GRADO
(Ad aquas gradatas, Gradus nei docc. medievali)
Centro del Friuli-Venezia Giulia (prov. Gorizia) sul vertice dell'arco costiero altoadriatico, G. sorge sul margine meridionale della omonima laguna, che sin dall'origine dovette avere caratteristiche analoghe a quelle attuali, con l'eccezione delle isole a N e a S, un tempo più numerose e più grandi.La strada che univa Aquileia a G. non presentava un tracciato rettilineo, come sarebbe avvenuto se al posto dell'attuale laguna, o di una parte di essa, ci fossero state terre emerse, ma a N di Belvedere, località presso il margine lagunare, deviava a O, per procedere poi su un argine artificiale e raggiungere il centro aggirando il porto. G. dovette dunque essere un'isola, forse all'inizio usata dai Romani solo per attracchi di emergenza trovandosi all'imbocco del canale navigabile che conduceva ad Aquileia, ed ebbe un potenziamento portuale dopo il decadimento del porto fluviale di quest'ultima, avvenuto per la deviazione del fiume Natisone, a seguito della quale fu costruita pure la strada. La centuriazione aquileiese ebbe estensione fino a G., senza tuttavia determinare la subordinazione a essa dell'orientamento di edifici romani e paleocristiani (Mirabella Roberti, 1974-1975).La situazione di G. come isola tra laguna e mare è confermata da Paolo Diacono, il quale asserisce che il patriarca di Aquileia Paolino (558 ca.-570) all'arrivo dei Longobardi (568) fuggì sull'isolotto di G. (Hist. Lang., II, 10; Bertacchi, 1980, p. 275); la natura di isola - come emerge anche dal Chronicon Altinate (II) - dava una qualche garanzia di sicurezza da popolazioni barbariche non avvezze alla navigazione, nella stessa misura in cui Torcello e altre isole della laguna di Venezia costituirono un rifugio per gli emigrati di Altino. Andrea Dan dolo informa che dopo il 421, sotto l'episcopato di Agostino, insigni cittadini di Aquileia "ad aquas veniunt gradatas: et in litore castrum spectabile construxerunt, quod ab aquarum nomine Gradus appellatur" (Chronica per extensum descripta, V, 1, 12). Il castrum romano di G., ancora riconoscibile, aveva una lunghezza di m. 320 e una larghezza massima di m. 90; esso subì manomissioni nel corso dei secoli, inglobando probabilmente un preesistente centro abitato e una necropoli - dapprima pagana e poi cristiana - compresa tra piazza della Corte e piazza della Cattedrale, ove sorse un primo edificio di culto funerario ad aula rettangolare entro cui venne successivamente sepolto Petrus. Tuttavia la chiesa più antica fu quella ritrovata negli scavi di piazza della Corte (od. piazza della Vittoria), databile per il tipo di tessellato e per la "distribuzione dei campi musivi" alla seconda metà del sec. 4° (Bertacchi, 1980, pp. 307-309).Il consistente afflusso di Aquileiesi a G., determinato dalla invasione di Alarico agli inizi del sec. 5°, impose funzioni episcopali alla chiesa, che, in tale circostanza, fu dotata di banco presbiteriale con cattedra, di solea sopra il pavimento musivo e di un primo battistero ottagonale senza abside. I medesimi compiti episcopali furono svolti da questa chiesa anche al tempo dell'arrivo di Attila (452), che comportò la fuga di genti da Aquileia; successivamente essa dovette essere colpita da un incendio, come emerge da consistenti indizi di materiale combusto rinvenuti sopra il pavimento tessellato. Il vescovo Niceta (454-484), in attesa del risarcimento delle strutture della chiesa devastata, adibì a sede episcopale la piccola aula cimiteriale della seconda metà del sec. 4°, aggiungendo l'abside e il banco presbiteriale con la cattedra, mentre il battesimo veniva amministrato in un ambiente rettangolare a N provvisto di vasca.L'invasione degli Ostrogoti, condotta da Teodorico nel 489, causò una nuova migrazione di Aquileiesi a G., così da imporre la ricostruzione della chiesa di piazza della Corte in forme basilicali a tre navate e abside poligonale affiancata da due cappelle. Il pavimento musivo fu steso a una quota superiore di m. 1 rispetto al piano di calpestio del sec. 4°; sullo stesso livello sorse pure un nuovo battistero ottagonale e absidato.In quest'epoca la chiesa di S. Maria (od. S. Maria delle Grazie), probabilmente già installata sopra un edificio romano, assunse l'abside interna e la divisione in tre navate tramite sei coppie di colonne.La basilica di piazza della Corte subì un catastrofico incendio all'inizio del sec. 6°, con la conseguente trasformazione, seppure provvisoria, di S. Maria in sede episcopale. Una nuova cattedrale, poi intitolata a s. Eufemia, fondata nell'area occupata dalla necropoli, inglobò l'auletta con la tomba di Petrus e le cappelle funerarie, impostando le murature e il pavimento di cocciopesto allo stesso livello della necropoli. Durante la costruzione della nuova cattedrale la basilica di S. Maria fu dotata del banco presbiteriale con la cattedra, di pavimento in marmo nel presbiterio e tessellato nella navata, dovendo supplire temporaneamente alle funzioni di primaziale. Inoltre si costruì il monumentale battistero ottagonale con abside e pavimento tessellato al livello del cocciopesto della cattedrale (Polacco, 1971). Con l'arrivo dei Longobardi, il vescovo Paolino trasferì la sede episcopale da Aquileia a G. e la nuova cattedrale assunse le strutture da essa ancora conservate; un pavimento tessellato venne steso a oltre m. 1 sopra l'originario cocciopesto, mentre nelle cappelle a lato dell'abside e nell'ambiente annesso alla navata meridionale il pavimento musivo venne rifatto alla stessa quota del lastricato originario. Il vescovo Elia (571-586) la inaugurò nel 579 e successivamente provvide a sopraelevare e restaurare anche la chiesa di S. Maria (Bertacchi, 1971).La vita del patriarcato di G. non fu facile; la Chiesa aquileiese continuò a sopravvivere durante la dominazione longobarda poiché, avendo aderito allo scisma dei Tre Capitoli (553), si era di fatto allontanata dall'ortodossia della Chiesa di Roma, risultando per certi aspetti scismatica come quella ariana dei Longobardi. Allo schiudersi del sec. 7° ebbe inizio la doppia serie dei patriarchi (il vescovo di G. assunse dalla tradizione bizantina la denominazione di patriarca), quello di G., legato a Bisanzio, e quello di Aquileia, trasferitosi prima nel castello di Cormons e poi nel sec. 8° a Cividale, sempre proteso a riconquistare G. e l'Istria, mentre Aquileia rimase di fatto abbandonata. Il patriarca aquileiese Massenzio (inizi sec. 9°), legato all'impero carolingio, restaurò tuttavia la vetusta cattedrale di Aquileia e nel sinodo di Mantova dell'827 tentò di estendere su G. la sua giurisdizione metropolitana. I Veneziani vanificarono tale tentativo con il trafugamento del corpo di s. Marco da Alessandria nell'828: la presenza delle spoglie del santo a Venezia infatti significava l'attuazione di una supposta praedestinatio nella definitiva dimora dell'evangelista sulla terra lagunare, vanificando il diritto di Aquileia a esercitare una supremazia in base al fatto che s. Marco vi aveva propagato le fede cristiana su mandato di s. Pietro, come Massenzio aveva affermato a Mantova. Il corpo di s. Marco risolveva dunque la questione del diritto metropolitano del patriarca di G., ma segnava anche il decisivo assoggettamento dello stesso patriarcato all'autorità dogale (Carile, Fedalto, 1978, p. 236).Aquileia era ancora in stato di abbandono quando il patriarca Poppone (1019-1042) cercò di imporre nuovamente la sua giurisdizione su G. sia in vari sinodi sia anche con il saccheggio del centro lagunare. Nel sinodo romano del 1053 G. fu riconosciuta "Nova Aquileia, totius Venetiae et Istriae caput et metropolis"; ma nella dieta di Ratisbona fu declassata nuovamente a plebs di Aquileia (Lorenzoni, 1983, p. 420); proprio in quel giro di anni si manifestava una certa distinzione della politica veneziana da quella del patriarca di G. destinata alla sua inevitabile subordinazione al ducato.Per la basilica di piazza della Corte, lo scavo condotto tra il 1902 e il 1906 ha riportato alla luce le strutture della primitiva chiesa, sorta nella seconda metà del sec. 4° sopra una necropoli pagana. Essa aveva una pianta rettangolare (m. 3011) a navata unica con abside interna tangente il lato orientale; il presbiterio, sopraelevato di due gradini rispetto alla navata, aveva la recinzione. Successivamente l'abside fu dotata di bancone presbiteriale, di fossa per le reliquie, di ciborio, di solea e di un complesso battisteriale ottagono a N-O. Il pavimento tessellato presenta un campo centrale con grandi croci a tortiglione collegate da ottagoni ed esagoni allungati; il tutto è chiuso da una fascia perimetrale a losanghe con crocette centrali. Nell'ambiente a sinistra dell'abside il tessellato ha un motivo a greca, nel vano a destra un disegno a squame. Il presbiterio conserva un mosaico a figure geometriche, mentre il portico antistante la facciata, ampliato agli inizi del sec. 5°, presenta brani musivi a rombi ed esagoni allungati con cantaro centrale (Bertacchi, 1980, pp. 301-305). La prima chiesa fu distrutta da un incendio e riedificata a una quota superiore di m. 1; l'area dell'edificio precedente fu occupata dalla navata centrale, a cui si affiancarono le navate laterali separate da colonne e si attestò l'abside interna poligonale fiancheggiata da due cappelle; la fronte, preceduta da un portico, fu anch'essa distrutta da un incendio. Del perduto mosaico pavimentale è nota, da una foto di archivio, la decorazione a motivi geometrici della navata sinistra (Farioli, 1975, pp. 147-154).L'orientamento della basilica di S. Maria, coerente con le costruzioni romane, induce a collocarne la fondazione alla fine del sec. 4° e a collegarla all'attività del vescovo Cromazio (388 ca.-408). Attualmente essa si presenta con strutture del sec. 6° coeve a quelle della cattedrale; l'impianto rettangolare (m. 2012), che include un'abside interna con due cappelle laterali, è diviso in tre navate da cinque coppie di colonne con capitelli di varia epoca - romani, teodosiani e ravennati - ed è munito di recinzione presbiteriale ricostruita con elementi recuperati dagli scavi.La precedente edizione della basilica, della fine del sec. 5°, era caratterizzata dalla suddivisione in tre navate mediante sei coppie di pilastri con capitelli d'imposta, conservati nel lapidario della cattedrale, e dal presbiterio, subito dopo munito di bancone con cattedra (prima metà sec. 6°), pavimentato in opus sectile. Il pavimento tessellato si conserva nella navata destra, a m. 1,10 di profondità rispetto alla quota attuale, con motivi a fioroni quadripetali ed elementi geometrici includenti le iscrizioni dei donatori, databili tra la fine del 5° e l'inizio del 6° secolo. Un violento incendio, documentato archeologicamente, impose sul finire del sec. 6° un rifacimento della chiesa, che ebbe un maggiore sviluppo in altezza e il pavimento musivo conservato solo nei pastophória e nel ristretto vano di risulta compreso tra la curva absidale interna e il lato orientale della pianta rettangolare dell'edificio.Il battistero, che sorge a N della cattedrale, ha una pianta ottagonale di m. 12 di diametro e un'altezza di altrettanti metri, con muri perimetrali spessi cm. 70 e una profonda abside semicircolare all'interno e poligonale all'esterno. Un restauro del 1925 ha riaperto porte e finestre e ha eliminato una serie di gradoni concentrici costruiti nel sec. 9°, quando il vano ottagonale era stato adibito a catechumeneum, mentre il battesimo si amministrava nell'abside. Il restauro ha ricostruito al centro il fonte battesimale a pianta esagonale, anche con materiale recuperato dallo scavo; inoltre è stato possibile ripristinare la recinzione davanti l'abside e l'altare con monogramma del vescovo Probino (569-571; Zovatto, 1947-1948).L'articolazione delle forme murarie e la planimetria collegano il battistero di G. a quello più tardo di Aquileia e agli esemplari di Parenzo, in Istria (Croazia), e di Hemmaberg, in Carinzia (Austria; Bertacchi, 1980, p. 299). Il pavimento tessellato presenta una fascia perimetrale ad archetti e otto spicchi nel campo centrale decorati a pelte, girali, ottagoni, quadrati e fioroni quadripetali; il livello di calpestio - corrispondente al cocciopesto dello strato inferiore della cattedrale - e il lessico decorativo inducono a datare il battistero alla fine del sec. 5° o all'inizio del 6° (Polacco, 1971).La cattedrale di S. Eufemia fu iniziata dopo l'invasione di Attila, sotto l'episcopato di Niceta, su un'area cimiteriale di cui si conservano sarcofagi e cappelle sepolcrali, inglobate nella struttura della chiesa, che formavano un complesso funerario analogo a quelli di Manastirine, presso Salona, in Dalmazia (Croazia), e della vicina Concordia Sagittaria (prov. Venezia; Bertacchi, 1971).Le cappelle funerarie dovevano essere almeno cinque, se si considera che dalla metà della parete settentrionale della cattedrale sporge un'absidiola il cui pavimento marmoreo è conservato a una quota di m. 1,33 sotto il livello pavimentale della fabbrica eliana, se si osservano il disassamento della trichora rispetto alla navata settentrionale, a cui si attesta con vano di collegamento a mo' di protesi, e il disassamento della cappellina quadrata con abside rispetto alla navata destra, a cui si attesta a mo' di diaconico, e se si considera infine l'ambiente rettangolare, addossato alla parete meridionale della chiesa, originariamente fornito di almeno tre absidi.Un edificio di culto connesso all'area cimiteriale, di pianta rettangolare (m. 156,50), cui venne aggiunta all'inizio del sec. 6° l'abside poligonale con bancone presbiteriale, fu riportato alla luce nel 1946 sotto la navata centrale di S. Eufemia alla profondità di m. 1; esso è databile al sec. 4° per il pavimento in cocciopesto e per la muratura in mattoni alternati a filari di arenaria (Franco, 1957; Mirabella Roberti, 1966). Anche dopo che il vescovo Niceta ebbe dato inizio alla costruzione della grande basilica, rimasero in funzione sia le cappelline sia la chiesetta, che aveva una destinazione funeraria dato che al principio del sec. 6° vi dovette essere sepolto Petrus, figlio dell'ebreo Olimpio. Il rimanente pavimento tessellato che ricopre la tomba presenta un cantaro, due girali di vite con uccellini e l'iscrizione: "Hic requiescit / Petrus qui Papa / rio fil(ius) Olimpii Iu / daei solusque / ex gente sua ad Chri(sti) meruit / gratiam perveni / re et in hanc s(an)c(t)am / aulam digne sepul / tus est sub d(ie) pr(i)d(ie) / id(us) iul(is) ind(ictione) quarta" (Brusin, 1947).Con l'invasione longobarda, che nel 568 causò la fuga del vescovo Paolino da Aquileia a G., il vescovo Elia portò a termine con modifiche la cattedrale fondata da Niceta e la consacrò a s. Eufemia il 3 settembre del 579 (Andrea Dandolo, Chronica per extensum descripta, VI, 1, 10). Il nome della santa di Calcedonia è ricordato da due iscrizioni, una in greco e una in latino, del pavimento musivo, mentre Elia è menzionato in altre due epigrafi pavimentali e nelle cappelle con due monogrammi e un'iscrizione. Tra queste testimonianze, quella posta in mezzo alla navata centrale è di notevole rilevanza se si considera che accenna pure agli edifici precedenti: "Atria quae cernis vario formata decore / squalida sub picto caelatur marmore tellus / longa vetustatis senio fuscaverat aetas. / Prisca en cesserunt magno novitatis honori / praesulis Haeliae studio praestante beati. / Haec sunt tecta pio semper devota timori".Elia utilizzò i due muri longitudinali della basilica costruita da Niceta, scalpellando le lesene sulla fiancata meridionale per aprirvi finestre in corrispondenza degli intercolumni interni. L'obliquità della facciata, costruita da Elia, crea uno sfalsamento di m. 2,50 nei muri longitudinali; l'abside fu pure eretta da Elia, come emerge dalla tessitura muraria in laterizio, che si distingue da quella di Niceta in mattoni alternati ad arenaria. Il pavimento musivo fu steso a una quota superiore di m. 1 rispetto al cocciopesto del tempo di Niceta, le cappelle ai lati dell'abside furono pure mosaicate ma a una quota inferiore di cm. 60 rispetto al nuovo piano della chiesa, mentre il pavimento della cappella a meridione della navata destra fu tenuto al livello dell'antico cocciopesto. Il corpo basilicale risulta tripartito da dieci coppie di colonne con capitelli teodosiani e altri del sec. 5°; la recinzione presbiteriale è stata ricostruita su sicuri indizi archeologici; inoltre sono state ritrovate nel presbiterio tracce di solea, mentre rimangono brani di pavimento del portico che precedeva la cattedrale, che venne demolito nel secolo scorso.Il tessellato pavimentale della basilica, risarcito da corretti restauri, si articola nella navata principale in tre corsie, con prevalenza del motivo a onda marina nella fascia centrale e di ripartizioni geometriche includenti iscrizioni di donatori nelle due laterali. Il centro è dominato da un clipeo ornato da girali intorno al quale si legge: "Servus Iesu Christi Helias episcopus Aquileiensis, Dei gratia auxilioque fundator ecclesiae huius, votum solvit". Le navate minori sono suddivise in tre comparti e presentano eleganti combinazioni geometriche includenti anch'esse iscrizioni di donatori. Nella cappella collegata all'estremità della navata meridionale il tessellato mostra al centro il monogramma di Elia e nella cella trapezoidale a sinistra del capocroce rimane l'iscrizione dedicata al vescovo Marciano (593 ca.); l'altra cappella a S della navata destra conserva un clipeo centrale nel pavimento tessellato con il monogramma di Elia cinto dall'iscrizione: "Tibi serviens fecit".Il tesoro della cattedrale comprende capselle e reliquiari d'argento del sec. 6° e altomedievali; il lapidario conserva reperti scultorei paleocristiani e altomedievali emersi dalle campagne di scavo o recuperati durante i restauri (Dalla Barba Brusin, 1962-1964).
Bibl.:
Fonti. - Paolo Diacono, Historia Langobardorum, in MGH. SS rer. Lang., 1878, pp. 7-187: 78; Chronicon Venetum quod vulgo dicunt Altinate, a cura di H. Simonsfeld, in MGH. SS, XIV, 1883, pp. 1-69; Andrea Dandolo, Chronica per extensum descripta, in RIS2, XII, 1, 1938.
Letteratura critica. - C. Costantini, Aquileia e Grado. Guida storico-artistica, Milano 1917; G. Brusin, Grado. L'epigrafe musiva di ''Petrus'', Notizie degli scavi di antichità, s. VIII, 1, 1947, pp. 18-20; P.L. Zovatto, Il battistero di Grado, RivAC 23-24, 1947-1948, pp. 231-251; F. Franco, Scavi e restauri nella basilica di S. Eufemia a Grado, La Porta orientale 22, 1952; G. Brusin, P.L. Zovatto, Monumenti paleocristiani di Aquileia e di Grado, Udine 1957; F. Franco, La basilica di Grado, caposaldo architettonico dell'estuario veneto, "Atti del Convegno nazionale di storia dell'architettura, Perugia 1948", Firenze 1957, pp. 597-612; R. Cessi, Politica, economia, religione, in Storia di Venezia, II, Venezia 1958, pp. 67-476: 288; D. Dalla Barba Brusin, Scultura ad intreccio altomedioevale a Grado, Memorie storiche forogiuliesi 45, 1962-1964, pp. 171-178; P.L. Zovatto, Mosaici paleocristiani delle Venezie, Udine 1963; M. Mirabella Roberti, La più antica basilica di Grado, in Arte in Europa. Scritti di storia dell'arte in onore di Edoardo Arslan, Milano 1966, I, pp. 105-112; L. Bertacchi, Le origini del duomo di Grado, Aquileia nostra 42, 1971, coll. 65-70; R. Polacco, Il battistero di Grado, Udine 1971; S. Tavano, Sculture aquileiesi e gradesi inedite, Memorie storiche forogiuliesi 51, 1971, pp. 95-117; P.L. Zovatto, Grado, antichi monumenti, Bologna 1971; G. Cuscito, Una pianta settecentesca del duomo di Grado e le iscrizioni musive del secolo VI, Aquileia nostra 43, 1972, coll. 105-132; M. Mirabella Roberti, Carattere dei monumenti paleocristiani dell'Italia padana nei secoli IV e V, "Actas del VIII Congreso internacional de arqueología cristiana, Barcelona 1969", Città del Vaticano-Barcelona 1972, I, pp 127-148; G. Bovini, Grado paleocristiana, Bologna 1973; M. Mirabella Roberti, Il castrum di Grado, Aquileia nostra 45-46, 1974-1975, coll. 565-574; R. Farioli, Pavimenti musivi di Ravenna paleocristiana, Ravenna 1975; S. Panciera, Osservazioni sulle iscrizioni musive paleocristiane di Aquileia e Grado, in Mosaici in Aquileia e nell'alto Adriatico, "Atti della V Settimana di studi aquileiesi, Aquileia 1974" (Antichità altoadriatiche, 8), Udine 1975, pp. 217-233; S. Tavano, Grado, guida storico-artistica, Udine 1976; A. Carile, G. Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna 1978; L. Bertacchi, Grado, in Da Aquileia a Venezia (Antica Madre), Milano 1980, pp. 275-309; G. Cuscito, Economia e società, ivi, pp. 571-694; W. Dorigo, Venezia. Origini, fondamenti, ipotesi, metodi, 3 voll., Milano 1982-1983; G. Lorenzoni, Venezia medievale tra Oriente e Occidente, in Storia dell'arte italiana, V, Dal Medioevo al Quattrocento, Torino 1983, pp. 385-443.R. Polacco