GRAND CANYON (A. T., 140-141 e 142)
In senso proprio il nome è applicato alla sezione del fiume Colorado (dell'ovest) compresa tra la foce del Paria (Echo Cliffs) e il Grand Wash (Pierce Ferry), che è solo un tratto, se pure il più cospicuo sotto ogni aspetto, del corso con cui il fiume stesso attraversa l'altipiano omonimo in profonde e maestose gole (Cataract, Glen, Virgin, Boulder, Black Canyons). Per contro s'intende far parte del Grand Canyon il cosiddetto Marble Canyon, separatone a S. dallo sbocco del Little Colorado. Entro tali limiti il Grand Canyon misura una lunghezza di 455 km., di cui un centinaio spettano al Marble Canyon: mentre la direzione di questo è da N. a S., nel rimanente della gola il fiume descrive un ampio serpeggiamento da E. a O., intorno al 36° di lat. N. Il canyon è qui un immenso baratro, d'una profondità media di circa 1200 m. (gli estremi vanno da 1000 a 1850 m.) e di una larghezza, in alto, di 8 a 25 km.; solco aperto in un altipiano a larghe ondulazioni, che prende localmente nomi diversi (Kaibab, Kanab, Shiwits, Coconino), sollevandosi da 1370 a 2820 m., ma che si sviluppa in complesso a mo' di ampia piattaforma, intagliata e frammentata in vario senso da canyons analoghi per forma e caratteri, anche se più modesti nelle dimensioni. La maggior parte di tali valli mancano di corsi d'acqua perenni, provenendo da lontano (Montagne Rocciose) il considerevole tributo convogliato dal Colorado (portata media 650 mc. al sec.; minima 40, massima 6000), e questo dà un'idea sia del clima arido della regione che il fiume attraversa, sia delle differenti condizioni in cui viene a trovarsi rispetto ai tributarî locali. Morfologicamente il canyon consta di una gola interna, incavata con pareti a picco di 300-400 m. d'altezza negli strati cristallini che fan da base alla, regione tutta, e di una serie di valli intagliate a livelli diversi e con sorprendente regolarità entro pile di terreni sedimentarî che si presentano ognuno con caratteristiche proprie, in rapporto con la diversa età, la diversa natura e la diversa resistenza dei materiali di cui sono formati. Nel labirinto di valli onde risulta questa parte superiore, la più ampia, senza confronto, del canyon, si distinguono due cornici ripide (formazioni dette Redwall, Coconino e Kaibab), corrispondenti alle più resistenti masse calcareo-arenacee, inframezzate da assise più facilmente erodibili (formazioni Hermit, Tonto), che costituiscono piattaforme di varia ampiezza; la maggiore delle quali (Tonto) si ha proprio sull'orlo della gola interna. Qui appunto trovano posto, bulinate dal plurimillenario travaglio degli agenti subaerei, quelle meravigliose costruzioni naturali, a cuspidi, pinnacoli, torri, nicchie, anfiteatri, cupole, piramidi, ecc., a cui la fantasia umana ha cercato e cerca riscontro nelle più grandiose fra le opere uscite dall'architettura d'ogni tempo e d'ogni paese, e non in queste soltanto (Vishnu, Brahma, Budda, Shiva, Osiris, Confucius, Holy Grail Temples, Cheops Pyramid, King Arthur Castle, Wotans Throne, Angels Gate, ecc.).
Ancora più importante per la storia del canyon è il fatto che, oltre alla superficie di troncatura della base cristallina - in cui gli strati appaiono interessati da piegamenti e da intrusioni ignee - e obliqua a questa, è una formazione arenaceo-quarzitico-argillosa (Unkar, Chuar Groups), localmente del tutto asportata, sì che la base stessa viene a essere separata dalla pila dei depositi sedimentarî poggianti gli uni sugli altri con disposizione pressoché tubulare. A un primo ciclo erosivo, dunque, durante il quale il più antico rilievo venne del tutto spianato, sommerso sotto lo specchio marino e ricoperto, sempre in età precambrica, da un potente mantello di sedimenti (non meno di 3500 metri di spessore), dovette seguire un periodo orogenetico che riportò alla luce la regione non solo sollevandola, ma inclinandola. Sottoposto così all'azione degli agenti subaerei, il mantello protettore fu eroso quasi del tutto; dopo di che si ebbe una seconda trasgressione marina e una lunga stasi (dal Cambrico al Permico), durante la quale si formarono i depositi della gola superiore. Lo scavo di questa e del letto in cui corre il fiume è opera di un solo ciclo, ma bisogna ammettere che prima di quel secondo sollevamento (Cenozoico), a cui son dovuti i fenomeni di sovrimposizione (il corso del Colorado è qui caratteristico per magnifici esempi di meandri incassati), l'altipiano dovette essere sottoposto a un intenso processo di denudazione, con il quale sono da porre in rapporto le sue forme tipicamente mature.
Pari all'importanza geologica e morfologica di questa, che non senza ragione fu detta una vera meraviglia del creato (e il Grand Canyon è stato e continua a essere un laboratorio sperimentale, anche per l'importanza delle deduzioni teoriche che sul suo studio sono fondate), è l'interesse turistico, che vi richiama ogni anno sempre maggiore numero di visitatori. E più ve ne richiamerebbe, se le comunicazioni vi fossero più agevoli (ora il treno porta alla stazione di Grand Canyon, proprio sull'orlo meridionale della sezione detta Kaibab Canyon): il fatto che ancora nessuna ferrovia valichi il Colorado fra il 35° e il 39° N., e che solo in tre punti, entro tutta la lunghezza del canyon, sia possibile giungere sulle sue rive, dice le grandi difficoltà che si oppongono al transito di questo immane solco, frapposto fra le due parti dell'altipiano del Colorado. Non meno aspro è stato vincere quelle che presenta il fiume, la cui rapida corrente è interrotta da bruschi dislivelli del profilo di fondo: e ciò spiega perché solo nel 1869 si sia compiuta la prima ricognizione del canyon - per via d'acqua - col viaggio di J.W. Powell.
Bibl.: Classiche sono, e non soltanto per i geologi, le descrizioni di J. W. Powell, Exploration of the Colorado River of the West and its Tributaries, Washington 1875; id., Canyon of the Colorado, Meadwille, Pa. 1895; e di C. E. Dutton, Tertiary history of the Grand Canyon District, Washington 1882. Cfr. anche F.S. Dellenbaugh, The Romance of the Colorado River, New York 1902; W. M. Davis, An excursion to the Plateau Province of Utah, in Bull. mus. comp. zool., XLII (1903), Geol., s. 1ª, VI; D. W. Johnson, A geological excursion in the Grand Canyon District, in Proceed. Boston Soc. Nat. Hist., XXXIV, 1909; H. Robinson, A new erosion cycle in the Grand Canyon District, in Journ. of Geol., XVIII (1910); N. H. Darton, Story of the Grand Canyon of Arizona, Kansas City 1917; Sven Hedin, Gran Cañon, Lipsia 1927.