comparativo, grado
Il grado comparativo è la proprietà dell’aggettivo che permette di attribuire a un nome una proprietà, espressa da quell’aggettivo, allo stesso tempo comparandone l’intensità con un altro nome (detto ➔ secondo termine di paragone) o con un altra proprietà dello stesso nome. L’intensificazione può essere positiva, con il comparativo di maggioranza, o negativa, con quello di minoranza: entrambi vengono anche chiamati nel loro insieme comparativo di disuguaglianza (cfr. Belletti 1991: 837). Infine la comparazione può esprimere una sostanziale equiparazione del grado di intensità di una certa proprietà in due nomi o di una proprietà rispetto a un’altra con il cosiddetto comparativo di uguaglianza. La stessa tipologia si ritrova anche con gli ➔ avverbi (o meglio avverbiali), che attribuiscono proprietà a predicati. Negli esempi seguenti sono riassunti i vari tipi:
(1) a. comparativo di maggioranza:
i. Mario è più simpatico di Gianni
ii. Mario è più furbo che bravo
iii. Mario corre più velocemente di Gianni
iv. Mario corre più velocemente che bene
b. comparativo di minoranza:
i. Mario è meno simpatico di Gianni
ii. Mario è meno scrupoloso che pignolo
iii. Mario corre meno velocemente di Gianni
iv. Mario corre meno velocemente che con grazia
c. comparativo di uguaglianza:
i. Mario è (tanto) bravo quanto Piero
ii. Mario è (tanto) bravo quanto preparato
iii. Mario corre (tanto) velocemente quanto Gianni
iv. Mario corre tanto velocemente quanto con grazia
Inoltre, è possibile intensificare il grado comparativo aggiungendo così un valore superlativo assoluto (➔ superlativo): Mario è molto più / meno simpatico di Gianni.
Si noti che tutti gli aggettivi e gli avverbi sono intensificati, positivamente o negativamente, per mezzo di avverbi: più, meno, tanto. In altre parole, le costruzioni comparative (come alcune di quelle superlative) sono in genere espresse con una struttura analitica, in cui l’aggettivo non subisce modifica di carattere morfologico. Non era così in latino, ove il grado comparativo, come quello superlativo, veniva codificato negli aggettivi mediante suffissi in maniera sintetica (per es., alt-us «alto» alt-ior «più alto»). Resti di questo sistema morfologico di comparazione si ritrovano anche in italiano, nel piccolo numero di aggettivi che presentano forme suppletive (➔ suppletivismo) di comparativo (e che erano per lo più già tali in latino):
(2) buono / migliore
cattivo / peggiore
grande / maggiore
piccolo / minore
In tutti questi casi (anche detti di comparativo organico: Serianni 1989: 217), l’intensificazione è intrinsecamente codificata dal lessema e non ha bisogno dunque di essere ulteriormente espressa per mezzo di avverbi: Mario è (*più) migliore di Gianni.
Tuttavia, il ricorso alla forma suppletiva non è obbligatorio, dato che si può impiegare la forma analitica: Mario è più buono / cattivo / grande / piccolo di Gianni. Si badi che le due costruzioni non sono sempre equivalenti dal punto di vista semantico: in generale nelle forme suppletive si riscontra «un prevalere di significati astratti» (Serianni 1989: 218), che è vincolante in casi come il minore / * più piccolo dei mali, e di converso con valore concreto una casa più piccola / * minore della mia. Al posto di migliore e peggiore è possibile anche l’uso delle forme avverbiali meglio e peggio in posizione predicativa: Il suo ultimo film è meglio / peggio dei precedenti. Infine, anche l’avverbio più fa da comparativo suppletivo a molto, così come meno a poco. Entrambi possono essere impiegati anche come aggettivi: questa macchina consuma più / meno benzina della tua, anche assoluti: I professori erano più / meno degli studenti.
Oltre a questo piccolo gruppo di forme suppletive, sopravvive anche un gruppetto di comparativi sintetici ‘fossili’ a cui non corrisponde nessun aggettivo di grado positivo:
(3) anteriore, citeriore, esteriore, inferiore, interiore, posteriore, superiore, ulteriore
Si tratta di forme latineggianti: in latino questi aggettivi rappresentavano infatti il grado comparativo dei rispettivi avverbi o preposizioni (ante «davanti, prima», citrā «al di qua», ecc.), che solo in parte sono sopravvissuti in italiano. In costruzioni comparative ricorrono gli aggettivi inferiore, superiore, anteriore e superiore:
(4) a. il mio stipendo è inferiore / superiore al / * del tuo
b. il tuo arrivo è anteriore / posteriore al / * del nostro
Si noti l’impiego di a per introdurre il secondo termine di paragone e la già menzionata impossibilità di costruire un comparativo analitico: * più inferiore, ecc.
In alcuni casi tali aggettivi «hanno finito col perdere in tutto o in parte i tratti semantici del comparativo» (Serianni 1989: 218), sicché, ad es. esteriore (etimologicamente, comparativo dell’avverbio latino extrā «fuori») non significa «che sta più fuori» ma semplicemente «esterno», per lo più in senso astratto: l’aspetto esteriore delle cose. Allo stesso modo si comporta interiore, per cui è impossibile la costruzione comparativa: * La tua stanza è interiore / esteriore alla mia. In altri casi, il valore comparativo si ritrova in usi limitati come l’Abruzzo citeriore (al di qua del fiume Pescara) / ulteriore (al di là di esso). Quest’ultimo aggettivo ha impiego solo attributivo, non predicativo, e ammette anche la costruzione comparativa: Mario ha suggerito una spiegazione ulteriore alla tua, ma * La sua spiegazione è ulteriore alla tua. Di uso solamente scritto e burocratico sono infine altri fossili come recenziore «più recente», seriore «più tardo», viciniore «più vicino, limitrofo» e poziore «preferibile» (dal comparativo latino potior «più potente»).
Sia con il comparativo di maggioranza che di minoranza il secondo termine di paragone è in genere introdotto da di o da che. La preposizione di è preferita quando il secondo termine di paragone è un nome proprio (Mario è più esperto di Antonio) o un avverbio (Mario è più esperto di prima, Franco è arrivato più tardi di ieri; ma: più stanco che / * di mai) e in generale quando il secondo termine di paragone non è costituito da un sintagma preposizionale: Mario è più gentile di / che te.
Si noti che l’uso di che si qualifica oggi come un settentrionalismo, benché non lo fosse in italiano antico: «Elle son molto men forti che gli uomini a sostenere» (Boccaccio, Dec., Proemio, 3). Inoltre, il pronome è obbligatoriamente in forma obliqua, similmente a quanto capita con il comparativo di uguaglianza: Mario è tanto forte quanto te / * tu.
Per converso, la congiunzione che è obbligatoria quando il secondo termine di paragone è un sintagma preposizionale: Mario è più gentile con me che / * di con te, e quando si comparano due proprietà attribuite allo stesso referente: Mario è più furbo che / * di intelligente.
Il secondo termine di paragone può anche essere costituito da frasi, nel qual caso ci sono varie possibilità:
(5) a. Gianni si è mostrato più adatto a quest’incarico di quanto (non) sperassi
b. Carlo è arrivato più presto di / che quanto (non) mi aspettassi
c. Gianni si è mostrato più adatto a quest’incarico di quello che speravo / * sperassi
d. Antonio è più stanco ora di / che quando andava a lavorare
In genere la frase comparativa è introdotta da di accompagnato da quanto, oppure da che se lo standard di paragone è un avverbio (5) b.: in entrambi i casi è richiesto il congiuntivo, e preferibilmente ricorre una negazione espletiva o pleonastica, che cioè non realizza gli effetti della negazione piena, sicché la frase risulta essere affermativa e sinonima della frase senza negazione (cfr. Rigamonti 1991: 287).
Inoltre, si può impiegare «una struttura di tipo esplicitamente relativo la cui testa sia il pronome dimostrativo quello» (Belletti 1991: 838): in questo caso, come in (5) c., è richiesto l’indicativo. Infine, è possibile anche impiegare come secondo termine di paragone una frase avverbiale, ad es., temporale (5) d. che si correla con l’avverbio della principale ora, e rivela la natura fondamentalmente avverbiale di questo tipo di subordinate (cfr. Belletti 1991: 849).
Con il comparativo di uguaglianza il secondo termine di paragone è introdotto in genere da quanto e come, mentre il primo può essere preceduto dalle forme correlative tanto (con quanto) e così (con come): un’auto (tanto) cara quanto la tua, sono (così) indignato come te, ecc. In correlazione con altrettanto, il secondo termine di paragone è introdotto da che: Maria è altrettanto gentile con me che / * quanto / * come con te.
Nel caso in cui vengano messe a paragone due proprietà attribuite allo stesso referente, il correlativo è obbligatorio: un vino (*tanto) buono quanto caro. Inoltre tanto e quanto possono anche essere usati come aggettivi: Mario ha tanti libri quanti mio fratello. Si noti l’opposizione tra l’uso aggettivale: c‘erano tanti uomini quante donne, in cui è comparato il numero di uomini e donne, e l’uso avverbiale: c’erano tanto uomini quanto donne, in cui è comparata la presenza di uomini e donne.
Inoltre è possibile applicare la costruzione con il comparativo di uguaglianza a una costruzione contenente un comparativo di maggioranza (o di minoranza): Andrea è tanto più intelligente di Luigi quanto Massimo, ma non viceversa: * Andrea è più tanto intelligente quanto Luigi di Massimo.
Anche con il comparativo di uguaglianza il secondo termine di paragone può essere costituito da frasi:
(6) Maria è stata tanto / *come / * altrettanto astuta quanto / * che Gianni è stato stupido
Si noti che la coppia di correlativi dev’essere necessariamente costituita da (tanto) ... quanto (in cui tanto può essere omesso), il verbo dev’essere all’indicativo e non è ammessa negazione espletiva: * Maria è stata tanto astuta quanto Gianni non fosse stupido. Si badi che nella frase comparativa (tanto è riflessiva Maria quanto Luisa non è matura) la negazione non è espletiva, ma piena.
Infine, frasi del tipo:
(7) a. questo problema più che difficile è complesso
b. proporrei questo problema a Gianni più che a te
sono considerate pseudo-comparative, alla luce del fatto che a differenza della comparative non ammettono il comparativo di minoranza (* questo problema meno che difficile è complesso) e in secondo luogo non viene comparata l’intensità di due proprietà attribuite a un medesimo referente, ma viene attribuita al referente solo una delle due proprietà, mentre l’altra viene scartata. Lo stesso vale per altre pseudocomparative, ad es., con la locuzione piuttosto che: questo problema è complesso piuttosto che difficile. È da considerarsi substandard l’uso di piuttosto che con valore di congiunzione disgiuntiva (➔ congiunzioni). Nello standard la frase Mario va di solito al mare piuttosto che in montagna ha solo un’interpretazione pseudo-comparativa (Mario va al mare e non in montagna), e non disgiuntiva (Mario va indifferentemente al mare o in montagna).
Belletti, Adriana (1991), Le frasi comparative, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1988-1995, vol. 2º (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale. La subordinazione), pp. 832-853.
Renzi, Lorenzo, Salvi, Giampaolo & Cardinaletti, Anna (a cura di) (1988-1995), Grande grammatica italiana di consultazione, Bologna, il Mulino, 3 voll.
Rigamonti, Alessandra (1991), Negazione espletiva, in Renzi, Salvi & Cardinaletti 1988-1995, vol 2° (I sintagmi verbale, aggettivale, avverbiale; la subordinazione), pp. 287-299.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.