GRASSI (fr. graisses; sp. grasas; ted. Fette; ingl. fats)
Sostanze che si trovano sia nei vegetali sia negli animali, composte di carbonio, idrogeno e ossigeno, molli e untuose al tatto, di peso specifico inferiore a quello dell'acqua, nella quale sono insolubili.
Chimica.
Fin dai tempi più remoti le peculiari proprietà dei grassi naturali attrassero l'attenzione degli uomini e il loro interesse crebbe col crescere della civiltà. Non è nota l'origine della loro applicazione nell'uso domestico e nelle arti; è peraltro noto che anche nei tempi più lontani si usavano olî e grassi vegetali. Quando si sottoposero i grassi ad esame chimico, si ritenne che essi fossero sostanze a funzione acida, poiché erano capaci di unirsi agli alcali per dare sali (saponi). Nella metà del secolo XVIII, si era potuto constatare che il grasso separato dai saponi per azione di un acido energico aveva proprietà differenti da quello adoperato nella fabbricazione del sapone stesso. La spiegazione di questo fatto non si poté avere se non dopo la scoperta fatta da K.W. Scheele nel 1779 di uno dei componenti costanti dei grassi da lui chiamato "Ölsüss". Tale scoperta venne completata dalle celebri ricerche di M.-E. Chevreul, Sur les corps gras, iniziate nel 1811, con le quali egli dimostrava che i grassi erano miscele di estèri della glicerina con gli acidi organici. Tali esteri chimicamente si potevano considerare come risultanti dell'unione di una molecola di glicerina con tre di un acido organico dietro eliminazione di tre molecole d'acqua. K. Fr. Gerhardt chiamò questi esteri "gliceridi".
I gliceridi si possono rappresentare con la formula generale:
dove R rappresenta il residuo di un acido organico.
M. Berthelot, quasi contemporaneamente allo Chevreul, dimostrava che non solamente i gliceridi componenti i grassi naturali si potevano preparare per sintesi facendo agire a caldo (200°) gli acidi organici sulla glicerina in condizioni da eliminare l'acqua, ma anche che si potevano avere altri esteri della glicerina più semplici, i quali non si riscontrano ordinariamente come costituenti dei grassi naturali e che risultano dall'esterificazione di una sola o di due delle funzioni alcooliche della glicerina con acidi organici.
I gliceridi che entrano specialmente nella formazione dei grassi naturali sono quelli derivanti dall'acido stearico (C18H36O2), palmitico (C18H32O2), oleico (C18H34O2), miristico (C14H28O2), butirrico (C4H8O2). I gliceridi derivanti dall'acido oleico e butirrico sono liquidi, gli altri sono solidi.
Siccome i grassi naturali risultano da miscele di due o più gliceridi, a seconda delle proporzioni in cui sono contenuti quelli solidi e quelli liquidi, si possono avere grassi solidi, duri, detti seghi; grassi semisolidi, molli, detti burri; grassi liquidi detti olî.
Il termine più semplice dei gliceridi naturali è l'estere triacetico della glicerina che si trova nell'olio dei semi dell'Euonymus europaeus; a differenza degli altri gliceridi è notevolmente solubile in acqua. In natura non si riscontrano gliceridi costituiti da esteri di acidi organici a numero impari di atomi di carbonio superiore a 9.
Ordinariamente nei gliceridi naturali le tre funzioni alcooliche della glicerina sono esterificate con tre molecole dello stesso acido organico; non mancano però esempî, sebbene rari, di gliceridi nei quali tale esterificazione avviene con tre molecole di acidi differenti fra loro. Così le lecitine sono da considerarsi come gliceridi misti organo-minerali: in esse infatti due delle funzioni alcooliche della glicerina sono esterificate da due molecole di acido organico che possono essere identiche o differenti tra loro, la terza esterificata dall'acido fosforico per una delle sue funzioni acide; a completare la loro molecola entrano basi derivanti dall'amino-etanolo (C2H7NO), le quali si esterificano per la funzione alcoolica a una delle due funzioni acide rimaste libere dell'acido fosforico. Lo spermaceti, grasso del cranio del Capodoglio, non contiene come costituente principale un gliceride, ma un estere dell'acido palmitico con l'alcool cetilico (C18H36O); perciò non si può considerare come un vero grasso; lo stesso si dica per le cere.
Si chiamano tripalmitina o palmitina, tristearina o stearina, triacetina o acetina, trioleina o oleina, l'estere tripalmitico, tristearico, triacetico, trioleico della glicerina; impropriamente in commercio si usa il nome di stearina, di oleina, per indicare gli acidi liberi, stearico, oleico, ecc.
Proprietà. - I grassi naturali si presentano come composti solidi, facilmente fusibili o liquidi, untuosi al tatto, quasi inodori. Effettivamente i gliceridi che li compongono, allo stato puro, sono incolori e inodori; il debole odore e il colore di qualche grasso naturale sono dovuti a sostanze estranee. La loro densità, rispetto all'acqua, oscilla tra 0,875 e 0,975. I grassi liquidi solidificano facilmente per raffreddamento; quelli solidi, per raffreddamento, aumentano la loro durezza. Possono essere riscaldati fino a circa 250° senza che subiscano alterazione chimica sensibile; a temperatura superiore, si decompongono e la glicerina che si libera, reagendo a quella temperatura con l'ossigeno dell'aria, dà luogo alla formazione di una sostanza di odore acre e irritante, l'acroleina o aldeide acrilica (C9H4O). Gli olî e i grassi solidi hanno un coefficiente di dilatazione superiore a quello degli altri liquidi (la trioleina da 0° a 20° aumenta di 1,6 del suo volume).
I grassi sono quasi completamente insolubili in acqua, in acetone, in alcool freddo (fanno eccezione per quest'ultimo solvente l'olio di ricino e di noccioli di olivo). La loro solubilità aumenta in alcool caldo; è notevolissima in etere, cloroformio, solfuro di carbonio, tetracloruro di carbonio, benzina, ecc. Alla loro volta i grassi sciolgono piccole quantità di zolfo e di fosforo e qualche sapone.
I grassi sotto l'azione dell'aria e della luce si alterano in modo differente a seconda della loro natura. I cosiddetti olî essiccativi (di lino, di noce, di canapa, di papavero, ecc.) assorbono l'ossigeno dell'aria e si trasformano in una sostanza gialla, trasparente, insolubile nell'acqua e nell'alcool, che si chiama vernice. Questa trasformazione avviene ancor più rapidamente se questi olî si fanno bollire con ossido di piombo o resinato di manganese o di cobalto.
Gli altri olî non essiccativi, e anche i grassi solidi in genere, sotto l'azione della luce e dell'aria subiscono quella speciale alterazione che viene chiamata irrancidimento per cui assumono un sapore e un odore sgradevoli. Questo fenomeno non è ancora bene chiarito. Pare però accertato che l'irrancidimento sia preceduto da una parziale saponificazione dei gliceridi seguita da una parziale ossidazione dei prodotti di sdoppiamento (acidi grassi e glicerina); a questi ultimi prodotti sembra dovuto il sapore e l'odore di rancido.
Facendo passare una corrente d'aria attraverso gli olî riscaldati a 70°-120° si ottengono gli olî soffiati o ossidati, ricchi in gliceridi di ossiacidi e usati come lubrificanti. Se l'ossidazione è protratta a lungo, si ottengono gelatine vischiose usate come vischi artificiali.
Il cloro reagisce coi grassi in parte addizionandosi, in parte sostituendo l'idrogeno. Lo iodio lentamente si addiziona ai grassi. L'acido solforico forma esteri solforici dei trigliceridi. L'acido nitrico diluito e caldo ossida lentamente i grassi; quello concentrato li intacca con sviluppo di vapori nitrosi. L'acido nitroso rende solidi gli oli non essiccativi, trasformando la trioleina nell'isomero, la trielaidina; gli olî essiccativi restano liquidi, ma mutano molte delle proprietà fisiche, tra l'altro il loro peso specifico cresce assai.
Tracce di grassi si possono rivelare col tetrossido di osmio, col quale reattivo si ottiene un forte annerimento.
I gliceridi degli acidi non saturi (oleico, linoleico) sono i principali costituenti degli olî naturali, e sono liquidi alla temperatura ordinaria; se si fa agire sopra di essi l'idrogeno, sotto pressione a caldo e in presenza di catalizzatori (nichel ridotto, palladio), i residui degli acidi non saturi, costituenti l'olio, si trasformano in residui di acidi saturi (l'acido oleico diventa acido stearico) cosicché l'olio diventa un grasso solido, il quale commercialmente ha di solito maggior valore. Questa reazione è applicata nell'industria sotto il nome di idrogenazione (v.) o indurimento degli olî.
Per azione degli alcali caustici i grassi si trasformano in glicerina e nei sali alcalini degli acidi costituenti il grasso stesso; questi sali sono detti saponi; la reazione si può così rappresentare:
Questo processo di scissione prende il nome di saponificazione e la stessa parola si usa per indicare la scissione di qualunque estere nell'alcool e nell'acido di cui è formato.
Così, anche l'acqua e il vapore acqueo, fortemente soprariscaldati, possono provocare la scissione dei grassi; in tal caso invece dei saponi si ottengono gli acidi grassi liberi accanto alla glicerina:
La reazione però è in questo caso reversibile e cioè si arresta a un certo limite, poiché quando la glicerina e l'acido stearico hanno tra loro una certa concentrazione, in quelle stesse condizioni di temperatura e di pressione, tornano a ricombinarsi riformando la tristearina. In senso più lato poi con saponificazione si indica una reazione chimica mediante la quale, per l'introduzione di acqua in una molecola organica, se ne provoca la scissione in parti più semplici.
Di tutte le reazioni chimiche alle quali un grasso può essere sottoposto, indubbiamente la saponificazione è quella che presenta il maggior interesse pratico; a questa reazione chimici e tecnici, da più di un secolo, rivolsero la loro attenzione.
Fin dal 1777 F.K. Achard e più tardi (1836) E. Fremy avevano trovato che i grassi si potevano saponificare facendo agire sopra di essi l'acido solforico concentrato (5-10% del grasso da saponificare) a una temperatura di circa 120° e bollendo poi con acqua il prodotto risultante. Questo processo è ancora oggi applicato in alcuni stabilimenti. L'interpretazione di questa reazione dal lato teorico è ancora oggi non del tutto ben chiara. Si era ritenuto dapprima che l'acido solforico, adoperato in quantità troppo piccole per poter ammettere che prendesse parte stechiometricamente alla reazione, avesse l'ufficio di disciogliere e distruggere le membrane animali che avvolgono i grassi nei tessuti, mettendoli così in intimo contatto con l'acqua in modo da rendere possibile la saponificazione a pressione ordinaria e alla temperatura di circa 100°. Tale interpretazione si dovette però scartare, sia perché grassi privi di ogni membrana protettiva non vengono saponificati dall'acqua se non a temperatura elevata (sopra i 250°), sia perché gli acidi grassi ottenuti con questo processo non sono identici a quelli che, partendo dallo stesso grasso, si ottengono mediante gli altri metodi di saponificazione; gli acidi grassi prodotti con la saponificazione solforica sono cioè molto più ricchi in acidi solidi di quello che non siano gli acidi ottenuti dallo stesso grasso per saponificazione con uno qualsiasi degli altri processi. Oggi si ritiene che l'acido solforico, nel processo in questione, agisca dapprima sopra i gliceridi non saturi (oleine) sommandosi alle doppie legature e formando il gliceride saturo tristearin-solforico il quale, assai instahile, si scinde in glicerina e acido solfostearico. Questo acido, come molti acidi solforici, ha la proprietà di emulsionare i grassi con acqua, sicché rende possibile la saponificazione anche di quei gliceridi presenti nel grasso da saponificare, che per la loro natura chimica non potevano essere attaccati dall'acido solforico. A caldo, l'acido stearin-solforico reagisce con l'acqua dando l'acido ossi-stearico:
Questo acido è solido alla temperatura ordinaria. Nella saponificazione solforica dunque tutto o pressoché tutto l'acido oleico e gli acidi a doppie legature liquidi che entrano a costituire i gliceridi sottoposti a scissione, si trasformano negli ossiacidi solidi.
Alcuni reagenti speciali, di cui il primo venne scoperto e preparato nel 1898 dal chimico americano E. Twitchell (acido stearin-naftalin-sollorico), permettono la scissione del grasso a 10°. Di questo reattivo e degli analoghi proposti in seguito, bastano quantità piccole (0,5-i per cento parti di grasso da scindere); la saponificazione giunge alla fine dopo che la miscela di acqua, grasso e reattivo sono rinaste per 12-20 ore a 1000. Questo processo si chiama catalitico: in esso il meccanismo chimico di azione è in parte analogo a quello della saponificazione solforica.
Fin dal 1849 C. Bernard aveva trovato che certi enzimi estratti specialmente dal pancreas (steapsine) erano capaci di saponificare i grassi in ambiente leggermente alcalino e a temperatura poco superiore a quella ambiente; tali enzimi sono di solito nell'organismo animale accompagnati da altri dotati di proprietà diametralmente opposte, capaci cioè di esterificare gli acidi grassi con la glicerina sintetizzando così i gliceridi.
Nel 1890 A. G. Green e la sua scuola riscontrarono e separarono pure enzimi dotati di proprietà saponificanti dei grassi dai semi oleosi di molte piante; W. Connstein, nel 1902, riuscì a rendere industriale il processo enzimatico usando l'enzima (lipasi) estratto dai semi di ricino. Se le lipasi furono e sono usate nell'industria come mezzi saponificanti dei grassi, le steapsine non trovarono un impiego altrettanto economico soprattutto perché le condizioni migliori nelle quali questi agenti possono esplicare tutta la loro potenza non ci sono ancora perfettamente note. Un caso dell'imponenza alla quale può assurgere la saponificazione provocata dalle steapsine ci è dato dai cadaveri della Rotonda di Milano i cui sotterranei funzionarono da sepolcreto dell'Ospedale Maggiore per un periodo di tempo di circa 85 anni (1669-1783, con periodi d'interruzione). Dei 50.000 cadaveri, circa 10.000, quelli cioè deposti nelle celle sotterranee a est del fabbricato, non avevano subito la putrefazione ordinaria, ma in essi i grassi dei tessuti avevano subita la saponificazione: la glicerina era scomparsa, perché distrutta dai processi di ossidazione, erano rimasti gli acidi grassi saturi (palmitico e stearico) che rivestivano gli scheletri; si era cioè formata l'adipocera. Qualche cosa di molto simile alla abnorme decomposizione dei cadaveri della Rotonda deve essere avvenuto in epoche remotissime e per la prima fase della trasformazione in quei grandi depositi geologici che costituiscono gli scisti ittiolitici come quelli di Meride, di Besano, di Giffoni, di S. Romedio. Come pure qualche cosa di analogo deve essere avvenuto per i depositi petroliferi di origine animale; altrimenti, se si fosse effettuata la putrefazione normale dei cadaveri, il materiale organico sarebbe completamente scomparso.
Da notare è ancora il fatto che accanto alle steapsine e agli enzimi sintetizzanti dei grassi, qualche volta negli stessi organi (pancreas), altra volta, in ghiandole speciali, si riscontrano enzimi a proprietà saponificanti specialissime e che hanno notevole interesse fisiologico. Così nelle ghiandole del veleno dei serpenti, degli scorpioni, degli apidi, si trova un enzima speciale capace di saponificare parzialmente certi tipi di gliceridi, le lecitine, eliminando da essi una sola molecola delle due di acido grasso che entrano a costituirli, trasformandoli in un digliceride misto, detto lisocitina, che ha la proprietà caratteristica di disciogliere i globuli rossi del sangue lavati e centrifugati. Le gravi alterazioni prodotte dal veleno dei serpenti sono date non tanto dal veleno in sé, quanto dalla lisocitina che il veleno stesso, mediante la sua azione enzimatica, produce agendo sopra le lecitine del sangue e delle cellule. Gli enzimi dei veleni di questi animali non agiscono come saponificanti dei grassi ordinarî. In altri insetti poi, nelle vespidi (Vespa crabro, Vespa germanica), gli enzimi contenuti nel veleno dei loro pungiglioni hanno azione più generale, cioè saponificano completamente le lecitine, scindendole negli acidi grassi, nell'acido fosforico e nella colina (HO•CH2•CH2•N⊄[CH3]3OH). Anche i reattivi per la saponificazione catalitica dei grassi si comportano, verso la lecitina, nello stesso modo dei veleni della vespa; la lipasi del ricino scinde pure completamente le lecitine, sebbene con estrema lentezza.
Fra le caratteristiche che servono a identificare chimicamente i grassi, si deve ricordare il cosiddetto numero di iodio. Gli acidi grassi non saturi, costituenti il grasso, per il doppio legame che essi eventualmente contengono, possono fissare due atomi di iodio per ogni doppia legatura: la quantità di iodio col quale un grasso entra in combinazione indica la percentuale di acidi non saturi (nel caso più comune acido oleico) in esso contenuti. Il numero di iodio di un grasso si esprime col numero di centigrammi di iodio che un grammo di esso può fissare.
Altra caratteristica dei grassi è il numero di saponificazione. Esso è dato dai milligrammi di potassa caustica che occorrono per saturare gli acidi grassi contenuti in un grammo del grasso analizzato.
Fisiologia.
Il grasso alimentare subisce nel tubo gastro-enterico un processo di digestione che si riduce alla saponificazione del grasso stesso. Questa idrolisi è provocata principalmente dalle steapsine del pancreas coadiuvate dalla bile, la quale ha, tra l'altro, l'ufficio di mantenere alcalino il mezzo in cui la steapsina agisce. Gli acidi grassi che si liberano si saturano con l'alcali della bile, formando saponi solubili, i quali, alla loro volta, emulsionano i grassi rimasti ancora inalterati, facilitandone l'ulteriore saponificazione; l'emulsione è poi resa stabile e perfetta dalla bile stessa. Le cellule che ricoprono la superficie dei villi intestinali assorbono la glicerina e gli acidi grassi resi solubili dagli alcali della bile e in seguito i prodotti stessi della scissione dei grassi, per un processo di risintesi, si ricombinano rigenerando i grassi neutri. La saponificazione dei grassi operata dalla bile nel tubo gastro-enterico non ha quindi altro scopo che quello di rendere solubili e quindi assorbibili i grassi. I grassi risintetizzati passano nei vasi centrali chiliferi del villo e, attraverso il sistema linfatico, si portano nel sangue. Quella parte del grasso che non è subito richiesta e consumata per la produzione di energia viene immagazzinata nel connettivo sottocutaneo e nel mesentere. Il grasso immagazzinato da una data specie di animali è normalmente costituito da tristearina, tripalmitina e trioleina, in proporzioni fisse per quella specie e in diretto rapporto con la qualità dei grassi ingeriti con la normale alimentazione. Cambiando la qualità dei grassi di alimento, le cellule dei villi possono, fino a un certo punto, sintetizzare il grasso di deposito caratteristico dell'animale. Ma v'è un limite; oltre il quale l'animale immagazzina lo stesso grasso che gli viene somministrato.
Le piante e gli animali possono produrre il grasso dagl'idrati di carbonio. Queste sostanze infatti nei processi di demolizione negli organismi tendono dapprima a diventare esosi, poi per scissione analoga a quella che si verifica nella fermentazione alcoolica (v. fermentazione, XV, p. 31), si trasformano in acido piruvico, CH3•CO•COOH, che per l'azione di enzimi analoghi alla carbossilasi, riscontrati in molti tessuti, perde anidride carbonica e diventa aldeide acetica: CH3•COH. Le aldeidi facilmente subiscono la cosiddetta condensazione aldolica; cosicché dall'aldeide acetica si giunge all'aldolo etilico:
Dall'aldolo per semplice trasposizione dell'ossigeno può generarsi l'acido butirrico: CH3•CH2•CH2•COOH. Alla sua volta l'acido butirrico può essere ridotto nella corrispondente aldeide, la quale, nuovamente condensandosi con l'aldeide acetica e il butil-etilaldolo formatosi subendo la trasposizione dell'atomo di ossigeno come nel caso precedente, genera l'acido a sei atomi di carbonio normale; si passerebbe così per successive condensazioni agli acidi a otto, dieci, dodici atomi di carbonio normali. Tutti gli acidi costituenti i gliceridi ordinarî, i quali sono, come si è detto, a numeri pari di atomi di carbonio, potrebbero avere dagl'idrati di carbonio questa origine. Per quanto riguarda la sintesi dagl'idrati di carbonio della glicerina necessaria alla sintesi dei gliceridi, v. glicerina. Più sopra è detto come dalla glicerina e dagli acidi grassi si giunga ai gliceridi. Meno probabile si ritiene oggi che i grassi degli organismi possano trarre origine direttamente dalle proteine dell'alimento; poiché è provato che le proteine stesse, nel loro ricambio intermediario, possono generare idrati di carbonio dai quali si generano poi i grassi.
Sia che derivi dall'assorbimento intestinale, sia che derivi dai depositi, il grasso viene ossidato nell'organismo completamente, come nella bomba calorimetrica, in anidride carbonica e acqua; e poiché, fra tutte le sostanze organiche utilizzabili dagli animali, i grassi sono i più poveri d'ossigeno, essi forniscono la maggiore quantità d'energia e presentano il quoziente respiratorio (CO2/O2) più basso. Nell'ossidazione di 1 gr. di grasso si liberano in media 9 calorie. Il rapporto fra l'anidride carbonica prodotta e l'ossigeno consumato in tale ossidazione è circa 0,7; come mostra la seguente equazione, riferita a una molecola di oleinpalmitinstearina:
E in un uomo alimentato con grasso, lo si esamini a riposo o durante un lavoro muscolare, il quoziente respiratorio è dello stesso ordine di grandezza di quello teorico: 0,72 circa. Ma, a differenza di quanto avviene nella bomba calorimetrica, nell'organismo i grassi vengono, innanzi tutto, scissi per idrolisi in acidi grassi e glicerina e questi poi vengono ossidati con un meccanismo affatto diverso. Gli acidi grassi, che costituiscono circa il 90% in peso dei grassi neutri, nell'organismo vengono ossidati gradualmente per attacchi successivi dell'atomo di carbonio in posizione β. Anche questa ossidazione è graduale, e verosimilmente avviene secondo il seguente schema:
Dal quale risulta che la lunga catena degli acidi grassi si va progressivamente accorciando di due atomi di carbonio alla volta. Si ritiene, in generale, che il distacco avvenga sotto forma d'acido acetico, il quale, poi, verrebbe a sua volta ossidato in anidride carbonica e acqua:
Una delle prove della β-ossidazione degli acidi grassi nell'organismo è data dal fatto che in alcune condizioni patologiche (diabete mellito) e nel digiuno, quando cioè l'organismo, non potendo utilizzare gli zuccheri, vive quasi interamente a spese del grasso, i cosiddetti corpi acetonici (acido β-ossibutirrico, acido diacetico, acetone) s'accumulano nel sangue e vengono eliminati in notevole quantità nell'urina. Poiché tutti gli acidi grassi naturali sono a numero pari d'atomi di carbonio, si comprende come, per effetto della β-ossidazione, l'acido butirrico (4 atomi di carbonio) sia un prodotto intermedio obbligato della loro ossidazione, e come da questo (conforme allo schema precedente) debbano formarsi l'ossiacido e il chetoacido corrispondente, vale a dire l'acido β-ossibutirrico e il diacetico. Ma l'acido diacetico, che in condizioni normali, quando cioè l'organismo può ossidare anche gl'idrati di carbonio, viene ulteriormente ossidato (verosimilmente previa scissione in due molecole di acido acetico), nelle forme gravi di diabete e nel digiuno viene decarbossilato con formazione di acetone:
L'acetone è assai difficilmente ossidabile nell'organismo, onde, insieme coi suoi immediati precursori, s'accumula nel sangue (v. acidosi; diabete).
Chimica agraria.
Le sostanze grasse hanno una diffusione straordinariamente grande in tutti i vegetali, nei quali esse presentano, come sostanze di riserva, un'importanza eguale se non maggiore degl'idrati di carbonio.
Molto numerose sono infatti le piante le cui riserve alimentari sono costituite da grassi soli o associati a quantità assai piccole di idrati di carbonio; tipiche si presentano a questo riguardo le crucifere, le euforbiacee, parecchie palme, e soprattutto parecchie famiglie di metaclamidate, quali le composite, le campanulacee, le cucurbitacee, le scrofulariacee, le labiate, ecc. Nelle fanerogame i grassi sono presenti in tutti gli organi, ma essi vengono accumulati essenzialmente nell'endosperma dei semi, e in quelli che, appunto per la loro ricchezza in grasso, vengono detti oleaginosi, si può avere un contenuto del 50-70% di grasso sul peso secco. Così, ad esempio, le mandorle ne contengono fino al 53%, l'endospemia del cocco ne contiene fino al 67%. Anche nei semi molto ricchi di idrati di carbonio si trovano in notevole quantità le materie grasse, come si verifica, ad es., nell'arachide e nel cacao, e in modo caratteristico nelle cariossidi delle graminacee, le quali sono ricchissime di amido nell'albume e di grassi nell'embrione.
Fra gli organi aerei delle piante superiori contenenti grassi, ricordiamo ancora i granuli pollinici che ne contengono ordinariamente dal 3 al 4% nelle angiosperne, e anche fino al 10% nel pino; il legno - specie durante l'inverno - dove il grasso si forma per trasformazione dell'amido dapprima depositatovi; le gemme durante il periodo di riposo, dove il grasso può raggiungere, come nel tiglio, il 10% della sostanza secca; le foglie, più particolarmente nella stagione invernale. Il tessuto del mesocarpo dell'olivo da cui si ricava il materiale oleoso che ha tanta importanza economica, rappresenta uno dei pochi casi di localizzazione abbondante dei grassi nel tessuto parenchimatico del frutto; un fatto analogo si verifica nei frutti dell'alloro ed in poche altre piante come il ligustro e la fillirea. Anche il pericarpo del genere Juglans è ricco di grassi, quello della Juglans cinerea può arrivare al valore veramente notevole del 50%.
Negli organi sotterranei, come radici, bulbi, rizomi, radici tuberizzate, il grasso di rado manca completamente, tuttavia la quantità è spesso molto piccola. Fanno eccezione i tubercoli radicali di Cyperus esculentus, il cui contenuto in grasso può arrivare fino al 28%. È del tutto probabile che i grassi negli organi sotterranei abbiano la stessa funzione di riserva che hanno nei semi, ma in quelli essi sono stati ancora poco studiati per ciò che concerne la loro formazione e la loro utilizzazione.
Nelle piante inferiori, alghe e funghi, il grasso forma spesso il componente normale delle cellule, le quali portano spesso come prodotti di assimilazione, goccioline di olio, come nelle diatomee. Anche nelle schizoficee e nei cloroplasti di alcune alghe verdi, particolarmente le Vaucheria, si trovano goccioline di grasso, e così pure nei muschi. Assai ricche di grassi sono poi le spore delle Crittogame vascolari: quelle del Lycopodium ne contengono fino al 50%.
Parimenti nei funghi si trovano molto diffusi i grassi come sostanze nutritive di riserva, specie negli organi riproduttivi: sclerozi, spore, ecc. Così nei funghi a cappello il grasso forma il 5-7% del peso secco, le ife giovani ne contengono dal 2 al 5%, quelle vecchie notevolmente di più, dal 10 fino al 13%; eccezionalmente fino al 50% del peso secco; la segala cornuta contiene il 30-35% di grasso.
Nei batterî infine si trovano spesso goccioline di olio, e il contenuto in grasso può salire fino al 28%, come nei batterî tubercolari. Nel seguente elenco sono riportate le quantità di grassi contenuti in alcuni semi, frutti, fieni e paglie riferite a 100 grammi di sostanza secca all'aria.
Cariossidi: frumento 1,00-2,70; segala 1,1-2,80; orzo 1,1-2,85: avena 3,50-7,60; granturco 2,90-6,68; granturco (embrione) 29,36-39,86; riso 0,40-2,58.
Semi diversi: pisello 1,10-2,33; fagiolo 1,7, ghianda 2,7; veccia 3; pino 5,2; soia 14-18; cotone 19,95; girasole 31,22; canapa 32,58: lino 34,38; colza 42,23; arachide 44,49; sesamo 45,60; ricino 51,37: palma da olio 48,75; mandorle dolci (gheriglio) 53,16; noce (gheriglio) 58,47; nocciuola (gheriglio) 62,60.
Frutti: oliva 15-20; alloro 20-30; ligustro 15,2; fillirea 14,4.
Fieno: trifoglio 3,3-3,5; medica 3; veccia 2,3; segala 2,8.
Paglie: avena 2; frumento 1,7; orzo 1,9; granturco 1,1.
Tutti i grassi vegetali contengono, spesso in notevoli quantità, acidi grassi liberi, di cui il contenuto si eleva sensibilmente per azione delle lipasi, quando il grasso deve essere utilizzato per i bisogni della pianta. Essi sono inoltre accompagnati da fitosterine, (olio d'oliva) e da lecitine (leguminose). I grassi naturali contengono di regola acidi con catena di atomi di carbonio normale (non ramificata), e in essi non è stata finora dimostrata sicuramente la presenza di acidi grassi elevati con numero dispari di atomi di carbonio.
Nella tabella seguente sono raggruppati i gliceridi degli acidi grassi principali presenti nei più importanti olî e grassi vegetali
I grassi liquidi alla temperatura ordinaria, detti comunemente olî, si trovano quasi esclusivamente nelle piante dei climi temperati; iielle piante tropicali si trovano invece generalmente i grassi solidi, della compattezza del burro e del sego. Tale fatto è probabilmente in rapporto con la facilità con cui i grassi possono nei diversi ambienti essere emulsionati per parte del plasma cellulare al momento della mobilizzazione delle riserve. I grassi liquidi contengono una maggiore quantità di acidi grassi non saturi, che sono messi bene in evidenza dalle percentuali di iodio fissate dai diversi grassi.
Funzione dei grassi nei vegetali, e apporti reciproci con gl'idrati di carbonio. - Come abbiamo già ricordato, i grassi costituiscono essenzialmente per gli organismi vegetali materiali energetici di riserva a cui la pianta attinge al momento del bisogno per il suo bilancio materiale. A siffatta funzione biologica corrispondono bene le proprietà fisiche e chimiche di questi importanti composti. I grassi godono infatti della doppia proprietà di essere da un lato sostanze ad alto contenuto in carbonio ed elevato valore termico, dall'altro lato sostanze che, con i mezzi di cui dispongono gli organismi vegetali, sono facilmente ossidabili. L'acido stearico, per es., contiene il 76% di carbonio, laddove il glucosio ne contiene solo il 36%, e, come appare dalla seguente tabella, le materie grasse sviluppano nella loro combustione un numero di calorie doppio e anche triplo di quello dato dalla combustione dell'albumina, dell'amido e degli zuccheri.
Naturalnente nella molecola dei grassi la maggiore importanza spetta alla parte acida, che ne costituisce il componente principale; basta ricordare che la trioleina è formata di 92 parti in peso di glicerina contro 846 parti di acido oleico; nella formazione del gliceride si ottengono 884 parti di trioleina e 54 parti di acqua.
Il significato biologico dei grassi è quindi in primo luogo di essere sostanze tipiche di riserva, o più propriamente forme di concentrazione del carbonio. Che essi costituiscano dei materiali di riserva non vi è dubbio: lo dimostrano la loro localizzazione, le circostanze di tempo nelle quali ha luogo la loro formazione e scomparsa, le modalità con le quali si compiono questi fenomeni.
Il meccanismo della formazione dei grassi, non ancora per altro del tutto chiarito, comprende due processi principali: la formazione della glicerina e l'origine degli acidi grassi. La formazione della glicerina, sebbene non ancora dimostrata sperimentalmente, si lascia spiegare con facilità, dati i suoi rapporti con la sintesi degli zuccheri. È noto infatti come dall'aldeide formica si ottiene facilmente il glicerosio:
e come portando all'ebollizione la soluzione solfitica di triossimetilene, si formi rapidamente un miscuglio di composti zuccherini tra cui si possono caratterizzare il formosio e il glicerosio. Questo per riduzione fornisce direttamente glicerina:
mentre la condensazione rapida del glicerosio purta alla formazione di composti zuccherini:
Basta saturare debolmente con liscivia di soda una soluzione di glicerosio e abbandonare il tutto per qualche giorno a 0° per ottenere la trasformazione del glicerosio in composti zuccherini.
Assai meno facile a comprendersi è invece il modo di formazione degli acidi grassi. Le numerose ricerche eseguite a questo riguardo sui semi oleaginosi hanno condotto a ritenere che la materia grassa nelle piante tragga origine dagl'idrati di carbonio, dai quali si genererebbe in situ. I semi oleosi immaturi contengono infatti nel loro tessuto nutritivo una ricca quantità di amido, talvolta anche di altri idrati di carbonio, ma niente materia grassa; col progredire della maturazione però a poco a poco il contenuto in idrato di carbonio si abbassa e al loro posto si vede subentrare il grasso. Accade cioè che il ricambio materiale, allorquando il processo di maturazione ha raggiunto un dato stadio, viene a mutare sostanzialmente; il tessuto nutritivo che esplicava in principio la funzione d'immagazzinare le sostanze di riserva sotto forma di poliosî, acquista invece l'attitudine a trasformare questi in sostanza grassa. Che la presenza del grasso non sia dovuta a immigrazione da altre parti della pianta, è stato dimostrato staccando i semi dalla pianta stessa; anche in questo caso a una diminuzione del contenuto in amido corrisponde un aumento nel contenuto in materia grassa. Esteriormente il fenomeno è riconoscibile al cambiamento del coefficiente respiratorio. Come hanno dimostrato i lavori del Gerber e di numerosi altri autori, nei semi oleosi il rapporto fra anidride carbonica emessa e ossigeno assorbito, finché i semi stessi sono molli e verdi, è più piccolo dell'unità, cioè viene consumato più ossigeno dell'acido carbonico emesso; allora il contenuto in zucchero del seme è grandissimo, la percentuale di grasso minima. Quanto più il seme diviene consistente e colorato, tanto più la quantità di anidride carbonica emessa sopravanza quella di ossigeno consunmato: ad es., per 100 volumi di O2 si emettono, nei semi di ricino, 120-130 volumi di CO2; nei semi di papavero 150 volumi. Quando il processo di maturazione è ultimato, il rapporto
ritorna più piccolo dell'unità.
Anche la trasformazione dei grassi in idrati di carbonio durante la germinazione dei semi oleosi è in relazione con lo scambio gassoso che in quel periodo avviene fra i semi e l'atmosfera ambiente: il quoziente respiratorio
è allora minore dell'unità. In alcuni casi si è trovato che per 100 volumi di O2 assorbiti vengono emessi da 50 a 60 volumi di CO2.
Per la conoscenza della formazione del grasso neutro è interessante ricordare quanto riferiscono il Rechemberg e il Leclerc du Sablon, cioè che il seme immaturo attraversa uno stadio in cui è ricchissimo di acidi grassi, la qual cosa sta a dimostrare che dapprima si formano gli acidi e dopo segue la loro eterificazione.
Con questi risultati concordano perfettamente le osservazioni eseguite su altri organi di riserva. Nella maggior parte delle piante legnose infatti, come numerosi autori hanno potuto osservare, avviene durante il riposo invernale una formazione più o meno ricca di grasso a spese degl'idrati di carbonio di riserva e principalmente dell'amido. Da settembre fino a dicembre, secondo le osservazioni di questi sperimentatori, nell'Europa settentrionale e centrale si abbassa gradatamente nei vegetali legnosi il tenore in amido, mentre si effettua una proporzionata formazione di grasso.
E. Fischer anzi ha osservato che in rapporto alla trasformazione degl'idrati di carbonio in grasso, le diverse specie vegetali si comportano in modo diverso: in alcune, alberi grassi, durante il riposo invernale l'amido sparisce completamente; mentre in altre, alberi amilacei, si nota solo un abbassamento del tenore in amido con formazione di quantità relativamente piccoli di grasso. Parrebbe quindi che il grasso delle cellule dei tessuti nutritivi o destinati a diventare tali, si formi dagl'idrati di carbonio depositati o da quelli che in ricca quantità vi affluiscono in determinate epoche.
Per la spiegazione di siffatti processi il Fischer ritiene come possibile una condensazione di due o più molecole di zucchero e una successiva riduzione del prodotto. Egli ha rilevato in proposito che il numero degli atomi di carbonio degli acidi grassi spesso si accorda assai bene con l'opinione che questi acidi provengano da concatenamenti di molecole zuccherine. Così l'acido stearico e l'acido oleico i quali contengono 18 atomi di carbonio nella molecola, possono provenire dalla riduzione d'un composto originatosi per azione di tre molecole di glucosio; l'acido palmitico con 16 atomi di carbonio potrebbe provenire dall'unione di due molecole di un pentosio con una molecola di esosio.
È di certo assai dubbio che le concatenazioni abbiano luogo direttamente tra esosî e pentosî inalterati, dappoiché riuscirebbe assai difficile applicare questo concetto alla formazione degli acidi grassi aventi, ad es., 14 atomi di carbonio (acido miristico). Sennonché l'interessante spiegazione della formazione dell'acido butirrico nella fermentazione butirrica, ha reso molto probabile che alla sintesi degli acidi grassi inferiori preceda una rottura della catena carbonica della molecola zuccherina con formazioni di acetaldeide. Si ha perciò un valido fondamento per spiegare per analogia la costruzione degli acidi grassi superiori, come ripetuta condensazione tra frazioni di molecole zuccherine. Secondo H. Euler infatti dagli esosî si formerebbe aldeide glicerica, poi acido lattico e da questo aldeide acetica, che per condensazione darebbe l'aldeide dell'acido sorbinico. Questa sarebbe il punto di partenza per la formazione di alcuni acidi grassi tra i più noti; così per riduzione si avrebbe acido capronico, per condensazione di tre molecole e successiva riduzione incompleta si avrebbe acido oleico, e per riduzione completa acido stearico.
Un tal modo di vedere permette di spiegare senza sforzo due fatti interessanti, cioè il numero pari di atomi di carbonio di tutti gli acidi grassi superiori naturali, di costituzione esattamente nota, e la loro catena normale (quasi senza eccezione) di atomi di carbonio. F. Scurti e G. Tommasi in uno studio sulla formazione del grasso nell'olivo hanno messo in rilievo la presenza nelle olive giovanissime di un alcool di natura cerosa e conseguentemente legato da evidente affinità con le materie grasse. Questo alcool insieme con altre sostanze di natura analoga viene elaborato nelle foglie la cui attività s'intensifica nel periodo fruttificativo del vegetale. In tale epoca la sostanza perviene nel frutto, e costituisce nei primi stadî di sviluppo pressoché la totalità della materia grassa grezza (estratto etereo). Essa corrisponde nelle proprietà fisiche e nella composizione chimica esattamente alla sostanza che il Canzoneri prima e poi il Power e il Tutin riscontrarono tra i prodotti di elaborazione delle foglie e alla quale venne attribuita la formula C31H50O3 e il nome di oleanolo.
Col progredire della maturazione a una diminuzione progressiva dell'alcool ceroso corrisponde un aumento prima di acidi grassi e poi dei loro eteri glicerici. Così dopo il periodo di sviluppo del frutto, che è segnato da un rapido aumento di volume e di peso e da un'attiva formazione di cellulosa, sostanze proteiche, pentosani, ecc., segue il periodo della sua inolizione, in cui la formazione del grasso appare caratterizzata da tre fasi distinte, facili a cogliersi a causa della lentezza del processo, e cioè: 1. afflusso di materia cerosa (oleanolo); 2. formazione di acidi grassi; 3. formazione del grasso neutro.
Per tal modo la formazione del grasso nei frutti oleaginosi anziché un processo di sintesi sembra la conseguenza di una demolizione parziale dei composti cerosi ricchissimi in carbonio. F. Scurti e G. Tommasi hanno riscontrato un alcool ceroso perfettamente corrispondente all'oleanolo anche nei frutti oleaginosi di ligustro e di fillirea, nei quali la formazione del grasso procede in maniera identica.
Per le funzioni delle sostanze ternarie, v. anche ricambio.
Bibl.: F. Czapek, Biochemie der pflanzen, I, 2ª ed., Jena 1913; H. Euler, Pflanzenchemie, I, ii: Das Chemische Material der Pflanzen, Brunswick 1908-1909; M. Molliard, Nutrition de la plante: Formation des substances ternaires, Parigi 1921; E. Fischer, Die Chemie der Kohlenydrate und ihre Bedeutung für Physiologie, Berlino 1903; G. Gola, in Nuova enciclopedia chimica Guareschi, XIII, p. 197; F. Scurti e G. Tommasi, in Ann. d. R. Staz. chim. agr. di Roma, s. 2ª, IV, p. 253 segg.; V p. 103 segg.; VI pp. 53 segg. e 67 segg.; F. Scurti, ibid., pp. 29 segg. e 39 segg.
L'industria dei grassi.
L'estrazione e l'uso dei grassi animali risale alla più remota antichità. Già gli abitanti delle caverne, obbligati a vivere dei prodotti della caccia e della pesca, seppero isolare i grassi dal corpo degli animali, fonderli, conservarli per poterli utilizzare in seguito sia come alimento, sia per illuminazione e riscaldamento.
I grassi animali vengono oggi separati meccanicamente dai corpi degli animali, scelti a seconda delle parti del corpo dalle quali provengono e della specie degli animali stessi; indi fusi in caldaie sia a fuoco diretto sia mediante riscaldamento con vapore acqueo, oppure estratti mediante pressione in torchi o, anche, mediante solventi. Le principali qualità commerciali dei grassi animali sono: il burro (v.), il sego, la margarina, il grasso di maiale (lardo e strutto), l'olio di fegato di merluzzo (v. merluzzo), l'olio cosiddetto di pesce (balena, foca, delfino, squali), il grasso di lana, l'olio di crisalidi, il grasso d'ossa.
Sego. - Il sego è il grasso del bue, dei montoni e degli altri animali da macello in genere, esclusi i suini. Esso è costituito per 75% di stearina e di palmitina in parti eguali e per il 25% di oleina. Il grasso greggio, come proviene dal macello, contiene ancora, oltre al tessuto cellulare che è incorporato nel grasso stesso, anche sangue, pelle, ecc., sostanze che subendo facilmente la putrefazione gli conferiscono cattivo odore. Per procedere alla separazione di queste sostanze, il materiale greggio viene sminuzzato mediante macchine a coltelli rotanti, indi fuso in caldaie di ferro o di rame munite di un falso fondo bucato e riscaldate direttamente a fuoco nudo, oppure indirettamente dal vapore: durante la fusione si mantiene la massa in lento movimento mediante un agitatore meccanico o facendo arrivare nel grasso fuso una rapida eorrente di vapore soprariscaldato a 180°-200°; in questo caso la caldaia deve essere chiusa. Il vapore acqueo asporta dal grasso le sostanze volatili, le quali sono dotate di cattivissimo odore, e per evitare l'inquinamento dell'aria, le trasporta, mediante un tubo che è connesso al coperchio della caldaia stessa, sotto il focolaio, dove vengono distrutte. Si mantiene il grasso fuso e caldo per qualche tempo; si sospende poi il riscaldamento e l'agitazione, si lascia la massa in riposo per permettere il deposito delle parti solide, infine si scarica il grasso dal rubinetto di fondo della caldaia, filtrandolo attraverso sacchi di tela e raccogliendolo in barili di legno. Sul falso fondo forato rimangono i ciccioli che provengono dalla cottura delle membrane cellulari del grasso e del sangue. Per torchiatura o per estrazione con solventi, questi ciccioli vengono privati del grasso ancora contenuto, dopo di che essi possono essere utilizzati come concime o come alimento del bestiame. In alcuni stabilimenti la fusione del sego si eseguisce in caldaie chiuse, alla temperatura di 105°-110°, in presenza di acido solforico diluito (100 parti di acqua, 2 parti di acido solforico a 66° Bé). L'operazione dura due ore; poi si scarica il sego fuso mediante un sifone galleggiante. I ciccioli ottenuti con questo sistema non sono utilizzabili per l'alimentazione del bestiame; i seghi invece sono di migliore qualità e di solito non richiedono ulteriore purificazione. Per seghi destinati all'alimentazione o alla produzione di saponi fini o delle candele si richiede molte volte un'ulteriore raffinazione del sego e anche l'imbianchimento. La raffinazione consiste in un'ulteriore fusione in acqua, seguita da filtrazione per tela. La massa del sego fusa e filtrata deve poi essere lasciata raffreddare lentamente fino a una temperatura di 28°, per permettere alla stearina ed alla palmitina, che sono i principali componenti solidi del grasso, di rapprendersi in masse granulose; questo rende più facile poi la separazione dell'oleina, liquida all'ordinaria temperatura, per pressione nei torchi. I seghi s'imbianchiscono o riscaldandoli in tini di legno in presenza di carboni decoloranti e di terre speciali (terra Florida), oppure trattandoli con ossidanti, come acido cromico, permanganato di potassio, perossido di benzoile: questo reattivo si presta bene anche per seghi destinati all'alimentazione, perché non richiede manipolazione per eliminare i prodotti di demolizione dell'ossidante che, dopo aver agito, si trasforma in acido benzoico.
Il peso specifico dei seghi può variare a 15° da 0,943 a o,952. Il punto di solidificazione varia da 35° a 47°, mentre quello degli acidi grassi ottenuti per saponificazione del sego può variare da 38° a 46°: commercialmente un buon sego deve raggiungere almeno 43°. Uno dei sofisticanti del sego più in uso è l'olio di cotone; per riconoscere la presenza di questa sostanza si ricorre alla reazione di Halphen: si riscaldano in una provetta volumi eguali di sego e di alcool amilico (20 cc.) e vi si aggiunge una soluzione all'1% di zolfo sciolto in solfuro di carbonio (2 cc.); se dopo 10 minuti di riscaldamento appare una colorazione aranciata o rossa è presente l'olio di cotone che si scopre anche in quantità non superiore al 5%. Però questa reazione dà risultati attendibili solo quando né la miscela di sego e d'olio di cotone, né l'olio di cotone abbiano subito in precedenza un riscaldamento a 200°-250°. Il sego trova la sua massima applicazione nella produzione dei saponi e delle candele; notevoli quantità se ne usano pure per la preparazione della margarina.
Oleo-margarina e margarina. - Nel 1868 il governo francese bandì un concorso a premio per chi avesse trovato un grasso a buon mercato e ehe per le proprietà bromatologiche potesse surrogare il burro. Mège-Mouriés, chimico francese, che già si era occupato di problemi riguardanti l'alimentazione, vinse il concorso. Analizzando il latte di vacca egli era giunto alla constatazione che il contenuto in grasso del latte stesso non diminuiva proporzionatamente con la diminuzione della razione di cibo somministrata agli animali e constatò che questo grasso era somministrato dalla riserva adiposa dell'animale. Da questa osservazione nacque nel Mège-Mouriés l'idea di preparare un surrogato del burro partendo direttamente dal grasso dei macelli, estraendone per torchiatura solo quella parte che per le sue proprietà chimiche e fisiche si avvicinava al grasso del burro. Per produrre la margarina, il sego fresco è tagliato in piccoli pezzi e introdotto nel quarto di suo peso di acqua calda a 55° in un tino a doppio fondo riscaldato con acqua circolante a 60°-70°. La massa è agitata lentamente e continuamente per evitare il soprariscaldamento del materiale. Ottenuta la fusione si sospende l'agitazione, si aggiunge una soluzione satura in acqua di sale da cucina per facilitare la separazione delle membrane e del sangue; indi il sego si sifona mediante un sifone galleggiante e si raccoglie in recipienti mantenuti tiepidi con acqua circolante nelle camicie esterne dei recipienti stessi: il sego in riposo lascia così depositare le ultime impurezze solide. Il prodotto così ottenuto venne dal Mège-Mouriés denominato premier jus. Una piccola parte di questo prodotto è usata tal quale per fabbricare la margarina; il resto si cola in piccoli stampi e si lascia raffreddare a 30°, con che si ottiene una massa pastosa che si comprime fra tele di pelo di pecora in torchi idraulici. Nella tela rimane un grasso solido che corrisponde a circa il 45% del peso del premier jus sottoposto a torchiatura ed è costituito di stearina mista a poca palmitina e oleina; questo prodotto è usato per la fabbricazione delle candele. Il liquido ottenuto dalla torchiatura è costituito per il 55% circa da trioleina, per il 35% da tripalmitina, per il 10% da tristearina; a temperatura ordinaria esso assume consistenza butirrosa, è di colore giallastro ed ha odore che ricorda quello del burro: esso è denominato oleo-margarina e può essere usato tal quale come grasso da cucina. L'oleomargarina ha una densità a 100° di 0,859-0,860; fonde a 37°.
Per preparare la margarina si mescolano l'oleo-margarina con premier jus e con olio di sesamo o di arachide. I rapporti fra i tre componenti sopraddetti sono rispettivamente di parti 10 a 0,5 a 1. Questa miscela si emulsiona con lo stesso peso di latte, aggiunto in due tempi, a una temperatura di 35°-40°. Tolta la massa dall'emulsionatrice si lascia raffreddare in vasche ampie e basse a doppio fondo in cui circola acqua fredda a 2° circa. La massa pastosa formatasi si separa dall'acqua, si lava accuratamente con acqua fredda in impastatrici da burro; indi, foggiata in pani, è messa in commercio. Per soddisfare poi alle esigenze del pubblico e rendere ancora più somigliante la margarina al burro naturale si sogliono aggiungere oggi altre sostanze accessorie, come piccole quantità di glucosio e di rosso di uovo per ottenere l'imbrunimento della margarina durante la cottura e la formazione della schiuma, e quantità piccolissime di diacetile per dare il profumo caratteristico del burro naturale; in alcuni paesi poi si aggiungono anche sostanze coloranti gialle.
Mège-Mouriés, brevettata nel 1872 la sua scoperta, iniziò la preparazione del prodotto su scala industriale nella fattoria di Poissy vicino Parigi. La vendita fu autorizzata dietro parere favorevole dei chimici F. H. Boudet, J.-B. Boussingault e A. B. Poggiale non col nome di burro artificiale, ma con quello di margarina. Il successo della margarina fu subito assai grande e l'industria si estese rapidamente. Numerosi lavori eseguiti dipoi nel campo della fisiologia e della bromatologia hanno dimostrato esaurientemente che la digeribilità della margarina per l'uomo è la stessa di quella del burro, ma il contenuto in vitamina A è inferiore.
L'uso della margarina nell'economia domestica va sempre più aumentando specialmente in Europa: si calcola che oggi la produzione mondiale di questo prodotto raggiunga i due milioni di tonn. annue. In certi paesi poi per avere un grasso da cucina ancor più a buon mercato si fabbricano margarine contenenti burro di cocco al posto di tutta o di parte dell'oleomargarina e addirittura si preparano e si mettono in commercio sotto il nome di cunerol prodotti risultanti esclusivamente di burro di cocco e poco rosso d'uovo impastati e lavorati insieme.
Grasso di maiale. - Dal maiale si ricavano due qualità commerciali di grasso: il lardo, che forma lo strato più o meno spesso aderente alla parte interna della pelle e che si toglie insieme con la cotenna, si cosparge di sale, si affumica e così si usa per cucina; la sugna, o grasso propriamente detto, che si trova nelle altre parti interne dell'animale e che, scaldato a fuoco nudo o a vapore, decantato e filtrato onde liberarlo dal tessuto cellulare, dalla carne, dal sangue e dalle altre impurezze non fusibili (v. più sopra: Sego), costituisce lo strutto, che vien messo in commercio in vesciche o barili. Le qualità migliori di strutto si ottengono generalmente dai tessuti adiposi freschi (panna) che circondano i reni e gl'intestini; le qualità più scadenti dal grasso delle altre parti dell'animale o da grassi vecchi e si usano per la fabbricazione dei saponi.
Negli Stati Uniti d'America i grandi stabilimenti di lavorazione delle carni o packing houses (v. carne) preparano il lardo in enormi quantità e in alcune qualità caratteristiche. Il neutral lard è uno dei prodotti più fini, bianco, inodoro, di sapore gradevole: è ottenuto riscaldando grasso dei reni a 40-50°, temperatura alla quale si ricava solo un olio assolutamente neutro in colore, sapore e odore e rimangono pressoché intatti i tessuti; è usato quasi esclusivamente per la preparazione della margarina. L'imitation neutral lard è molto simile al precedente: è ottenuto riscaldando a temperatura leggermente superiore grasso della schiena: serve per dolci, in sostituzione del burro, ecc. Il kettle rendered lard è ottenuto riscaldando con vapore in autoclave o caldaia aperta una miscela di grasso di reni e grasso di schiena a 90-100°, temperatura che scioglie anche i tessuti adiposi: costituisce la migliore qualità di strutti da cucina. Il prime steam lard è ottenuto riscaldando con vapore a temperatura superiore i residui della lavorazione precedente o i grassi di altre parti di animali. I cosiddetti greases sono ottenuti dal trattamento con vapore o con solventi di tutti i residui o delle parti di animali morti: servono per uso industriale. I grassi commestibili americani vengono generalmente raffinati con molta cura e ben conservati.
Il grasso di maiale ha consistenza tra butirrosa e sebacea, peso specifico di o,93, punto di solidificazione a 27-30° e di fusione a 35-45°. Contiene circa il 60% di oleina e 40% di palmitina e stearina. È adulterato con sevo e olî di semi e spesso surrogato da loro miscele (lardine).
Prodotti che si preparano pure dal grasso di maiale, soprattutto in America, sono l'olio di lardo e la stearina solare. Si ottengono fondendo il grasso in caldaia con riscaldamento a vapore; dopo aver proceduto nel solito modo alla separazione delle sostanze solide estranee al grasso, si lascia raffreddare lentamente la massa fusa e filtrata, e si passa poi, come per la preparazione del premier jus, alla spremitura con torchio idraulico. La parte liquida che cola dal torchio costituisce l'olio di lardo, la parte solida rimasta nei sacchi di spremitura costituisce la stearina solare. L'olio di lardo costituisce il 50-60% del grasso originario; esso è un liquido che congela tra i 0° e −5°, ha una densità di 0,913-0,920: si usa come commestibile, come lubrificante, nella profumeria per preparare cosmetiei, nell'industria della lana, e le qualità più scadenti per la preparazione dei saponi. La stearina solare si aggiunge talvolta allo strutto per renderlo più consistente e trova anche impiego nella fabbricazione delle candele.
Grassi di animali marini. - Dal corpo di alcuni cetacei (balene, foche, delfini) si estrae in modo analogo a quello precedentemente esposto il grasso, il quale viene messo in commercio col nome dell'animale da cui venne estratto. Questi grassi sono caratterizzati dal contenere una notevole quantità di acidi non saturi come quelli dell'olio di fegato di merluzzo; in più vi si trova un acido speciale, il clupanodonico C22H34O2. Esso venne estratto la prima volta nel 1906 dal chimico giapponese Tsujimoto dall'olio della sardina del Giappone (Clupanodon melanostica).
Questo acido contiene 5 legami etilenici; ridotto con idrogeno si trasforma nell'acido saturo a catena normale (acido behenico C22H44O2). L'acido clupadonico si ossida assai facilmente all'aria dando sostanze volatili dotate di odore sgradevolissimo; l'acido behenico invece, solido e assai stabile, è inodoro. Fino a pochi anni fa gli olî di animali marini, per le loro proprietà fisiche e organolettiche, e specialmente per il loro odore nauseante, erano scartati da tutti gli usi nobili.
Nel 1902 da W. Normann in Germania venne risolto industrialmente il problema della riduzione catalitica dei grassi e degli acidi grassi, basata sulle proprietà catalizzatrici del nichel ridotto, proprietà scoperta da I.-B. Sabatier e da P. Senderens; da questo momento gli olî di animali marini trovarono nella pratica industriale vastissimo impiego, poiché sottoposti a idrogenazione si trasformano in grassi bianchissimi, inodori, i quali non solo possono essere usati nell'industria saponiera ma anche in quella della margarina. Attualmente poi l'idrogenazione dei grassi (indurimento) ha fatto nuove conquiste nel campo delle applicazioni. Infatti riducendo cataliticamente gli acidi grassi liberi con catalizzatore nichel ridotto e rame ridotto e agendo a pressioni fortissime ma a bassa temperatura, si può giungere senza difficoltà notevoli a ridurre l'acido grasso nel corrispondente alcool; cosi dall'acido stearico si giunge all'alcool octodecilico C18H38O. Questo alcool, un tempo curiosità di laboratorio, si prepara ora a tonn. poiché il sale sodico del suo estere con l'acido solforico (C18H37SO4Na) costituisce un sapone che non solo non precipita in presenza di sali di calcio o di magnesio e quindi può essere usato anche con acque dure, ma non precipita nemmeno in liquidi acidi; l'industria tessile, specie quella della seta artificiale, lo usa in gran quantità.
I cascami dell'olio di pesce si adoperano anche per la preparazione dei cosiddetti dégras (v.).
Dalla testa del capodoglio (Physeter macrocephalus) si estrae una miscela di grassi a basso punto di fusione, i quali nel mammifero vivo si trovano allo stato liquido. Essi per torchiatura si possono dividere in due frazioni: una liquida a temperatura ordinaria detta olio di spermaceti, l'altra solida è chiamata spermaceti o bianco di balena. Lo spermaceti è mstituito per la massima parte da palmitato cetilico insieme col 50-52% di sostanze insaponificabili. Fino al principio dell'Ottocento lo spermaceti era classificato insieme con le adipocere (cere di cadavere); nel 1844 J.-B. Dumas e E.M. Peligot lo riconobbero come estere di un alcool dalla formula C16H33OH che chiamarono cetilico. Lo spermaceti si raffina lavandolo con acqua e soda ottenendo così una massa solida all'ordinaria temperatura, bianca, dura, cristallina, leggermente untuosa al tatto, fusibile tra i 44°-55°. Ha una densità di 0,94-0,96; è difficilmente saponificabile. Lo spermaceti si usa specialmente in farmacia per preparare emollienti locali, creme per profumeria, raramente come emolliente interno. Esso ha il vantaggio sopra gli altri grassi di irrancidire difficilmente. Un tempo serviva anche per preparare candele di lusso.
Grasso di lana. - Usato in medicina fin da epoca remotissima è ricordato anche da Plinio nelle sue opere. M.-E. Chevreul ne fece oggetto di studio accurato fin dal 1856 e in esso egli riscontrò quantità grandissime di colesterina. Il grasso di lana si estrae dalle lane di pecora o di montone con due metodi principali. Il primo metodo consiste nel lavare la lana con sapone o con soluzioni di carbonati alcalini; il secondo, processo usa invece lavare la lana con acqua calda ed estrarre il grasso dalle lane lavate ed essiccate mediante solventi organici, come solfuro di carbonio, benzina, trielina, ecc. Con quest'ultimo processo, dopo evaporazione del solvente, si ottiene il grasso di lana greggio quasi privo di acqua. Di solito però nell'industria della lana si usa come prima operazione il lavaggio con acqua e sapone o con acque alcaline: così il grasso viene emulsionato dall'acqua saponosa e asportato. Le acque di lavaggio si lasciano in riposo per qualche tempo per depositare il terriccio e i materiali estranei insolubili. Il grasso di lana si può separare da queste emulsioni o centrifugando il liquido in centrifughe simili a quelle in uso per la scrematura del latte, oppure acidificando l'emulsione con acido solforico e decomponendo così il sapone usato per la lavatura. Insieme col grasso di lana precipitano anche gli acidi del sapone. Il precipitato si raccoglie per filtrazione o per centrifugazione. Si ottiene una certa raffinazione del grasso di lana fondendo il prodotto sotto acqua.
I grassi greggi di lana hanno consistenza sebacea, colore variabile dal giallo al bruno, odore piuttosto disgustoso. Fondono a 40°, hanno una densità a 15° di 0,941-0,973, contengono circa il 50% di sostanze insaponificabili. La soluzione cloroformica di questi grassi devia a destra il piano della luce polarizzata. La solubilità di questi grassi in alcool, benzolo, benzine, solfuro di carbonio è piccola. I grassi di lana hanno una composizione chimica assai complessa e tuttora non del tutto chiarita. Si trovano in essi molti acidi grassi in parte liberi, in parte esterificati con alcoli superiori. Tali acidi sono: il palmitico, il cerotico, poco acido oleico e caproico, piccolissime quantità di acido stearico, isovalerianico, butirrico, miristico, carnaubilico, lanocerilico e lanopalmitico; fra gli alcoli superiori, i quali costituiscono la parte insaponificabile del grasso di lana, si trova la colesterina, l'isocolesterina e l'alcool cerilico.
Il grasso di lana greggio costituisce un lubrificante consistente e vischioso usato specie nei laminatoi, nelle fabbriche di corda, nell'industria del cuoio; è uno dei componenti principali degli adesivi per cinghie di trasmissione. Il grasso di lana è la materia prima per la preparazione della lanolina, dell'oleina e della stearina del grasso di lana.
La lanolina anidra (adeps lanae o lanolinum) è ottenuta dal grasso di lana privato degli acidi grassi liberi e dell'odore sgradevole. Risulta quindi costituita di esteri neutri di acidi grassi con alcoli superiori, di colesterina e di alcoli superiori liberi. La lanolina anidra ha consistenza di unguento, di colore giallognolo o bruniccio, stabile all'aria, insolubile in acqua formando con essa assai facilmente emulsioni stabili; può incorporare fino a tre volte il suo peso di acqua senza perdere la consistenza. Essa contiene il 60% di colesterina, fonde a 43°. È usata per preparare lubrificanti adesivi, emulsioni oleose, come eccipienti per unguenti. La farmacia però usa di solito la lanolina idrata, la quale è un'emulsione di lanolina anidra col 25% in peso d'acqua. Serve come eccipiente mescolandola con sugna o vaselina, onde diminuirne il forte potere adesivo e renderla più maneggevole; non irrancidisce e non irrita la cute e le mucose, penetra facilmente nella pelle, può essere aggiunta di quantità notevoli di liquidi acquosi emulsionandoli, è asettica e ostacola lo sviluppo dei germi.
Distillando il grasso di lana in corrente di vapore soprariscaldato si idrolizzano parzialmente gli esteri neutri, mentre in parte essi distillano inalterati; gli alcoli superiori parzialmente si decompongono producendo idrocarburi. Il distillato è costituito così di una parte liquida e una solida all'ordinaria temperatura, che si possono separare per torchiatura. La parte liquida costituisce l'oleina del grasso di lana ed è formata per il 50-60% di acidi grassi liberi, il resto è dato da idrocarburi. Si presenta sotto forma di un olio torbido solubile in alcool, in etere, in benzina, in cloroformio, è otticamente attiva e devia a destra il piano della luce polarizzata; è usata come olio di filatura. La parte solida ottenuta dalla distillazione del grasso di lana ha il nome commerciale di stearina del grasso di lana; essa ha consistenza cerosa, è di color giallo brunastro; i suoi costituenti principali sono acidi grassi liberi, idrocarburi e colesterina; fonde da 45°-65°. adoperata nell'industria delle pelli, nella preparazione dei lubrificanti e dei grassi adesivi e infine nell'industria saponiera.
Grasso di crisalide. - Dai bozzoli del baco da seta, dopo ricavata la bava setacea, rimangono nelle bacinelle di filatura le crisalidi. Esse contengono dal 25 al 27% di un olio che può essere estratto per spremitura o per solventi. Quest'olio ha un colore bruno rossiccio ed emana un odore assai sgradevole. Come l'olio di pesce può essere utilizzato proficuamente idrogenandolo. Il prodotto ridotto può servire per la fabbricazione di saponi e di candele.
Grasso d'ossa. - È ricavato dalle ossa di varî animali, nelle fabbriche che utilizzano tali ossa per la fabbricazione di colla, nero animale, farina e fosfati. Il processo di lavorazione comprende sostanzialmente la cernita, pulitura e frantumazione delle ossa, l'estrazione del grasso con acqua, vapore o solvente, la raffinazione, se occorre, del grasso con acido solforico, terra decolorante o altri mezzi. Dei tre sistemi di estrazione, con acqua, vapore o solvente, il primo si pratica sospendendo recipienti bucherellati pieni d'ossa in grandi caldaie con acqua portata alla temperatura di 100°: il grasso si fonde e si raccoglie alla superficie dell'acqua; il secondo, ponendo le ossa in autoclavi in cui arriva vapore alla pressione di 203 atmosfere; il terzo, ponendo le ossa in estrattori in cui circola il solvente (benzina e di rado tetracloruro di carbonio). I sistemi ad acqua e a vapore si applicano in genere alle ossa fresche o ben conservate, che contengono, se corte, 8-13% di grasso, se lunghe, 20%. L'estrazione con solventi si applica alle ossa vecchie o imputridite, che hanno minor contenuto e più scadente qualità di grasso. Il rendimento in grasso è del 50% col processo ad acqua, del 75% col processo a vapore, quasi del 100% nell'estrazione con solvente. Il grasso d'ossa fresche e ben conservate ha colore quasi bruno o giallognolo; quello di ossa vecchie o imputridite ha colore giallo sporco. È utilizzato per la fabbricazione dei saponi e delle candele o per la preparazione di lubrificanti (unti da carro).
Farmacologia. - I grassi entrano nella composizione delle pomate o unguenti e dei linimenti. La nostra Farmacopea (1929) registra: la sugna o grasso suino (adeps suillus); la sugna benzoinata o grasso con benzoino (a. benzoinatus); il grasso di lana o lanolina (a. lanae); il sego di bue o grasso bovino (a. bovinus). La vaselina o paraffina molle (vaselinum) è un miscuglio d'idrocarburi ricavati dalla distillazione del petrolio americano.