GRAFFITO
La pratica del g., data la sua estrema semplicità, è diffusa in ogni epoca e risale ai primordi della civiltà, adottata per istinto dall'uomo quando ha tentato per la prima volta di fissare un'immagine.
Per i numerosi g. preistorici in grotte o superfici rocciose v. rupestri, incisioni; artico-baltica, civiltà. Col termine g. s'intende anche la decorazione vascolare in cui i motivi vengono incisi con una punta dura sulla superficie del vaso già cotto (v. incisione).
Questi disegni, che essendo formati da linee sottili sarebbero poco visibili, sono poi messi in evidenza per mezzo di un riempimento di materia bianca od in qualche caso anche rossa. Sembra che sia stata la civiltà amratiana dell'Egitto predinastico ad usare per prima la tecnica del graffito. In Europa essa caratterizza rispettivamente la seconda fase del Neolitico àpulo in Italia e la cultura di Chassey nella Francia meridionale (ceramica incisa a cotto, tipo Matera - Chassey). In queste civiltà il repertorio è rigidamente geometrico e consta principalmente di triangoli e losanghe quadrettate, di fasce a zig-zag anch'esse tratteggiate o quadrettate, di scacchiere, ecc. Ma dove l'incisione a cotto si afferma non solo per perfezione di tecnica, ma anche per ricchezza e varietà di motivi è l'isola di Malta. Quivi infatti, accanto a motivi rientranti nel puro orizzonte geometrico, ve ne sono altri tratti dal mondo animale o vegetale; nei quali la fantasia creatrice trova maggiori possibilità di espressione libera e vivace.
Successivamente si è continuato a usare il g. per accennare i contorni delle figure come schizzo preliminare alla pittura (v. abbozzo).
Peraltro la tecnica dell'incidere è specifica della lavorazione dei metalli. Basti menzionare il vaso argenteo del sumerico Entemena (III inillennio a. C.), taluni specchi (v.) greci ed etruschi, e le ciste (v.) in bronzo. Ispirandosi appunto alla metallotecnica, della quale erano ben esperti, pare che i Corinzi abbiano introdotto nella ceramografia il procedimento dell'incisione a g., poiché i più antichi prodotti delle officine ioniche attestano l'uso del solo pennello anche per lo schizzo preliminare. Quale ne sia stata l'origine, il metodo prevalse e fu generalizzato durante tutto il fiorire della tecnica a figure nere, poiché queste si profilavano come grevi ombre opache, prive di risalto e di particolari interni, che i ritocchi a vernice d'altro colore non erano sufficienti a rendere, e che solo mediante il g., che faceva ricomparire il fondo chiaro, potevano essere precisati.
Questa tecnica, che implicava minuziosa precisione e paziente cura, consisteva nel tracciare i singoli tratti sulla vernice nera con la quale le figure erano già compiutamente dipinte, asportandola in modo da indicare con le scalfitture tutti i particolari così dell'anatomia come dei vestiti (pieghe del panneggio, ricami delle stoffe) o delle armature. La tecnica si evolse fino a raggiungere la massima perfezione nella ceramica attica del secondo terzo del sec. VI, ad esempio: il vaso Francois (v.) nel Museo Archeologico di Firenze e i vasi firmati dal Pittore di Exechias (v.). In seguito, quando cioè fu invertito il rapporto cromatico tra fondo e figure, sicché queste furono "risparmiate" nella vernice nera e potevano perciò essere completate col pennello, il g. fu usato soltanto, e con scarsa frequenza, per lo schizzo preparatorio dei contorni.
È da notarsi inoltre l'uso del g. sulla pietra: i monumenti sono numerosissimi (si vedano ad esempio le stele beotiche), ma qui sarà sufficiente ricordarne soltanto due affatto tipici: l'uno di arte etrusca arcaica (sec. VII a. C.), greco l'altro (inizî del sec. V a. C.): e cioè la stele funeraria di Aule Pheluske da Vetulonia, nel Museo Archeologico di Firenze, dove è rappresentato a g. il defunto guerriero armato di elmo, scudo e bipenne entro una rozza cornice con iscrizione pure graffita; e il busto femminile graffito su pietra grigiastra, scoperto presso l'Heraion di Samo.
Infine, intendendosi per disegno g. qualunque schizzo tracciato con una punta, ben s'immagina che l'intonaco delle pareti fosse la superficie più adatta, e che sui muri antichi abbondino perciò innumerevoli saggi, più o meno occasionali.
Tra i più notevoli sono alcuni disegni di navi databili alla tarda età repubblicana nell'antico tempio sul colle di S. Pietro ad Alba Fucente; a Pompei il piccolo busto laureato indicato dall'iscrizione come Rufus (probabilmente da identificarsi con l'Istacidius Rufus che aveva acquistato la vilia Iuliana precedentemente - da Augusto a Nerone - di possesso imperiale); a Roma un gruppo di Eracle che combatte il leone, da originale di Lisippo, su una delle colonne del tempio di Antonino e Faustina nel Foro e infine il celebre g. rinvenuto a Roma, su una parete del Paedagogium con la rappresentazione di un uomo crocifisso con testa d'asino, adorato da una figura maschile posta alla sua destra, certo un'immagine blasfema di Cristo, indicata con l'iscrizione: ‛᾿Αλεξάμενος σέβετο τὸν ϑεόν.
Sempre sotto la comune denominazione di g. vanno infine considerati numerosissimi testi epigrafici antichi - quasi sempre brevissimi - di carattere per lo più occasionale e talora salace. Pompei ed Ercolano soprattutto, ne conservano un abbondante numero specialmente sulle pareti di edifici pubblici quali la Basilica e il Teatro, in lingua osca, greca e latina (spesso in forma dialettale e anche di difficile lettura) e anche aramaica. Ripetuta parecchie volte si è trovata la frase: Admiror, paries, te non cecidisse ruinis, Qui tot scriptorum taedia sustineas (C. I. L., iv, 1904, n. 2461 2487). L'importanza di simili iscrizioni graffite è varia: alcune hanno servito all'identificazione di un edificio (com'e' il caso, a Roma, per il Paedagogium, di età domizianea, posto sul versante O del Palatino, sotto la domus augustana e per il luogo del martirio di Adraste [?]) o alla localizzazione di un'opera scultorea (come per l'invocazione Ceres mea nella Villa dei Misteri a Pompei, che indica la vicinanza della statua di Cerere); o a tramandarci il ricordo di antichi visitatori di un monumento (come è il caso della firma di Greci di bassa epoca graffita sulla cima della piramide di Medum in Egitto.). Un particolare interesse riveste la crittografia mistica, con sigle, simboli vari ecc., usata dai Cristiani, di cui significativi esempî sono stati rinvenuti in graffiti negli scavi sotto la confessione di S. Pietro e interpretati da M. Guarducci.
Bibl.: (Preistoria): L. Bernabò Brea, Gli scavi della Caverna delle Arene Candide, parte I, v. I, Bordighera 1946 (con bibl.); H. Breuil, Quatre cents siècles d'art parietal, Montignac 1952; G. Bailloud-P. Mieg de Boofzheim, Les civilisations néolitiques de la France, Parigi 1955. Disegno preliminare nelle pitture murali: J. de Witt, in Jahrbuch, XLIV, 1929, p. 31 ss.; M. Cagiano de Azevedo, in Boll. Ist. Centr. Restauro, 1950, p. 11 ss. Incisione su bronzo, avorio e su vasi: E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung, Monaco 1923; G. M. A. Richter, The Craft of Athenian Pottery, New Haven 1924, p. 38 ss. G. di Alba Fucente, Pompei e Roma-Paedagogium: M. Guarducci, in Not. scavi, 1953, p. 117 ss.; M. della Corte, Pompeiana, Napoli 1950, p. 94; G. Lugli, Roma Antica. Il centro monumentale, Roma 1946, p. 522 ss., t. 165. Iscriz. pompeiane: J. Colin, in Ant. Class., XX, 1951, p. 129 ss.; M. della Corte, Case e abitanti di Pompei, Roma 1954; id., in C. I. L., IV, Suppl. III; id., in Rend. Acc. Arch. Napoli, N. S., XXIV-XXV, 1949-50, p. 95. Iscr. a Medum: M. A. Robert, in Ann. Serv. Ant. Ég., III, 1902, p. 77 ss. Iscr. nel criptoportico di via Lucullo a Roma: D. Faccenna, in Not. Scavi, 1951, p. 107 ss.; M. Cagiano de Azevedo, in Not. Scavi, 1952, p. 253. Per il g. di Eracle e il leone: A. von Salis, in 112. Berl. Winckelmannspr., 1956, p. 18; F. Castagnoli, Foro Romano, Milano 1957, fig. 54. M. Guarducci, I graffiti sotto la Confessione di S. Pietro in Vaticano, 3 voll., Città del Vaticano 1958.
(D. Lollini - P. Zancani Montuoro - M. della Corte*)