graforroico
s. m. (iron.) Chi scrive in modo eccessivo.
• Giuseppe Antonelli, «L’italiano nella società della comunicazione» (pag. 142). Digitare su una tastiera era, fino a non molti anni fa, un’attività quasi esclusivamente professionale e in generale legata all’idea di una copia «in pulito». Oggi rappresenta un gesto quotidiano per un’ampia fetta della popolazione (specie fra i più giovani) ed è identificato con una comunicazione rilassata, confidenziale. Inaspettatamente, gli italiani stanno diventando un popolo di graforroici. Moltissime persone che non avrebbero scritto un rigo, oggi producono una mole impressionante ‒ sia pure frammentaria e quasi atomizzata ‒ di testi digitati. Certo, anche a rischio di scrivere messaggi semplificati, ricchi di stereotipi e modismi, di strafalcioni. (Anna Benedetti, Repubblica, 18 febbraio 2009, Firenze, p. IX) • Con l’avvento delle chat e dei social network la pratica della scrittura aumenta fino al punto che se «prima eravamo in pochi a essere grafomani, oggi siamo tutti graforroici. Abbiamo tutti bisogno di dialogare, di conversare in continuazione. Scriviamo dovunque per raggiungere chiunque e comunicare comunque» (Giuseppe Antonelli riportato da Andrea Velardi, Messaggero, 17 settembre 2016, p. 21, Macro).
- Derivato dal s. f. graforrea con l’aggiunta del suffisso -ico, sul modello di logorroico.
- Già attestato nel Corriere della sera del 19 agosto 2000, p. 29, Terza Pagina (Michele A. Cortelazzo).