GOTTFRIED von Strassburg
È uno dei maggiori poeti cavallereschi del Medioevo tedesco, vissuto alla fine del sec. XII, della cui vita non si hanno notizie sicure. Il suo stesso nome è controverso, giacché von Strassburg può significare tanto da Strasburgo, quanto la sua appartenenza alla famiglia dei von Strassburg. Una certa sua indifferenza verso le cose della cavalleria e una non perfetta conoscenza dei suoi usi, nonché il fatto ch'egli è chiamato meister anziché her, proverebbero la sua origine borghese; alcuni passi dei suoi scritti su cose attinenti alla religione, escludono, d'altra parte, la sua condizione di ecclesiastico. Una tale mancanza quasi assoluta di dati attendibili ha provocato a diverse riprese l'elaborazione di biografie ipotetiche o romanzate: così il Watterich, attribuendo erroneamente a G. la paternità di una Laude di Cristo e di Maria e di una Laude della povertà, immaginò ch'egli fosse dapprima poeta d'amore errante per le corti, e che poi, forse per istigazione della sua amante, seguisse la crociata del 1217. Altri, in base a un documento del 1207 credettero di riconoscere in lui un rotularius, cioè notaio o scrivano del vescovo oppure della città di Strasburgo, appartenente a una cospicua famiglia patrizia. A prescindere da tutte queste notizie senza fondamento, rimane certo soltanto ch'egli morì fra il 1210 e il 1220, lasciando incompiuta l'opera a cui è legato il suo nome, il Tristano e Isotta. Si rileva pure dai suoi scritti ch'egli ebbe una cultura letteraria e una conoscenza del francese molto superiore a quella dei poeti suoi contemporanei. La materia del suo poema, composto di circa 20.000 versi, è la nota leggenda che, elaborata dai troveri francesi del sec. XII, in Gerrmania era già stata trattata verso il 1190 da Eilhard von Oberge (v. tristano e isotta). La fonte diretta di G. è il poema del francese Thomas, di cui si conservano soltanto alcuni frammenti, che si possono però completare con una versione prosastica nordica.
Il racconto, nella sua essenza, gravita intorno a concetti etici condivisi certamente dall'ambiente spirituale del mondo cavalleresco del Duecento, vale a dire la glorificazione dell'onnipotenza dell'amore e dei diritti eternamente umani della natura e della passione, con la morale che ne deriva - che, cioè, le inclinazioni del cuore formano il contenuto della vita e il godimento è il compito dell'uomo.
Non bisogna esagerare il merito di G., il quale, a somiglianza degli altri poeti epici del Medioevo tedesco, trovò nel modello francese non solo la materia, ma anche la forma elegante dell'arte cortigiana, coi suoi studiati effetti di stile: ma neppure conviene disconoscere il valore di una sua innegabile originalità, con cui ha affinato, approfondito, perfezionato quell'arte, e per la quale l'opera sua non è una semplice traduzione, ma una vera e propria creazione. Ciò egli ha raggiunto non già con la rielaborazione della materia di cui, pur avendo levigato molte disuguaglianze, soppresso alcune scabrosità, adattato il racconto di Thomas, da cui lo separavano quarant'anni, alle nuove esigenze cortigiane e al gusto tedesco (omettendo, per es., le descrizioni storiche e geografiche di scarso interesse) non riuscì a distruggere le insufficienze e le contraddizioni, ma con la maniera della rappresentazione, con la potenza dello stile. Un calore nuovo, emanante dal ricordo di personali dolorose esperienze d'amore, e che non poteva essere in Thomas, il quale confessava di non averle mai vissute, un soffio di verità convincente, un più immediato e vivo sentimento della natura, una sincera partecipazione alla vita interiore dei personaggi pervadono tutto il racconto. Anche G., come il suo modello, e in accordo, del resto, col gusto del tempo, preferisce la narrazione della vita interiore a quella degli avvenimenti esteriori. Ma, di fronte all'autore ch'egli imita, alquanto freddo e didattico, G., ha invece una profonda sensibilità che lo fa entrare nei sentimenti dei suoi eroi e vivere la loro vita morale, cosicché le sue pitture psicologiche sono più colorite, più animate, più intense di quelle di Thomas. Discepolo e imitatore di Hartmann von Aue, della cui lingua esaltò la purezza incantevole e la grazia insinuante, anch'egli, come il suo modelto, è talora propenso all'esagerazione degli artifici stilistici e metrici; ma raggiunge una tale chiarezza, una così delicata e morbida trasparenza dell'espressione, una così disinvolta naturalezza nelle scene più scabrose, una così agile facilità anche nei giuochi della preziosità, che l'atmosfera un po' dolorosa di emozione e di tenerezza, ond'è infuso tutto il suo libro, non s'offusca quasi mai, illuminata serenamente dal dono dell'eleganza e della grazia.
G., come talento tecnico, supera i contemporanei; di fronte a Wolfram von Eschenbach, che è il vero grande poeta di quel tempo, ma di cui egli, non potendo comprenderne il genio diametralmente opposto al suo, apertamente biasimò la lingua capricciosa e bizzarra e l'oscurità ermetica del pensiero, G. rappresenta l'artista finito, il verseggiatore e il coloritore insuperabile: e, per lo sfondo psicologico su cui è costruita, la sua opera è quanto di più moderno possiede la letteratura tedesca del Medioevo.
L'influenza di G. sui suoi contemporanei e sui poeti dei tempi posteriori fu profonda e tenace: i suoi procedimenti artistici ebbero un numero grandissimo di imitatori due dei quali, lo svevo Ulrico di Türheim ed Enrico di Freiberg, continuarono l'opera sua interrotta, conducendo a termine non senza abilità e fortuna, specie il secondo, il poema fino alla morte di Tristano e d'Isotta e alla loro sepoltura in Cornovaglia.
Ediz.: L'editio princeps è del 1785 ed è contenuta, insieme con la continuazione del Freiberg, nel II volume della Sammlung altdeutscher Gedichte del v. Myller: il testo è difettoso e, in ogni modo, non più utilizzabile. Altre ediz.: E. v. Groote (con la continuazione di Ulrich), Berlino 1821; F. H. von der Hagen (con le due continuazioni), Breslavia 1823; H.F. Massmann (con la continuazione di Ulrich), Lipsia 1843; R. Bechstein, con note esplicative, 4ª ediz., Lipsia 1923; W. Golther (voll. 113, 120 della Deutsche Nationallitteratur del Kürschner), Stoccarda s. d. Ottima versione neotedesca è quella di W. Hertz, Stoccarda 1904, 4ª ed.
Bibl.: H. Rötteken, Das innere Leben bei G. v. Str., in Zeitschrift für deut. Altertum, XXXIV, p. 82 segg.; R. Preuss, Stilistische Forschungen über G. v. Str., Strasburgo 1882; J. Bédier, Le roman de Tristan et d'Yseult, Parigi 1900; F. Piquet, L'originalité de G. de Str., Lilla 1905; W. Golther, Tristan und Isolde in den Dichtungen des Mittelalters und der neueren Zeit, Lipsia 1907; E. Nickel, Studien zum Liebesproblem bei G. v. S., Königsberg 1927. Cfr. la bibl. alla voce tristano e isotta.