gradatio
Definita nel De Ratione dicendi come la figura " in qua non ante ad consequens verbum descenditur, quam ad superius ascensum est " (IV 25 34), senza cioè un particolare accenno alla gradualità nella disposizione dei concetti, viene posta da Quintiliano (IX III 54) e da Isidoro (II XXI 4) in chiaro rapporto con quella gradualità, e identificata col klimax dei Greci. Nelle definizioni delle poetiche medievali prevale piuttosto il concetto di ‛ connessione ' che è presente nel De Ratione dicendi (cfr. Goffredo di Vinsauf Poetria nova 1144-1153; e v. EPIPLOCHE). Quintiliano ne raccomanda l'uso moderato trattandosi di una figura vistosa e ricercata.
A tale suggerimento sembra obbedire D., che usa la g. eccezionalmente e sempre in relazione con il più alto dei temi, ossia quello della grazia divina e della beatitudine dell'anima, sia nel poema che nella Monarchia, mentre l'evita nella prosa volgare. Lo schema della g. si prestava infatti a rappresentare sensibilmente e a sottolineare il senso di ascesa dello spirito attraverso i gradi della vita interiore.
Affine all'epiploche di Pd XIV 46-51 è la g. precedente: La sua chiarezza séguita l'ardore; / l'ardor la visïone, e quella è tanta, / quant'ha di grazia sovra suo valore (vv. 40-42). Attraverso la catena della g. si risale infatti dall'effetto sensibile alla causa divina della luce delle anime. Una più evidente gradazione si avverte invece in Pd XXX 39-42, dove lo schema retorico mira ad approfondire, mediante un crescendo di determinazioni, lo stato di beatitudine del cielo decimo: ... al ciel ch'è pura luce: / luce intellettual, piena d'amore; / amor di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogne dolzore. Lo sviluppo procede anche questa volta dalla determinazione visibile alla ragione invisibile di essa.
All'efficacia della descrizione tende invece la g. di Pg XXIX 94-96, in cui l'immaginosa rappresentazione dei simbolici animali si completa in tre successive determinazioni, che graduano la meraviglia e preparano lo stupore: Ognuno era pennuto di sei ali; / le penne piene d'occhi; e li occhi d'Argo, / se fosser vivi, sarebber cotali, dove la prima connessione è ottenuta con una ‛ variatio ' (ali - penne). L' ‛ esempio ' (v.) finale, che si giustifica nella successiva confessione d'incapacità descrittiva del poeta, è appunto in funzione di tale gradazione dal più credibile al meno credibile.
Un tipico esempio di g. che s'incontra nella Monarchia, anch'esso diretto a chiarire i termini della vita spirituale, si dispone secondo il ritmo ascendente delle virtù teologali: Qui ante traditiones Ecclesiae in Filium Dei Christum sive venturum sive praesentem sive iam l'assumi crediderunt, et credendo speraverunt. et sperantes caritate arserunt, et ardentes ei coheredes factos esse mundus non dubitat (III III 10).
Bibl. - A. Salvagni, Figure grammaticali, Milano 1907, 231-232; G. Nencioni, D. e la retorica, in D. e Bologna nei tempi di D., Bologna 1967, 109-110.