grammelot
Il grammelot è un linguaggio scenico che non si fonda sull’articolazione in parole, ma riproduce alcune proprietà del sistema fonetico di una determinata lingua o varietà, come l’intonazione, il ritmo, le sonorità, le cadenze, la presenza di particolari foni, e le ricompone in un flusso continuo, che assomiglia a un discorso e invece consiste in una rapida e arbitraria sequenza di suoni. È dotato di una forte componente espressiva mimico-gestuale che l’attore esegue parallelamente alla vocalità. L’attribuzione di senso a un brano di grammelot è perciò resa possibile dall’interazione tra i due livelli che lo compongono, quello sonoro e quello gestuale.
Il termine è di etimologia incerta. Generalmente è considerato un prestito dal francese o uno pseudofrancesismo: secondo Sabatini e Coletti, è parola composta da gram(maire) «grammatica», mêl(er) «mescolare» e (arg)ot «gergo» (DISC 2008: ad vocem); più probabilmente, anche in considerazione della contiguità tra aree semantiche, deriva dal verbo grommeler, nell’accezione di «prononcer quelque chose à voix basse, de manière indistincte, généralement sur un ton bougon ou plaintif» (TLF 1971-1994: ad vocem), insomma «bofonchiare, borbottare». Il vocabolo è comunque presente nei principali dizionari dell’italiano contemporaneo anche se, contrariamente alle affermazioni di Dario Fo (1997: 81), le sue prime attestazioni sono recenti e si collocano nella seconda metà del Novecento; probabilmente è stato proprio grazie a Fo che questa parola è entrata e si è diffusa nell’italiano:
«Grammelot» significa […] gioco onomatopeico di un discorso, articolato arbitrariamente, ma che è in grado di trasmettere, con l’apporto di gesti, ritmi e sonorità particolari, un intero discorso compiuto. In questa chiave è possibile improvvisare – meglio, articolare – grammelot di tutti i tipi riferiti a strutture lessicali le più diverse. La prima forma di grammelot la eseguono senz’altro i bambini con la loro incredibile fantasia quando fingono di fare discorsi chiarissimi con farfugliamenti straordinari (che fra di loro intendono perfettamente) (Fo 1997: 81).
Il sistema fonetico della lingua alla quale il grammelot si riferisce svolge un ruolo fondamentale. In primo luogo, perché ogni lingua naturale possiede sonorità e cadenze tipiche che la caratterizzano, imitando le quali il grammelot comunica a quale lingua, varietà o dialetto si riferisce. In secondo luogo perché l’intonazione di frase – cioè l’andamento melodico con il quale la frase viene pronunciata – assieme ad altri elementi soprasegmentali della lingua informa l’ascoltatore sull’intenzione del parlante di fare un’affermazione, una domanda, un’esclamazione o anche di lasciare la frase in sospeso: informazioni, queste, che possono essere comunicate nel grammelot nonostante l’assenza (o comunque la rarità) di vere e proprie parole. A tutto questo si aggiunge il ricorso alle onomatopee, cioè a quelle espressioni vocali che riproducono convenzionalmente il suono al quale si riferiscono (onomatopee e fonosimbolismo).
Parallelamente all’esecuzione sonora, e in coerenza con le informazioni in essa contenute, l’attore svolge un discorso mimico-gestuale, fatto di espressioni e di gesti ampiamente riconoscibili perché codificati nelle nostre società, ma anche attestate negli antichi manuali di declamazione destinati agli attori teatrali: per es., coprirsi gli occhi con una mano insieme a un’espressione cupa, protendendo l’altra per allontanare ciò che si teme, significa «orrore» (Morrocchesi 1832: tav. IX). Inoltre, il complesso mimico-gestuale realizzato dall’attore può comunicare al pubblico quale sia la lingua alla quale si fa riferimento: per es., quando il grammelot di Dario Fo si riferisce all’inglese, la sua mimica è improntata allo stile formale e controllato che tradizionalmente si attribuisce ai gentiluomini britannici (Pozzo 1998: 112).
Per queste ragioni, e nonostante esistano testi a stampa che riproducono approssimativamente brani di grammelot, è questo un linguaggio che si presta «ad essere descritto piuttosto che ad essere trascritto» (Trifone 2000: 147). Ogni rappresentazione è infatti un evento unico a causa delle numerose possibili varianti che intervengono nella combinazione tra fonemi, tra profili intonativi, tra gesti ed espressioni del volto; rimane stabile soltanto una sorta di canovaccio rappresentato dalla trama narrativa dell’episodio messo in scena. Ogni recitazione in grammelot costituisce dunque un’invenzione di codice operata inizialmente dall’attore e ricostruita dallo spettatore durante lo spettacolo: il pubblico assume un ruolo attivo nell’interpretare il senso della comunicazione dell’attore, completando mediante le proprie conoscenze enciclopediche messaggi allusivi più o meno impliciti.
Anche in passato sono esistiti casi di invenzioni verbali destinate alle rappresentazioni teatrali. Agli inizi del Settecento, il processo di normalizzazione anche linguistica imposto dalla Comédie Française costrinse i forains, gli attori di strada che si esibivano a Parigi durante le principali fiere, a censurare la lingua delle loro rappresentazioni e a sostituirla con i gesti, la musica e il jargon («gergo»), sorta di linguaggio inarticolato che alludeva alla recitazione canonica degli attori veri e propri (Pozzo 1998: 62-67). Sebbene il grammelot abbia in Italia antecedenti illustri nel pluridialettalismo della commedia rinascimentale (Folena 1991: 119) e in quello della Commedia dell’Arte, la sua creazione è opera di Dario Fo.
È del 1969 Mistero buffo, uno spettacolo recitato in una lingua mescidata che contamina e fonde diversi dialetti lombardo-veneto-friulani con la memoria della lingua dei giullari medievali, e che evoca le narrazioni dei fabulatori contadini udite dall’autore nell’infanzia; si tratta di una scelta linguistica nettamente orientata in senso ideologico, per il recupero di una cultura popolare in via di estinzione. Ma è nella parte intitolata La fame dello Zanni che Fo oltrepassa la mescidanza dialettale per raccontare in una lingua inventata, e soltanto risonante delle cadenze dialettali, la fame onnivora di un contadino inurbato nella Venezia del Cinquecento. Successivamente, Fo ha applicato la tecnica inventiva del grammelot ad alcune lingue straniere, come all’inglese nel Grammelot dell’avvocato inglese o al francese nel Grammelot detto ‘di Scapino’, ma anche a varietà linguistiche specifiche, per es. quella dei giornalisti televisivi, come nell’esempio che segue:
Oggi traneguale per indotto-ne consebase al tresico imparte Montecitorio per altro non sparetico ndorgio, pur secministri e cognando, insto allegò sigrede al presidente interim prepaltico, non manifolo di sesto, dissesto: Reagan, si può intervento e lo stava intemario anche nale perdipiù albato – senza stipuò lagno en sogno-la-prima di estabio in Craxi e il suo masso nato per illuco saltrusio ma non sempre. Si sa, albatro spertico, rimo sa medesimo non vechianante e, anche, sortomane del pontefice in diverica lonibata visito Opus Dei (Fo 1997: 108-109).
Come si vede, il grammelot si configura come un discorso completamente agrammaticale e asemantico; eppure, è fortemente comunicativo nella sua realizzazione scenica grazie alle doti mimiche e vocali dell’attore.
DISC 2008 = Il Sabatini Coletti. Dizionario della lingua italiana, Milano, Rizzoli - Larousse.
TLF 1971-1994 = Trésor de la Langue Française. Dictionnaire de la langue du XIXe et du XXe siécle (1789-1960), sous la dir. de B. Quemada & P. Imbs, Paris, Éditions du Centre national de la recherche scientifique - Gallimard, 16 voll., vol. 9º.
Fo, Dario (1997), Manuale minimo dell’attore, a cura di F. Rame, Torino, Einaudi.
Folena, Gianfranco (1991), Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale, Torino, Bollati Boringhieri.
Morrocchesi, Antonio (1832), Lezioni di declamazione e d’arte teatrale, Firenze, Tipografia all’insegna di Dante.
Pozzo, Alessandra (1998), Grr… grammelot, parlare senza parole. Dai primi balbettii al grammelot di Dario Fo, Bologna, CLUEB.
Trifone, Pietro (2000), L’italiano a teatro. Dalla commedia rinascimentale a Dario Fo, Pisa - Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali.