GRANO
(XVII, p. 726; App. I, p. 688; II, I, p. 1078; III, I, p. 784; IV, II, p. 105)
Attualmente vengono coltivate circa dieci specie di g. del genere Triticum, ma solo il Triticum vulgare e il Triticum durum rivestono un ruolo importante negli scambi commerciali.
Produzione mondiale del grano. - Dal 1975 in poi (tab. 1) la coltivazione del g. è caratterizzata da un andamento sostanzialmente costante della superficie coltivata e da un notevole incremento della produzione. Per quest'ultima, la punta massima si è avuta nel 1990 con un aumento, rispetto al 1975, di 239,7 milioni di t (67% in più). Questi incrementi rappresentano una conferma degli indirizzi agricoli seguiti negli ultimi trent'anni e orientati verso lo sviluppo produttivo con il raddoppio delle rese per ettaro. Varietà di g. selezionate geneticamente e caratterizzate da elevata produttività e resistenza alle malattie e agli agenti atmosferici hanno consentito il conseguimento di questi risultati, anche se sono stati curati meno gli studi concernenti la qualità, soprattutto nei suoi riflessi nutrizionali e tecnologici.
Scendendo nel dettaglio (tab. 2), dall'esame dei principali produttori di g. si può osservare come la produzione della Cina e dell'URSS è preminente rispetto a quella degli altri paesi; tra i continenti quello asiatico presenta la produzione più elevata.
Dal 1975 a oggi si è verificato un notevole mutamento nei rapporti produttivi tra i diversi paesi. Nel 1975 l'Asia copriva il 28% della produzione mondiale, seguita dall'Europa e dal Nord America con il 22% e quindi dall'URSS (19%). Negli anni successivi il tasso d'incremento produttivo in Asia è risultato notevolmente superiore a quello degli altri continenti, per cui nel 1990 questo continente è al primo posto della produzione mondiale, con raccolti che coprono, insieme con l'URSS, circa il 52% del totale; segue l'Europa con il 22%.
Differente è l'andamento riscontrato nel Nord America, dove l'obiettivo riguardava il miglioramento della qualità della produzione piuttosto che della quantità. Si può osservare (tab. 2) come dal 1975 al 1990 la produzione di g. sia rimasta pressoché costante, fatta eccezione per qualche punta nel 1981, nel 1982 e nel 1990, con una percentuale che è passata dal 22% (1975) al 18% (1990).
Tendenze produttive costanti si sono avute nel Sud America e nell'Oceania.
Dall'analisi dell'evoluzione produttiva registratasi in Europa in questi ultimi quindici anni emerge il notevole divario esistente tra la Francia e gli altri paesi europei. Già nel 1975, la Francia si trovava al primo posto con una percentuale del 19%; successivamente si è avuto un notevole incremento produttivo con un tasso superiore anche al 100%, che ha portato la Francia a coprire il 25% della produzione europea. Incrementi notevoli si sono avuti anche nella Repubblica Federale di Germania, in Polonia e in Romania, mentre piuttosto stazionaria è stata la produzione di g. in Italia.
Commercio mondiale del grano. - Il commercio mondiale del g. è regolato da un recente accordo internazionale (1986) che sostituisce il precedente del 1980. L'accordo risulta composto da due distinti strumenti giuridici: la Convenzione sul commercio del g. e quella relativa agli aiuti alimentari per i paesi in via di sviluppo. La prima ha come obiettivo quello di rinforzare la cooperazione in materia di cereali tra i membri esportatori e i membri importatori, allargando la portata dell'accordo dal g. a tutti i cereali. Per quanto riguarda l'aiuto alimentare, la Convenzione del 1986 ricalca quella del 1980. In particolare, l'obiettivo di detta Convenzione è quello di fornire ogni anno ai paesi in via di sviluppo un aiuto alimentare di almeno 10 milioni di t di cereali atti al consumo umano, quantitativo che in realtà è stato superato sia nel 1985-86 che nel 1984-85, raggiungendo la cifra di 12 milioni di t di aiuti alimentari in cereali.
Per una valutazione in dettaglio del livello degli scambi internazionali di g. nel periodo 1971-89, si rinvia alla tab. 3, dove sono riportati i valori quantitativi dell'export-import di g. e di farina di g. in equivalente-g. secondo il coefficiente, adottato dalla FAO, di 72 t di farina per 100 t di grano.
Gli USA, il Canada, la CEE, Francia in particolare, l'Australia e l'Argentina sono i paesi che dominano l'esportazione del grano. Dal 1976, il volume di g. commercializzato nel mondo ha subito un graduale aumento: dai 68 milioni di t del 1971-73 si è passati a oltre 100 milioni di t nel periodo 1980-82. Questo incremento è la conseguenza del grande aumento produttivo registrato in questi ultimi anni dai paesi della CEE e della conseguente disponibilità per la vendita delle eccedenze. Nell'ambito del commercio mondiale, la CEE è passata da una percentuale del 6,2% del 1970-71 al 16,2% del 1984-85. La quantità di g. importato può subire notevoli variazioni da un anno all'altro, a causa principalmente delle frequenti oscillazioni nella produzione locale.
In conseguenza del fatto che il g. viene spesso coltivato in zone a bassa piovosità, e dato che la resa produttiva dipende dall'umidità al momento della semina e in tutto il periodo della crescita, un'eventuale siccità ha un notevole effetto sulla produzione e quindi sulla necessità d'importare grano. Anche la piovosità durante il periodo della raccolta influenza la produzione del grano. Qualora le piogge siano eccessive e prolungate durante la raccolta, il g. subisce danni irreversibili causati da una pregerminazione dei semi tale da renderli inadatti per l'alimentazione umana. In questo caso il g. può essere usato solo per l'alimentazione animale e una nuova importazione di g. sano dev'essere effettuata per sopperire alle esigenze del consumo umano.
Sul fronte delle importazioni il ruolo di maggiore acquirente è andato cambiando in questi ultimi anni (tab. 3); dopo il Giappone e il Regno Unito, che ricoprivano i primi posti nel 1971-73, nel 1983-85 l'Egitto è passato al primo posto delle importazioni, esclusa l'URSS. Si può osservare, sempre dalla tab. 3, che anche l'Italia ha visto notevolmente salire le sue importazioni, triplicando in quindici anni la quantità importata.
La situazione italiana. - Nel periodo 1975-90 (tab. 5) è stata registrata una flessione della superficie agraria coltivata a g., andamento che ha preso l'avvio all'inizio degli anni Sessanta. In particolare si può osservare come tale contrazione sia la conseguenza di una riduzione di quasi il 50% della superficie coltivata a frumento tenero. Per la superficie coltivata a g. duro, rispetto al periodo 1950-74, si è riscontrato un ulteriore incremento, favorito dalla scelta mediterranea a suo tempo effettuata in ambito comunitario per consentire lo sviluppo di tale coltura, considerata come unica alternativa per il Sud d'Italia. A sostegno di tale politica, la legge italiana del 1967 ha imposto l'esclusivo impiego degli sfarinati di g. duro nella fabbricazione delle paste alimentari. Da tutto ciò in Italia si è avuta da un lato una riduzione della superficie coltivata a tenero, le cui produzioni si sono trovate in concorrenza con quelle, ad alta resa, provenienti da paesi europei come la Francia, e dall'altro uno sviluppo della coltivazione del duro, la cui superficie, intorno agli anni Ottanta, ha superato quella coltivata a tenero determinando una produzione che da tradizionalmente deficitaria si è trasformata in eccedentaria.
Nel 1986 si è raggiunto un quantitativo di 4500 t a fronte di un fabbisogno interno di 2900 t e di un fabbisogno totale, comprese le esportazioni, di 3200 t, con un'eccedenza di circa 1300 t. Contemporaneamente sono state importate 4500-5000 t di g. duro, prevalentemente dal Canada e dagli Stati Uniti, a testimonianza del fatto che le varietà coltivate non sempre rispondono alle esigenze delle industrie del settore, in conseguenza dell'introduzione di nuove varietà altamente produttive, ma qualitativamente mediocri, e dell'allargamento dell'area di coltivazione al di fuori delle tipiche zone meridionali.
Questo crescente squilibrio tra domanda e offerta, che ha caratterizzato il settore del frumento duro in questi ultimi anni in Italia, ha indotto la CEE, al fine di porre un limite a tale fenomeno, a proporre misure di disincentivazione verso la coltura di questo cereale (stabilizzatori agricoli) con l'obiettivo di riportare il rapporto del prezzo frumento duro/frumento tenero sui valori precedenti gli anni 1974-75, e cioè 120/100 contro i più recenti 163/100 e 154/100, rispettivamente delle campagne 1987-88 e 1988-89.