Grammatica
Secondo il vulgato precetto di Quintiliano ("recte loquendi scientia", Inst. orat., II, 1, 4) e di Cassiodoro ("officium [...] est sine vitio dictionem prosalem metricamque componere", Inst., II, I, 1; Maierù, 1972, p. 452), con ars grammatica si dovette generalmente comprendere, anche in età fridericiana, la disciplina volta non solo alla correttezza del parlare e dello scrivere in latino, ma anche allo studio degli auctores (enarratio poetarum). La scientia, di fondamento a tutte le arti (Isidoro di Siviglia, Etymologiae, I 5, 1-2: "scientia recte loquendi et origo et fundamentum liberalium litterarum"), si esplicava nella lettura (lectio) e nella spiegazione (enarratio) di autori scelti: la lezione comportava infatti la spiegazione dei termini, nella loro forma (littera) e nel loro significato (sensus), in vista della comprensione piena del testo dell'autore (sententia). Per tale ragione nella prassi dovette riuscire incerto il confine fra grammatica (recte l.) e retorica (bene l.; Riché, 1979, p. 254; Copeland, 1991, p. 9) così come, soprattutto durante la stagione sveva, quello fra grammatica e logica (v. Epistolografia e retorica; Rosier-Catach, 2000, p. 452). Se infatti, secondo retorica, le parole vengono costrette nello stilus supremus in coincidenze spericolate, in parallelismi fonici mediante i quali esse rinviano ad altre parole e acquistano quasi una loro dignità ontologica, le stesse, secondo la semantica dei termini, vengono indagate ogni volta per ciò che sono e per ciò che significano, ovvero secondo significatio e suppositio.
Un primo esempio di tali esercizi è offerto dal Commento alla Guida di Mosè da Salerno, ove viene detto come il maestro Pietro da Ibernia distingueva due sensi nella predicazione del termine 'possibile' (Sermoneta, 1969, p. 45) e viene dibattuta la connessa questione dei nomi equivoci: "eqivochi intendiamo dire quei nomi che abbiano in comune soltanto il nome, ma sono ben diversi per argomento e per definizione. Così diremo 'occhio' ma potremo indicare l'occhio umano e la sorgente" (ibid., p. 211). Distinzioni tecniche, peraltro del tutto analoghe a quelle, in volgare (ma come in Mosè), di Giacomo da Lentini, Eo viso e son diviso - da lo viso [...]: "Però diviso - 'viso' - da lo 'viso' / c'altro è lo viso che lo divisare", ove diviso è naturalmente termine connotato.
Pietro da Ibernia era professore in naturalibus presso l'Università di Napoli (Magistri Petri, 1993; Mc-Evoy, 1994 e Dunne, 1996), noto per una discussione con Manfredi (Baeumker, 1920) e, soprattutto, come maestro di s. Tommaso d'Aquino quando costui, fra 1239 e 1244, studiò a Napoli: "sub magistro Martino in grammaticalibus et logicalibus et magistro Petro de Ibernia in naturalibus edocetur" (così Guglielmo de Tocco, Fontes vitae s. Thomae, II, 70, in Stürner, 2000, p. 56). Di tale maestro Martino nulla di certo può essere detto, anche se stupisce che non sia in sua vece nominato colui al quale nell'ateneo napoletano doveva essere confidato l'insegnamento di grammatica: Gualtiero da Ascoli.
Nell'epistola consolatoria di Pietro è introdotta la corrispondenza fra grammatica e luna (esplicita nelle parole di Michele Scoto; cf. Brunetti-Morpurgo, 1999, p. 254): "la luna è oscurata, l'arte della grammatica che si indica col nome 'luna', privata della bellezza dei suoi raggi giace nelle tenebre" (Huillard-Bréholles, 1895, p. 395). Si aggiunge anzi che la luna-grammatica non ha ragione di consolarsi poiché è stata resa vedova in un breve lasso di tempo da ben due consorti ("duobus maritis tam modico tempore viduata"). Se l'allusione potesse cogliersi come connotata, si potrebbe ipotizzare che Pietro faccia riferimento qui alla morte di Bene da Firenze, commemorata da Terrisio di Atina, e se ne potrebbe dunque ricavare una cronologia meno approssimativa per il magistero napoletano di Gualtiero.
Nel prologo delle Derivationes fra le tre 'sorelle' del trivio, Gualtiero individua la grammatica come la scienza che dà inizio a ogni sapere e permette di 'parlare senza ambiguità', particolare che ancora riconduce alla materia delle discussioni logiche. E pure, lasciando da parte un importante antecedente (era stato dalla Sicilia infatti, per tramite dell'ammiraglio Eugenio, che Giovanni di Salisbury nel 1156 aveva conosciuto la nuova logica di Aristotele), non vi è dubbio che la connessione stretta fra grammatica e logica emerge in età fridericiana in maniera del tutto esplicita (cf., per esempio, l'epistola di maestro Salvo, priore di S. Nicola di Bari e probabilmente Doctor decretorum a Napoli; Huillard-Bréholles, 1895, p. 428; Schaller, 1993, p. 521).
A tale proposito non è senza interesse ricordare che l'altro maestro di s. Tommaso, il celebre filosofo Pietro Ispano (pure se resta dubbio che il Pietro delle Summule, il loico che appunto "luce in dodici libelli", Par. XII, v. 135, possa identificarsi con Pietro di Giuliano, poi papa Giovanni XXI; cf. Meirinhos, 2000), era stato allievo proprio di Teodoro di Antiochia (Stürner, 2000, p. 427) ed è connesso, pure dubitativamente, alla corte fridericiana dalla nota Epistola magistri Petri Hyspani missa ad imperatorem Fridericum super regimen sanitatis (cf. Haskins, 1928, p. 135: London, British Library, ms. Harl. 5218, cc. 1r-3r, e Burnett, 1995, p. 237) oltre che da alcuni particolari (Meirinhos, 2000, p. 601; Pietro parrebbe per esempio utilizzare la stessa traduzione latina del De animalibus realizzata da Michele Scoto). E si ricordi peraltro che Teodoro, nel prologo del Moamin, mostra di conoscere perfettamente la Retorica aristotelica nella translatio vetus (v. Epistolografia e retorica), citata infatti ad litteram (Burnett, 1995, pp. 242 e 278).
Relativamente all'ambiente salentino, infine, si ricordi ‒ oltre al grande lessico Suda (ms. Vat. Gr. 1296, di origine calabro-sicula, scritto da un Matteo intorno al 1205), procurato a Roberto Grossatesta da Nicola il Greco (è l'attuale ms. di Leida, Voss. gr. 2) ‒ la Lysis scritta da Giovanni Idruntino, un piccolo trattato in forma di quaestio ove si espone il problema della relazione fra la res e il nome che la indica e ove si riflettono pertanto "i quesiti e i dubbi proposti nel clima culturale di una corte che sfruttò l'etimologia come forma di conoscenza della realtà" (Villa, 1999, p. 466; Romano, 1994).
L'opera grammaticale di Gualtiero, fondata sul modello isidoriano ("le parole sono segni della mente, con le quali gli uomini mostrano i propri pensieri"; Etym., I, 9) che è alla base di tutti i lessici medievali (Uguccione da Pisa è però espressamente richiamato nel prologo), sembra caratterizzarsi per un nuovo modo di procedere: i lemmi sono organizzati secondo ordine alfabetico, ma includono anche microagglutinazioni semantiche e, soprattutto, relativamente alla disciplina derivationis, si riconosce nel verbo piuttosto che nel nome l'asse portante dei relativi processi per i quali Gualtiero usa appunto il termine derivatio, riservando a etymologia ciò che riguarda i vocabula (Lusignan, 1994, pp. 34 e 36; Cremascoli, 2002, p. 797).
Già dalla costruzione del raffinato prologo l'opera lascia trasparire un ben alto numero di letture di classici (Orazio, Seneca, Prisciano, Ovidio, tutte espresse) e di moderni (l'Anticlaudianus di Alano di Lilla, esplicitamente citato, Gregorio Magno, forse Bene da Firenze e Boncompagno da Signa). Quanto alla fortuna e all'influenza di tale trattato sulla letteratura di età fridericiana ‒ e più in generale sulla relazione fra testi grammaticali e retorici e le composizioni poetiche in volgare: si ricordi peraltro che il testo zurighese di Giacomino Pugliese è tramandato assieme alle Institutiones di Prisciano ‒ saranno forse meglio valutabili quando il testo sarà edito e disponibile. Un primo confronto mi pare tuttavia significativo: per il noto passo del Notaro, Madonna dir vo voglio, v. 32: "lo meo lavoro spica e non ingrana", al quale vengono solitamente accostati un paio di luoghi trobadorici in realtà più lontani nella formulazione, il prologo di Gualtiero offre invece il parallelo pertinente: "O lector, queso, ut huius libri verba percurrens, verborum folia non requiras, quia quotiens in foliis male lecte segetis culmi proficiunt, minori plenitudine spicarum grana turgescunt" (passo peraltro desunto da Gregorio Magno, Moralia in Iob; cf. Cremascoli, 2003, p. 270). L'immagine dovette avere una certa fortuna se si rinviene, identica nell'espressione, in un'epistola di Giacomo arcivescovo di Capua per Pier della Vigna (Huillard-Bréholles, 1895, p. 365).
L'insegnamento della grammatica non fu tuttavia tenuto solo presso lo Studium, al contrario dovette essere nel Regnum piuttosto capillare. Come si trova precisato in un'epistola fridericiana, tale insegnamento era infatti l'unico a non essere esplicitamente vietato nella circolare di fondazione dell'Università e poteva tenersi dunque anche in scholae verosimilmente di-slocate in tutto il territorio del Regno (oltre che attraverso il magistero, anche itinerante, di singoli maestri; cf. Historia diplomatica, II, 1, p. 453). La localizzazione di tali scholae è piuttosto difficile: si pensi, per esempio, a quella citata nell'epistola di 'Iohannes de Argussa' (v. Epistolografia e retorica) o a quella alla quale sembrerebbe rimandare l'operetta di Agnello da Gaeta (Brunetti-Morpurgo, 1999). Tràdite di seguito a uno dei testimoni più autorevoli delle Derivationes di Gualtiero di Ascoli (Laon, Bibliothèque Municipale, ms. 449), le "notule magistri Aynelli de Gaieta" contengono alcune sezioni in volgare e dovevano servire all'insegnamento di talune regole di costruzione latina probabilmente a un pubblico di illitterati. I lacerti volgari (in generale, per l'istruzione in volgare cf. Dahan-Rosier-Valente, 1995) costituiscono il più antico documento linguistico della regione laziale meridionale ove forse vigeva, anticamente, il tipo linguistico mediano (Barbato, 2000, p. 113).
Una menzione a parte, ma interna a tali esperienze normative che includono le lingue volgari, merita infine il Donatz proensals, la prima grammatica della lingua d'oc, fondata (come recita il titolo) sull'Ars minor di Donato. Scritta verosimilmente in Italia da un 'Ugo Faiditus/Faidicus' nel quale si è voluto riconoscere il trovatore Uc de Saint Circ, l'opera sarebbe stata richiesta da due funzionari fridericiani: "precibus Iacobi (domini Iacobi L) de Mora et domini Conradi (Cora çuchii L) de sterleto" (la dedica è nei mss. Firenze, Biblioteca Laurenziana, Aedil. 187; Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. D 465 inf.; New York, Pierpont Morgan Library, ms. 831 [già Finaly-London]), ovvero Corraduccio di Sterleto e il celebre podestà di Treviso Giacomo di Morra, figlio del gran giustiziere Enrico, che taluni hanno identificato col poeta Giacomino Pugliese. L'opera, i cui fini e la cui destinazione rimangono ancora assai oscuri, comprende tre parti: un'esposizione grammaticale molto vicina al modello latino (anche se le definizioni delle parti del discorso sono più vicine a quelle date da Prisciano); un rimario, e una lista di verbi, che dimostra il tentativo da parte dell'autore di una, seppur embrionale, descrizione lessicografica (Swiggers, 1989, p. 144).
fonti e bibliografia
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Historia diplomatica Friderici secundi; Magistri Petri de Ybernia Expositio et quaestiones in Aristotelis librum de longitudine et brevitate vitae, a cura di M. Dunne, Louvain-la-Neuve-Paris 1993.
M. Dunne, Expositio et quaestiones in librum Aristotelis Peryermenias seu de interpretatione, con la rist. della Determinatio magistralis, a cura di C. Baeumker, ivi 1996.
Il prologo del lessico di Gualtiero d'Ascoli. Edizione e studio del testo, a cura di V. Lunardini, in Microcosmi medievali. Atti del Convegno di studio svoltosi in occasione della quindicesima edizione del "Premio internazionale Ascoli Piceno" (15-16 febbraio 2002), a cura di E. Menestò, Spoleto 2003, pp. 272-291.
Saggi di carattere generale:
P. Riché, Écoles et enseignement dans le haut Moyen Âge, Paris 1979.
R. Copeland, Rhetoric, Hermeneutics and Translations in the Middle Ages: Academic Traditions and Vernacular Texts, Cambridge 1991.
I. Rosier-Catach, La tradition de la grammaire universitaire, in Manuscripts and Tradition of Grammatic-al Texts from Antiquity to the Renaissance, a cura di M. De Nonno-P. De Paolis-L. Holtz, II, Cassino 2000, pp. 449-498.
Sull'ambiente fridericiano:
S. Lusignan, Grammatica, lingua e società, in Federico II e le scienze, a cura di P. Toubert-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1994, pp. 27-42.
W. Stürner, Friedrich II., II, Der Kaiser 1220-1250, Darmstadt 2000.
Inoltre:
C. Baeumker, Petrus de Hibernia. Der Jugendlehrer des Thomas von Aquin und seine Disputation vor König Manfred, "Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften. Phil.-Hist. Klasse", 8, 1920.
Ch. Haskins, Latin Literature under Frederick II, "Speculum", 3, 1928, nr. 2, pp. 129-153.
G. Sermoneta, Un glossario filosofico ebraico-italiano del XIII secolo, Roma 1969.
A. Maierù, Terminologia logica della tarda scolastica, ivi 1972.
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H.M. Schaller, Stauferzeit. Ausgewählte Aufsätze, Hannover 1993.
J. Mc-Evoy, Maître Pierre d'Irlande, professeurin naturalibusà l'Université de Naples, in Actualité de la pensée médiévale, a cura di J. Follon-J. McEvoy, Louvain-Paris 1994, pp. 146-158.
R. Romano, LaLysisinedita di Giovanni Grasso, "Koinonia", 18, 1994, nr. 2, pp. 199-209.
Ch. Burnett, Master Theodore, Frederick II's Philosopher, in Federico II e le nuove culture. Atti del XXXI Convegno storico internazionale (Todi, 9-12 ottobre 1994), Spoleto 1995, pp. 225-285.
G. Dahan-I. Rosier-L. Valente, L'arabe, le grec, l'hébreu et les vernaculaires, in Sprachtheorien in Spätantike und Mittelalter, a cura di S. Ebbesen, Tübingen 1995, pp. 265-321.
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G. Brunetti, Attorno a Federico II, in Lo spazio letterario del Medioevo, I, 2, Il medioevo volgare, a cura di P. Boitani-M. Mancini-A. Varvaro, ivi 2001, pp. 649-693.
G. Cremascoli, La coscienza letteraria del lessicografo latino, "Studi Medievali", 43, 2002, nr. 2, pp. 791-802.
Id., Sul prologo del lessico di Gualtiero d'Ascoli, in Microcosmi medievali. Atti del Convegno di studio svoltosi in occasione della quindicesima edizione del "Premio internazionale Ascoli Piceno" (15-16 febbraio 2002), a cura di E. Menestò, Spoleto 2003, pp. 257-271.