Abstract
Brevi note sulla Governance, da teoria dell’organizzazione produttiva a modello di governo contemporaneo. Il termine, di derivazione anglosassone, viene sempre più spesso richiamato nel dibattito scientifico, sia politologico che giuridico, mancando ancora di una articolata e condivisa definizione. L’utilizzo del termine si è affermato partendo da ambiti specialistici e sta ad indicare una modalità di decisione a carattere sempre più generalista; si tratta di nozione indispensabile quale elemento di analisi e comprensione delle dinamiche decisorie a partire da quelle sovranazionali. Viene evocato un sistema decisionale che mette insieme attori pubblici e privati, istituzioni politiche e finanziarie, stravolgendo i tradizionali meccanismi ordinati dalle costituzioni nazionali. Le trasformazioni suddette, che in teoria dovrebbero consentire una più ampia partecipazione delle popolazioni interessate e degli attori privati, divengono sovente ostaggio di logiche economico-finanziarie non sempre attente alle necessità ed alle esigenze soprattutto delle fasce sociali marginali.
Il termine governance (dall’inglese: direzione, governo, dominio) la cui radice è tributaria del verbo greco antico “κυβερνάω” (kubernáo=dirigere una nave), ha un carattere polisemico nel senso di riferirsi ed individuare una molteplicità possibile di processi, comunque tesi al governo ed alla regolamentazione di ambiti sociali, economici o politici, pubblici o privati.
La difficoltà di rendere il concetto proprio nella lingua italiana ha aperto la strada all’utilizzo dell’anglismo anche in sede scientifica. La nozione si riferisce per lo più a processi d’interazione tra attori coinvolti nella gestione di problemi rilevanti per una sfera ampia o collettiva.
Nel linguaggio politologico e giuridico ha assunto un’accezione sovente sostitutiva della nozione di governo ed atta a ricomprendere ipotesi di governo complesso nel quale interagiscono diversi attori con differenti provenienze istituzionali, ricevendo un chiaro riconoscimento nel corso degli anni novanta, allorquando il termine veniva incluso, per la prima volta, in una serie di documenti ufficiali delle istituzioni comunitarie.
Le accezioni ed il significato per cui il termine viene utilizzato rimangono comunque le più ampie e varie, andando da governance intesa come processo sino a governance intesa come governo della cosa pubblica o gestione di società commerciali. Nei documenti pubblici si accompagna spesso a qualificazioni come buona o corretta governance.
Andando indietro nel tempo tracce dell’utilizzo del termine si rinvengono sin da epoca risalente, ad esempio nei lavori di William Tyndale nel XVI secolo, o nella corrispondenza tra Giacomo V di Scozia e Enrico VIII di Inghilterra.
L’espressione è divenuta di uso frequente e comune, anche nel linguaggio e nel dibattito corrente, per intendere le modalità di governo e decision making sovranazionale, tenendo insieme le vere e proprie procedure decisionali con il ruolo crescente attribuito alle istituzioni finanziarie dello spazio europeo e internazionale, ciò anche in ragione dei sempre più stringenti vincoli economici e finanziari che hanno trasformato profondamente il modello di governo delle politiche pubbliche a partire, ma non solo, dall’Unione europea (Iacovino, A., Teorizzare la Governance. Governabilità ai tempi del globale, Roma, 2005).
Come accennato è proprio negli atti delle istituzioni comunitarie che il termine riceve la definitiva consacrazione quale fenomeno istituzionale riconducibile alle modalità di funzionamento del decision making (in senso ampio) sovranazionale.
L’uso rimane comunque più comune alla riflessione politologica; al contempo è indubbio come si tratti di uno strumento di comprensione e di analisi imprescindibile nel nuovo e mutato panorama costituzionale sovranazionale europeo (Mayntz, R. La teoria della governance: sfide e prospettive, in Rivista Italiana di Scienza Politica, n. 1, 1999, p. 3).
Sempre più spesso l’utilizzo del termine, almeno nel dibattito pubblicistico, è stato abbinato al termine multilevel ed ha individuato il processo di formazione della decisione pubblica nei sistemi compositi, federali, confederali o sovranazionali.
L’emersione del termine e della nozione di governance deve molto, come accennato, ad un utilizzo fattone in alcuni documenti ufficiali della Commissione europea. È stato infatti il Libro bianco della Commissione a determinare l’accreditamento definitivo del termine nell’ambito delle scienze politiche e giuridiche (La Governance europea. Un libro bianco, COM(2001) 428 def., 25.7.2001)
Viene individuata in quella sede una caratteristica precipua del processo di integrazione europea e del modello di governo che lo contraddistingue: la partecipazione di più attori istituzionali, l’apertura delle procedure al pubblico interessato oltre alla adozione preferenziale di strumenti di soft law.
Il libro bianco si proponeva di incidere sulle procedure europee facendo leva su cinque principi di fondo: apertura, partecipazione, responsabilità, efficacia e coerenza (Nicolaidis, K.-Howse, R., The Federal Vision: Legitimacy and Levels of Governance in the United States and the European Union, Oxford, 2001). Il testo affronta e delinea il modo in cui l’UE esercita i poteri conferiti sulla base dei trattati e delle allocazioni di sovranità statale determinate, proprio ma non solo, dal processo di integrazione europea.
Scopo precipuo è, dunque, quello di indurre una maggiore apertura nel processo di elaborazione delle politiche europee anche al fine di garantire (almeno nelle aspirazioni dichiarate della Commissione europea) una più ampia partecipazione di cittadini e stakeholders; obiettivo centrale è quello di fare in modo che le istituzioni europee (soprattutto il triangolo Commissione, Consiglio, Parlamento europeo) si concentrino sulle missioni fondamentali conferite dai Trattati.
Si traccia, inoltre, una distinzione tra potere legislativo ed esecutivo secondo lo schema proprio del costituzionalismo classico – in tal modo tentando di ritagliare per la Commissione europea un ruolo centrale ed una responsabilità propria in tema di esecuzione delle politiche UE.
Per tal via, come vedremo, la governance diviene anche una occasione per ridisegnare la forma di governo o quantomeno per incidere sulle regole di funzionamento dei procedimenti decisionali (Shore, C., ‘European Governance’ or Governmentality?The European Commission and the Future of Democratic Government, in European Law Journal, 2011, p. 287).
Il punto di arrivo è però condizionato dalla peculiarità, propria del processo di integrazione europea, soprattutto a partire da Maastricht, costituita dalla previsione di stringenti vincoli di bilancio che incidono in maniera marcata sulle modalità di esercizio della sovranità politica degli stessi Stati membri, le cui opzioni politiche vengono inevitabilmente condizionate, in primo luogo, dalla limitazione del potere di spesa determinato dai parametri economico finanziari inclusi nei trattati ed in ulteriori strumenti internazionali con portata vigente ed effettività incrementale.
Sostanzialmente l’esercizio di potestà proprie della sovranità non viene solo delegato a livelli di decisione sovranazionale ma si procede altresì ad una stringente limitazione degli spazi decisionali ed esecutivi delle istituzioni democratiche nazionali (Amirante, C., European governance e costituzione europea: fra revisione tacita e ‘anestesia’ dei sistemi costituzionali degli Stati membri, in Gambino, S-D’Ignazio, G., a cura di, La revisione costituzionale e i suoi limiti. Fra teoria costituzionale, diritto interno, esperienze straniere, Milano, 2007).
I citati processi di riorganizzazione sovranazionale determinano, in definitiva, importanti limitazioni del potere di spesa e di finanza pubblica degli Stati nazionali, limitazioni condotte sino all’imposizione (soprattutto nel corso della crisi finanziaria 2006-2016) di obblighi diretti di revisione delle costituzioni attraverso l’introduzione (prevista dagli stessi accordi internazionali, tra cui il famigerato Fiscal Compact) di clausole di stabilità ed equilibrio finanziario nei testi costituzionali; clausole disegnate sul modello dei vincoli di bilancio presenti nella Legge fondamentale della Repubblica federale tedesca (cd. Schuldenbremse).
Tale limitazione della sovranità, attraverso la compressione del potere di spesa, diviene tanto più stringente quanto più i parametri economici dei singoli Stati membri sono prossimi o superano le soglie previste dai Trattati, ne consegue che i paesi con la fiscalità pubblica meno regolare e il debito pubblico più consistente vedono, proprio attraverso i citati aggiustamenti istituzionali, maggiormente condizionate le possibili opzioni politiche e di governo.
Il meccanismo di funzionamento in concreto della governance produce, dunque, un depotenziamento delle istituzioni tradizionali preposte dal costituzionalismo classico alla assunzione delle decisioni concernenti le politiche pubbliche a tutto vantaggio di centri decisionali spesso esterni al circuito della rappresentanza democratica o comunque esterni ai delicati equilibri prodotti dalle carte costituzionali.
L’asse Governo/Parlamento viene dunque affiancato e posto sotto tutela da istituzioni estranee al tessuto costituzionale interno e parzialmente eterogenee anche alle procedure decisionali sovranazionali come previste dai Trattati istitutivi. Infatti, alla Commissione europea vengono ad affiancarsi: l’Eurogruppo, la Banca centrale oltre alle ulteriori istituzioni finanziarie internazionali quali Banca mondiale e Fondo monetario internazionale nei casi in cui i paesi interessati risultino sottoposti a programmi internazionali di prestito.
La governance europea, come succintamente accennata, ha rappresentato, ed ancora rappresenta, il più importante banco di prova per un modello di governance multilivello (Piattoni, S., The Theory of Multi-level Governance: Conceptual, Empirical, and Normative Challenges, Oxford, 2010 e Neyer, J., Discourse and Order in the EU, in Journal of Common Market Studies, 2003, 687).
In particolare l’Unione europea ha costituito l’ambiente istituzionale ideale per l’elaborazione e lo sviluppo di forme di decisione ed esecuzione delle politiche pubbliche eccentriche rispetto ai modelli tipici del costituzionalismo tradizionale.
In tale specifico contesto si è sviluppato un modello di governo e regolazione originale che è alla base della multilevel governance come oggi generalmente intesa.
Il modello è caratterizzato dalla interazione di soggetti pubblici nazionali e sovranazionali e dalla frequente partecipazione o coinvolgimento di istituzioni finanziarie dallo status giuridico disparato (banche centrali, sistema delle banche centrali, enti erogatori, istituti di rating, etc.) che incidono sulle scelte politiche (sia in sede di elaborazione normativa che in sede esecutiva).
In tal modo la governance trasforma ed impone di ripensare il rapporto tra forma di governo ed elementi costitutivi della statualità (almeno nella concezione tradizionale). Anzi, è forse proprio il nuovo atteggiarsi di elementi quali popolo, territorio e sovranità ad imporre una radicale trasformazione delle modalità di decisione pubblica e di governo delle scelte di rilevanza pubblica.
L’impatto sul territorio dei processi di governance multilivello è sempre più rilevante, condizionando a fondo le dinamiche economiche territoriali ed incidendo su scelte una volta demandate ad organi politici con maggiore connessione con il livello locale. Ma è la nozione stessa di territorio a risultarne modificata, oltre al suo legame con i soggetti che lo abitano (Di Martino, A., Il territorio dallo stato-nazione alla globalizzazione: sfide e prospettive, Milano, 2010).
Lo spazio territoriale viene ad aprirsi alle diverse dimensioni di aggregazione sovranazionale ma anche infranazionale. Nel contesto del diritto dell’Unione europea emergono nuove definizioni di «Spazio giuridico», «Area di libertà sicurezza e giustizia» e «territorio dell’Unione», secondo le espressioni riprese dai Trattati ed utilizzate dalla Corte di giustizia oltre che da alcuni atti di diritto derivato (cfr. il regolamento UE n. 1302/2013, che all’art. 1, fa riferimento a «territorio dell’Unione»; in precedenza l’espressione risulta utilizzata dalla Corte di giustizia nella causa C-34/09).
La scomparsa, o meglio la trasformazione, della nozione di territorio determina una profonda modifica di momenti e strumenti di rappresentazione delle istanze territoriali.
Detta diluizione della rappresentanza territoriale viene solo parzialmente mitigata dalla apertura dei processi decisionali alla partecipazione degli stakeholders e di gruppi organizzati; ciò in quanto detti processi divengono sovente ostaggio di gruppi di interesse o di inafferrabili dinamiche economiche anche sovranazionali, ragion per cui, spesse volte, le esigenze dei singoli territori vengono sacrificate alla sostenibilità di parametri economici ed al raggiungimento di obbiettivi finanziari poco attenti alle necessità del piano locale e delle comunità per quelle che sono le loro reali esigenze.
Anche la nozione di popolo, quale elemento soggettivo della statualità, viene messa a dura prova dall’affermarsi della governance come modello di adozione e di esecuzione delle scelte pubbliche. La caratteristica multilivello dei processi decisionali si impone, infatti, su contesti comunitari e popolazioni sempre meno omogenee oltre che con riferimento a spazi sovranazionali, ragion per cui le politiche pubbliche vengono ad incidere su ambiti ampi rispetto ai quali mancano caratteristiche di omogeneità, con un affievolito senso di comunità, determinando effetti su popolazioni non sempre riconducibili a coesi agglomerati nazionali, oltre alla circostanza per cui le stesse realtà statali si trasformano in senso sempre più multietnico e multiculturale.
Al popolo tradizionalmente inteso si sostituisce una comunità politica variegata e composita, priva di quella omogeneità che ha reso possibile la costruzione di comunità politiche coese che sono tipiche dello stato nazionale ottocentesco rappresentandone, sovente, l’insostituibile fondamento. La stessa rappresentanza politica si trasforma con il conseguente superamento delle forme e degli strumenti della partecipazione politica e l’emersione di nuovi modelli di organizzazione dei partiti e dei gruppi di interesse.
La nozione di sovranità si trasforma anch’essa con riferimento al funzionamento dei meccanismi di governance sovranazionale multilivello. Anzi, la sovranità ed il suo esercizio rappresentano l’ambito di principale impatto della governance multilivello (Sassen, S., Territory, Authority, Rights. From Medieval to Global Assemblages, Princeton, 2006).
Dalla sovranità monolitica, coesa ed invincibile dello stato tradizionale, i processi di governance determinano un progressivo slittamento nel senso di una sovranità frastagliata, partecipata, suddivisa e dibattuta, costretta tra molteplici limiti.
I processi di governance fanno essenzialmente riferimento a poteri attribuiti dagli stati nazionali alle organizzazioni sovranazionali ed a complessi meccanismi di individuazione ed allocazione delle competenze sovrane nei quali un ruolo sempre maggiore viene assunto dalle Corti supreme, dai Tribunali costituzionali, dalle giurisdizioni sovranazionali e dagli organismi arbitrali, per restare a logiche di tipo giurisdizionale oltre che a istituzioni economiche e finanziarie, sia con status pubblicistico che, financo, privatistico.
La sovranità viene ripartita tra gli stati partecipanti dell’aggregazione sovranazionale ed i processi decisionali perdono l’organicità e la monoliticità che li contraddistingueva per divenire processi partecipati da soggetti con diversa provenienza e collocazione istituzionale, con diversa attribuzione di potestà e diversa fonte di legittimazione, oltre che con sostanzialmente diversa capacità di incidere sulla realtà e di condizionare le scelte delle politiche pubbliche.
Questa diversità di rapporto con gli elementi tipici della statualità trasforma il modello di governance in qualcosa che incide, come anticipato, sulla stessa forma di governo, rimodulando la classica ripartizione dei poteri e l’esercizio della sovranità, oltre ad aggiungere una dimensione ulteriore all’organizzazione del potere pubblico.
Tale nuova forma di assunzione e determinazione delle decisioni pubbliche importa un diverso rapporto tra i classici poteri dello stato, modificando le modalità di intervento del controllo giurisdizionale che viene, nel contesto articolato determinato dai summenzionati processi, ad ampliare le proprie possibilità di intervento e gli spazi decisori.
Lo stesso potere esecutivo vede modificare gli ambiti del suo intervento e gli spazi decisionali concessi ed utilizzati. Si scaricano sul potere esecutivo e sull’amministrazione molte responsabilità cosicché le autorità amministrative tendono ad assumere sempre più compiti di regolazione a tutto detrimento del potere legislativo che, in ragione delle accennate trasformazioni, viene a soffrire di una progressiva compressione dei propri ambiti e delle proprie prerogative a tutto vantaggio del potere giudiziario e della funzione esecutiva amministrativa. Tutto questo produce effetti non irrilevanti sulla posizione dei cittadini e sulla stessa nozione di potere pubblico.
Il carattere rappresentativo delle istituzioni poste all’apice del sistema decisionale (Parlamento) insieme alla centralità delle decisioni assunte dal potere rappresentativo oltre che la loro sovraordinazione rispetto agli atti derivanti dal potere esecutivo e da quello giudiziario (rapporto tra leggi, normativa secondaria ed atti esecutivi da un lato e subordinazione del potere giudiziario alla voluntas legis dall’altro) rappresentano gli elementi distintivi del costituzionalismo tradizionale. In sostanza la legge parlamentare al centro del sistema e tutto il resto attorno, in posizione tendenzialmente subordinata; è questo il delicato e fragile equilibrio, creato a partire dalle costituzioni ottocentesche, che ha sostanzialmente retto sino a tutto il XX secolo. Questo modello è però entrato in crisi nel corso degli ultimi decenni.
Le profonde e vaste trasformazioni degli ultimi anni, insieme proprio alla dirompente emersione del modello di governance, hanno lentamente ma profondamente eroso l’assetto istituzionale e costituzionale ordinato secondo i precetti del costituzionalismo tradizionale.
Tali processi e trasformazioni sono andati avanti di pari passo alla progressiva internazionalizzazione dell’economia ed alla rivoluzione tecnologica, con il nuovo scenario politico e sociale da questa determinato (il riferimento è soprattutto alla trasformazione strutturale del rapporto tra governanti e governati).
È sui corpi politici che la trasformazione è stata, però, più profonda e radicale. Le tumultuose trasformazioni economiche e sociali hanno rivelato come inadeguata la dimensione unitaria della legislazione, determinando una profonda crisi del criterio maggioranza/minoranza che è stato a lungo perno del modello democratico costituzionale (M.R.Ferrarese, Governance. Sugli effetti politici e giuridici di una “soft revolution”, in Politica del Diritto, 2014, 167).
Si è aperta in tal modo la strada ad un modello di governo di minoranze di vario tipo e qualità, secondo una rappresentazione diretta degli interessi in gioco non più mediata dai corpi intermedi quali portatori di istanze di tipo generalistico.
Si è venuto a configurare un modello di decisione e di governo formato su una sorta di decisionalità amministrativa a bassa intensità che si cura, volta per volta, di istanze minori e di interessi di frazioni di tessuto sociale, se non proprio di operatori economici.
Tale progetto politico e nuovo modello istituzionale poggia su una chiara ambivalenza tra istanze di ampia partecipazione, anche dal basso, ai processi di decision making e un nocciolo duro tecnocratico, cui si conferisce la funzione di guidare questi processi di partecipazione; una tale ambivalenza, in uno con la frammentazione degli ambiti decisionali, rende peró concreta la possibilità che tali processi aperti divengano ostaggio dei gruppi meglio organizzati o economicamente più forti.
Si procede in tal modo all’indebolimento della sovranità politica dell’attore pubblico che progressivamente vede scemare la propria capacità di determinare decisioni definitive e di valenza generale, con progressivo affievolimento della propria legittimità e capacità di fare la sintesi, su un piano generale, dei diversi interessi particolari.
Nonostante quanto sin qui detto gli Stati, con il loro tradizionale apparato istituzionale, rimangono ancora l’ossatura dell’organizzazione istituzionale della società contemporanea ed i luoghi privilegiati della decisione politica, soprattutto negli ambiti etici o sulle grandi questioni simboliche, oltre che in tema di utilizzo della forza nell’ambito interno o internazionale; il loro operato viene però sottoposto ad una disciplina sempre più stringente ed invasiva soprattutto, come ricordato, a partire dall’ambito economico.
La governance tendenzialmente pone al centro del modello decisionale il diritto amministrativo/esecutivo, quello giudiziario e quello “contrattato” (anche nel senso delle forme pattizie internazionali).
Si tratta di formule decisorie condivise, partecipate e solo apparentemente aventi una minore capacità d’incidere rispetto alle fonti normative tradizionali. Si tratta però di forme di governo dei fenomeni che hanno conquistato spazi enormi nel contesto contemporaneo, assumendo dimensioni e ruoli inimmaginabili dalla teoria classica dello stato di diritto, soprattutto nella sua declinazione continentale.
Il protagonismo di contratti e giurisdizione risponde perfettamente alla domanda di un diritto meno connotato politicamente, più adeguato alle singolari circostanze e capace di contemperare interessi diversi e variabili.
Si tratta di sostituire una visione generale e proiettata al futuro con un approccio del caso concreto, senza la presunzione di governare l’avvenire, bensì con la decisa volontà di provare a regolare il presente e l’attuale, con la capacità di correggersi e di autocorreggersi oltre che di adeguarsi al mutevole volere delle opinioni pubbliche o dei gruppi di interesse.
Soprattutto la formula giudiziaria ha riscosso un crescente successo a livello nazionale ed internazionale, con il rampante protagonismo delle corti sovranazionali ed internazionali e l’istituzionalizzazione di Panel e Dispute Settlement Board aventi il compito di individuare la regola del caso concreto in un sistema di più o meno salde garanzie procedurali (Cassese, S., I Tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, 2009).
Tali processi di trasformazione presentano, però, notevoli lacune ed espongono a notevoli rischi. Mutevolezza degli orientamenti, sacrificio della prevedibilità e della certezza del diritto, condizionamento da parte dei poteri forti e dei soggetti dotati di maggiori e più potenti mezzi, sono tutti pericoli insiti in questo strisciante trasferimento di potere e forza decisionale verso attori giurisdizionali. La trasformazione si riverbera soprattutto su quello che è stato lo strumento ed il principio cardine della costruzione costituzionale degli ultimi due secoli: il principio di legalità.
La legalità intesa come principio di legalità parlamentare cede il passo a diverse versioni ed interpretazioni; si tratta di rielaborazioni effettuate ad opera, soprattutto, dalle corti sovranazionali (Vogliotti, M., Legalità, in Enc. Dir., Annali VI, Milano 2013). Legalità non è più solo la garanzia della decisione rappresentativa e generale, come nel modello legale tradizionale, ma viene ad essere sfumata nel senso di garanzia di comprensibilità, conoscibilità ed accessibilità, al più prevedibilità della regola, senza riferimento alla sua genesi ed al processo che ne ha determinato la formazione.
Rientra nel perimetro della legalità la norma approvata da organismi poco o nulla rappresentativi o al più rappresentativi di altre comunità politiche, così come il frutto dello sforzo ermeneutico di un tribunale o di una corte internazionale. Siamo a cospetto di una legalità che si forgia nel rapporto reciproco e di compatibilità rispetto a diversi livelli normativi ed ordinamentali o attraverso complesse procedure di interpretazione conforme che spesso determinano lo snaturamento della legge per come voluta e definita dalla volontà del legislatore, sino a discutibilissime operazioni interpretative che obliterano completamente il portato letterale ovvero persino con esiti ermeneutici contra legem che mortificano il senso profondo della nozione tradizionale di legalità.
Le esperienze di governance accreditatesi a partire dal contesto della regolazione europea sono state tradizionalmente individuate come meccanismi non sostitutivi di quelli costituzionali tradizionali ed allo stesso tempo idonei ad amplificare la partecipazione degli stakeholders, in tal modo “migliorando” la base rappresentativa delle decisioni e favorendo il protagonismo di corpi intermedi e portatori di interessi in processi tradizionalmente ostaggio del potere esecutivo (Czempiel, E.O., Governance and Democratization, in Rosenau, J.N.-Cziempiel, E.O., a cura di, Governance without Government: Order and Change in World Politics, Cambridge, 2000).
Si è presentata, dunque, la governance come una mera integrazione dei meccanismi decisionali idonea a rafforzare la partecipazione ed a garantire la presa in considerazione dei punti di vista più vari sulle materie e sulle questioni poste all’attenzione del momento decisorio; una decisione che non coinvolge o non dovrebbe riguardare ambiti di alta politica o scelte di politica generale che rimangono, almeno formalmente, invece, appannaggio dei luoghi istituzionali e delle liturgie proprie dello stato costituzionale democratico e di diritto.
Tale lettura della governance, tollerabile dal punto di vista dei principi democratici letti in senso tradizionale, è sostenibile a cospetto di ambiti decisionali demandati ai processi di governance strettamente esecutivi e senza velleità regolatorie incidenti sulle scelte di cosiddetta politica generale o alta politica.
L’espansione del modello e l’incidenza della governance in tutti gli ambiti dell’ordinamento, così come la capacità di condizionare indirettamente ogni scelta di politica generale mediante l’imposizione di vincoli stringenti sulle scelte di spesa pubblica, determina invece una chiara incidenza sul funzionamento e sull’essenza stessa dei meccanismi costituzionali, oltre che sulle logiche democratiche sottese al costituzionalismo democratico (Peters, B.G.-Pierre, J., Multi Level Governance and Democracy: a Faustian bargain?, in Brache, I.-Flinders, M., a cura di, Multi Level Governance, Oxford, 2004).
Se il costituzionalismo contemporaneo pone al centro del suo sistema la legalità come frutto di un processo aperto e rappresentativo, la governance tende, di contro, a contendere spazio e ruolo alla legalità parlamentare facendo emergere nuove fonti deregolamentate o atipiche e limitando la libertà stessa dei parlamenti e dunque la loro sovranità come tradizionalmente intesa.
Viene posto in crisi lo stesso formalismo giuridico proprio dello stato costituzionale che ha funto da garanzia di eguaglianza e tutela delle minoranze, tutto ciò a vantaggio di una crescente deformalizzazione delle procedure che progressivamente assumono forma e carattere di progressive negoziazioni che favorisconole volontà o le richieste dei soggetti più forti e strutturati che divengono, sempre più spesso, predatori nell’ambito dei processi di governance negoziata.
La scomposizione dei luoghi decisionali e dei soggetti di riferimento della decisione fa perdere di vista l’interesse generale e la stessa corretta individuazione della generalità dei destinatari delle decisioni a favore di una parcellizzazione degli ambiti di regolazione. Risultato ultimo di tale processo di scomposizione verticale ed orizzontale degli ambiti decisionali e delle comunità destinatarie delle decisioni è la scomparsa di un demos di riferimento.
La scomparsa o la scomposizione del demos di riferimento produce l’indebolimento della democrazia che, in tal modo, perde il suo campo di azione e la sua forza di propulsione. La dialettica si sposta dall’asse minoranza/maggioranza a quella tra portatori di interessi. La contendibilità della scelta pubblica ed il confronto tra più opzioni, tipico del gioco democratico parlamentare, scompare a favore di decisioni prese spesso senza dialettica e con la ricerca spasmodica del consenso di tutte le parti rappresentate nel processo di decision making partecipato.
I meccanismi decisionali, come visto, perdono la loro valenza politica ed acquistano un carattere tecnico ed inclusivo che non consente vere alternative ma solo aggiustamenti e scambi negoziali, tenendo fuori, sempre più spesso, gli interessi di coloro che non portano interessi, i cittadini non organizzati ed i soggetti non rappresentativi di interessi economici forti e coesi.
Si afferma, dunque, un processo decisionale senza demos con conseguente indebolimento della forma decisionale propria della democrazia che è fondata sullo scontro di idee e posizioni e sulla contendibilità del governo e dell’opzione legislativa che è affidata, nelle esperienze costituzionali tradizionali, non a esponenti immediatamente rappresentativi di interessi ma a soggetti portatori di una rappresentanza più ampia, quella della nazione o delle Constituency democratiche.
Attraverso tale processo di trasformazione della logica decisionale, e pure a cospetto dell’apertura dei processi di decisione e scelta pubblica, la democrazia perde il proprio connotato tipico ed originale a favore di procedure ammantate di retorica tecnocratica e partecipativa che di fatto e progressivamente portano allo svuotamento degli istituti della democrazia per come la conosciamo e per come si è affermata nel corso degli ultimi due secoli.
Ora, se è vero che una eccessiva enfatizzazione di tale processo di trasformazione delle logiche decisionali non consente di cogliere quanto di buono è stato comunque prodotto dal processo di aggregazione sovranazionale e come proprio la complessizzazione della società e dell’economia contemporanea abbiano reso necessaria l’edificazione di modelli di governance capaci di regolare il molteplice ed il complesso, appare necessario tenere presente i pericoli determinati da una acritica accettazione e consenso verso lo smantellamento dei caratteri propri dello stato costituzionale.
I fenomeni brevemente accennati sono tuttora in piena evoluzione rappresentando un processo progressivo di adattamento del contesto istituzionale. Si tratta di fenomeni sociali, politici e giuridici rilevanti e centrali che vanno investigati con la consapevolezza che non appare oggi possibile un ritorno tout cour al vecchio e rassicurante modello tradizionale di costituzionalismo decisione politica. È al tempo stesso necessario essere consci che l’abbandono o il superamento dei meccanismi decisionali propri dello stato di diritto costituisce un rischio e che, dunque, vanno tutelati e difesi i presidi della democrazia costituzionale e va tentata la ricerca di un equilibrio sostenibile tra esigenze della modernità e la tutela dei principi propri della dottrina costituzionale.
Bisogna dunque lavorare al rafforzamento, anche a livello sovranazionale, dei meccanismi e delle dinamiche proprie del costituzionalismo cercando di iscrivere i processi di trasformazione nel quadro dei principi e delle regole della democrazia liberale ecostituzionale.
Per raggiungere detto equilibrio è necessario, soprattutto alla scienza costituzionalistica ed alla dottrina dello stato, oltre che alla scienza politica, riconoscere i fenomeni di trasformazione della scelta pubblica indotti dalla governance e dall’affermazione di una governance multilivello, tentare una loro nuova declinazione attenta ai principi della dottrina costituzionale e non limitarsi a richiamare l’esclusivo carattere legalitario delle forme decisionali iscritte nelle nostre costituzioni.
Queste forme di decisione sono, infatti, oggi radicalmente trasformate dai processi di governance multilivello ed appare forse inutile ricercare o rivendicare una purezza delle forme e dei processi decisionali che, probabilmente, non è mai esistita solo a voler ricordare, per rimanere ad esperienze prossime geograficamente e cronologicamente, i sistemi di concertazione della scelta pubblica che, soprattutto in modelli costituzionali quale quello italiano, hanno costituito in epoca nemmeno tanto risalente il precedente logico dei modelli di decisione aperta e partecipata cui oggi si ispira la governance.
Partire da questa consapevolezza è necessario ed ineludibile per provare a ripensare e rafforzare il modello tradizionale anche al fine di renderlo compatibile con le istanze della modernità oltre che capace di resistere agli stravolgimenti che rischiano di alterare il delicato equilibrio democratico quale frutto prezioso del costituzionalismo continentale affermatosi nelle fasi immediatamente successive al secondo conflitto mondiale.
Fonti normative
La Governance europea. Un libro bianco, COM (2001) 428 def., 25.7.2001.
Bibliografia essenziale
Amirante, C., Dalla forma stato alla forma mercato, Torino, 2008; Brache, I.-Flinders, M., a cura di, Multi Level Governance, Oxford, 2004; Di Martino, A., Il territorio dallo stato-nazione alla globalizzazione: sfide e prospettive, Milano, 2010; Ferrarese, M.R., Governance. Sugli effetti politici e giuridici di una “soft revolution”, in Politica del Diritto, 2014, 167; Ferrarese, M.R., Promesse mancate. Dove ci ha portato il capitalismo finanziario, Bologna, 2017; Gambino, S.- D’Ignazio, G., a cura di, La revisione costituzionale e i suoi limiti. Fra teoria costituzionale, diritto interno, esperienze straniere, Milano, 2007; Iacovino, A. Teorizzare la Governance. Governabilità ai tempi del globale, Roma, 2005; Mayntz, R., La teoria della governance: sfide e prospettive, in Rivista Italiana di Scienza Politica, n. 1, 1999, 3; Neyer, J., Discourse and Order in the EU, in Journal of Common Market Studies, 2003, 687-706; Nicolaidis, K.-Howse, R., The Federal Vision: Legitimacy and Levels of Governance in the United States and the European Union, Oxford, 2001; Peters, B.G.-Pierre, J., Multi level Governance and Democracy: a Faustian bargain?, in Brache, I. -Flinders, M., a cura di, Multi Level Governance, Oxford, 2004; Piattoni, S. The Theory of Multi-level Governance: Conceptual, Empirical, and Normative Challenges, Oxford, 2010; Rosenau, J.N.-Cziempiel, E.O., a cura di, Governance without Government: Order and Change in World Politics, Cambridge, 2000; Sassen, S., Territory, Authority, Rights. From Medieval to Global Assemblages, Princeton, 2006; Shore, C., European Governance’ or Governmentality? The European Commission and the Future of Democratic Government, in European Law Journal, 2011, 287; Vogliotti, M., Legalità, in Enc. Dir., Annali VI, Milano, 2013.