ignoranza delle più moderne tecniche agricole. Il C. suggerisce di bandire dalle scuole gli studi inutili e oziosi, frutto di una "poco socievole vaghezza di disputare e della tradizione più barbara", e di introdurre invece una "fisica rapportabile alla vegetazione ed alla economia"; anche le Società di agricoltura, che pure nel Friuli hanno avuto il merito di avere promosso la coltivazione del gelso e dei vigneti "picolit" e "refosco", devono essere riformate permettendo che vi si acceda non solo in ragione del grado e della ricchezza ma anche del merito. Il C. sottolinea importanza di favorire nel Friuli un processo di commercializzazione dei prodotti agricoli, facilitando l'accesso dei mercanti stranieri; l'esportazione del vino, accortamente selezionato secondo le nazioni cui è destinato, va stimolata, scoraggiando nel contempo le importazioni. Il C. rileva le responsabilità dei proprietari nella crisi dell'agricoltura friulana: il loro lusso eccessivo, il loro disprezzo altezzoso nei confronti dei miseri contadini che stanno davanti a loro supplici e tremanti sono da lui severamente stigmatizzati, anche se il suo spirito riformatore rimane saldamente all'interno dell'ordine sociale costituito, il cui cardine fondamentale è la proprietà privata della terra. Così egli, dopo gli appelli solidaristici e umanitari alla nobiltà perché sollevi le misere condizioni dei contadini, in vista anche dei vantaggi che da un migliore ordinamento dell'agricoltura friulana trarranno tutte le componenti della società, rivolge le sue critiche anche ai lavoratori subordinati di cui denuncia l'ostinazione spesso irragionevole, la "sregolata economia nello spendere", gli indebitamenti causati da cieca imprevidenza. La proibizione delle osterie o almeno la loro chiusura nei giorni festivi, il divieto ai mercanti di biade e ai piccoli avvocati di infestare le campagne, insieme con l'invito rivolto ai nobili a non considerare l'esercizio dell'agricoltura incompatibile col loro grado sociale, paiono al C. i rimedi più utili.
Più tecnica la seconda parte della Memoria, che ci mostra un C. esperto conoscitore dei lavori agricoli e solerte promotore di innovazioni; propone di incrementare la zootecnia impedendo la macellazione dei vitelli, suggerisce una divisione ottimale dei campi destinati a biade, metà da coltivarsi a frumento, segale, orzo e metà a mais, illustra migliori tecniche di concimazione e irrigazione dei campi, si batte per l'estensione dei prati artificiali che producono una quantità di foraggi doppia rispetto ai prati naturali. Degni di interesse alcuni suggerimenti che si rivolgono direttamente alle autorità: per ampliare la produzione dei gelsi, ostacolata dagli alti affitti, il C. propone di fare una legge che ordini une semina di gelsi in tutte le colonie di ogni distretto, col diritto per i proprietari di poter obbligare i contadini renitenti; nello stesso tempo dovranno essere nominati ispettori per sorvegliare e consigliare i contadini ed assicurare ai coloni il diritto di piantare gelsi nelle tenute Domino etiam invito. Altri consigli e proposte si riferiscono alle chiusure dei terreni e a provvedimenti per evitare il depauperamento del patrimonio forestale.La Memoria del C. ebbe vasta eco di consensi e lodi ed il Senato veneto assegnò all'autore una medaglia d'oro e il titolo di conte (20 maggio 1775). Dopo la pubblicazione di questo lavoro il C., che era membro del Maggior Consiglio della città, continuò la sua attività come professore e forse anche rettore del seminario dedicandosi anche a studi di matematica e di filosofia; lasciò anche un inedito commentario ai Principj di Scienza Nuova del Vico. Morì a Udine poco prima dell'anno 1793.
Fonti e Bibl.: Udine, Biblioteca comunale, Fondo Joppi, ms. 716: Vincenzo e Antonio Joppi, Alberi genealogici delle famiglie friulane;Archivio di Stato di Venezia, Provveditori sopra i beni inculti. Deputati all'agricoltura, busta 5 (3 ott. 1774); Giornale d'Italia spettante alla scienza naturale e principalmente all'agricoltura, alle arti ed al commercio, X (1773), n. 8, pp. 57-62; G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a' nostri giorni, IV, Venezia 1808, p. 54; G. Valentinelli, Bibliografia del Friuli, Venezia 1861, pp. 77, 181, 356, 412, 415; F. Di Manzano, Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani dal secolo IV al XIX, Udine 1885, p. 47; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia ed i suoi ultimi cinquant'anni. Studii storici, Venezia 1885, p. 63; Il Seminario di Udine. Cenni storici pubblicati nel terzo centenario della fondazione, Udine 1902, p. 444; G. D. Romano, Il conte G. C., in Il Friuli, 20 maggio 1902; M. Petrocchi, Il tramonto della Repubblica di Venezia e l'assolutismo illuminato, Venezia 1950, pp. 7273, 78 s.; P. Paschini, Storia del Friuli, II, Udine 1954, p. 437; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Firenze 1956, pp. 92, 97; M. Lecce, L'agricoltura veneta nella seconda metà del Settecento, Verona 1958, pp. 33 s., 36, 77.