GRANDEZZA
. Significa, in qualche modo, etimologicamente, ciò che è suscettibile di più e di meno. Dice Aristotele negli Anal. Post., I, 5 (4), che la permutabilità delle proporzioni si dimostrava una volta separatamente per le proporzioni di numeri o di linee o di solidi o di tempi, considerando tutte queste specie ognuna di per sì, mentre poi si è appreso a dare la dimostrazione universale di tale proprietà per ciò che vi ha di comune ai numeri, alle linee, ecc., anche se manchi un nome per designarlo. In verità il nome comune agli oggetti anzidetti, fra cui si studiano le proporzioni, è proprio il nome di "grandezza" (μέγεϑος) quale viene adoperato nel libro V degli Elementi d'Euclide. E, ove se ne accetti l'autenticità, un passo di Archita di Taranto, che risalirebbe a mezzo secolo prima, recava già la definizione della quantità molteplice come "linea, superficie, "solido, numero o rapporto (di incommensurâbili)": cfr. Mullach, Fragmenta philosophorum graecorum, I, Parigi 1865, p. 573.
Comunque, il passo citato di Aristotele allude verosimilmente a un progresso compiuto dai matematici, con la teoria generale delle proporzioni di Eudosso di Cnido (autore della materia del libro V dell'Euclide), per cui le varie specie di grandezze geometriche vengono unificate in una trattazione generale.
Aristotele stesso accenna in altri passi alla definizione delle grandezze (richiamando anche la polemica pitagorico-eleatica contro la decomponibilità delle grandezze continue in elementi unità). Così in Anal. Post., I, 10 (3) dice "grandezza" il nome delle cose (linee, numeri, tempi), a cui si applicano i principî comuni dell'eguaglianza e in Met., IV, 13 (1) dice esplicitamente moltitudine "la quantità divisibile in unità" e grandezza "la quantità misurabile continua".
Euclide negli Elementi (libro V) non definisce esplicitamente le grandezze, ma applica agli enti geometrici (linee, angoli, superficie, ecc.) gli assiomi dell'eguaglianza e della diseguaglianza, assumendo in generale che abbia senso per essi la somma e la differenza. Nei Data invece dice: "i poligoni, i segmenti, gli angoli si dicono dati in grandezza, quando possiamo paragonarli come enti eguali". Candalla, nel commento alla def. V, 3 degli Elementi euclidei riporta la definizione aristotelica: grandezza è ogni cosa secandum quam quid aequale maior vel minus.
I critici moderni - H. Grassmann (1844) e O. Stolz (1883) - anziché dare una definizione esplicita delle grandezze, ne offrono una definizione implicita, per postulati, riprendendo e precisando in qualche modo la trattazione euclidea. Essi dunque assumono che una classe di grandezze (omogenee) sia una classe di enti quali si vogliano, per cui:1. siano definite l'eguaglianza e un'operazione commutativa, la somma, in modo da soddisfare agli assiomi dell'eguaglianza e della diseguaglianza, che dichiarano in maniera completa e logicamente precisa: 2. valga il postulato della continuità (v. continuità).
Grandezza stellare. - La diversa intensità luminosa che presentano le varie stelle è la caratteristica fisica che più direttamente colpisce l'occhio, così che già gli antichi astronomi greci suddivisero in base a essa le stelle m sei classi di grandezze, denominando stelle di prima grandezza le più brillanti, di sesta grandezza le più deboli ancora percettibili all'occhio, e distribuendo le intermedie nelle altre quattro classi proporzionalmente alla loro luminosità. Le ricerche fotometriche moderne non hanno alterato questa suddivisione, ma l'hanno perfezionata, conoscendosi oggi leggi e strumenti atti a determinare le frazioni decimali di grandezza, e l'hanno proseguita per le stelle visibili soltanto nei cannocchiali o sulle lastre fotografiche celesti (v. luminosità dei corpi celesti). Nei cataloghi stellari e, per le stelle aventi un nome proprio, anche in questa enciclopedia, la grandezza viene generalmente indicata con l'abbreviazione M, che è l'iniziale dell'equivalente parola latina magnitudo; ad es. IM,5 sta a rappresentare una grandezza intermedia fra la prima e la seconda.