GRAN BRETAGNA e Irlanda del Nord, Regno Unito di
(XVII, p. 667; App. I, p. 685; II, I, p. 1076; III, I, p. 776; IV, II, p. 97)
Popolazione. - Al censimento del 1981 la popolazione (definita come "abitualmente residente") della G.B. ammontava a 53.556.911 ab., così ripartita fra le tre regioni dell'isola: Inghilterra 45.771.956 ab., Galles 2.749.640, Scozia 5.035.315. Alla stessa data la popolazione dell'Irlanda del Nord era di 1.532.186 ab., quella dell'Isola di Man di 64.679, mentre le altre isole del Canale assommavano 133.000 abitanti. Complessivamente, quindi, gli abitanti del Regno Unito erano 55.286.776. Al censimento del 1991 la popolazione della G. B. ammontava a 53.925.000 ab., così ripartita: Inghilterra 46.170.000 ab., Galles 2.798.000, Scozia 4.957.000. L'Irlanda del Nord contava 1.583.200 ab. (stime anagrafiche del 1989), mentre (cens. 1991) l'Isola di Man ne contava 69.788 e le isole del Canale 150.971. La densità media si aggira sui 227 ab./km2; nella Scozia scende a 63 (con punte minime di 7 ab./km2 nei Highlands) mentre, all'opposto, nell'Inghilterra sale a 354 (con densità molto elevate in corrispondenza delle grandi regioni metropolitane).
La G.B. ha raggiunto un equilibrio demografico sostanzialmente stabile: nell'intervallo 1983-88 il movimento naturale della popolazione ha segnato valori addirittura negativi (− 0,2% di media annua nel periodo considerato). Nel 1989 il coefficiente di natalità è risultato del 13,6‰ per Inghilterra e Galles, del 12,5‰ per la Scozia e del 16,5‰ per l'Irlanda del Nord. Il coefficiente di mortalità è risultato appena inferiore essendo, rispettivamente, dell'11,3‰, del 12,1‰, del 9,7‰: se questi valori troveranno conferma negli anni successivi il trend del movimento naturale dovrebbe tornare positivo. La mortalità infantile è ovunque inferiore al 10ı: è più bassa nell'Irlanda del Nord e leggermente più alta nella Scozia. La dinamica della popolazione è quindi pressoché interamente legata al saldo dei movimenti migratori. Al censimento del 1981 ben 2,64 milioni di ab., pur essendo "abitualmente residenti" nel Regno Unito, erano nati all'estero. Di questi, 1,43 milioni erano nati nell'ambito del Commonwealth, gli altri provenivano da altri paesi. Rispetto ad alcuni decenni fa i flussi migratori si sono fortemente attenuati e i saldi sono ora piuttosto contenuti. In particolare le emigrazioni (la G.B. a lungo è stata una esportatrice netta di popolazione) sono drasticamente cadute: nel 1989 hanno lasciato il paese 205.000 abitanti. D'altro canto le immigrazioni, nel complesso, hanno subito sbalzi e, sempre nel 1989, sono entrati 250.000 abitanti. Il saldo dei movimenti migratori è tornato positivo e, secondo stime di massima, l'incremento demografico medio annuo è valutabile in circa 50-60.000 unità. Fra le zone di provenienza degli immigrati i paesi dell'area comunitaria sono ora al primo posto, seguono i paesi del Commonwealth (fra i quali un ruolo notevole è svolto da Unione Indiana, Bangla Desh, Australia e Canada). Gli stessi paesi e le stesse macroaree, grosso modo, ospitano i principali flussi in uscita.
Dal punto di vista della distribuzione della popolazione sul territorio va osservato come nel corso dell'ultimo quindicennio si siano avuti sensibili cambiamenti. Per tutti gli anni Ottanta è proseguita la tendenza alla controurbanizzazione, ossia alla perdita demografica delle grandi aree metropolitane a favore sia della rete urbana inferiore sia delle regioni periferiche. Si calcola che dal 1980 abbia cambiato residenza non meno di un quinto della popolazione complessiva e, se molti flussi hanno trovato forme tra loro compensative, una parte comunque significativa di questi abitanti ha abbandonato le zone urbane e periurbane delle grandi città per tornare ad abitare le campagne e le cittadine di provincia. Come si ricava dalla tab. 1 sull'evoluzione demografica delle contee metropolitane, tutte le principali conurbazioni del paese hanno subito un calo demografico. Particolarmente importante è il regresso della Grande Londra, nella quale − in meno di un quindicennio − la perdita ha superato il mezzo milione di abitanti. E non sono soltanto le aree urbane in senso stretto a segnare un declino demografico, in quanto anche i centri satelliti e tutto il sistema definito dalle zone di pendolarità quotidiana (il cosiddetto Daily Urban System o anche il Commuting Ring) ha subito delle penalizzazioni. Certamente la perdita demografica è risultata molto superiore nei quartieri centrali, i quali, in più di qualche caso (per es. nei quartieri londinesi di Chelsea e di Kensington), hanno denunciato cali demografici superiori al 25%, e a questa tendenza non sono sfuggite neppure numerose new towns.
Cause economiche si sono intrecciate con trasformazioni sociali nel determinare l'inversione di una tendenza secolare e nell'originare la formazione di nuovi equilibri territoriali. La crisi dell'industria manifatturiera tradizionale, oltre che dei settori di base, unitamente all'affermazione di nuove attività nel comparto dei servizi alle imprese hanno contribuito ad allontanare dalle città carbonifere e siderurgiche e dai distretti lanieri quote crescenti di popolazione, alla ricerca sia di nuove opportunità di lavoro sia di una migliore qualità della vita. In un primo tempo si è affermato un processo di suburbanizzazione, vale a dire l'abbandono dei quartieri centrali a favore di residenze nelle zone periferiche o nei centri satelliti; successivamente tale processo si è trasformato in un vero e proprio fenomeno di controurbanizzazione. Fra le regioni che appaiono caratterizzate da saldi positivi sono da ricordare alcune zone costiere, che si vanno popolando di abitanti della terza età (sono, per es., le tradizionali stazioni balneari e climatiche della costa inglese sud-orientale), nonché la regione di Aberdeen (Scozia), le cui ''capacità'' attrattive devono essere ricollegate allo sfruttamento delle risorse petrolifere del Mare del Nord.
Altro rilevante fenomeno demografico della G.B. è rappresentato dal progressivo invecchiamento della popolazione. Oramai l'incidenza di persone con più di 65 anni di età raggiunge quasi il 18% della popolazione complessiva (con un incremento di quasi due punti rispetto a quindici anni fa): erano meno del 10% al censimento del 1931. Parallelamente la popolazione con meno di 16 anni di età si attesta sul 22% di quella complessiva (con una perdita di 3 punti percentuali rispetto al censimento del 1971).
Infine, sta lentamente abbassandosi la composizione media del nucleo familiare. Al censimento del 1981 sono stati rilevati 19,5 milioni di famiglie, a cui corrisponde un nucleo familiare medio di 2,71 persone (era 2,88 nel 1971).
Condizioni economiche. - Con un reddito pro capite che si aggira sui 16.000 dollari l'anno (secondo le stime fornite dalla Banca Mondiale per il 1990) la G.B. è sempre uno dei paesi più ricchi ed evoluti del mondo anche se, nel corso degli ultimi due decenni, il suo ritmo di sviluppo è risultato inferiore a quello fatto segnare da altre economie occidentali. Il potenziale produttivo del paese continua a essere cospicuo ma non la sua efficienza e, per questa ragione, la G.B. mostra di patire in misura crescente la concorrenza portata da altri paesi europei. Quinta potenza industriale del mondo (per alcuni anni questa posizione è stata contesa dall'Italia), negli anni Ottanta l'economia del paese, senza rivivere i grandi mutamenti avvenuti negli anni Settanta, ha subito sostanziali modificazioni e, al pari di altri paesi dell'area OCSE, si è decisamente avviata verso un processo di terziarizzazione e di ulteriore internazionalizzazione. Artefice e promotrice di questi progressi è stata la politica economica attuata dall'allora primo ministro M. Thatcher, la cui strategia è stata costantemente improntata al recupero di nuovi margini di produttività, anche quando questa linea è entrata in rotta di collisione ora con i problemi occupazionali e ora con gli obiettivi sociali di quello che negli anni Settanta venne definito come il Welfare state, in gran parte smantellato.
Nel periodo (1979-90) in cui ha ricoperto le funzioni di primo ministro, M. Thatcher ha provveduto alla drastica riduzione del ruolo del settore pubblico nell'economia, attraverso una perseverante azione di privatizzazione. Negli anni Ottanta sono entrate − e in più di qualche caso, tornate − nella sfera del capitale privato non meno di cinquanta grandi società inglesi, una trentina delle quali definite d'importanza strategica per l'economia (si calcola che la produzione complessiva di queste aziende contribuisca con circa il 10% alla formazione del PIL). Fra le altre società privatizzate si ricordano la British Airways (privatizzata nel 1987), la British Steel (1988), la British Airports Authority (1987), la British Petroleum (1987), la Rolls Royce (1987). Rimangono in mano pubblica le ferrovie, le miniere di carbone, la società di trasporti dell'area metropolitana londinese, le poste. Questa massiccia privatizzazione ha contribuito in misura determinante all'eliminazione del debito pubblico, ha favorito un sensibile recupero di efficienza del sistema produttivo inglese e, sul versante opposto, ha inciso sull'aggravamento dei problemi dell'occupazione.
I maggiori elementi di fragilità dell'apparato produttivo britannico provengono dal settore manifatturiero il quale, nonostante continui a rappresentare una componente essenziale dell'economia inglese, prosegue il suo lento ma inesorabile declino, provocato − come un po' in tutti i paesi a economia matura − da una progressiva caduta della domanda interna e dall'agguerrita concorrenza mossa dai paesi emergenti del Terzo Mondo (i cosiddetti NIC, i Newly Industrialized Countries) sulle piazze internazionali.
Le fasi recessive degli anni Settanta (l'ultima delle quali si è risolta nel 1981), innescate dalle crisi petrolifere iniziate nel 1973, hanno lasciato il posto a una vivace ripresa, concretatasi soprattutto nella seconda metà degli anni Ottanta. Nel 1987 l'indice della produzione industriale ha superato i livelli toccati nel 1979 (l'indice, fatto 100 il 1979, è caduto a 91 nel 1981-82 e ha raggiunto quota 105 nel 1987) e la G.B. ha recuperato buona parte dei livelli di efficienza del passato. Nell'intervallo 1981-87 il tasso di crescita dell'economia si è aggirato sul 2,9% l'anno, un valore fra i più elevati fra i paesi dell'OCSE. Nonostante questa ripresa il Regno Unito non è riuscito a recuperare la posizione internazionale che ancora vantava alla metà degli anni Sessanta, quando il reddito medio pro capite era secondo solo a quello degli Stati Uniti. Attualmente, nell'ambito della CEE, Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia hanno un PIL pro capite inferiore, il resto dei paesi dispone di redditi per abitante decisamente superiori.
Il declino economico della G.B., iniziato con lo smantellamento del poderoso impero coloniale e accentuatosi nella seconda metà degli anni Settanta, ha trovato un potente argine con il ritrovamento e l'intenso sfruttamento delle ingenti risorse petrolifere del Mare del Nord. Scoperte nel 1970, nel 1975 sono iniziate le perforazioni e l'estrazione; così dal 1980 la G.B. è divenuta autosufficiente e, dalla metà del decennio, da paese importatore è passato fra gli esportatori di risorse petrolifere, con grande sollievo per la bilancia commerciale. Nella seconda metà degli anni Ottanta, in conseguenza del calo dei prodotti petroliferi, anche la portata economica di queste risorse si è ridimensionata e, benché il paese esporti quasi la metà delle quantità estratte (che si aggirano sui 120 milioni di t l'anno), nel 1986 la bilancia dei pagamenti è tornata in deficit.
Nonostante le crescenti difficoltà economiche il paese rimane uno dei principali centri finanziari del mondo e, in particolare, la borsa valori di Londra aspira a divenire la principale piazza finanziaria del globo: nel 1986 la borsa è stata dotata dei più moderni e aggiornati strumenti tecnologici (il cosiddetto big bang), allo scopo di comunicare e ricevere in tempo reale tutte le informazioni dalle principali piazze finanziarie del mondo intero.
Agricoltura. - È un settore evoluto e moderno, altamente meccanizzato, ma da tempo occupa un ruolo progressivamente marginale nel sistema produttivo britannico, e il suo contributo all'economia del paese è ancora in, sia pur lenta, diminuzione. Nel primario trova impiego poco meno del 2% della popolazione attiva complessiva mentre il suo apporto al PIL va riducendosi: alla fine degli anni Ottanta era dell'ordine dell'1,6%. Da qualche tempo la produttività del settore va assottigliandosi e i problemi che attanagliano queste attività si ripercuotono sulla bilancia commerciale del paese: il 10% circa delle importazioni è rappresentato da prodotti alimentari. La crisi di questo comparto produttivo trova conferma nel reddito degli agricoltori, che va riducendosi: già nel 1986 le entrate complessive in termini reali sono risultate la metà di quelle del 1973. La stasi della domanda, legata alla particolare evoluzione demografica della G.B. negli anni Ottanta, unita al concomitante incremento dell'offerta, conseguenza del miglioramento degli ordinamenti colturali, ha provocato l'abbassamento dei prezzi e, con essi, quello dei redditi degli agricoltori.
Dal punto di vista delle colture, frumento (con oltre 2 milioni di ha coltivati) e orzo (1,66 milioni di ha) rimangono i prodotti più diffusi (con una produzione di 140 e 80 milioni di q, rispettivamente). Seguono l'avena, le patate, la barbabietola da zucchero e il luppolo, la cui coltivazione riveste sempre una significativa importanza. Grande rilievo ha l'allevamento: nel 1990 il patrimonio zootecnico della G.B. contava 43,8 milioni tra ovini e caprini, 12 milioni di bovini e 7,4 milioni di suini. Questo ingente patrimonio continua a innescare un notevole circuito economico; assorbe infatti grandi quantità di foraggio e di mangimi e rifornisce di materia prima (dal latte alle carni) un'importante industria alimentare, ancor oggi in grado di soddisfare per intero la domanda interna. Anche la pesca è sviluppata (assorbe quasi 20.000 addetti per un pescato che nel 1990 è stato di 0,62 milioni di t) ma le quantità sbarcate, nonostante i mari limitrofi siano molto ricchi di fauna ittica, non soddisfano completamente la richiesta e il paese deve ricorrere alle importazioni.
Risorse minerarie e industria. - Dopo aver attraversato un periodo di crisi l'estrazione del carbone è tornata a essere rilevante: in seguito a una vasta politica di ristrutturazione e di rilancio produttivo le estrazioni hanno nuovamente superato i 100 milioni di t (erano appena la metà nel 1984). Dal punto di vista delle risorse energetiche il vero fatto nuovo degli anni Ottanta è rappresentato dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Mare del Nord. Attualmente la G.B. è il sesto-settimo produttore mondiale di petrolio e, come già osservato, esporta la metà circa delle quantità prodotte. Alla fine del decennio, a seguito del forte ribasso dei prezzi del greggio sui mercati internazionali, sono sorti notevoli problemi e nel settore si sono perduti circa 22.000 posti di lavoro. Ragguardevole è pure la produzione di metano, in massima parte estratto dai giacimenti off-shore.
Per la produzione di energia elettrica un consistente apporto proviene dal settore termonucleare, che attualmente soddisfa un sesto circa della domanda interna, ma il cui contributo è destinato a incrementarsi (nuovi impianti di Dungeness, Hartlepool, Heysham e Torness). Complessivamente la potenza installata è di poco inferiore ai 70 milioni di kW, a cui corrisponde una produzione di circa 310 miliardi di kWh.
Dell'importanza del settore industriale, delle sue tendenze nel lungo periodo, del suo ruolo nel contesto dell'economia tutta, in parte già è stato detto. Nel corso dell'ultimo quindicennio il comparto nel suo insieme, grazie soprattutto all'accelerazione impressa nella seconda metà degli anni Ottanta, si è potenziato: il tasso di crescita è risultato però inferiore a quello medio dell'economia e a quello del terziario in particolare. I settori maturi patiscono più di altri i processi di ristrutturazione, di adeguamento tecnologico, di recupero produttivo.
È il caso, per es., della siderurgia, le cui produzioni si sono sensibilmente contratte: la produzione di ghisa era (1991) di 12,1 milioni di tonnellate. Rimane alta la produzione di alluminio (circa 400.000 t annue di cui un buon 70% è di prima fusione), la metallurgia minore produce rame, piombo, stagno e zinco. La capacità di raffinazione del petrolio si aggira sui 100 milioni di t l'anno, distribuita su una ventina di impianti. La rete di oleodotti è stata potenziata sia per addurre il greggio estratto nel Mare del Nord agli impianti situati sulla costa, sia per convogliare il prodotto fra le varie raffinerie.
L'industria meccanica è situata sui distretti tradizionali: Sheffield, Manchester, Birmingham, Glasgow, Coventry, ecc. La concentrazione continua a essere molto elevata e ciò rappresenta una delle cause dei sensibili squilibri territoriali che ancor oggi penalizzano l'economia britannica. La cantieristica ha sede a Clyde (Scozia), oltre che nell'Inghilterra nord-orientale (Tyne, Tees, Wear, ecc.). L'industria tessile è, per tradizione, ubicata nel Lancashire ove si è affermata anche l'industria cotoniera. Londra rimane il maggior mercato laniero del mondo e per il suo porto transitano ingenti quantità di prodotti tessili. Il settore chimico, con oltre 330.000 addetti, rimane uno dei punti di forza dell'industria britannica. Esso produce ammoniaca (Glasgow, Newcastle, Birmingham), acido solforico, cloridrico e nitrico (Newcastle), soda (Middlesborough), azoto (Billington), ecc. Importante centro chimico della Scozia è Aberdeen, per la produzione di fertilizzanti azotati. La produzione di cemento sfiora i 14,4 milioni di t, mentre tuttora fiorente è il cosiddetto pottery district (Stoke on Trent) per la produzione di ceramiche. Industrie alimentari, di lavorazione di pellame, della carta, edilizia, ecc., completano il quadro produttivo tradizionale. Fra gli elementi di novità va ricordato il grande impegno dei governanti britannici nei confronti del rinnovamento tecnologico e il grande interesse per i settori ad alta tecnologia (o High Tech, come oramai è in uso definirli). Parchi tecnologici, strutture di ricerca e sviluppo sono sorti in prossimità dei principali centri universitari del paese.
Per quanto riguarda le comunicazioni la G.B. si avvale di oltre 16.600 km di ferrovie (soltanto 4500 km sono elettrificati) e di oltre 358.000 km di strade (solo 3000 km di autostrade). Il parco automobilistico conta 24,6 milioni di veicoli (19,7 milioni di autovetture). Per i collegamenti aerei con l'estero la G.B. dispone della British Airways, una delle maggiori compagnie aeree del mondo (nel 1991 disponeva di 230 aerei, occupava circa 52.800 addetti e ha trasportato oltre 25,5 milioni di passeggeri); accanto alla compagnia di bandiera si stanno notevolmente potenziando i vettori privati, sia per i collegamenti interni, sia per quelli internazionali a breve raggio. Aeroporti importanti sono ubicati a Londra (Heathrow e Gatwick), Manchester (Ringway), Glasgow (Abbotsinch), Edimburgo, ecc. I trasporti marittimi si avvalgono del grande porto di Londra, oltre a quelli di Liverpool, Manchester, ecc. La marina mercantile ha una stazza di 6,7 milioni di tonnellate.
Bibl.: M. Jenkin, British industry and the North Sea, Londra 1981; W.F. Lever, Industrial change in the United Kingdom, Harlow 1987; The economy in question, a cura di J. Allen e D. Massey, Londra 1988; Politics in transition, a cura di A. Cochrane e J. Anderson, ivi 1989; The changing social structure, a cura di C. Hamnett, L. McDowell, P. Sarre, ivi 1989; P. Hennessy, Whitehall, ivi 1989; Understanding the United Kingdom economy, ivi 1990; The changing geography of the United Kingdom, a cura di R.J. Johnston e V. Gardiner, ivi 1991.
Politica economica e finanziaria. - Dall'inizio del 1980, sotto la leadership di M. Thatcher, in G.B. le politiche economiche sono state inserite nel quadro di una strategia di medio periodo. Questa strategia ha avuto come obiettivo principale la riduzione dell'inflazione tramite l'adozione di politiche monetarie restrittive. Nel contempo, sono state prese misure per ridurre il disavanzo pubblico al fine di liberare risorse finanziarie e limitare gli effetti sui tassi d'interesse e sul tasso di cambio derivanti dalla restrizione monetaria. In particolare, furono annunciati obiettivi pluriennali, che sono stati rivisti annualmente in occasione della presentazione del bilancio statale, per quanto riguarda la crescita degli aggregati monetari, il fabbisogno del settore pubblico e l'andamento del reddito in termini nominali. Questo è servito a influenzare le aspettative degli operatori e a creare un clima favorevole alla stabilizzazione dei prezzi e alla crescita economica.
Le politiche finanziarie sono state accompagnate da una serie di misure di carattere strutturale, volte a migliorare il funzionamento del sistema produttivo e a diminuire il ruolo dello stato nella gestione dell'economia. In particolare, è stato attuato un programma di privatizzazioni di vasta portata tramite il quale sono stati progressivamente collocati titoli di società quali la British Telecom, la Britoil, la Jaguar e la British Gas. Inoltre, sono state prese misure per liberalizzare e aumentare l'efficienza dei mercati finanziari e rilanciare la piazza londinese (il cosiddetto big bang nel 1986), abolendo le commissioni minime di borsa e la distinzione tra jobbers (che svolgevano attività di dealer trattando i titoli in proprio) e brokers (che operavano esclusivamente per conto della clientela), e sviluppando l'uso di strutture telematiche per la contrattazione dei titoli. Si sono altresì adottati provvedimenti per aumentare la flessibilità del mercato del lavoro e programmi per la qualificazione della mano d'opera giovanile.
Questa strategia è riuscita ad abbassare il tasso d'inflazione, che è passato dal 16% circa nel 1980 a valori compresi tra il 4,4 e il 6,2% nel 1986-91. Inizialmente queste politiche hanno avuto ripercussioni negative sulla crescita economica e sull'occupazione. In particolare, nel 1982 il PIL risultava inferiore a quello registrato nel 1979 di oltre l'1%; nello stesso periodo il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato, raggiungendo il 10,4%. Tuttavia, a partire dal 1983, il reddito si è accresciuto a ritmi sostenuti, grazie al vivace andamento della domanda interna. Malgrado il forte sviluppo dell'economia, il tasso di disoccupazione ha continuato a crescere, toccando il livello massimo nel 1986. Benefici in termini di occupazione si sono verificati solo negli anni successivi e in particolare negli anni più recenti.
Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del Mare del Nord e l'incremento del prezzo del greggio del 1979 hanno determinato un forte miglioramento della bilancia dei pagamenti. Il saldo corrente è passato infatti da un disavanzo di circa un miliardo di dollari nel 1979 a un avanzo di quasi 14 nel 1981. In questo periodo si è altresì avuto un apprezzamento del tasso di cambio effettivo reale della sterlina che ha portato a una stagnazione delle esportazioni di manufatti e a un aumento delle importazioni. La debolezza del prezzo del petrolio, registratasi a partire dal 1985, e la dinamica della domanda interna hanno invece contribuito al progressivo deterioramento dei conti con l'estero.
Per quanto riguarda gli sviluppi più recenti, nel 1988 si è avuto un forte aumento della domanda interna (+7,8%) che ha sostenuto la crescita economica contribuendo a ridurre di più di due punti percentuali il tasso di disoccupazione. Nel contempo si è tuttavia registrato un progressivo innalzamento del tasso d'inflazione e un brusco peggioramento della bilancia dei pagamenti, il cui disavanzo è stato di più di 27 miliardi di dollari. In questo periodo la politica monetaria è stata influenzata da obiettivi talvolta contrastanti. In particolare, in alcuni periodi sono stati effettuati interventi e sono stati variati i tassi d'interesse al fine di limitare le fluttuazioni del tasso di cambio, soprattutto per quanto riguarda la parità con il marco tedesco. Queste manovre sono state vincolate dall'esigenza di non mettere a repentaglio la stabilità dei prezzi. La politica monetaria è stata anche influenzata dalla necessità di frenare la dinamica della domanda interna. A quest'ultimo riguardo non sembravano esistere ampi margini per ulteriori restrizioni della politica fiscale, in quanto il bilancio pubblico è stato portato in surplus nel 1988.
Nel 1989 le politiche finanziarie restrittive hanno provocato un raffreddamento della domanda interna, il cui tasso di crescita è sceso al 3% circa, e del tasso di sviluppo, sceso all'1,9%. Il tasso d'inflazione ha ripreso a crescere, e il disavanzo di parte corrente si è ulteriormente ampliato a seguito dell'apprezzamento del tasso di cambio in termini reali. A partire dall'estate 1990, la G.B. è entrata in una fase di marcata recessione: il tasso di crescita del PIL su base annua è sceso all'1%, mentre la domanda interna è rimasta virtualmente costante rispetto al 1989. Sebbene il tasso medio annuo di disoccupazione nel 1990 sia stato più basso di quello registrato nel 1989, nell'ultima parte dell'anno la disoccupazione ha preso a salire drasticamente. In questo quadro l'entrata della G.B. nel Sistema Monetario Europeo (SME) nell'ottobre 1990 non ha favorito l'attuazione di politiche espansive: l'esigenza di difendere il tasso di cambio della sterlina ha reso necessario il proseguimento di una politica monetaria molto cauta. La recessione del 1990 è proseguita, aggravandosi, nel 1991: il PIL è sceso del 2,2%, la disoccupazione è tornata a circa l'8,5%, il deficit di parte corrente, seppure ridottosi, è rimasto ampio. Il tasso d'inflazione è stato pari al 7,4%. Tuttavia, nella seconda metà dell'anno si sono avuti alcuni segni di ripresa guidata da consumi ed esportazioni. La politica monetaria è rimasta restrittiva e vincolata dalla necessità di difendere il cambio della sterlina nello SME; la politica di bilancio non ha assunto un deciso carattere anticiclico.
Le tensioni manifestatesi sui mercati valutari nel settembre 1992 hanno indotto la G.B. a sospendere la partecipazione della sterlina allo SME, dando inizio a un periodo di libera fluttuazione della valuta.
Storia (v. inghilterra, XIX, p. 232; App. I, p. 728; II, ii, p. 36; III, i, p. 878; IV, ii, p. 200; scozia, XXXI, p. 223; gran bretagna, App. IV, ii, p. 102). − Nonostante nel biennio 1977-78 si fossero avvertiti segnali positivi di una ripresa economica (alla fine del 1978 l'inflazione era scesa all'8% e la bilancia dei pagamenti era tornata in attivo), la minaccia di un ulteriore rialzo dell'inflazione a causa di una congiuntura mondiale in netto peggioramento e, sul piano interno, delle pressanti rivendicazioni salariali, portò nel 1978 alla proposta, da parte del governo laburista di J. Callaghan, di proseguire nella politica dei redditi già avviata l'anno precedente, abbassando dal 10% al 5% il tetto degli aumenti salariali per il 1979. La decisione governativa venne respinta dalle Trade Unions (in occasione del congresso annuale, ottobre 1978) e dallo stesso Partito laburista, mentre nel paese si acuì fortemente la conflittualità sociale, che investì sia il settore pubblico sia quello privato e sfuggì in molti casi allo stesso controllo sindacale.
Nel clima di emergenza che ne seguì, le difficoltà del governo laburista − indebolito anche dalla crisi attraversata dall'alleato liberale, dal riesplodere del terrorismo nell'Ulster, dai disordini razziali scoppiati nei sobborghi dei maggiori centri industriali (1978), nonché dalla sconfitta nel referendum consultivo sul progetto di legge che concedeva una parziale autonomia alla Scozia e al Galles (marzo 1979) − contribuirono alla schiacciante vittoria dei conservatori, guidati da M. Thatcher, nelle elezioni politiche del maggio 1979 (i tories ottennero il 43,9% dei voti contro il 36,9% dei laburisti e il 13,8% dei liberali).
Prima donna nella storia inglese divenuta primo ministro, dal febbraio 1975 leader del Partito conservatore, M. Thatcher si era presentata con un programma che, incentrato sulla politica economica, propugnava una linea rigidamente monetarista: contro ogni statalismo e assistenzialismo, esso sosteneva la necessità di ridurre l'intervento statale in campo economico, di diminuire drasticamente la spesa pubblica, di privatizzare alcuni servizi, di alleggerire il prelievo fiscale e di avviare una serie di misure favorevoli a una ripresa dell'iniziativa privata, a partire da una nuova disciplina delle attività sindacali.
Il vistoso successo elettorale dei conservatori fu confermato alle successive consultazioni europee del giugno 1979 (50,6% dei voti contro il 33% dei laburisti e il 12,6% dei liberali), mentre la linea di M. Thatcher otteneva di lì a poco un'approvazione a larga maggioranza nel congresso del partito (ottobre 1979).
La nuova linea di politica economica del governo conservatore − da subito applicata con tagli alla spesa pubblica di circa un miliardo e mezzo di sterline, privatizzazione di imprese pubbliche in primo luogo nel settore energetico, aumento del tasso di sconto, abolizione di ogni controllo valutario, e rilevanti sgravi fiscali (l'aliquota per i redditi più alti fu portata dall'83% al 60%, mentre quella più bassa dal 33% al 30%), accompagnati da un inasprimento delle imposte indirette − se da un lato raggiunse in breve tempo l'obiettivo di ridurre il tasso d'inflazione (che nel 1979 era raddoppiato fino a superare il 17%, e che nel 1981 scese all'11,2%), ebbe tuttavia ripercussioni fortemente negative sull'occupazione (che da un tasso del 6,1% nel 1980 salì nel 1981 all'9,5% per aumentare ancora fino a raggiungere nel 1986 il tetto dell'11,8%) e sull'andamento produttivo che, dopo un allarmante calo nel biennio 1980-81, mostrò segni di ripresa solo a partire dal 1982.
Tutto ciò non fu senza effetti sul Partito laburista all'opposizione, che dopo la sconfitta elettorale sembrava avviato verso una grave crisi, indebolito da un costante calo degli iscritti e da scontri interni fra la base e la leadership, fra destra e sinistra. Sotto la pressione della sinistra del partito, nell'ottobre 1980 Callaghan si dimise per essere sostituito dall'esponente della sinistra moderata M. Foot. Questi fu poi confermato alla guida del partito nel congresso dell'ottobre 1981, in cui fu definitivamente varato un programma basato, in politica estera, sul ritiro dalla CEE e sul disarmo atomico unilaterale e, in politica interna, sull'eliminazione delle scuole e degli ospedali privati e sulla rinazionalizzazione senza indennizzo delle società privatizzate.
L'egemonia della sinistra del partito portò, d'altro canto, alla scissione dell'ala destra − guidata da R. Jenkins, D. Owen, W. Rodgers e S. Williams −, che diede vita al partito socialdemocratico (SDP, marzo 1981) su obiettivi programmatici quali la riforma della Camera dei Lord, la piena parità fra i sessi, la permanenza nella Comunità europea e la difesa di un sistema economico misto. Di lì a poco il Partito liberale, sebbene su posizioni divergenti per quel che riguardava la politica di difesa − i liberali sostenevano infatti il disarmo unilaterale ed erano contrari all'installazione degli euromissili sul territorio nazionale −, formò con il nuovo SDP un'alleanza che ottenne buoni risultati elettorali nella consultazione dell'estate.
Anche le Trade Unions registrarono uno spostamento a sinistra, in una fase in cui esplosero forti tensioni sociali (dagli scioperi che, iniziati nel gennaio 1980 nel settore siderurgico statale, interessarono fra il 1980 e il 1981 ampi settori industriali, ai disordini che, nell'estate 1981, investirono Brixton, un quartiere a maggioranza nera di Londra).
Le tensioni sociali, la durezza dell'opposizione laburista e sindacale, gli attacchi al governo da parte di alcuni settori economici nonché di esponenti dello stesso Partito tory (quali l'ex premier E. Heath) rivelavano l'allarme suscitato in alcuni strati del paese da una politica, come quella thatcheriana, che introduceva temi e misure nuove e in buona parte estranee alla stessa tradizione conservatrice.
Il neoliberismo economico propugnato e adottato dal primo ministro, la fede nel mercato e nell'innovazione a prescindere da costi e sacrifici, l'abbandono di richiami ai valori della vecchia élite dirigente, quali Corona, Chiesa e Impero, e la messa in discussione delle gerarchie tradizionali in nome di una classe media di recente arricchitasi o pronta ad arricchirsi, insieme ad appelli xenofobi cui si sarebbero dimostrati sensibili ampi strati operai fino ad allora laburisti, caratterizzarono infatti uno stile di governo che, pur a fronte di perduranti opposizioni, sarebbe riuscito a conquistare per un decennio un vasto consenso, per molti versi trasversale agli schieramenti tradizionali.
La crisi di popolarità attraversata dal governo Thatcher fu superata nella primavera del 1982, in occasione della guerra delle Falkland. Dopo anni di inutili trattative sulla questione della sovranità sull'arcipelago fra G.B. e Argentina, il 2 aprile quest'ultima occupò le isole Falkland provocando in tal modo la rottura delle relazioni diplomatiche fra i due paesi e l'invio della flotta inglese. Fallito il tentativo di composizione del contenzioso avviato dagli Stati Uniti e dall'ONU, ai primi di maggio ebbero inizio gli scontri aereo-navali che, grazie alla superiorità militare inglese, si conclusero rapidamente con la resa, il 14 giugno, degli Argentini. La riconquista britannica delle isole − nonostante i prezzi materiali e umani pagati nel conflitto (persero la vita oltre 200 militari inglesi) − premiò fortemente la Thatcher, conferendole nuovamente un'ampia popolarità e assicurandole il consenso necessario a proseguire nella sua linea politica.
Tra la fine del 1982 e i primi mesi del 1983 il governo Thatcher procedette pertanto alla privatizzazione − parziale o completa, a seconda dei casi − di alcune delle più importanti imprese industriali a partecipazione pubblica (estrattive, trasporti, costruzioni navali, siderurgia, energia elettrica, ecc.).
Rafforzata dal successo elettorale ottenuto nelle elezioni politiche del giugno 1983 (42,4% dei voti ai conservatori, contro il 27,6% ai laburisti e il 25,4% alla coalizione fra liberali e socialdemocratici), M. Thatcher mantenne fermi gli indirizzi politici seguiti fino ad allora, conservando il controllo del partito e procedendo a un rimpasto governativo a scapito degli elementi più moderati.
Il Partito laburista, d'altra parte, dopo l'ulteriore sconfitta elettorale, scelse una linea di maggiore moderazione − soprattutto in politica interna −, eleggendo alla guida del partito N. Kinnock (congresso dell'ottobre 1983). Analoghi problemi di collocazione politica caratterizzarono l'alleanza social-liberale, ostacolata da frequenti scontri fra i due partiti, mentre D. Owen sostituiva R. Jenkins alla guida del SDP nel giugno 1983.
Quanto ai sindacati, dopo una fase di opposizione dura alle misure del governo, che si manifestò nel riuscito sciopero generale del settembre 1982, adottarono una linea sostanzialmente di compromesso e di dialogo, soprattutto in occasione della discussione sulla legge Tebbit (approvata poi nel luglio 1984) che stabiliva l'elezione diretta e a voto segreto dei dirigenti, il voto segreto per la proclamazione degli scioperi e il consenso degli iscritti per il finanziamento di partiti politici. Tuttavia la pesante sconfitta subita dai sindacati al termine del lungo e travagliato sciopero dei minatori (marzo 1984-marzo 1985) segnò la perdita, per un lungo periodo, di ogni reale possibilità di opposizione efficace alla politica thatcheriana.
In politica estera, il governo Thatcher si avvicinò ulteriormente alle posizioni statunitensi. In materia di armamenti, aderì alla ''doppia decisione'' atlantica del dicembre 1979 sugli euromissili e sul potenziamento della forza nucleare nazionale. Anche in occasione dell'invasione sovietica dell'Afghānistān, la G.B. si schierò a fianco del presidente americano R. Reagan, mentre nell'estate 1981 il ministro britannico degli esteri P. A. R. Carrington, sulla scorta di un impegno dei paesi CEE, tentò, seppure inutilmente, di convincere l'URSS ad accettare un piano di neutralizzazione dell'Afghānistān. In tale quadro s'inserì inoltre − nonostante la protesta di larga parte dell'opinione pubblica − l'installazione di missili nucleari Cruise (1983-84) e, dopo una breve crisi nei rapporti fra i due paesi in seguito all'intervento statunitense a Granada (stato membro del Commonwealth), la firma, nel dicembre 1985, di un accordo che stabiliva la partecipazione britannica al programma statunitense di ricerca sulla difesa strategica spaziale (Strategic Defense Initiative).
Parallelamente, a partire dal 1984, il governo Thatcher inaugurò nuove e più distese relazioni con l'URSS (viaggio a Mosca nel febbraio per i funerali di J.V. Andropov, visita a Budapest nel febbraio e, nel luglio, missione in URSS del ministro degli Esteri G. Howe), fino a che, nel marzo 1987, si giunse alla firma di un trattato bilaterale fra i due paesi, nonostante persistessero opposti punti di vista dei due leaders sulla questione della difesa militare (mentre M. Gorbačëv auspicava il ritiro dei missili a medio raggio, Thatcher ribadiva la sua fiducia in una funzione deterrente delle forze nucleari).
Nei confronti della CEE, il governo Thatcher, proseguendo sostanzialmente nella linea antieuropeista dei governi precedenti, si batté per la riduzione del contributo britannico al bilancio comunitario. Tale questione contraddistinse i rapporti fra la G.B. e i paesi europei, provocando in diverse occasioni forti tensioni intercomunitarie (per es., la guerra del pesce con la Danimarca nei primi mesi del 1983). Ma dopo il sondaggio del maggio 1983, che rivelò una maggioranza dell'opinione pubblica europeista (il 53% votò per la permanenza nella CEE, contro il 35% di contrari), si giunse finalmente, dopo il fallimento dei due vertici di Atene (dicembre 1983) e di Bruxelles (marzo 1984), all'accordo di Fontainebleau (giugno 1984) che stabiliva un sistema definitivo di riduzione del contributo britannico al budget comunitario.
Quanto alla politica verso le colonie, per quel che riguardava la questione della Rhodesia-Zimbabwe, il governo Thatcher raggiunse alla fine del 1979 un accordo che, dopo una breve fase transitoria sotto il governatorato britannico, prevedeva l'indipendenza della colonia e le elezioni politiche (aprile 1980), mentre il Belize otteneva l'indipendenza nel settembre 1981.
Sul piano interno, il secondo governo Thatcher (1983-87) conseguì significativi successi economici: l'inflazione continuò la sua discesa, mentre la produzione aumentò considerevolmente. Così, nonostante la grave crisi politica attraversata nel 1986 dal governo conservatore a causa dello scandalo Westland − dal nome della ditta fornitrice di una commessa di elicotteri per l'esercito, che costò le dimissioni di due ministri − il Partito tory ottenne nel giugno 1987 la sua terza vittoria elettorale consecutiva grazie, da un lato, alla prosperità economica raggiunta dal paese soprattutto nelle regioni meridionali, e, dall'altro, alla persistente diffidenza di gran parte dell'elettorato verso la linea di politica estera delle opposizioni (ferma, per i laburisti, al disarmo unilaterale e, seppure con toni meno decisi e con differenziazioni interne, antinucleare anche per quel che riguardava l'alleanza social-liberale).
Il partito di M. Thatcher ottenne infatti il 42,3% dei voti, mentre i laburisti, pur registrando un aumento rispetto alle elezioni precedenti, ottenevano solo il 30,8%, e i social-liberali il 22,6%. Tali risultati, se da un lato costituirono un'ulteriore conferma per M. Thatcher e per il suo programma (che otteneva il sostegno della maggioranza del partito nel congresso annuale dell'ottobre 1987 e che prevedeva il rinnovamento dei centri storici delle città maggiori affidato soprattutto all'iniziativa privata, una serie di misure favorevoli al rilancio dell'edilizia privata e l'introduzione di alcuni elementi di privatizzazione del servizio sanitario nazionale), provocarono d'altro lato significativi mutamenti nella linea politica delle opposizioni. I laburisti, sotto la guida di N. Kinnock, procedevano a una ''revisione'' del programma con l'abbandono, in primo luogo, dell'opzione del disarmo unilaterale e, successivamente, della pregiudiziale antieuropeista. I liberali e i socialdemocratici, dal canto loro, decidevano la fusione dei due gruppi, formando così, nonostante la volontà manifestata da D. Owen di mantenere in vita l'SDP, il nuovo Social and Liberal Democratic Party (SLDP, marzo 1988), sotto la guida congiunta del liberale D. Steel e del socialdemocratico R. Maclennan (poi sostituiti nel luglio dal solo P. Ashdown, liberale).
La politica estera del terzo governo Thatcher ha sostanzialmente confermato le scelte precedenti: l'allineamento agli Stati Uniti, il sostegno alla perestroika di M. Gorbačëv e le forti riserve verso ogni progetto d'integrazione politica ed economica europea. La G. B. attraversò una grave crisi nelle relazioni con l'Iran: crisi che, apertasi nel 1987 sulla questione di un diplomatico iraniano detenuto in G. B., esplose nel febbraio 1989 con il caso dello scrittore S. Rushdie, quando la condanna a morte scagliata minacciosamente dall'ayatollah Khomeini contro l'autore dei Versetti satanici provocò la rottura delle relazioni diplomatiche fra i due paesi (marzo 1989).
In politica interna, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da crescenti difficoltà economiche: dopo il crollo finanziario dell'autunno 1987, la politica antideflattiva avviata sulle prime dal cancelliere dello Scacchiere N. Lawson provocò una ripresa dell'inflazione (che nel 1989 risaliva al 5,5%) e una diminuzione della produttività, mentre la disoccupazione continuava a salire e la sterlina perdeva valore sul mercato internazionale. A provocare una grave crisi di popolarità del governo e, in primo luogo, di M. Thatcher, contribuirono in questo periodo diversi fattori: l'appannarsi della convinzione che la G. B. si fosse finalmente avviata verso un periodo di prosperità; le critiche alla politica governativa da parte degli imprenditori, soprattutto dopo la scelta operata dal Tesoro di elevare al 15% il tasso di sconto; i dissidi interni al gabinetto sulla politica monetaria (dimissioni di Lawson nell'ottobre 1989 e sua sostituzione con J. Major, più vicino alle posizioni del premier) e quelli sulla politica europea (all'intransigenza manifestata a più riprese dalla Thatcher verso il piano d'integrazione di J. Delors si opponevano infatti una parte del partito e membri dello stesso governo, fra cui il ministro degli Esteri G. Howe che per tali ragioni si dimise nel luglio 1989), nonché le prime reali avvisaglie di recessione nella seconda metà del 1990.
Tale crisi si aggravò ulteriormente con la controversa adozione di una nuova tassa comunale sulla persona (poll tax) che doveva sostituire le tradizionali imposte locali e che provocò nel paese un diffuso malcontento (primavera 1990). D'altro canto, gli stessi risultati delle elezioni europee del giugno 1989 (in cui i laburisti conquistarono 45 seggi, a fronte dei 32 precedenti, e i conservatori 32, a fronte dei 45 del 1984) e di quelle amministrative del maggio 1990 (con una perdita di 200 seggi per i tories e un aumento di 300 seggi per il labour) dimostravano un'inversione di tendenza, grazie anche a una nuova credibilità conquistata dal Partito laburista di N. Kinnock, impegnato in un profondo processo di rinnovamento della propria linea in senso socialdemocratico e filoeuropeista.
In questo quadro, i duri scontri all'interno del Partito tory sulla politica governativa portarono, nel novembre 1990, alle dimissioni della Thatcher da primo ministro e alla sua sostituzione con J. Major. Vicino alle posizioni della Thatcher, ma comunque deciso a riformare la poll tax e ad assumere una posizione più morbida nei confronti del processo d'integrazione europea, Major è sembrato svolgere principalmente un ruolo di mediazione nel partito e nel governo fra quanti sostengono la necessità di non abbandonare i fondamenti dell'indirizzo thatcheriano (fra gli altri, P. Lley, nuovo ministro dell'Industria e Commercio, M. Forsyth e C. Chope, sottosegretari) e quanti, invece − guidati dal presidente del partito C. Patten e dal ministro dell'Ambiente M. Heseltine −, sembrano più favorevoli a una correzione della linea neo-liberista dell'ex premier, soprattutto in materia di politica fiscale e sociale.
Nonostante il consenso ottenuto dal nuovo governo nella crisi del Golfo, in cui laburisti e liberal-democratici appoggiarono la linea di Major e l'intervento in guerra, e nonostante, per quel che riguarda la politica interna, il favore popolare per l'annunciata abolizione della poll tax (e la sua sostituzione con una diversa forma di tassazione locale prevista per l'aprile 1993), la secca sconfitta subita dai conservatori nelle elezioni amministrative in Galles e Inghilterra del maggio 1991 (che si è tradotta in una perdita di 890 seggi su 12.000 circa) contro l'aumento dei laburisti e dei liberal-democratici (rispettivamente di 490 e 520 seggi), ha comunque dimostrato una debolezza sostanziale del tentativo mediatore di Major. Fra il 1991 e il 1992 il suo governo, mentre procedeva a ulteriori e progressive privatizzazioni nel settore elettrico, in quello delle telecomunicazioni e dei trasporti, ha dovuto affrontare l'opposizione laburista sulla riforma del Servizio sanitario nazionale − che introduceva l'autonomia gestionale di buona parte degli ospedali pubblici − e sulla politica fiscale (a proposito della quale i laburisti hanno proposto un inasprimento della tassa sul reddito e un aumento dei contributi assistenziali per i lavoratori dipendenti). Ma l'opposizione laburista non è stata premiata, tanto che, nonostante le previsioni contrarie, le elezioni politiche dell'aprile 1992 hanno visto per la quarta volta consecutiva la vittoria dei conservatori (41,93% dei voti, contro il 34,39 dei laburisti).
Questione irlandese. − Nell'ultimo decennio la situazione nell'Ulster ha continuato a rappresentare un grave problema per il governo britannico, senza che sia stata raggiunta una soluzione.
Nel gennaio 1980 fu indetta una conferenza per il riassetto istituzionale della regione che tuttavia non riuscì a presentare una proposta accettata dalle parti. Il progetto di un Parlamento provinciale fu infatti respinto dall'IRA (Irish Republican Army), mentre la situazione politica nel corso del 1981 si aggravava ulteriormente in seguito allo sciopero della fame indetto da alcuni detenuti dell'IRA per ottenere dal governo di Londra lo status di prigionieri politici. Al rifiuto del governo britannico, seguiva la morte di dieci detenuti − tra cui il deputato irredentista B. Sands − che suscitava in larghi strati dell'opinione pubblica una richiesta di cambiamento della politica verso l'Ulster. Nel luglio 1982 il Parlamento britannico approvava allora il Northern Ireland Act, che prevedeva l'elezione di una nuova assemblea parlamentare con il sistema proporzionale e il ristabilimento graduale di un regime di autogoverno della regione. Le elezioni, che si svolsero nell'ottobre 1982, registrarono un forte astensionismo (pari al 40% dei votanti); i due principali partiti protestanti (Official Unionist Party e Democratic Unionist Party) ebbero la maggioranza dei seggi (rispettivamente 26 e 21), mentre i due raggruppamenti cattolici (Social Democratic Labour Party e Provisional Sinn Fein), con 14 e 5 seggi rispettivamente, si rifiutarono di partecipare ai lavori parlamentari.
L'ulteriore inasprirsi della tensione fra cattolici e protestanti e l'attentato dell'IRA a Brighton (ottobre 1984) contro M. Thatcher e lo stato maggiore del suo partito durante il congresso annuale, in cui persero la vita cinque esponenti del Partito tory, portò nel 1985 al rinnovo per altri 5 anni della legislazione antiterroristica varata temporaneamente l'anno precedente e all'accordo anglo-irlandese che stabilì rapporti di collaborazione e consultazione (novembre 1985) fra Londra e Dublino nella lotta contro il terrorismo.
Negli ultimi anni un significativo passo avanti nella risoluzione del problema irlandese ha rappresentato l'iniziativa del segretario inglese per l'Irlanda del Nord, P. Brooke, che dopo quindici mesi di trattative è riuscito nell'aprile 1991 ad avviare la Conferenza tra tutte le parti politiche sul problema (sono previste tre diverse e successive fasi di colloqui: la prima tra i partiti costituzionali dell'Irlanda del Nord; la seconda tra questi e il governo di Dublino; la terza tra il governo di Dublino e quello di Londra). I colloqui hanno tuttavia incontrato notevoli difficoltà dovute soprattutto alle resistenze degli unionisti.
La situazione dell'Ulster tuttavia rimane tesa. Sono proseguiti gli attentati da entrambe le parti: mentre l'IRA ha ripiegato su un terrorismo indiscriminato e sensazionalistico, spostando gran parte delle proprie azioni sul territorio britannico, e in primo luogo a Londra − dai sanguinosi attentati del 1989 nei locali del conservatore Carlton Club, alle bombe contro le stazioni di Paddington e Victoria (febbraio 1991), e all'attacco a colpi di mortaio contro una base militare britannica che ha provocato la morte di 3 soldati e il ferimento di altri 18 (maggio 1991), fino all'esplosione che il 10 aprile nella City ha ucciso 3 persone e ferito altre 90 −, i terroristi protestanti hanno continuato a operare nell'Ulster con attentati a villaggi cattolici (marzo 1991), in cui hanno perso la vita 7 persone.
Il governo inglese, per parte sua, grazie anche alla nuova situazione internazionale che ha riportato alla ribalta le questioni di nazionalità, sembra aver recentemente adottato una revisione di linea politica sulla questione irlandese, come dimostra in primo luogo l'iniziativa di Brooke e, in secondo luogo, l'alleggerimento dell'aspetto più direttamente repressivo (in questa luce potrebbero essere letti i due verdetti del marzo e del giugno 1991 in cui sono stati scagionati da ogni accusa rispettivamente 6 e 7 Irlandesi incarcerati tra il 1975 e il 1976 quali responsabili di azioni terroristiche dell'IRA).
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Letteratura (v. inghilterra, XIX, p. 281; App. II, ii, p. 49; III, i, p. 882; IV, ii, p. 200). − Poesia. - Ha quasi un significato simbolico il fatto che alla morte di J. Betjeman (1984) la carica di Poeta Laureato venga rifiutata da P. Larkin e accettata, fra qualche polemica, da T. Hughes. Larkin, quieto cantore dell'Inghilterra suburbana, leader di quel Movement che dalla seconda metà degli anni Cinquanta rappresenta quasi la quintessenza delle tradizionali virtù britanniche, respinge un ruolo che parrebbe a lui congeniale. E Hughes accetta una carica ufficiale a prima vista lontanissima da quella visione violentemente anarchica, da quella tragica e antisociale lotta per la sopravvivenza che anima da sempre il suo crudele bestiario poetico.
In questa apparente inversione dei ruoli si può leggere in filigrana il quadro di una poesia inglese ultimamente non più riconducibile a categorizzazioni che, pur se non totalmente convincenti, hanno mantenuto fino a non molto tempo fa un'utilità almeno indicativa. È oggi difficile enucleare movimenti, gruppi, tendenze, in un panorama in cui gli artisti rifuggono dal manifestare intenti (o ideologie) comuni.
Gli autori associati alla reazione antiromantica e antiretorica (spesso anche antipolitica) del Movement prendono strade diverse. E. Jennings, capace peraltro di una poesia dai toni calmi e suasivi, si apre, a partire dai suoi contributi all'antologia The new poetry (1962), ai modi drammaticamente personali del Confessionalism, una tendenza che non potrebbe contrastare di più con la rattenuta emotività di un Larkin. J. Wain perde progressivamente la sua importanza come poeta; D. Davie passa a una produzione più complessa, ingegnosa, cerebrale; D.J. Enright, per la varietà dei toni e dei motivi, diventa assai poco incasellabile e T. Gunn, più che in T. Hardy o E. Thomas (''riscoperti'' dal Movement), sembra trovare negli Stati Uniti la propria ispirazione.
Ha anche avuto luogo la prevedibile diaspora dei poeti della Group anthology (1963) vicini alle concezioni di Hughes. Costoro mostravano in realtà, fin dal principio, una gran varietà di voci e di intenti, quantunque E. Lucie-Smith si sforzasse di dimostrare che le loro idee coincidevano con quelle degli Angry Young Men. Se G. MacBeth sceglie ancora la via della trasgressione e della provocazione cinica, P. Porter unisce all'enciclopedica varietà tematica e alla ricchezza metrica una vena pacata ed elegiaca quando s'accosta a materiali autobiografici. E se P. Redgrove, col suo sguardo da naturalista, può ricordare tratti di Hughes, la poesia di A. Brownjohn si mostra più orientata al commento sociale e ad aperture narrative.
Dei poeti pop della scuola di Liverpool, che in affollati meetings recitavano o cantavano versi di contestazione all'establishment, non sembra rimanere traccia. Né paiono destinate a far proseliti la poesia ''concreta'' dei pur validi E. Morgan e I.H. Finlay, la poesia ''trovata'' (i cui collages hanno forse attinenza con l'estetica del frammento recuperata da certo postmodernismo), la poesia ''sonora'' di B. Cobbing (fruibile unicamente attraverso registrazioni).
L'unica ''scuola'' identificabile, con le cautele del caso, negli anni Ottanta può essere quella dei Martian Poets. Il capofila C. Raine, a partire da una sua raccolta del 1979, A martian sends a postcard home, propone una visione vergine e straniata (da ''extraterrestre'', appunto) della realtà quotidiana, svelandone le assurdità. Dei ''marziani'' farebbero parte J. Fuller, J. Reed, C. Reid e altri.
Nel panorama attuale sono presenti molte voci individuali interessanti. Abilità metrica, sensibilità alla dimensione sociale, capacità di presa diretta dal linguaggio comune caratterizzano la poesia di T. Harrison, in cui ricorrono echi del dialetto dello Yorkshire. La dizione piana e l'accessibilità delle tematiche accomunano la produzione di J. Silkin a quella di J. Stallworthy e di D. Dunn. Quest'ultimo descrive lucidamente vari aspetti della vita scozzese anche nella sua parallela attività di narratore. Una vocazione per l'aneddoto e l'istantanea è ugualmente rilevabile in A. Motion e J. Fenton. Una delle basi su cui si può ipotizzare una qualche linea di sviluppo nell'attuale poesia britannica è proprio una rinnovata disposizione narrativa. Si ravvisa inoltre, parallelamente a quanto avviene per il romanzo, un risveglio d'interesse nei confronti della storia. Ai due conflitti mondiali ricorre spesso per la sua ispirazione P. Scupham; ma più ampio, ambizioso, rigoroso è il disegno che sottostà alla complessa e disciplinatissima poesia di G. Hill, in particolare nei Mercian hymns (1971), in cui le vicende dell'antico re Offa si sovrappongono a una sorta di autobiografia poetica e all'Inghilterra moderna solcata dalle autostrade.
Limitato è il numero delle poetesse, fra cui meritano menzione F. Adcock, J. Joseph, F. Downe, U.A. Fanthorpe e la promettente M. McGuckian. Negli ultimi due decenni il centro di gravità della poesia si sposta da Londra alla provincia e, soprattutto, all'Ulster, tanto che Belfast sembra divenire la nuova capitale poetica. Dopo H. McDiarmid, la Scozia vanta poeti come N. McCaig, G. Mackay Brown e il vigoroso I. Crichton-Smith. Dal Galles, oltre alla scarna e potente poesia religiosa di R.S. Thomas, vengono i versi di D. Abse e J. Davies, dai quali affiora una nota cinica e delusa. Nell'Irlanda del Nord domina ancora la voce di S. Heaney che, riflettendo sull'eredità dei popoli celti, connette al doloroso presente le violenze del passato; ma si segnalano anche M. Longley e P. Muldoon e l'opera scabra, terminale, ''beckettiana'' di D. Mahon.
Fra le riscoperte del periodo vanno annoverati l'inquietante e originalissima S. Smith e l'ultimo grande poundiano, B. Bunting.
Narrativa. − Ricorrendo a un approccio comparativo che ben s'adatta a una forma d'arte sempre più internazionale come il romanzo, critici accademici quali B. Bergonzi, D. Lodge e M. Bradbury hanno contribuito, negli ultimi decenni, a ridimensionare la diffusa nozione secondo cui la narrativa inglese del secondo dopoguerra sarebbe ancorata a un insularismo nostalgico, a un provincialismo asfittico e anacronistico, a tradizioni sette-ottocentesche ormai esauste nel loro repertorio tecnico e nel loro potenziale conoscitivo. In contrasto con la vivacità dei dibattiti e dei risultati artistici che hanno animato la scena francese e statunitense (si pensi al Nouveau Roman, ai contributi teorici di R. Barthes, allo strutturalismo e al post-strutturalismo, alle pratiche postmoderne e minimaliste), l'attuale romanzo inglese andrebbe a comporre − insieme alle supposte piattezze poetiche del Movement e al ''kitchen-sink drama'' di J. Osborne e seguaci − un quadro, se non proprio stagnante, certamente chiuso all'impegno sperimentale e alle aperture internazionali delle avanguardie storiche.
La nuova critica riafferma con vigore l'importanza di filoni e autori in cui l'audacia modernista non ha ceduto il passo a un pedissequo ''realismo'' o a documentarismi di basso profilo sociologico: vengono, giustamente, portati a esempio l'opera narrativa di S. Beckett, la ricchezza tecnica di H. Green, la vertiginosa molteplicità dei livelli narrativi presenti in Under the Volcano (1947; trad. it., 1961) e nei frammenti postumi di M. Lowry, il gioco di specchi dell'Alexandria quartet (1956-60; trad. it., 1959-62) di L. Durrell.
Sicuramente, la lezione di F.R. Leavis, con le sue indicazioni per una letteratura concreta, moralmente consistente, ricca di valenze latamente sociali, fa ancora sentire il proprio peso. Ma è vero che la tradizione inglese conosce anche una vena ''sterniana'' di parodia, di grottesco, di sperimentazione, di apologhi fantastici (nel 1957 si conclude, per es., The lord of the rings di J.R. Tolkien [trad. it., 1970] e nel 1959, nella piena del neorealismo ''arrabbiato'', si completa la Gormenghast trilogy di M. Peake [trad. it., 1981]). E d'altro canto esiste un indirizzo critico più attento alla sostanza verbale della letteratura, all'oggetto-testo (basti al proposito il nome di W. Empson).
La convenzione realista, in effetti, viene abbandonata abbastanza presto da molti degli scrittori che esordirono negli anni Cinquanta. E inoltre, autori importanti come A. Wilson, I. Murdoch, M. Spark, J. Fowles e A. Burgess, che si sono inseriti ormai da lungo tempo nel dibattito internazionale sulla forma-romanzo, esplorano nei loro testi la natura e i limiti della narratività e riflettono sul rapporto fra realtà e statuto ontologico della finzione (oltre alle opere del Nobel W. Golding, si pensi solo a romanzi come The golden notebook, 1962, di D. Lessing [trad. it., 1964] o The magus, 1966, di J. Fowles [trad. it., 1968]). Né mancano tentativi, più o meno riusciti, di far propri gli esiti del Nouveau Roman (è il caso di A. Quin, C. Brooke-Rose, G. Josipovici) o del romanzo sperimentale americano (''importato'' con successo in Inghilterra da B.S. Johnson, morto suicida nel 1973).
Appurato dunque che il romanzo inglese contemporaneo merita di essere affrancato, nel suo complesso, dall'accusa di essere prono a una mera osservanza di stereotipi, va comunque sottolineato che certe estreme conclusioni post-strutturaliste o pseudo-fenomenologiche (quali la concezione dell'opera d'arte come puro artefatto verbale o l'idea che la realtà empirica sia riducibile allo spessore di un foglio di carta) non trovano in Inghilterra molto riscontro. Più congeniale alla tradizione britannica sembra essere la tendenza detta del ''realismo magico'', che negli anni Settanta, a partire dall'America latina, conosce una diffusione mondiale. Pur tra deformazioni e fabulazioni poetiche, tale filone consente di mantenere un nucleo di umanesimo liberale, una possibilità di rappresentare (pur se in modo liberamente traslato) quel rapporto fra problemi individuali e questioni sociali, quell'interesse largamente morale in cui la letteratura inglese sembra riconoscersi più che nella metatestualità pura.
Nell'attuale scena letteraria britannica convivono tendenze e autori assai differenziati. Accanto a scrittori di solida fama (oltre quelli già menzionati, K. Amis, J. Wain, A. Sillitoe, D. Storey e l'angloirlandese M. Keane) sono da annoverare autori più giovani, spesso imposti all'attenzione del pubblico da premi letterari prestigiosi come il Booker Prize (1969-) o i Whitbread Literary Awards (1971-). Fra i nuovi autori di maggior interesse sono M. Amis, P. Ackroyd, J. Barnes, G. Swift, S. Rushdie, T. Mo, K. Ishiguro.
La letteratura britannica sembra destinata ad arricchirsi in misura sempre maggiore di nomi dal suono esotico, come gli ultimi appena elencati. Per es. S. Rushdie, che costituisce uno dei ''casi'' letterari degli ultimi anni, è originario del sub-continente indiano. Si può qui ricordare che il rapporto con quello che fu l'impero britannico ha suscitato, anche in tempi molto vicini a noi, opere narrative di primo piano (i romanzi di J.G. Farrell; la Malayan trilogy, 1956-59 [trad. it., 1980], di A. Burgess; il Raj quartet, 1966-76 [trad. it., 1985-87], di P. Scott, autore che sta conoscendo una notevole rivalutazione critica). Ma anche scrittori esterni all'area del Commonwealth (come il giapponese Ishiguro e l'anglocinese Mo, oltre al grande decano V.S. Naipaul) vengono a dare nuova linfa al romanzo inglese, col loro bagaglio di tradizioni culturali spesso depositarie di antichi e nobili patrimoni narrativi. Né si possono ignorare i notevoli risultati artistici conseguiti da personalità come l'australiano P. White o il nigeriano C. Achebe.
Vi è infine da rilevare che molti autori inglesi delle ultime generazioni stanno riscoprendo un uso libero e fecondo della storia nazionale. Tale rivalutazione del passato, a volte ironica, a volte pensosa, contribuisce, insieme all'apporto di scrittori di etnie diverse, a rendere tutt'altro che piatto il panorama attuale della narrativa britannica.
Teatro. − Molte delle linee di tendenza e delle influenze in atto nel teatro britannico contemporaneo sono state identificate in App. IV, i, p. 200. Esiste anche una certa continuità per quanto riguarda molti degli autori che vi sono menzionati.
Nel 1989 muore S. Beckett, dopo aver portato a compimento una parabola di progressiva scarnificazione del testo e dell'azione teatrale. Beckett lascia un'opera che, paradossalmente, è tanto inconfondibile da non poter essere più imitata; ma la sua rimane una presenza diffusa, pervasiva. La produzione di H. Pinter, il drammaturgo più spesso accostato a Beckett, ha anch'essa attraversato una fase di rarefazione, grazie all'uso di un linguaggio sempre più allusivo e colmo di silenzi e sottintesi. Recentemente, pur senza abbandonare il suo stile distintivo, Pinter si dimostra aperto a temi più esplicitamente politici, come quello della tortura nei paesi totalitari (si vedano One for the road, 1984 [trad. it., 1985], e Mountain language, 1988). N. F. Simpson, altro autore che aveva dato buona prova nel filone dell'assurdo, è scomparso dalla scena. Alquanto sullo sfondo rimane la figura di A. Wesker, che ha trovato a lungo una sua caratterizzazione in opere socialmente impegnate. Ma se il primo fra i drammaturghi del dissenso, J. Osborne, non sembra aver mantenuto le promesse iniziali, è da rilevare che gli anni Settanta sono trascorsi, per ciò che riguarda il teatro, all'insegna di una combattività politica che è tanto ricorrente da diventare quasi rituale.
Fortemente militanti sono i drammi di T. Griffiths, che tratta dei moti operai del 1920 a Torino, della contestazione del maggio francese e che, nel finale di Comedians (1975; trad. it., 1988), mette in scena un vero comizio. Dopo le esperienze nel teatro alternativo, H. Brenton approda al National Theatre, pronosticando in The Churchill play (1974) una improbabile Inghilterra ''orwelliana'' e finisce per scandalizzare il pubblico con un violento e pretenzioso colossal di sinistra, The Romans in Britain (1980). Anche D. Hare è un rappresentante di quel filone engagé che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, porta alla creazione, allo scioglimento, alla riaggregazione di gruppi e iniziative il cui solo numero scoraggia ogni velleità di censimento.
Un attacco frontale a convenienze e tabù e un talento provocatorio contrassegnano la produzione di E. Bond, che fonda i suoi primi lavori su una estetica dell'aggressione. Ma il suo è un teatro capace di varietà e movimento. In Bingo (1973), Bond dissacra la figura di Shakespeare e pone il problema della responsabilità sociale dell'artista. Dopo un periodo di relativo nichilismo e d'intensa collaborazione col teatro fringe, l'autore perviene a conclusioni politiche radicali (in Bundle, 1978 [trad. it., 1985], si spinge fino a suggerire la lotta armata). P. Nichols, che dispone di un humour noir capace di sdrammatizzare le situazioni più tragiche, si muove invece entro linee brechtiane. D. Storey, noto anche come romanziere, è l'autore di buone commedie sociali in cui ama presentare, spesso ricorrendo al nativo dialetto dello Yorkshire, protagonisti di estrazione popolare che l'istruzione aliena e sradica dalle proprie origini. Ciò che accomuna J. Arden a molti degli autori fin qui nominati è l'esordio al Royal Court. Arden mira a un teatro totale e ricorre a canti, filastrocche, ballate, brani da music hall. Dopo Serjeant Musgrave's dance (1959; trad. it., 1962), violento atto d'accusa pacifista, Arden, che non disdegna imprese ''minori'' (lavora anche su commissione per contribuire alla denuncia di problemi locali o sindacali), intraprende uno scoronamento della storia nazionale, che culmina in The island of the mighty (1972). In seguito a sgraditi tagli censori, lo scrittore interrompe ogni relazione col teatro ufficiale e, con la collaborazione fissa della moglie M. D'Arcy, entra in una fase militante e didascalica il cui miglior frutto è forse The Ballygombeem Bequest (1972). Gli Arden si mantengono tuttora ai margini dell'istituzione teatrale.
Non è questo il caso di T. Stoppard. Vero funambolo del teatro (al pari del più commerciale ma eccellente A. Ayckbourn), Stoppard usa il linguaggio con abilità pirotecnica e inserisce nei suoi drammi i riferimenti culturali più disparati. In Rosencrantz and Guildenstern are dead (1967; trad. it., 1967), sceneggiato per il cinema dallo stesso autore (1990), convivono, in uno sfondo di desolazione quasi beckettiana, astuti rimandi al testo shakespeariano e vertiginosi giochi linguistici. In Every good boy deserves favour (1977), rappresentato con l'accompagnamento di un'orchestra dal vivo, il tema è il dissenso nell'Est europeo. Da vent'anni Stoppard (il cui lavoro più recente, The native state, 1990, è ambientato in India) è anche sceneggiatore cinematografico.
Ed è proprio dal rapporto con altri mezzi di comunicazione che il teatro inglese trarrà probabilmente nuovi stimoli. Dalla seconda metà degli anni Ottanta si cerca, infatti, di rilanciare il dramma televisivo che negli anni Sessanta ha vissuto un periodo d'oro. È utile ricordare, pur senza riandare alle celebrate collaborazioni di L. MacNeice e di D. Thomas con la BBC, che Osborne, Wesker, Arden, Pinter hanno spesso lavorato per la radio e per la televisione, in cui hanno esordito autori come Nichols e Stoppard. Quasi esclusivamente per il mezzo televisivo ha scritto D. Mercer (morto nel 1980) e scrive tuttora, con risultati spesso di ottimo livello, D. Potter.
Poche, anche nel teatro, le autrici: da ricordare almeno C. Churchill, nei cui drammi si bilanciano istanze femministe e socialiste.
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Per il teatro: G. Wellwarth, The theater of protest and paradox: developments in the avant-garde drama, New York 1964; R. Cohn, Currents in contemporary drama, Bloomington (Indiana) 1969; A.K. Kennedy, Six dramatists in search of a language, Cambridge 1975; R. Williams, Drama in a dramatised society: an inaugural lecture, ivi 1975; O. Kerensky, The new British drama: fourteen playwrights since Osborne and Pinter, Londra 1977; G. Restivo, La nuova scena inglese, Torino 1977; The Revels history of drama in English, vii, a cura di H. Hunt, Londra 1978; P. Bertinetti, Teatro inglese contemporaneo, Roma 1979; R. Hayman, British theatre since 1955: a reassessment, Oxford 1979; Contemporary English dramatists, a cura di M. Bradbury e D.J. Palmer, Londra 1981; J. Drakaris, British Radio drama, Cambridge 1981; At the Royal Court: twenty-five years of the English Stage Company, a cura di R. Findlater, Ambergate 1981; J.R. Taylor, The second wave. British drama in the Seventies, Londra 1981; M. Wandor, Understudies: theatre and sexual politics, ivi 1981; M. Corsani, Prefazione a Teatro inglese del rifiuto, Genova 1983; S. Maiorana, Lo spazio diviso: teoria e pratica del teatro politico inglese contemporaneo, Venezia 1984; M. D'Amico, Dieci secoli di teatro inglese (970-1980), Milano 19872.
Archeologia (v. inghilterra, App. II, ii, p. 45; IV, ii, p. 201). - L'attività archeologica in G. B. ha visto in questi ultimi anni significativi progressi sia nella ricerca sia nell'interpretazione dei dati archeologici e storico-artistici. Per quel che concerne la ricerca, la novità più importante risiede nell'incremento del numero degli scavi, che hanno trovato una prima e significativa presentazione nel capitolo Site Explored pubblicato annualmente nella rivista Britannia.
Numerosissimi sono i castra e i castella di cui si è iniziata o continuata l'esplorazione sistematica: fra questi vanno menzionati gli insediamenti di Bar Hill, Ardoch, Nonstallon, Barburgh Hill, Louthorpe, Bothwellhaug, Colchester, Hayton, Girvan, Okehampton, Seabegs Wood, Lymphe, Avehendary, Barry Barton, Brandon, oltre ai noti accampamenti posti lungo il vallo di Adriano, in particolare Wallsend, South Shields, Chester, Carvorun, Bowness.
Proprio dalla zona del vallo di Adriano viene, forse, la novità più interessante, grazie alle scoperte effettuate a Chesterholm (Northumberland), nel castrum di Vindolanda. Qui una particolare e favorevole situazione climatica ha permesso il rinvenimento di non meno di 700 tavolette di legno (nella grande maggioranza dei casi iscritte) provenienti tutte da contesti pre-adrianei. Si tratta in moltissimi casi di sfoglie di betulla vergate con inchiostro (forse i sectiles di Plinio, Nat. hist., 16,68), contenenti informazioni preziose sulla vita nell'accampamento: rendiconti contabili, liste delle presenze e dei beni mobili in entrata o in uscita dall'accampamento, corrispondenza con militari di stanza nei castra limitrofi, gli archivi di tre ufficiali, ecc.
Per le città della Britannia romana, i maggiori progressi sono stati registrati a Londinium, dove la favorevole congiuntura, dovuta ai restauri o alle ricostruzioni di moltissimi edifici della City, ha permesso la realizzazione di nuovi e importanti scavi di recupero. Da essi emerge la complessa struttura della città romana e vengono periodicamente messi in luce e analizzati resti di abitazioni private e di grandi opere pubbliche. Fra i monumenti di maggiore interesse si segnalano gli edifici connessi alle strutture portuali, i resti di un ponte ligneo che attraversava il Tamigi e di un grande anfiteatro.
Dati importanti sono emersi dagli scavi (e dalla loro successiva pubblicazione) del tempio di Minerva Sulis e delle terme a Bath, del teatro romano di Canterbury, del foro e della basilica di Leicester. Inoltre vanno ricordate le ricerche sulle terme e sulla basilica di Wroxeter, sulle canabae di Chester: qui, assieme alla struttura fortificata, sono stati studiati gli edifici per gli ufficiali posti al di fuori delle mura, una mansio, diverse aree di culto e le condutture per l'approvvigionamento idrico, oltre all'intera area civile extraurbana con le relative necropoli. È stata più analiticamente investigata la topografia di Lincoln dove nuovi saggi di scavo hanno rivelato con maggiore esattezza le presenze relative alla fase precedente e contemporanea alla fondazione della nuova colonia durante la seconda metà del 1° secolo d.C. Altri saggi di scavo intrapresi a Exeter, Cirenchester, Silchester e Fishbourne hanno portato alla luce ambienti con decorazioni musive a motivi geometrici.
Interessanti novità si segnalano anche nel campo dell'architettura privata, a seguito del rinvenimento di un sempre maggior numero di ville, molte delle quali imponenti e con decorazioni musive o pitture parietali. Fra di esse vanno menzionate quelle di Rivenhall, Bratingham, Bignor, Honeyditches (Seaton), Woodchester, Gatcombe e di Boughsprings. In quest'ultima villa il rinvenimento di parti di un mosaico a motivi geometrici, databili alla seconda metà del 2° secolo d.C., ha abbassato sensibilmente la datazione tradizionale del complesso. Opere d'ingegneria civile come il ponte ligneo a Beatlock Summit (Canarkshire), le strutture marittime del 3° secolo d.C. a Cold Knop, Barry (South Glamorgan), e le opere viarie o difensive sono emerse grazie a scavi recentissimi e solo preliminarmente pubblicati.
Nel campo dell'interpretazione dei dati archeologici è proseguita la definizione e l'analisi delle più importanti produzioni vascolari dei primi tre secoli dell'impero (come le officine dell'Oxfordshire o la New Forest Pottery). Maggiore attenzione si è posta ai modelli di organizzazione dei territori, verificando fenomeni quali il popolamento o lo sfruttamento di alcune aree periferiche. Oggetto recente di uno studio analitico è stato il momento della conquista romana e del suo impatto nell'organizzazione del territorio.
Bibl.: H. Miles, The Honeyditches Roman villa, Seaton, Devon, in Britannia, 7 (1976), pp. 107 ss.; A. D. McWhirr, Archaeology and history of Cirenchester, Oxford 1976; K. Branigan, Gatcombe Roman villa, ivi 1977; G. Clarke, The Roman villa at Woodchester, in Britannia, 12 (1982), pp. 197 ss.; N. Bateman, G. Milne, A Roman harbour in London, ibid., 14 (1983), pp. 207 ss.; P. T. Bidwell, The Roman Fort at Vindolanda at Chesterholm, Northumberland, Historic Building and Monuments Commission for England, Archaeological Report 1, Londra 1983; A. K. Bowman, J. D. Thomas, Vindolanda. The Latin writing tablets, Britannia Monograph., Series 4, ivi 1983; G. Milne, The port of Roman London, ivi 1985; B. Cunliffe, P. Davenport, The temple of Sulis Minerva at Bath: the site, Oxford Un. Committee for Archaeology, Monograph 7, Oxford 1985; E. Evans, G. Dowdell, A third century maritime establishment at Cold Knop, Berry, South Glanmorgan, in Britannia, 16 (1985), pp. 57 ss.; A. D. McWhirr, Cirenchester excavation iii, Oxford 1986; D. J. P. Mason, Chester: the Canabae Legionis, in Britannia, 18 (1987), pp. 143 ss.; M. J. Darling, M. J. Jones, Early settlement at Lincoln, ibid., 19 (1988), pp. 1 ss.; D. S. Neal, B. Walker, A mosaic from Boughspring Roman villa, Tidenham, ibid., pp. 191 ss.
Archeologia medievale. - La G.B. è stata la nazione europea in cui l'archeologia medievale ha vissuto la fase di maggiore e più precoce sviluppo nel secondo dopoguerra, come testimoniano la creazione nel 1956 della prima associazione di archeologi medievisti (Society for Medieval Archaeology) e la fondazione, un anno dopo, della rivista Medieval Archaeology, importante punto di riferimento metodologico per successive analoghe iniziative in altri paesi europei.
Le ragioni di questo fenomeno sono molteplici. Da un lato, la scoperta e il rapido scavo della nave-sepolcro regale di Sutton Hoo, nel Suffolk (BruceMitford 1975) − avvenuta immediatamente prima dello scoppio del conflitto mondiale − aveva riacceso l'interesse scientifico sul mondo anglosassone precedente la conquista normanna dell'11° secolo, rivelando insieme le grandi potenzialità dell'indagine archeologica nel recupero e nella documentazione anche delle strutture in legno, spesso ritenute troppo deperibili per poter essere oggetto di scavo. D'altro canto, i lavori per la ricostruzione delle città devastate dai bombardamenti aerei aprivano nuove possibilità di indagine nel centro del tessuto urbano di siti pluristratificati di eccezionale interesse (prima fra tutti Londra), occupati continuativamente a partire almeno dall'epoca romana. Infine, ma non da ultimo, fertile terreno di ricerca era costituito dalle migliaia di villaggi rurali abbandonati, che offrivano la possibilità di scavi estensivi e programmati, capaci di produrre un'enorme mole di materiale documentario sulla vita e la cultura materiale dei secoli del Medioevo.
Tutte e tre queste direttrici di ricerca sono state ampiamente percorse dagli archeologi inglesi già a partire dalla fine degli anni Quaranta. Per quanto riguarda l'indagine sulla civiltà anglosassone nell'Alto Medioevo, eccezionale importanza rivestono gli scavi condotti tra il 1953 e il 1957 sui siti di Yeavering, nel Northumberland (HopeTaylor 1977), e Cheddar, nel Somerset (Rahtz 1962-63), dove sono stati riportati alla luce i resti di due delle sedi regali degli Angli.
Per quello che riguarda invece l'indagine sui villaggi medievali abbandonati, i primi scavi furono avviati nel 1947-48; già nel 1952 nasceva un primo organismo di coordinamento delle ricerche, il Deserted Medieval Village Research Group. Un posto di assoluta preminenza in questo settore spetta certamente al Wharram Research Project, che ha costituito un riuscito tentativo di organizzare una ricerca archeologica programmata nel tempo e volta a indagare tutti gli aspetti della vita, dell'organizzazione sociale, produttiva e commerciale di un villaggio medievale e del territorio in cui questo era inserito. La ricerca archeologica sul sito di Wharram Percy, nello Yorkshire, ha preso l'avvio nel 1952 e continua tuttora; attraverso una quarantina di campagne di scavo, ha consentito di rileggere sulla base di dati oggettivi e verificabili l'intera evoluzione storica, urbanistica e sociale di un sito abitato continuativamente dall'epoca romana fino al 20° secolo. Per quanto riguarda infine l'archeologia urbana, il dopoguerra ha segnato l'aprirsi di una fase totalmente nuova negli studi sulla nascita, lo sviluppo e le trasformazioni delle città britanniche. Dopo la fase immediatamente post-bellica, in cui gli scavi si sono concentrati particolarmente nei centri storici devastati dai bombardamenti − si vedano tra gli altri i casi significativi di Canterbury (Frere 19623; Addyman, Biddle 1965) e Londra (Biddle, Hudson, Heighway 1973) −, gli anni Sessanta e Settanta hanno visto il costituirsi di unità territoriali specializzate, incaricate di condurre ricerche archeologiche in occasione di interventi edilizi nelle città di interesse storico. Ciò ha permesso di sfruttare al massimo tutto il potenziale informativo costituito dal gran numero di scavi condotti quotidianamente nelle grandi città per motivi di pubblica utilità, per la costruzione o il riammodernamento di edifici o per l'allestimento di parchi e giardini. Negli ultimi anni poi, con il grande sviluppo delle tecniche di indagine archeologica non distruttiva − prospezioni geofisiche e radar, indagine stratigrafica degli elevati −, è stato possibile ampliare sempre di più le informazioni relative alle strutture antiche e medievali nascoste nel sottosuolo o integrate e riutilizzate nel tessuto urbano dei grandi centri. In questo senso, lo svolgimento contemporaneo e coordinato di scavi programmati o di emergenza e di indagini non distruttive entro progetti di ricerca finalizzati (per es. quello relativo alla città di Winchester; Biddle 1975) ha permesso di allargare enormemente la base di dati per lo studio del fenomeno urbano attraverso il Medioevo, fornendo un fondamentale apporto di conoscenza ai progetti di restauro, tutela e riammodernamento dei centri storici (Carver 1983). Vedi tav. f.t.
Bibl.: M. Beresford, The lost villages of England, Londra 1954; W. G. Hoskins, The making of the English landscape, ivi 1955; J. S. P. Bradford, Ancient landscapes, ivi 1957; S. S. Frere, Roman Canterbury, the city of Durovernum, Canterbury 19623; P. H. Rahtz, The Saxon and medieval palaces at Cheddar, Somerset - an interim report of excavations in 1960-1962, in Medieval Archaeology, 6-7 (1962-63), pp. 53-66; P. V. Addyman, M. Biddle, Medieval Cambridge: recent finds and excavations, in Proceedings of the Cambridge Antiquarian Society, 58 (1965), pp. 74-137; W. F. Grimes, The excavation of Roman and medieval London, Londra 1968; J. N. L. Myres, AngloSaxon pottery and the settlement of England, Oxford 1969; Desert Medieval Villages. Studies, a cura di M. Beresford, J. G. Hurst, Londra 1971; M. Biddle, D. Hudson, C. Heighway, The future of London's past. A survey of the archaeological implications of planning and development in the Nation's capital, Worcester 1973; R. S. L. Bruce-Mitford, Aspects of Anglo-Saxon archaeology, Londra 1974; C. M. Heighway, Archaeology in Gloucester. A policy for city and district, Gloucester 1974; M. Biddle, Excavations at Winchester 1971. Tenth and final interim report, in The Antiquaries Journal, 55 (1975), pp. 96-126, 295-337 (con bibl. precedente); R. L. S. BruceMitford, The Sutton Hoo ship burial, i, Londra 1975; The archaeology of AngloSaxon England, a cura di D. M. Wilson, ivi 1976 (con ampia bibl.); B. Hope-Taylor, Yeavering - an Anglo-British centre of early Northumbria, ivi 1977; M. O. H. Carver, Valutazione, strategia ed analisi nei siti pluristratificati, in Archeologia Medievale, 10 (1983), pp. 49-71; H. Clarke, The archaeology of Medieval England, Londra 1984; J. M. Steane, The archaeology of Medieval England and Wales, Londra-Sydney 1985; D. B. Whitehouse, s.v. Archeologia Medievale, in Enciclopedia dell'Arte Medievale, ii, Roma 1992, pp. 268-71.
Arte (v. inghilterra, XIX, p. 271; App. II, ii, p. 47; III, i, p. 880; IV, ii, p. 202). - La produzione artistica britannica degli anni Ottanta è stata scandita, in sintonia con quanto è avvenuto anche in altre aree culturali occidentali, da una tendenza al ritorno alla pittura in senso stretto, cioè al riuso di mezzi tradizionali come la tela, il colore a olio, la trementina, i pennelli, il cavalletto. Tale recupero si è spesso accompagnato a un'orgogliosa riproposizione della figuratività come di un carattere nazionale britannico. Non poche riviste di critica militante, come la nota Artscribe o la più recente Modern Painters, diretta da P. Fuller (1947-1990), hanno manifestato una certa insofferenza verso i molti movimenti a carattere internazionale, egemoni negli anni Sessanta-Settanta, in nome della tradizione figurativa che conta maestri come F. Bacon (1909-1992), L. Freud (n. 1922), L. Kossof (n. 1926), F. Auerbach (n. 1931), R. B. Kitaj (n. 1932), M. Andrews (n. 1928) o, per la scultura, H. Moore. Questa tendenza, certamente favorita dalla particolare situazione politica inglese dell'ultimo decennio, fa capo, in ultima istanza, alla tesi, molto partigiana, sostenuta da critici quali A. Hicks e P. Fuller, che sancisce come estraneo alla cultura inglese quanto manifesti un chiaro collegamento con situazioni artistiche egemoni in Europa o negli USA. La situazione artistica britannica è rimasta nondimeno, in quest'ultimo decennio, estremamente variegata, pluralista, e come sempre sensibile a quelle che i tradizionalisti definirebbero, appunto, le ''invasioni straniere''. La tendenza alla figurazione d'impronta neo espressionista e con recuperi mitologici o classicizzanti, che indubbiamente ha trovato in G.B. una tradizione molto forte, è, d'altra parte, fenomeno in atto in tutta la cultura figurativa occidentale; non sono mancate anche manifestazioni di esplicita insofferenza nei confronti di chi ha propugnato i valori della tradizione come modello privilegiato di riferimento.
La particolare situazione linguistica ed economica inglese ha creato, anche per gli artisti, la necessità di scegliere tra le sollecitazioni e i condizionamenti della cultura americana e la potenziale maggiore autonomia della cultura europea. Mostre e dibattiti hanno sottolineato, in questi anni Ottanta, proprio la centralità di tale non semplice scelta: basti ricordare la mostra A new spirit in painting del 1981, alla Royal Academy, e la mostra Forty years of modern art 1945-1985, alla Tate Gallery nel 1986, nella quale la presenza di numerose opere di F. Auerbach ha costituito un polo di attrazione di grande interesse proprio per quei gruppi che avevano compiuto scelte in direzione figurativa e materica. Un revival di sapore neo-romantico ha avuto il suo centro nella mostra intitolata A paradise lost, tenutasi nel 1987 alla Barbican Art Gallery di Londra. The British art show, un appuntamento quinquennale che prende corpo in una serie di grandi mostre destinate a fare il punto sulla situazione dell'arte dell'intera area britannica, con Old allegiances and new directions 1979-84, presentata a Birmingham, Edimburgo, Sheffield, Southampton, tra il 1984 e il 1985, ha rappresentato un momento di circolazione di idee e di sollecitazioni che hanno accelerato il recupero di quel linguaggio metaforico dell'arte che serpeggiava anche in Europa. Altra importante verifica si è avuta in occasione dell'esposizione annuale della Royal Academy del 1987, British art in the 20th century. Soprattutto queste ultime mostre hanno dato infatti occasione alla giovane cultura figurativa inglese di mettere a fuoco il proprio reale e ideale collegamento sia con il passato e con la tradizione sia con le sollecitazioni provenienti dall'America. Non pochi tra gli artisti delle ultime generazioni si sono mostrati sensibili a un recupero critico, e non letterale, di generi storici come la natura morta, gli interni, i paesaggi, i ritratti, i temi visionari o surreali, la pittura di storia, la satira sociale o il realismo critico.
L'esposizione del 1984 alla Tate Gallery di Londra, dal titolo The hard-won image, ha assunto il valore di una vera e propria mostramanifesto, con l'identificazione di Bacon, Auerbach e Freud come di una vera e propria ''School of London'', diversa e separata dai tanti movimenti neo-avanguardisti e modernisti che avevano dilagato negli anni della fiducia nel progresso lineare, delle grandi astrazioni, degli universalismi e che insieme a essi erano entrati in crisi. Il valore paradigmatico della mostra è stato confermato, a livello internazionale, da riconoscimenti ufficiali ai singoli artisti che vi erano rappresentati: dalla grande mostra antologica dedicata a Bacon nel 1985 sempre alla Tate Gallery, ripresa in seguito a New York, alla consacrazione di L. Freud (nipote dello psicanalista) con la mostra dedicatagli all'Hirshhorn Museum di Washington nel 1988 (trasferita alla Hayward Gallery di Londra, al Musée d'art moderne di Parigi e a Berlino), a quella di F. Auerbach, che nel 1986 ha ricevuto il primo premio alla Biennale di Venezia, cui è seguita la grande esposizione al Rijksmuseum di Amsterdam. Il successo e la consacrazione di questo gruppo di artisti risponde proprio alle esigenze britannocentriche di quegli artisti e di quei critici che avvertono profondamente la necessità di rintracciare una sorta d'identità antropologica.
La grande esposizione The new British painting (Londra 1988) ha ribadito la continuità della cultura figurativa britannica, individuando una sorta di filiazione degli artisti più giovani proprio dalla ''School of London''. La scelta delle opere ha esplicitamente valorizzato i pittori figurativi in sempre più aperta ostilità con i movimenti di carattere internazionale, pur nella consapevolezza che qualcosa di simile accadeva in tutta Europa. I giovani artisti presenti alla mostra facevano una dichiarazione di appartenenza culturale perfino nella scelta dei materiali adottati (quelli tradizionali), e della matericità e della spazialità dei maestri facevano un punto di riferimento costante.
Tra i protagonisti di questa giovane generazione di neo-figurativi va ricordato, per la dissoluzione della realtà materiale dei paesaggi, I. McKeever, con i suoi collages di fotografie in bianco e nero, ridipinti, accostati in serie secondo una tecnica di chiara derivazione pop nell'intento di combinare la memoria con il reale. E ancora, nel genere del paesaggio, J. Vertue che esplora la molteplicità prospettica di una porzione minima di natura ricostruita, infine, in una sequenza narrativa; Th. Oulton con le sue costanti tensioni tra il mondo materiale e quello spirituale; Chr. Le Brun sospeso tra astrazione e figuratività, per meglio raccontare l'indefinito mondo del proprio immaginario; E. Cooper, la cui opera rispecchia eventi autobiografici, trasfigurati in una sorta di mitologia al femminile. Ancora tematiche femminili quelle di A. Faulkner, ma questa volta ridicolizzate in funzione di denuncia. M. Mabbutt ricorre, anche lei, al mondo delle esperienze dirette e squisitamente femminili, ma con una trascrizione letterale e ossessiva di eventi dai quali esclude ogni interpretazione allegorica. A. Jackowski ricostruisce fantasticherie infantili con accenti autobiografici e nostalgici.
Accanto a queste tendenze ha avuto un certo seguito anche una pittura che affonda le radici nel realismo di denuncia e d'impegno sociale degli anni Trenta (in particolare quello della Neue Sachlichkeit tedesca e del quasi dimenticato movimento inglese Artist's International Association): da J. Keane con la sua idiosincrasia dichiarata per i ceti medi anglosassoni verso i quali esercita una irrefrenabile satira sociale, a J. McFadyen con le sue raccolte dalla banale quotidianità che scandisce la vita della classe operaia. E ancora S. Campbell, con una pittura monumentale, ricca di particolari esoterici e di invenzioni formali, dove ironia e orrore spesso trascolorano l'una nell'altro.
Accanto a questa corrente, ricca di esiti e di protagonisti e programmaticamente collegata alla tradizione, ne esiste un'altra che, pur superando i radicalismi estremi degli anni Settanta, non rinnega l'esperienza dell'arte povera, concettuale o pop. Soprattutto nelle gallerie dell'East End di Londra si raccoglie la maggior parte degli artisti che rifuggono l'identificazione con i generi e i personaggi della tradizione britannica ed esprimono, invece, non pochi rapporti con alcune coeve tendenze tedesche, francesi, italiane e americane.
M. Landy opera con chiari riferimenti all'arte povera; Ch. Gallachio dal concettualismo si spinge alla pura rappresentazione fine a se stessa; la pittura di A. Heard, amico (e culturalmente molto vicino) agli ormai consacrati Gilbert & George, con le citazioni da fumetti fa pensare a quelle di B. o A. Ruppersberg e ripropone l'estetica del collage pop degli anni Sessanta. S. Patterson è un ''pittore'' che produce ritratti composti di semplici nomi dipinti su tele appaiate: la sua è una critica ironica e formale proprio agli stereotipi della tradizione culturale britannica. Le enigmatiche The Three, che si vestono allo stesso modo, rifuggono qualunque connotazione individuale e non offrono alcuna descrizione dei loro progetti ma solo se stesse, rappresentano una rivisitazione in chiave impersonale e sofisticata delle tematiche della body art. G. Davey con installazioni in compensato, minuziosamente definite, propone i valori della manualità artigianale, vanto della tradizione britannica che il trionfo dell'economia di mercato ha azzerato. Bell & Langlands, collegati alla galleria Whitechapel, producono raffinati pezzi di arredamento rifiniti con cura estrema per manifestare, in maniera discreta ma radicale, la loro opposizione alla volgare produzione industriale. Per questi artisti il problema della forma e del fare arte si materializza nella scelta prioritaria di portare alle estreme conseguenze un'estetica del rifiuto grazie a un impegno ideologico e morale coerente e metodico. Un rifiuto non dell'arte ma di una situazione sociale che l'arte non può neppure percepire nel suo significato.
Per quanto concerne la scultura inglese dell'ultimo decennio, è stato lo straordinario livello qualitativo a imporsi. Quasi tutti i giovani artisti provengono da una delle tre principali scuole d'arte di Londra. L'eredità degli anni Settanta, vale a dire la produzione artistica multimediale o l'analisi processuale dell'arte povera, ha continuato a dare i suoi frutti anche negli anni Ottanta.
La continuità con il decennio precedente è testimoniata dall'opera di R. Long (n. 1945), che è saldamente ancorata a poetiche naturalistiche di autoidentificazione con il paesaggio. Long seguita a costruire paesaggi con materiali primari quali le pietre tagliate e segni geometrici semplici (spirali, rette, linee spezzate), collocati in uno spazio aperto oppure in ambienti luminosi che fanno da sfondo alle fotografie, le quali concludono il procedimento creativo: la forza di tali forme consiste nell'essere frammenti di una natura reale ma ridefinita come esempio paradigmatico del concetto stesso di natura, come concetto assoluto di natura.
Tra le esperienze più nuove, sin dalla fine degli anni Settanta, ha conquistato un ruolo centrale la produzione artistica di T. Cragg (n. 1949), che dal 1977 vive a Wuppertal: l'esposizione New stones: Newton's tones del 1979 costituisce un punto centrale della sua elaborazione linguistica e poetica; in essa confluiscono tanto l'eredità minimalista quanto le sollecitazioni formali di R. Long; tuttavia Cragg utilizza entrambe le esperienze in una chiave che è sostanzialmente antitetica alle sue stesse fonti: egli infatti ribadisce una sua vocazione al mutevole, al contingente, al possibile. Cragg resta certamente l'artista più diversificato nei modi espressivi e il più attento alle relazioni tra mondo immaginato e mondo reale, vale a dire ai condizionamenti che l'ambiente, la politica, i disastri naturali e quelli provocati dall'uomo determinano sulla stessa possibilità di immaginare. La sua attività assume una dimensione chiaramente ideologica quando esige una coerenza che immobilizza ogni forma di pensiero la quale pretenda di sistematizzare le cose, e fa questo attraverso la molteplicità dei materiali: i materiali non creano effetti per la quantità o lo spessore bensì per la praticità, la flessibilità, la leggerezza. In New stones: Newton's tones risultavano dominanti formati rettangolari nei quali erano disposti frammenti di plastica che riproducevano lo spettro cromatico: un'opera programmaticamente frammentaria, mutevole e vernacolare, che preannunciava tutta la sua ricerca successiva.
Negli anni Ottanta sono proseguiti l'attività e il successo di Gilbert + George, con la loro determinazione a ''essere'' piuttosto che a ''fare'' scultura: Singing sculptures ("sculture che cantano") o Living sculptures ("sculture che vivono"), a cui sono seguite le photo-pièces come opere d'arte, con le loro immagini assunte a protagonisti. Hanno ricevuto il premio Turner del 1986. Anche B. MacLean (n. 1944) prosegue nella scelta di performances, di cui egli si fa protagonista; tuttavia la sua recente esperienza berlinese, in qualità di borsista, lo ha avvicinato all'uso della tecnica pittorica tradizionale.
Le tendenze attuali convergono, dunque, verso due poli in qualche modo antitetici: da un lato una scultura di vocazione astratta, dall'altro un'arte sostanzialmente concettuale. Si torna comunque all'oggetto, indipendentemente dal fatto che sia astratto o figurativo; l'approccio metaforico, intuitivo, allusivo risulta tuttavia costante in entrambe le tendenze, come pure l'intento di sfuggire ogni espressività soggettiva. Una chiara eredità degli anni Settanta.
Tra le presenze più nuove, quella di B. Woodrow (n. 1948) − capofila di una vera e propria scuola −, che raccoglie materiali di rifiuto dell'ambiente urbano con intenti sarcastici e di denuncia, il tutto con straordinario rigore formale e lucida economia di segni. Crea oggetti con materiali logori e volgari che tuttavia riflettono i nostri sogni, le fantasie, i desideri e le angosce. Un artista che metodologicamente procede sulla stessa linea, Wentworth, si muove tuttavia con intenti sostanzialmente differenti: egli esplora il rapporto tra pensiero visivo e pensiero verbale, e la maniera con cui ci serviamo degli oggetti come di un sublinguaggio estemporaneo e indecifrabile. Sono proprio gli eventi o i dettagli rifiutati perché periferici, accidentali, casuali, illogici, che stimolano le intuizioni più sottili. Ancora in un campo apparentemente affine opera R. Deacon (n. 1949), con la sua scultura astratta che affonda nell'esperienza banale del quotidiano per giungere a un significato metafisico. In lui è importante sia l'immagine che il metodo di esecuzione: il modo in cui il materiale viene trasformato (tela cucita, pezzi di metallo messi insieme con bulloni) viene reso leggibile perché considerato una delle componenti attraverso cui si manifesta l'esperienza della quotidianità. Deacon, consapevole dei suoi predecessori, non vuole ignorare gli esiti della scultura tradizionale. S. Cox, portando questa consapevolezza all'estremo, si mostra interessato alla tradizione classica nei modi con cui è stata rivisitata dagli artisti del Rinascimento. A. Gormley (n. 1960) è l'unico, fra questi scultori, a essersi mostrato attento alla figura umana; le sue immagini, che intendono evocare le forme classiche di H. Moore, sono ricoperte di lastre di piombo e forate in punti strategici (bocca, occhio, ano): sono semplici involucri antropomorfi da cui è eluso ogni riferimento all'alienazione, tanto cara alle poetiche novecentesche mentre, semmai, emana la sensazione di un possibile equilibrio tra interiorità ed esteriorità, ispirato alle filosofie orientali. Al pensiero orientale certamente attinge anche A. Kapoor (n. 1954), di origine indiana e vincitore nel 1990 del premio per i giovani artisti della Biennale di Venezia; negando ogni valore ai risultati estetici fine a se stessi, costruisce forme di una ritualità essenziale, alle quali conferisce immaterialità immergendole in polveri colorate (con netta predilezione del blu cobalto) per raggiungere una sospensione metafisica cui si associa solo la contemplazione. Per E. Bainbridge conta non il significato dell'immagine ma la sua forza, e la sua indagine è dunque soprattutto volta all'entità tridimensionale, che va distinta dal mero illusionismo. Vedi tav. f.t.
Bibl.: S. Morgan, British sculpture in the twentieth century, ii, Symbol and imagination 1951-80, Whitechapel Art Gallery, Londra 1981; AA. VV., Trasformation. New sculpture from Britain, British Council, ivi 1983; M. Livingston, Feeling into form, Liverpool 1983; M. Compton, New art, Tate Gallery, Londra 1983; J. Thompson, A. Moffat, M. Allthorpe-Guyton, The British art show: old allegiances and new directions 1979-1984, Art Council of Great Britain, ivi 1984; L. Cooke, Pittura e scultura in Gran Bretagna negli anni ottanta, nel catalogo della mostra Anniottanta, a cura di R. Barilli, Bologna 1985; C. Lampert, Frank Auerbach, paintings and drawings 1977-1985, XLII Venice Biennale, Londra 1986; L. Cooke, Quiet revolution: British sculpture since 1965, Chicago-San Francisco 1987; Id., Britannia. Painting and sculpture from the 1980, The British Council, Londra 1987; AA. VV., Europa oggi - Europe now, catalogo della mostra, Prato 1988; S. Grant Marchand, British now: sculpture et autres dessins, Montreal 1988; AA. VV., British art now, Tokyo 1990; M. R. Beaumont, Beyond tradition: sculpture since Caro in twentieth century British art, Londra 1990; A. Dannatt, Eastside story, un'agguerrita pattuglia di giovani artisti all'assalto della tradizionalista Inghilterra, in Flash Art, 155 (1990), pp. 95-99; E. Lucie-Smith, C. Cohen, J. Higgins, The new British painting, Oxford 1990; AA. VV., The British art show, Londra 1990; T. Wilcox, The pursuit of the real. British figurative painting from Sickert to Bacon, ivi 1990.
Architettura e urbanistica (v. inghilterra, XIX, p. 268; App. II, ii, p. 47; III, i, p. 880; IV, ii, p. 202). - A partire dalla metà degli anni Settanta le principali novità relative alle politiche urbane riguardano anche in G. B., come in altri paesi europei, il fatto che la città è concepita non come luogo dell'espansione e dello sviluppo, da disegnare, regolare, razionalizzare, ma in genere come centro di valore storico da proteggere, conservare, recuperare. I temi della inner city policy (condizioni del mercato del lavoro, decentramento delle attività economiche, modifiche della struttura sociale, trasformazioni fisiche dello spazio urbano) condizionano la cultura architettonica. D'altro canto, nel 1979 il governo di M. Thatcher presentò al Parlamento un progetto di legge (poi approvato nel 1980) che introduceva alcune novità radicali nel sistema di pianificazione britannico. Esso prevede la costituzione di agenzie pubbliche non elettive, le Urban Development Corporations, direttamente dipendenti dal segretario di Stato per l'ambiente, aventi il compito di promuovere e gestire processi di ristrutturazione di aree urbane degradate. Tali agenzie sono dotate di ampi poteri, tra cui il rilascio dei permessi di costruzione, in tal modo sottratti alle autorità locali. Queste restano responsabili della stesura del piano, non della sua gestione.
Sono inoltre previste delle enterprise zones, per le imprese che accettino d'insediarvisi, dove non valgono le regole ordinarie (relative al pagamento delle imposte, al rilascio dei permessi di costruzione), ma maggiori garanzie di legittimità.
È sulla base di questa legge che la London Dockland Corporation (v. londra, in questa Appendice), una volta perimetrata l'area della Grande Londra di sua giurisdizione, ha acquisito dagli enti pubblici aree vastissime (oltre 1200 acri di terreno, pari a 485 ha) nelle quali ha avviato processi di ristrutturazione che, nel corso degli anni Ottanta, hanno modificato radicalmente la forma della città, l'intero suo profilo lungo il fiume, la molteplicità delle immagini architettoniche. Allo stesso strumento hanno fatto ricorso anche le città di Birmingham, di Liverpool, di Leeds.
Gli effetti sull'architettura e sull'ambiente delle decisioni del governo Thatcher e del clima politico generale, nel quale la sfera dell'intervento pubblico non trova più alcun appoggio, hanno enfatizzato il peso dell'iniziativa privata. Esistono pochi paesi nei quali, come nella G.B. degli anni recenti, interesse collettivo e consapevolezza nazionale trovano riscontro in un'impostazione di politica economica tale da favorire un capovolgimento radicale rispetto alle scelte in materia di edilizia pubblica della prima metà del 20° secolo.
Sintomo significativo di questa situazione è la liquidazione (in seguito a una legge del 1986) del celebre Greater London Council: un ente che, negli anni fra le due guerre, ha realizzato il più grande stock di abitazioni pubbliche in Europa e il cui centenario della fondazione è passato sotto silenzio; l'edificio che per molto tempo ne ha ospitato gli uffici di piano e di progetto, situato nel centro di Londra, è stato venduto per essere riconvertito ad altro uso.
Il boom edilizio degli anni Ottanta ha favorito enormi investimenti in nuovi complessi misti per abitazioni e uffici, non solo a Londra (nell'area dei Docks, nella City, a King's Cross), ma anche in tutto il paese (a Birmingham, a Cardiff, a Glasgow, a Newcastle, a Leeds, a Liverpool), concepiti sulla base della domanda di nuove tecnologie, dello sviluppo dell'industria di servizio e delle possibilità d'impiego del tempo libero. Presupposti analoghi sono alla base della decisione di realizzare nuove sedi per grandi istituzioni culturali (a Londra: la nuova British Library, il palazzo della BBC).
È cambiata la dimensione degli interventi: grandi operazioni di ristrutturazione urbana superano di gran lunga ciò che era stato realizzato negli anni Cinquanta e Sessanta. Per es., il ridisegno dell'area portuale di Cardiff, gli enormi insediamenti commerciali e direzionali nel centro di Birmingham, con le conseguenti nuove sistemazioni infrastrutturali (strade sopraelevate e sventramenti), hanno modificato in modo radicale l'intero paesaggio cittadino e riproposto agli architetti e agli urbanisti le questioni di ''scala'' della progettazione urbana. Ne è conseguito un forte dibattito circa i modi del fare architettura, la qualità degli edifici, i canoni del moderno o, al contrario, a favore di un richiamo alla tradizione o all'opportunità di un ''codice'' cui riferirsi nelle scelte tipologiche e nell'uso dei materiali. Tendenze, tra loro in conflitto, si sono manifestate in una pluralità di ''-ismi'' ai quali si richiamano alcuni tra i più noti architetti a livello europeo, spesso classificati sommariamente come ''post modernisti''.
Alla discussione circa la trasformazione dell'ambiente costruito e i linguaggi architettonici adottati in alcune grandi operazioni di ridisegno urbano, hanno dato ampio spazio i giornali, le riviste di architettura, il RIBA (Royal Institute of British Architects). Lo stesso principe ereditario Carlo si è fatto promotore di un dibattito sulla qualità dell'architettura (con interventi polemici sull'argomento, la preparazione di un film Vision of Britain per la televisione di stato, un libro, l'organizzazione di un'esposizione al Victoria and Albert Museum sui cambiamenti in atto nel panorama inglese). Nessuno sembra essere rimasto indifferente di fronte allo sfruttamento cinico che della questione è stato fatto in termini di marketing e di valorizzazione immobiliare.
Il ritorno alla ''tradizione dei padri'' per riprogettare vaste aree urbane; un richiamo all'ordine ''classico'', che sappia essere − se necessario − corretto filologicamente, ''archeologico e pedante''; la community architecture e il contestualismo (cui s'appella il principe ereditario); la fiducia modernista per l'uso di materiali e tecnologie innovative (da parte delle categorie professionali, ben rappresentate nei loro organismi istituzionali) sono tutti esempi e sintomi di una straordinaria pluralità di temi edilizi che investono l'intero paese.
Una grande quantità di spazi e di edifici, a Londra e in altre località, è stata oggetto di progetti plani-volumetrici e di dettaglio particolarmente significativi dal punto di vista delle dimensioni urbane, dei processi di decisione, dei promotori e delle procedure d'investimento, del dibattito sulle forme architettoniche. A Londra riguardano la grande quantità di terreni situati lungo le rive del Tamigi, precedentemente occupati dai docks; la zona a ridosso della Cattedrale di St. Paul, Paternoster Square; l'area del Covent Garden e della South Bank; gli edifici dei Lloyd's; la grande New British Library.
Fra gli interventi in altre località: la Palazzata sulle rive del fiume a Richmond, nel Surrey; il villaggio di Dorchester nelle proprietà del Ducato della Cornovaglia; il complesso di residenze, uffici, negozi e attrezzature per il tempo libero di Stockley Park; il parco di Luton, Capability Green, presso l'aeroporto nel Bedfordshire; il Centro Civico di Chester Street a Durham.
Degni di nota, agli effetti di uno ''storicismo classicista'', sono anche interventi singolari come l'ampliamento della Royal Opera House a Londra; le rivisitazioni nostalgiche delle molte grandi case di campagna, la cui larga diffusione è stata incentivata dal benessere diffuso in determinati ambienti sociali. O vi sono, al contrario, esempi d'una reazione high-tech contro il vernacolare o per la riscoperta di proporzioni matematiche come criterio unico di progetto: per es. alcuni edifici universitari, o laboratori, o centro congressi, a Oxford, a Cambridge, a Liverpool; la stazione ferroviaria di Bognor Regis; gli uffici della Apple Computers a Stockley Park; alcuni complessi residenziali e per uffici a Londra e nelle altre grandi città.
Un'incredibile ricchezza di forme costruttive è segnale dell'entusiasmo per l'architettura come linguaggio e la presenza di una forte dinamica di investimenti economici e culturali, che è stata caratteristica degli ultimi due decenni.
Ne è un sintomo il gran numero di concorsi, banditi per la progettazione di complessi edilizi grandi e piccoli: accanto alla presenza dei più noti architetti americani e alla promozione dei grandi studi professionali, il sistema ha talvolta reso possibile la segnalazione e l'emergere di progettisti più giovani. Ma una serie di cambiamenti sono in atto nella struttura professionale e nell'insegnamento: più che gli architetti e gli urbanisti, sono i designers ad aver visto crescere negli ultimi anni il loro status e il loro potere. Oggi in G.B. ne esistono 50.000 ai quali le compagnie sono portate a fare ricorso (grazie ai finanziamenti statali), spesso offrendo loro compiti di styling superficiale, legati a obiettivi immediatamente commerciali, piuttosto che incarichi di progettazione ambientale e di organizzazione dello spazio. Vedi tav. f.t.
Bibl.: K. Young, L. Mills, Managing the post-industrial city, Londra 1983; Up and coming in England, in Architectural Review, 1107 (1989); Charles Prince of Wales, A vision of Britain, Londra 1989; Prince Charles and the architectural Debate, in Architectural Design, 5/6 (1989); J. Glancey, New British architecture, Londra 1989.
Musica (v. inghilterra, XIX, p. 278). − Rispetto alla situazione degli inizi del 20° secolo alcuni segnali di cambiamento si ebbero sul finire del primo decennio, con l'attività di Th. Beecham (1876-1961), l'organizzazione di un'importante stagione operistica al Covent Garden di Londra (1910) e la prima apparizione dei Balletti russi di S. Djagilev (1911). Un'attenzione crescente fu riservata alla musica europea, in particolare Strauss e Debussy, nonché alla produzione più recente di compositori inglesi, come E. Smyth (1858-1944) e F. Delius (1862-1934). Avvenimento di decisiva importanza fu l'istituzione della British Broadcasting Company (1922; dal 1927 British Broadcasting Corporation, BBC), la cui programmazione musicale ebbe un effetto quanto mai positivo e innovante sul pubblico inglese, per lunga tradizione legato all'attività musicale in forme dilettantistiche.
Nel 1931 A. Boult (1889-1983) riceveva la direzione della neo-istituita BBC Symphony Orchestra, destinata a divenire, proprio sotto la sua direzione (1931-50), uno dei più importanti complessi a livello mondiale; l'anno seguente Beecham fondava la London Philarmonic Orchestra. Nello stesso periodo venne riaperto su iniziativa di L. Baylis (1874-1937) il Sadler's Wells Theatre di Londra. Agli anni Quaranta risale la creazione dell'Arts Council of Great Britain (1946), che ebbe finalità promozionali nei confronti della nuova musica inglese; già nel 1938 E. Dent (1876-1957) aveva peraltro fondato l'International Society for Contemporary Music.
Dopo la seconda guerra mondiale un ruolo importante per lo sviluppo della nuova musica fu svolto dai festival, in particolare dal Cheltenham Festival (1945), dedicato soprattutto alla musica inglese contemporanea, dall'Aldeburgh Festival (fondato nel 1948 da B. Britten) e dall'English Bach Festival (fondato nel 1963 a Oxford) consacrato a esecuzioni di musica sia antica sia contemporanea.
Tra i compositori più importanti affermatisi nella prima metà del 20° secolo occorre ricordare G. Holst (1874-1934) e V. Williams (1872-1958), i quali, come molti della loro generazione, ripresero e svilupparono il lavoro di rinnovamento della musica inglese già avviato da Ch. Parry (1848-1918), Ch. Stanford (1852-1924) ed E. Elgar (1857-1934). A questa fase, che si può definire come un secondo rinascimento inglese, appartengono anche A. Bax (1883-1953), J. Ireland (1879-1962), W. Walton (1902-1983), C.E. Rubbra (1901-1986), C. Scott (1879-1971), A. Rawsthorne (1905-1971), L. Berkeley (1903-1989).
Durante il periodo delle dittature nazista e fascista, molti musicisti europei emigrarono dal continente in G. B., contribuendo allo sviluppo di una vita musicale in cui si andava configurando la prevalenza di tendenze più conservative e nazionalistiche.
In B. Britten (1913-1976) la musica inglese ebbe all'indomani della seconda guerra mondiale la personalità di maggior spicco. Britten si affermò nel 1945 con l'opera Peter Grimes, considerata il momento più alto della produzione operistica inglese contemporanea. Al periodo successivo appartengono A midsummer night's dream e Death in Venice, opere rappresentate ad Aldeburgh nel 1960 e nel 1973.
Accanto a quella di Britten va posta l'opera di M. Tippet, resosi celebre nel 1941 con l'oratorio A child of our time, e autore più tardi di opere di notevole spessore, come The midsummer marriage (Londra 1955). Al generale rinnovamento del genere operistico contribuirono inoltre W. Walton, con Façade (1922; rev. 1942) e Troilus and Clessidra (1954; nuova vers., 1976), e A. Bliss (1891-1975) con The olympians (1949).
Intorno agli anni Cinquanta un gruppo di compositori iniziò a dedicarsi alla dodecafonia e alla tecnica seriale: in particolare M. Seiber (1905-1960), di origine ungherese, P. Racine Fricker (n. 1920), H. Searle (1915-1982), E. Luytens (1906-1983) e K. Leighton (n. 1929).
Alla generazione più giovane appartengono tre compositori rappresentanti della cosiddetta scuola di Manchester: A. Goher (n. 1932), P. M. Davies (n. 1932) e H. Birtwistle (n. 1934), tutti allievi del Royal Manchester College of Music.
La musica di Goher, allievo negli anni Cinquanta di Messiaen e di Boulez a Parigi, risente in un primo momento di Schönberg, poi del serialismo, a cui succede una revisione con la sua produzione degli anni Settanta e Ottanta, cui appartengono lavori teatrali come Die Wiedertäufer (Sehet die Sonne/Behold the Sun, 1985), e musica per orchestra, come la Sinfonietta del 1980.
Davies, allievo di Petrassi a Roma nel 1957 e fondatore nel 1967, assieme a Birtwistle, del gruppo Pierrot-Players (sostituito nel 1970 dai Fires of London), si è rifatto alla polifonia medievale e rinascimentale, nonché alle lezioni di Schönberg e Mahler. Tra i suoi lavori più recenti l'opera teatrale An island nativity (1985) e le Three symphonies (1973-76, 1980, 1984).
Birtwistle, che ha frequentato la Royal Academy of Music di Londra e si richiama a Stravinskij, Varèse e Messiaen, ha composto le opere teatrali Punch and Judy (1968) e Orpheus (1977).
Alla stessa generazione appartiene C. Cardew (1936-1980): assistente a Colonia di Stockhausen sul finire degli anni Cinquanta, è giunto nei primi anni Settanta a una completa revisione dei principi d'avanguardia dello stesso Stockhausen e di J. Cage, in favore di un discorso artistico impegnato politicamente (cfr. il saggio Stockhausen serves imperialism, 1974). Devono essere qui ricordati infine compositori più giovani come G. Bryars (n. 1943), R. Smalley (n. 1943), R. Holloway (n. 1943), N. Osborne (n. 1948) e B. Ferneyhough (n. 1943).
Bibl.: D. Drew, Serielle Komponisten in England, in Melos, 1962, pp. 142-45; E. Brody, C. Brook, The music guide to Great Britain, Londra 1976; W. Mellers, Die englische Tradition, in Osterreichische Musikzeitschrift, 1986, pp. 142-48; P. Stadlen, Englisches Musikleben gestern und heute, ibid., pp. 130-41; P. Griffiths, Zeitgenössische Musik in Grossbritannien, ibid., pp. 165-70; A. Klein, Großritannien/Irland: Länder ohne Musik? Komponistenförderung, in Neue Zeitschrift für Musik, ottobre 1991, pp. 11 ss.
Cinema (v. cinematografo, App. III, i, p. 387). − Gli anni Sessanta sono stati per il cinema britannico un periodo di profondo rinnovamento. Viene infatti a compimento il processo iniziato nel decennio precedente per opera di autori quali L. Anderson, K. Reisz (nato in Cecoslovacchia) e T. Richardson, impegnati dalla met'a degli anni Cinquanta in forme di documentario lirico che assumevano l'eredit'a della scuola di J. Grierson e la lezione del neorealismo cinematografico italiano, coniugandola con il nuovo impulso contestativo della generazione degli ''arrabbiati''. La nuova ondata inglese, che sar'a battezzata Free Cinema, non è infatti lontana dal lavoro che sulla scena teatrale svolgono J. Osborne e gli altri young angry men (Richardson, per es., mette in scena in questi anni diverse commedie di Osborne).
Impegno sociale e sguardo ''poetico'' sono al centro dei filminchiesta di medio metraggio con cui si formano i nuovi registi cinematografici: O'dreamland (1953) di Anderson, Momma don't allow (1955) di Reisz e Richardson, We are the Lambeth Boys (1958) di Reisz (né va dimenticato Together, 1956, dell'italiana L. Mazzetti, su due scaricatori sordomuti dei docks di Londra).
Presto questi autori passano al cinema di finzione, senza tuttavia abbandonare i modi e i temi dei loro esordi documentaristici. Lo stile di vita borghese, la miope agiatezza britannica e l'immobilismo di una societ'a in crisi sono colpiti con irriverenza mista a sense of humour in film come Saturday night and sunday morning (Sabato sera, domenica mattina, 1961) di Reisz, The loneliness of the long distance runner (Gioventù, amore e rabbia, 1962) di T. Richardson e Billy Liar! (Billy il bugiardo, 1963) di J. Schlesinger.
Il protagonista del film di Reisz cerca nell'avventura amorosa una rivalsa nei confronti della sordida vita di fabbrica; quello del film di Richardson riafferma la sua contestazione radicale della societ'a proprio nel momento in cui questa s'illude di averlo recuperato; il bugiardo del film di Schlesinger è un giovane impiegato di provincia che evade dalla vita reale rifugiandosi nei sogni con cui si è costruito un paese immaginario. E il protagonista di un altro fortunato film di Reisz, Morgan, a suitable case for treatment (Morgan matto da legare, 1966), trova negli scimmioni dello zoo il modello per una riappropriazione del suo ''io'' più ''naturale'' in una societ'a dominata da comportamenti stereotipi e perbenistici. Gli stessi comportamenti contro i quali si pone Tom Jones, il protagonista del film omonimo (1963) di Richardson, tratto dal romanzo di H. Fielding e sceneggiato da J. Osborne.
Il Free Cinema lavora questi contenuti con un linguaggio libero da convenzioni, allegramente anarchico e non privo di autoironia, e per questo capace di costituire una vera inversione di rotta del cinema britannico, che tra alterne vicende sapr'a riscoprire, nel nuovo cinema degli anni Ottanta, questa vena contestativa e una forma di realismo non di rado poetico e umoristico.Altri nomi di rilievo del Free Cinema sono quelli di L. Anderson e R. Lester. Del primo ricordiamo, oltre all'attivit'a di documentarista e a quella di animatore delle riviste Sequence e Sight and Sound, che sono i laboratori critici della nuova corrente, i film This sporting life (Io sono un campione, 1963), ritratto di un ex minatore che diviene campione di rugby e deve poi affrontare una tragica decadenza, e soprattutto If... (1969), opera manifesto della contestazione giovanile, critica irridente e feroce dell'ipocrita sistema educativo dei colleges britannici. Di Lester, statunitense trapiantato nel 1959 a Londra, ricordiamo i film girati con i Beatles (A hard day's night, Tutti per uno, 1964, e Help!, 1965), dallo spregiudicato linguaggio narrativo, The knack (Non tutti ce l'hanno, 1965), commedia anticonvenzionale, al limite del nonsense, concentrato di alcuni dei luoghi più autentici della contestazione giovanile londinese degli anni Sessanta, e la satira antimilitarista How I won the war (Come ho vinto la guerra, 1967), che con il suo tiepido successo commerciale diede l'avvio a un periodo d'involuzione del suo autore. D'altra parte, è l'intera esperienza del Free Cinema che declina alla fine del decennio, non senza aver indicato alla cinematografia britannica una strada altamente produttiva per il recupero della sua migliore tradizione e per un proficuo aggiornamento dei suoi stilemi.
Al rinnovamento di questo periodo d'a un contributo di alto livello un altro cineasta statunitense, J. Losey, che proprio negli anni Sessanta firma in Inghilterra alcune delle sue opere migliori, più volte in collaborazione con uno sceneggiatore d'eccezione, il commediografo H. Pinter, anch'egli esponente della nuova generazione: The Servant (Il servo, 1963), lucido discorso sull'ambiguit'a del rapporto di potere, King and country (Per il re e per la patria, 1964), duro pamphlet antimilitarista, The Accident (L'incidente, 1965), critica della falsit'a delle convenzioni che regolano i rapporti in un college inglese, e The go-between (Messaggero d'amore, 1971).
Ed è ancora a Losey che si devono alcuni dei migliori film britannici degli anni Settanta (The Romantic Englishwoman, Una romantica donna inglese, 1975; Mr. Klein, 1976; Don Giovanni, 1979), mentre alcuni dei principali autori del Free Cinema passano negli Stati Uniti, dove realizzano un buon numero di film, ma con alterna ispirazione. Lester firma parodie sopra le righe, divertenti ma non sempre originali (tra le migliori, Robin and Marian, 1976; Superman II, 1981, e Superman III, 1983); Schlesinger, dopo il sofisticato Sunday, bloody sunday (Domenica, maledetta domenica), girato in patria nel 1971, torna in America (dove aveva realizzato con successo Midnight cowboy, Un uomo da marciapiede, 1969) e vi gira The day of the locust (Il giorno della locusta, 1973), Marathon man (Il maratoneta, 1976) e Yanks (Yankees, 1979); Richardson vede appassire la propria vena nelle decine di film hollywoodiani che realizza tra gli anni Settanta e gli Ottanta.
La fuga dei talenti è d'altronde inevitabile per la crisi economica che attraversa il cinema britannico negli anni Settanta: il numero degli spettatori quasi si dimezza e quello dei film prodotti si riduce di un terzo. In questa situazione, in cui tra i generi tradizionali sopravvive il solo filone fantastico (The abominable Dr. Phibes, L'abominevole dottor Phibes, 1971, di R. Fuest; Don't look now, A Venezia un dicembre rosso shocking, 1973, di N. Roeg), emergono ben pochi nomi: i più importanti sono K. Russell, J. Boorman e R. Scott.
Il primo, provocatorio, sanguigno e barocco, si afferma internazionalmente con un film scandalo, The devils (I diavoli, 1971), cui seguono due musical (The boy friend, Il boy friend, 1971; Tommy, 1975) e ritratti di artisti costruiti con stile ridondante, denso di effetti forti, decisamente kitsch: Savage Messiah (Messia selvaggio, 1972, sullo scultore Gaudier); Mahler is still alive (La perdizione, 1974); Lisztomania, 1975; Gothic, 1986 (su Byron e Shelley).
A Boorman, continuamente oscillante tra la madrepatria e gli Stati Uniti, si devono film come Hell in the Pacific (Duello nel Pacifico, 1968), Leo the last (Leone l'ultimo, 1970, girato in Inghilterra), Deliverance (Un tranquillo weekend di paura, 1972), Zardoz (1974), tutti girati in USA, ed Excalibur (1981) girato in G.B. con una produzione statunitense. Boorman attraversa i generi con uno stile personale, contrassegnato da un esplosivo accumularsi di tensione, dentro il quale può leggersi un discorso filosofico sulla violenza e sul rapporto tra natura e cultura.
Quasi interamente hollywoodiana è invece la produzione di R. Scott. Proveniente dalla pubblicità, esordisce autorevolmente con The duellists (I duellanti, 1977) mostrando rigore e un preciso senso del cinema. Seguono negli Stati Uniti opere di rilievo come Alien (1979) e Blade runner (1981), due film di science-fiction sapientemente costruiti e, soprattutto il secondo, portatori di una riflessione non banale sulla coscienza dell'uomo. Una sua gustosa commedia è Thelma & Louise (1991).
Dalla metà degli anni Settanta rifunzionano i grandi studi di Pinewood, Shepperton ed Elstree, che ospitano megaproduzioni statunitensi come Star wars (Guerre stellari), Superman e The Raiders of the lost Ark (I predatori dell'arca perduta). Nell'ambito di questo continuo scambio tra G. B. e USA è da segnalare, nell'ultimo ventennio, anche l'attività in G.B. di due prestigiosi registi statunitensi come J. Ivory (Heat and dust, Calore e polvere, 1983; A room with a view, Camera con vista, 1986; Maurice, 1987) e soprattutto S. Kubrick, che realizza in questo periodo 2001: a space odyssey (2001: Odissea nello spazio, 1969), A clockwork orange (Arancia meccanica, 1971), Barry Lyndon (1975), Shining (1979) e Full metal jacket (1988).
Mentre prosegue l'opera di autori ''classici'' quali D. Lean (A passage to India, Passaggio in India, 1984) e R. Attenborough (Gandhi, 1983; Cry freedom, Grido di libert'a, 1987), una nuova ondata di registi e di attori interviene, negli anni Ottanta, a rilanciare sul piano internazionale una cinematografia nuovamente vivace e piena di fermenti.
La collaborazione tra televisione e cinema, l'approdo a quest'ultimo di professionisti provenienti oltre che dal piccolo schermo anche dalla letteratura e dal teatro, la riscoperta della grande tradizione interpretativa inglese, concorrono a delineare una nuova stagione, indicata con l'espressione di British Film Renaissance, sostanziata da un atteggiamento degli autori fondamentalmente critico nei confronti dell'establishment thatcheriano e capace di cogliere le contraddizioni della cultura inglese, soprattutto negli ambienti della provincia e delle periferie urbane.
La rete televisiva Channel Four si segnala per la produzione di film come Another time, another place (1983) di M. Radford, Another country (1984) di M. Kaniewska, Wetherby (Il mistero di Wetherby, 1984) di D. Hare; a sua volta il British Film Institute produce il femminista The gold diggers (1983) di S. Potter, la dolorosa autobiografia di T. Davies, The Terence Davies trilogy (1983), l'opera prima di P. Greenaway The draughtsman's contract (I misteri del giardino di Compton House, 1982) e altri film d'esordio di giovani autori come D. Jarman, che conoscerà notorietà internazionale con Caravaggio (1986) ed Edward II (Edoardo II, 1991). Dalla televisione provengono anche R. Eyre (The ploughman's lunch, L'ambizione di James Penfield, 1983; Laughter house, Il giorno delle oche, 1984) e St. Frears (The hit, 1984; My beautiful laundrette, 1985; Prick up your ears, Prick Up. L'importanza di essere Joe, 1987; Sammy and Rosy get laid, Sammy e Rosy vanno a letto, 1988) che insieme a P. Greenaway (A zed and two noughts, Lo zoo di Venere, 1986; The belly of an architect, Il ventre dell'architetto, 1987; Drowning by numbers, Giochi sull'acqua, 1988; The cook, the thief, his wife and her lover, Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante, 1989; Prospero's book, L'ultima tempesta, 1991) rappresenta uno dei talenti più sicuri della rinnovata cinematografia inglese. Tra gli altri occorre citare ancora N. Jordan (Angel, 1982; The company of wolves, In compagnia dei lupi, 1984; Mona Lisa, 1986) e C. Gregg (Remembrance, 1982; Lamb, 1985; We think the world of you, Il più gran bene del mondo, 1988). Né bisogna dimenticare, per il successo internazionale che hanno avuto, i film del gruppo televisivo dei Monty Python, che unisce al nonsense un grottesco surrealismo e una satira graffiante in opere come Life of Brian (Brian di Nazareth, 1978) o Monty Python, the meaning of life (Monty Python. Il senso della vita, 1983), entrambe dirette da T. Jones; né Chariots of fire (Momenti di gloria, 1980) di H. Hudson, che vince l'Oscar come miglior film nel 1982, e neppure The mission (Mission) di R. Joffé, premiato a Cannes nel 1986. Dal gruppo dei Monty Python, infine, proviene l'americano T. Gilliam, che negli anni Ottanta sviluppa una autonoma carriera registica realizzando, con talento visionario, film come Time bandits (I banditi del tempo, 1981), Brazil (1985), The fisher King (La leggenda del Re pescatore, 1991).
Le due anime della Renaissance, quella grottesco-surreale e quella realista di lontana derivazione Free Cinema, sono ben rappresentate nell'ultimo decennio da molti autori nuovi, anche anagraficamente: B. Forsyth (Local hero, 1983), D. Jones (Betrayal, Tradimenti, 1983; 84 Charing Cross Road, 1986), G. Miller (Dreamchild, 1984), M. Mowbray (A private function, Pranzo reale, 1984), M. Newell (Dance with a stranger, Ballando con uno sconosciuto, 1984), Ch. Bernard (Letter to Brezhnev, Lettera a Brezhnev, 1985), J. Temple (Absolute beginners, 1986), A. Clarke (Rita, Sue and Bob too, Rita, Sue e Bob in più, 1987), D. Leland (Wish you where here, Vorrei che tu fossi qui, 1987), J. Dearden (Pascali's island, L'isola di Pascali, 1988), Ch. Menges (A world apart, Un mondo a parte, 1988); M. Leigh (High hopes, Belle speranze, 1988).
Bibl.: J. Park, Learning to dream. The new British cinema, Londra-Boston 1984; AA. VV., Local heroes. Registi e scrittori nel cinema britannico degli anni Ottanta, Firenze 1986; E. Martini, Storia del cinema inglese 1930-1990, Venezia 1991; J. Hacker, D. Price, Take ten contemporary British film directors, Oxford-New York 1991.