gradire
Voce di uso non molto largo e prevalentemente poetico, con due sole occorrenze nel Convivio. Nel senso proprio di " accogliere con piacere, con gradimento ", in Pg I 70 Or ti piaccia gradir la sua venuta, Cv IV XXII 3 massimamente è da gradire quelli che..., e - secondo il Petronio - in Fiore X 7 non mi grava / su' mal [la pena derivante da Amore], ch'i' ne sarò tosto guerito, / ché questo mio signor lo m'ha gradito, " mi ha dichiarato di gradirlo " (cfr. invece Parodi: " me lo ha concesso, promesso in grazia "; ma in tal caso si avrebbe una ripetizione dello stesso concetto ai vv. 10-11).
In Rime dubbie XVI 2 Io non domando, Amore, / fuor che potere il tuo piacer gradire, vale invece " appagare ", secondo un significato proprio del verbo nell'italiano antico (Crusca; diversamente Tommaseo-Bellini, ripreso dal Contini: " Rendere grazioso a sé ").
Sostantivato in Pd X 57, dove D. dichiara che nessuno fu mai tanto presto quanto lui a rendersi a Dio / con tutto 'l suo gradir, " con tutto suo compiacergli " (Buti; " gratitudine " intendono Porena e Chimenz; " piacere " altri).
Con costrutto passivo, nel senso di " apprezzare ", in Pd VII 106 l'ovra tanto è più gradita / da l'operante, quanto più appresenta / de la bontà del core; ma il Chimenz considera gradita aggettivo (" grata, cara a chi la fa ", attribuendo a da il valore di ‛ a '). La stessa ambivalenza di costrutto e di significato in Pd VI 129, dove Giustiniano esalta la figura di Romeo di Villanova, di cui / fu l'ovra grande e bella mal gradita, " male accetta ", e in If XVI 42, a proposito di Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce / nel mondo sù dovria esser gradita.
In altri casi, unito ad altro aggettivo, il participio ha più sicuramente valore aggettivale: Beatrice si duole di essere stata, dopo la morte, men cara e men gradita a D. (Pg XXX 129); lo stilema è anche in Cv III XV 14 le vertudi... tal volta.., si fanno men belle e men gradite.
In Pg IV 135 gradita è variante recenziore, accolta dalla Crusca e più tardi dal Foscolo, di udita.